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Messaggi del 11/09/2018

Colpa di qualcun altro

Post n°2782 pubblicato il 11 Settembre 2018 da namy0000
 

Non è sempre colpa di qualcun altro. Tentazione Mugabe

Leonardo Becchetti, Avvenire, domenica 9 settembre 2018

Se in Italia le cose non vanno, la colpa è sempre di qualcun altro. L’euro, l’Europa, i migranti irregolari, il complotto dei poteri forti, le pochissime mani che controllano i mercati finanziari... Si lascia credere che la "torta" della ricchezza sia data e fissa e che c’è qualcuno (un altro, appunto) che ci impedisce di accedervi e di redistribuirla a vantaggio dei più bisognosi. Qualcosa di simile lo pensavano, e lo fecero pensare il padre-padrone dello Zimbabwe, Mugabe, e i suoi seguaci quando vararono nel loro Paese un programma di redistribuzione delle terre e delle aziende agricole. Purtroppo nel precipitoso processo di redistribuzione i nuovi proprietari non possedevano le competenze dei vecchi e il Paese iniziò una lunga e disastrosa discesa verso il basso, con il paradosso di aumentare la povertà.

In un’altra visione semplicistica, pericolosamente di moda, per allargare la "torta" basta entrare nella stanza dei bottoni, che è quella dove si stampa moneta, per stamparne di più e redistribuirla a tutti. Le storie recenti di Venezuela, Argentina e Turchia ci ricordano che le cose non sono così semplici. La moneta ha valore (e non diventa paccottiglia o carta straccia) se il Paese è produttivo e in equilibrio finanziario. Altrimenti quella moneta non ha nessun valore non solo per i "cattivi" investitori esteri, ma anche per i risparmiatori nazionali che faranno di tutto per liberarsene e far fuggire i propri (piccoli o grandi) capitali oltre frontiera.
La verità, più faticosa da accettare, è che la torta della ricchezza economica di un Paese non è una rendita, ma la somma delle competenze, dei saperi e della produttività dei suoi cittadini. L’Italia prova ad uscire da anni di difficoltà, la classe media è scivolata verso il basso, perdendo sicurezze e fiducia nel futuro. La fotografia del nuovo Paese ce la offrono le città di fine estate. Un tempo semivuote ovunque. Oggi abbastanza vuote nei quartieri più ricchi e piene di persone e di macchine in tutti gli altri. La colpa è molto meno di quanto si pensi di chi ha governato gli anni della crisi, perché difendere qualità e dignità del lavoro dei meno specializzati nel nuovo scenario della concorrenza globale e della rivoluzione della robotica è molto difficile.

Quando il medico dice a un paziente gravemente malato che la cura esiste, ma è lenta e difficile e bisogna avere pazienza, succede fin troppo spesso che i parenti, presi dallo sconforto e dalla disperazione per una guarigione che tarda ad arrivare, si rivolgono a guaritori improvvisati e ciarlatani.

Il compito più difficile, oggi, non è capire quale sia il problema del Paese, ma farlo capire agli elettori. Si parla, ad esempio, diffusamente della 'battaglia' per chiedere all'Europa fondi per nuovi investimenti quando ci sono 150 miliardi già stanziati bloccati per ritardi procedurali e alcune nostre Regioni spendono meno del 5% dei fondi strutturali. La verità del nostro Paese è un’altra, ma forse è noiosa, poco attraente dal punto di vista della comunicazione e non scalda i cuori. I grandi mali d’Italia sono le lentezze burocratiche, i tempi della giustizia civile, la corruzione, l’evasione e l’elusione fiscale. Qualunque amministratore locale o nazionale, dall'assessore al ministro confida sempre la stessa cosa. La macchina è ingolfata perché la qualità della pubblica amministrazione è molto peggiorata e laddove non ci sono funzionari validi le difficoltà si fanno enormi.

