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Vignola vota

Pensieri villici

 

 

Vietare e non cambiare.

Post n°157 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da cpeinfo

 

Si assiste, in questo ultimo periodo, ad una sorta di ondata neo proibizionista che attraversa le nostre città.  Intellettuali, sociologici, professionisti della psiche, associazioni, amministrazioni locali paiono uniti in una sorta di attività legislativa - divulgativa tesa a rinverdire un verbo mai passato di moda: vietare. Che spesso tracima nei media in un vocabolo ancor piu’ preoccupante: combattere.  Una direttiva sociale che va dal gioco d'azzardo, ai comportamenti pro anoressia ( nella fattispecie chi incita e sostiene la reazione di gruppi che  la incitano o la favoriscono ) sino al Il bullismo. Da ultimo, apprendo di una serata dedicata al tema dei pericoli di internet che ha, tra le altre cose, auspicato una sorta di divieto di utilizzo degli smartphone, giungendo ad ipotizzare un età limite prima della quale si dovrebbe impedire l’uso dei dispositivi cellulari.

Perchè? Cosa sostiene e motiva questa campagna generalizzata del ‘contro’?

Ha qualche possibilità di riuscire nel suo intento, quello cioè di salvaguardare l’incolumità psico -fisica dei cittadini?

Siamo senza alcun dubbio di fronte ad un incremento sensibile di quelli che, specie tra gli adolescenti ( ma non solo) possono essere definiti 'comportamenti nocivi'. Ci troviamo di fronte ad un periodo storico nel quale il termine ‘crisi’ ha perso le sue caratteristiche di eccezionalità, segnando piuttosto uno stato ormai cronico che ha ridefinito il legame sociale e sovvertito quelle che erano le fondamentali regole del lavoro come strumento di una generazione per assicurare un futuro alla prole. Già nel 2012 una ricerca dell’Osservatorio della salute delle Regioni fotografava un aumento sensibile dell’uso di psicofarmaci, una maggior incidenza di depressioni e attacchi di panico. Sino ad annoverare, per la prima volta, la perdita del lavoro come una tra e cause che spiegano l’incremento dei sucidi. Il testo ‘Sucidio. Un analisi della condizione umana nel tempo della  crisi’ ( Mimesis edizioni) conia il termine di suicidio economico per fotografare  un emergenza sociale specifica dei questo tempo.  

E' infatti proprio di ogni periodo di crisi industriale-lavorativa il diffondersi nella società  di queste modalità di sostegno con strumenti, chimici e non, che possono offrire una illusoria e a volte letale scappatoia dal cul de sac nel quale una generazione intera è finita. Slot machines dagli angoli dei bar promettono una risoluzione miracolistica agli affanni economici. Fiumi di cocaina che invadono le nostre vie, a prezzi sempre piu’ bassi, catturano quegli adolescenti imprigionati in quella terra  di mezzo popolata da chi ha cessato di sperare in un lavoro. Sette religiose garantiscono un accesso immediato a mondi ultraterreni, liberi dagli affanni del quotidiano. Reti virtuali permettono un senso di appartenenza in un mondo  nel quale ogni identità, specie quella lavorativa, è divenuta liquida, come sostiene Z. Bowman. Insomma, fughe. Malevole, deleterie, spesso letali, ma fughe. Disperate promesse di guarigione o sollievo. Contro le quali la Legge, se applicata con sola modalità censoria ed escludente, non può nulla. Se non incrementare, col divieto sordo e ottuso, zone grigie e delocalizzate ai margini della città, dove ricercare questi momenti di sospensione dalla realtà, liberi da una legge che si avverte come esclusivamente proibente.

