Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 19/07/2019

Tutto il loro mondo in una stanza

Un ragazzo sempre chiuso in casa incollato al computer, che non studia e non lavora, una mamma esasperata che gli strappa la tastiera dalle mani e un salto nel vuoto dal quinto piano.

È accaduto nei giorni scorsi a Mirafiori (Torino) e il ragazzo ha riportato gravissime ferite e lotta tra la vita e la morte. Era un hikikomori, un termine che sta diventando sempre più diffuso e che indica quei soggetti, per la maggior parte adolescenti, soprattutto maschi, che si ritirano dalla vita sociale, non vanno a scuola, non lavorano. Il loro mondo è una stanza, a cui spesso è vietato l’accesso anche ai familiari (con i quali possono avere rapporti conflittuali, soprattutto con la madre) e il cui unico contatto con gli altri è attraverso computer e smartphone. Hanno invertito il ritmo sonno veglia e stanno alzati di notte, quando il resto della famiglia dorme, spesso trascurano l’igiene personale, in alcuni casi si fanno lasciare il cibo davanti alla porta.

Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, poiché è stato proprio in Giappone che la sindrome è stata notata per la prima volta verso la metà degli anni Ottanta. Nel Paese del Sol Levante si tratta di una vera e propria piaga sociale, che da qualche anno si è manifestata anche in Italia, tanto che si contano oltre 120.000 soggetti “ritirati”, come si legge sul sito di Hikikomori Italia, un’associazione che si propone di fare rete tra genitori, pubblicando testimonianze, studi e approfondimenti sul fenomeno.

‹‹Nella genesi degli hikiomori si mescolano fattori sociali e psicologici››, dice lo psicologo Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro specializzata nei disturbi degli adolescenti e autore del volume Il ritiro sociale degli adolescenti – la solitudine di una generazione iperconnessa (Raffaello Cortina). ‹‹È frutto di una società molto competitiva, che chiede ai ragazzi di avere successo, di primeggiare, di avere tanti amici. È forse l’equivalente maschile dell’anoressia, dove il corpo viene negato tramite il rifiuto del cibo, mentre per gli hikikomori c’è il rifiuto della dimensione sociale. Si seppelliscono vivi intorno ai 14 anni, nel momento in cui dovrebbero cominciare a realizzare una vita al di fuori delle mura domestiche. Sono ragazzi che soffrono, hanno dei problemi con il loro corpo, sono abitati da sentimenti di vergogna, sono molto fragili e hanno ideali molto elevati››.

Il fenomeno assomiglia in parte a quello dei Neet, cioè ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano e che in Italia sono circa 2.400.000. Ma in questo caso all’inattività si aggiunge il ritiro sociale.

‹‹Noi come Minotauro››, continua Lancini, ‹‹siamo stati i primi a occuparci di hikikomori. Si interviene sulla famiglia, e quando è possibile sul ragazzo, se accetta di uscire. È importante favorire almeno le amicizie virtuali, mantenere un legame con il mondo. ci sono anche storie a lieto fine, proprio di recente una mamma mi ha scritto per raccontarmi come il figlio, che alle superiori si era ritirato da scuola e non usciva più di casa, poi si è laureato con il massimo dei voti››.

RAGAZZI, NON FATE COME ME, LASCIATE CHE QUALCUNO VI AIUTI

Marco B. ha 23 anni e da quando ne ha 16 vive recluso in casa. Dopo una serie di bocciature ha chiuso i ponti con tutto. Complice anche il disagio derivato dalla sua malattia, la dermatite, e dalla separazione dei genitori…

‹‹Io già dalle medie cercavo di mandare segnali di richiesta di aiuto che nessuno ha colto. Nell’affrontare i miei problemi sia di salute sia scolastici quando i miei genitori stavano ancora insieme, erano divisi sull’atteggiamento da adottare. Mio padre poi era molto duro, mi disse che se fossi stato bocciato mi avrebbe spaccato le gambe. Ma a causa del prurito mi era difficile concentrarmi e poi avevo dei problemi con i compagni. Dopo la bocciatura, sono stato chiuso in casa per tutta l’estate, ma poi ci ho riprovato, sono tornato a scuola, avevo degli amici. Alle superiori però i professori non mi capivano, mi trattavano come un numero. Alla terza bocciatura, mia madre mi ha portato da uno psicologo, ma era come se non parlasse la mia lingua e non ho più voluto andarci››.

Marco è un ragazzo intelligente, è orgoglioso di aver partecipato quando ancora andava a scuola alle olimpiadi di fisica. Ma i ripetuti fallimenti scolastici lo hanno portato a decidere, a 17 anni, di chiudere i ponti con tutto.

‹‹Mi sono barricato in camera, mettendo il letto davanti alla porta. Uscivo per mangiare quando mia madre andava a lavorare. Per due anni non ho messo piede fuori, interagivo solo con persone straniere attraverso una piattaforma di videogiochi, tutto di notte, quando mi sento al sicuro, mentre mi mette ansia sapere che al mattino la gente esce per andare a lavorare. Per colmare la mia angoscia mangio e sono molto ingrassato. Sto provando anche a lavorare sempre tramite il web. Faccio l’allenatore di videogames. Ma se guardo al mio futuro non vedo prospettiva, vivo giorno per giorno››.

NON REAGITE CON VIOLENZA, NE’ SIATE IPERPROTETTIVI

Ma come devono comportarsi i genitori quando si trovano di fronte a un figlio hikikomori? Ne abbiamo parlato con la psicanalista Laura Pigozzi, autrice di Adolescenza zero. Hikikomori, cutters, ADHA e la crescita negata (Nottetempo).

‹‹Il primo consiglio parte dall’infanzia. Non bisogna creare un legame di forte dipendenza. Poi accettare l’idea che con il figlio possano esserci dei conflitti, che sono fondamentali in fase adolescenziale per permettergli di emanciparsi dalla relazione più simbiotica con i genitori, propria dell’essere bambini. La condizione di hikikomori nasce dall’incapacità di passare dall’infanzia all’età adulta. Il che significa non accudirli troppo, non essere troppo protettivi, permettergli di poter rispondere a dei compiti affidatigli››. E quando si avvertono i primi segnali di ritiro? ‹‹Non occultarli, ma attivarsi subito per affrontarli rivolgendosi a un centro o a un terapeuta specializzato. E prendere coscienza del tipo di rapporto genitore-figlio con un’attenzione particolare a quello materno, indugiare nella propria storia: il primo passo per un genitore è la consapevolezza. Occorre lavorare sul sistema famiglia, senza cadere nei sensi di colpa, ma ammettendo le proprie responsabilità. Di fronte ai casi di chiusura più estrema non reagire con violenza, per esempio togliendogli gli strumenti tecnologici, che sono il loro modo di mantenere un rapporto con il mondo; per loro è come se gli fosse strappato un pezzo di sé. Ma d’altro canto non assecondarlo nel suo isolamento, cercare di trovare delle mediazioni›› (FC n. 28 del 14 luglio 2019).

 
 
 

Capire

Post n°3085 pubblicato il 19 Luglio 2019 da namy0000
 

"Non basta leggere, bisognerebbe anche capire. Ma capire è un lusso che non tutti possono permettersi". (Andrea Camilleri)

 
 
 

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