In un Paese dove il primo degli esclusi in qualunque gara o concorso fa ricorso quasi d’ufficio, e dove le cause civili in tre gradi di giudizio durano quattro volte di più che in Germania, i dirigenti pubblici esitano a prendere decisioni e talvolta lo fanno solo su richiesta del giudice, in un paradossale testa coda tra amministrazione e potere giudiziario. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Tria ha in animo di dedicare energie al potenziamento delle competenze dell’amministrazione pubblica e di lavorare, investimento per investimento, per capire dove le cose rallentano o si bloccano. Tutti i politici di buon senso sanno che bisogna curare questi grandi mali se si vuole risollevare l’Italia. Ma finché quote importanti di elettorato si faranno incantare da complottismi e promesse di bacchette magiche i politici seri (ce ne sono e potranno essercene di più) non otterranno il consenso per farlo. È una missione che passa necessariamente per il cambiamento della 'narrativa' nel Paese, un impegno culturale prima che politico, difficile ma affascinante. E che ci vede tutti convocati.

 
 
 

Movimento per la difesa dell'ambiente

Post n°2781 pubblicato il 11 Settembre 2018 da namy0000
 

“Berta Cáceres è stata la più importante militante ambientalista dell’America Centrale. La nuova martire del movimento per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli indigeni in Honduras. ‹‹Che il suo spirito ci guidi nella lotta per proteggere Maika Durra, la madre Terra››, dice Benitez, leader del Movimento de indigenas lencas de l La Paz Honduras (Milpah), che si oppone con forza ai progetti idroelettrici. Berta si batteva contro la costruzione di dighe nelle terre degli indigeni lenca in Honduras. La notte del 2 marzo 2016 è stata uccisa. Tre uomini sono arrivati alla Esperanza, nel dipartimento di Intibucá, hanno forzato la porta di casa di Berta e l’hanno uccisa. Berta è morta il giorno prima di compiere 45 anni. Il suo omicidio ha sollevato lo sdegno della comunità internazionale ed è diventato il principale problema politico del governo di Juan Orlando Hernández. Figlia di una leader lenca, Cáceres cominciò la sua attività politica durante la guerra civile del Salvador, quando aveva 16 anni…  Pochi mesi prima di essere uccisa, aveva vinto il premio Goldman per l’ambiente. E oggi, le comunità che difendeva sono divise e le aziende che cavalcano il boom delle licenze in Honduras.. “Qui è morto un fiume: resta solo la sua carcassa. Il patibolo è qualche metro più in alto, tra le montagne: un bacino di cemento dove finiscono le acque del fiume Zapotal e tutto quello che ci viveva dentro. Accanto al bacino c’è un enorme telo di plastica su cui si vede ancora il volto della deputata Gladis Aurora López, vicepresidente del Partido nacional e moglie del proprietario della diga che si chiama come lei, Aurora 1. Da qui l’acqua scorre intubata per qualche chilometro prima di finire nelle turbine più a valle… La legge stabilisce che le centrali idroelettriche, per preservare l’ecosistema, non possono sfruttare tutto il volume d’acqua di un fiume. Ma qui non c’è più acqua. ‹‹Il fiume è scomparso, non ci sono pesci, non c’è più niente››… Il fiume Zapotal si trova in una riserva naturale del dipartimento della Paz, a pochi chilometri dal confine con El Salvador. La zona è territorio lenca… ‹‹Il golpe è stato come la gallina dalle uova d’oro. Sono saltati i freni, e le multinazionali si sono alleate con i grandi imprenditori locali e i politici››, spiega il sacerdote gesuita Ismael Moreno… Dopo il colpo di stato, l’amministrazione di Micheletti autorizzò le industrie estrattive a sfruttare tutte le risorse idriche delle zone date in concessione e lasciò senza una tutela giuridica il 90% delle aree naturali protette. I due governi successivi hanno proseguito sulla stessa strada… Dalle miniere si estraggono zinco, piombo e argento. ‹‹La miniera ci ha dato una casa migliore, con un pavimento vero e l’elettricità››, dice Ramón Rivera, responsabile dei rapporti della Desa con la comunità locale e capo dell’ufficio dell’azienda a San Francisco de Ojuera. ‹‹Ci ha dato una scuola migliore e del cibo più buono. Insomma, una vita migliore. Questo per me è lo sviluppo. Tutti hanno diritto a una vita dignitosa e tutti hanno il dovere di fare qualcosa per il benessere del prossimo››, afferma”.

 
 
 

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