La legge bruta non può nulla contro queste sacche di godimento. Se non esaltarne la magica attrazione.  Il suo uso per vietare un comportamento ritenuto dal senso comune 'dannoso' ma alquanto gratificante per il soggetto che ne gode appieno, non fa che rendere più appetibile, ad esempio, il traguardo di un assottigliamento infinito per chi sta oscillando sulla pericolosa soglia dell'anoressia.  Mi riferisco alla legge ‘Marzano’, che sancisce pene detentive per chi incita e incoraggia i disturbi del comportamento alimentare.  Prima del passaggio giudiziario, o a latere, è necessario un movimento clinico, di rettifica. Che possa condurre il singolo a riflettere in nome e a fronte di chi si sta lasciando morire dimagrendo, o accettando di essere un oggetto di scarto. Questa  indicazione vale , come linea di azione, per tutte quelle campagne mediatiche che , rivolte   alle più svariate 'ludopatie', hanno come imperativo morale il vietare, barrare, cancellare. Fornendo una sorta di identità a chi di questo fa una professione esclusiva.  Non sono altro che modalità indirette di rinsaldare ed esaltare quei comportamenti 'patologici' dei quali queste pretendono di essere la cura.  Ripetere sino all’estremo che esistono le ‘ludopatie’, erigerle a ‘malattia ‘socialmente diffusa, non fa altro che dare loro uno statuto, tramutandole in una  sorta di ‘virus’ che penetra in città, deresponsabilizzando di fatto i singoli che  gettano il denaro alle macchinette. Stessa cosa vale per il ‘bullsimo’, ( ‘mio figlio è stato picchiato. In giro c’è molto ‘bullismo’ diceva una signora in platea, ad un seminario pubblico) e per tutta quella serie di neo patologie che il nuovo dsm si appresta a sfornare. Il dato di fatto è che queste zone esistono, e la sola possibilità che si ha di intervento, è quella di prenderne atto, articolando strumenti sociale e legislativi centrati sul singolo e sulla sua parola. Mirando ad un limite che non sia un divieto proibizionista.  Interporre una capacita di ascolto uno per uno, senza che le voci e i problemi di chi gioca, si droga, o commette azioni violente affoghino in una malattia sociale, che per sua natura non tiene conto delle singolarità.    Fino a che si ragiona in termini di insiemi uniformi ( le donne, i giocatori d'azzardo, le anoressiche, i bulli, gli adolescenti) non ci si sposterà di un millimetro da una linea  che serve a mantenere uno status quo. E nemmeno si aprirà quel terreno nel quale i singoli possano essere aiutati e supportati mentre sono intenti nel  loro dimagrire, gettare denaro alle slot machines o drogarsi . Uno per uno. Per chi ha applaudito le affermazioni di alcune sere fa, quelle cioè di ‘vietare’ gli smartphone ai minori, ricordo che l’adolescente, nativo digitale, nasce già in questo mondo, vissuto come un elemento strutturale del suo mondo.   Legittimare questo divieto apre una lunga  e feconda  strada di produzione diagnostica.  Saranno ben  presto individuate nuove patologie, rinnovabili con i tempi che il mercato pretende.   Dalla 'dipendenza da internet' si passerà alla malattia da dipendenza televisiva,  passando per la sindrome da I Phone, per arrivare a isolare e 'patologizzare' ogni forma di legame con i nuovi media, quando si riterrà il tempo di connessione sufficientemente lungo  da giustificarne  un ingresso nel campo della ‘anormalità’.

 
 
 

Charlie Hebdo ? ma mi faccia il piacere

Post n°156 pubblicato il 08 Gennaio 2015 da cpeinfo

 

Non so. Sarà l’eccesso di zuccheri accumulato durante le feste, oppure l’effetto sottovalutato del marsala che mi ha annebbiato, ma davvero non mi ero reso conto di vivere nella Patria della libertà di espressione. Nella terra dei difensori della satira e della laicità dello Stato. Quanto tempo ho dormito?

 

Dunque, a quanto leggo ovunque,  siete ‘tutti Charlie Hebdo?’.

Ma non mi dire!

Cosa mi sono perso?

 

 

Voi, l’accozzaglia di giornalisti barricaderi di battaglie solo lette e sublimate nei salotti, sopravvissuti al proprio tempo, cortigiani a tempo determinato del padrone di turno, siete davvero voi Charlie Hebdo? Pennivendoli da salotto che dedicano più tempo a cercare i commenti sgraditi a  non richiesti articoli su moda e costume che non a preparare il pranzo?

Voi, che avete consumato interi calami a narrarmi la nascita e l’evoluzione dei Papa Boys, e oggi gridate all’attentato verso la laicità dello Stato? Siete voi Charlie Hebdo?

Oppure voi, il politico liberale – liberista, che non ha il tempo di leggere tutti i commenti al suo ‘tweet’, e delega ad un qualsiasi avvocato il compito di ripulire la propria dignità virtuale sommersa per lo più da fischi e pernacchie o da un ‘ vai a lavorare’ . Voi , che ‘ gay è ammalato’,siete davvero i Charlie Hebdo?

Ah bè, se lo avete scritto, lo sarete sicuramente.

 

Oppure voi,  i giornalisti  che ‘ Dio salvi l’indipendenza e l’autonomia della Stampa’, che campate con un lavoro trovato con l’aiuto dell’amico dell’amico dell’amico, e vi sentite dei Montanelli redivivi? Siete voi Charlie Hebdo?

Oppure siete voi, ma si,  gli scrittori ‘alternativi’ e ‘liberi’ (quelli strafichi ) , che non stringete la mano perché rosicate di non essere stati invitati al premio letterario, o togliete dalla rubrica il numero di chi vi ha oltraggiato con una recensione che vi è andata di traverso. Siete voi,che oggi agitate matite macchiate di sangue Charlie Ebdo? Ma no, che diamine. Mi sbaglio! Leggo meglio : i Charlie Hebdo sono quei seri commentatori che ‘ 500 bambini morti a Gaza è solo propaganda’.

 

 

La risata autoironica, lo sberleffo mentre vi imparruccate,il salace contraddittorio che vi renderebbe più liberi e seri ridendo di voi, è qualcosa che non vi appartiene più, da tempo. Una sorta di parola forclusa, rigettata.Forse mai  masticata.

 

 

Voi, che nutrite l’esercito di avvocati più numeroso d’Europa a difesa delle vostre paure, delle vostre goffe mancanze, delle vostre rughe  dietro i ceroni di inchiostro siete diventati di colpo i difensori ad oltranza di un gruppo di giornalisti veri e di razza purissima,  che di voi si sarebbero fatti beffe . E verso i quali avreste da subito messo in atto la solita strategia fatta di minacce, cancellazioni e citazioni in tribunale.

 

La satira, nel suo significato più intimo, vale a dire l’attitudine del ricco o potente a prestare il suo destro allo sberleffo, in Italia , forse,è scomparsa ai tempi del Candido. Replicata poi in una stagione troppo breve di alcuni inserti dentro all’Unità, quando era ancora il giornale che non si vergognava della stampigliatura ‘ fondato da Gramsci’. Poi, più nulla. Un cupo e plumbeo congelamento della dialettica, una costruzione narcisistica di miserandi ego ipertrofici , ciascuno dietro al proprio scranno, articolo,libro, abito, partito, giornale o compagine.

 

L’italiano, nella sua multiforme forma di intellettuale  giornalista, opinionista , aspirante  polito o valletta, nemmeno lo conosce il significato del termine ‘satira’.

In un tempo nel quale egli si sente qualcuno perché si ha fondato un gruppo su facebook ( al solo scopo di eliminare le voci dissonanti dal proprio incompreso pensiero rivelatorio) o per una comparsata televisiva, o per una dichiarazione in radio calata come un discorso di Einaudi alle Camere congiunte, non contempla nel suo vocabolo limitato la parola ‘critica’,figurarsi satira.

 

Un ‘ bada che fai ridere! Ma ti sei visto allo specchio?’,come quel ritornello che Coppi cantava  a Bartali nell’immortale duetto televisivo, suona alle vostre orecchie da 'bagaglino' come una minaccia, un atto di ‘invidia’ di chi non solo non li capisce, ma addirittura cova nell’ombra un rancore inaudito verso i vostri talenti. Lo sberleffo  suscita nel narciso contemporaneo  ( che magari ha al suo attivo ben 10comparsate  televisive e venti articolesse, oppure un passato da militante oggi mantenuto,  o difensore del suo fortino  ) il timore paranoico di una inspiegabile minaccia , proveniente da uno stato ostile, un arma atomica e letale,lanciata   contro la propria grottesca proiezione pantografica dell’ego.   

 

Oggi, l’ho visto scritto, era Charie Hebdo anche la famosa giornalista e moralizzatrice femminista già mille anni fa, oggi a riposo, che scatenò i suoi seguaci in rete a cancellare chi osava mettere in dubbio la sua legittima volontà di mandare a quel paese chi non era d’accordo con la sua preziosa opinione su non ricordo bene quale importantissima minchiata.

 

Quella frase ‘ Io sono Charlie’ voi la recitate nella stessa maniera fessa e ripetitiva da pugile suonato, proprio come quegli assassini gridavano ‘Hallah è grande’. Come il miserere in latino dei vostri nonni, ai quali era impossibile accedere al significato  , ma per i quali era impensabile patire l’onta di essere i soli a non recitarlo in chiesa.

 

Bene, bravi. Scrivetelo, esponetelo. Stampatevelo in faccia e addobbate il vostro altarino su twitter.  Fateci un ‘flash mob’ e poi un aperitivo disensibilizzazione.

Si, certo, voi siete Charlie Hebdo.

 

 Ma fatemi ilpiacere!

Avete la patta abbassata, e nemmeno ve ne siete accorti.

 
 
 

E' stata la madre. L'ho capito dal maglione'. Clinica de noartri sul caso stival

Post n°155 pubblicato il 12 Dicembre 2014 da cpeinfo

Leggendo vari articoli e commenti sull'omicidio di Stival, noto che si vanno pericolosamente ingrossando le fila
degli opinion-articolisti i quali, mancando quasi sempre delle minime ( e necessarie) nozioni di clinica differenziale,
producono un dire che sconfina, involontariamente, in una sorta di giustificazionismo a-critico involontario, o forse no, sparando cartucce retoriche che sono state risparmiate in tanti altri casi di cronaca ma che vedono in questo caso ( la madre in difficoltà e il sospetto omicidio) un bersaglio elettivo di esibizione, che raffazza elementi teorici presi qua e là, mescolati ad un antico e malriposto spirito di condivisione di una male interpretata idea di ' maternità condivisa', per la quale la difficile condizione di mamma dovrebbe portare chi conosce questo stato dell'essere, a condividerne anzitutto le pene, lasciando per strada quella che è la scelta unica ed irrinunciabile di ognuno di noi. ' Ah, noi che siamo madri, possiamo ben capire cosa sia successo nella mente di quella donna'.

Si propaga in rete un desiderio dell'articolessa da produrre ed esibire per innescare dibattiti generalisti ( giacchè la verità deve ancora essere acclarata), che sconfina a volte in retorica allo stato puro,
altre volte ancora in pseudo psicologismi da quattro soldi gettati li, tanto per dire che ,in fondo, ' qualcosa c'era, lo si poteva scorgere'. Questi articoli, dei quali ci si bea ( hai visto quanti applausi ho pigliato?) sovente rasentano il grottesco, altre volte ancora nascondono notti di letture affrettate di formule cliniche che sono sparate su un fatto di cronaca, così, tanto per scrivere.

In molte di queste prolusioni la donna è , tout court, 'ammalata' ( così è definita la sospetta in un editoriale dell'Huffington Post) .Ritenuta cioè aprioristicamante affetta da una qualche patologia dell'animo senza un benchè minimo appiglio di diagnosi effettuata da chichessia.
E' vittima, ancor prima che carnefice.
Più del bambino, dimenticato tra le righe,

Nessuno , dico nessuno, ancora ha abbozzato un minimo di indagine critica,
solo ci sono in giro stralci presunti della vita della suddetta, dedotti ora da una dichiarazione di un congiunto , ora da ' conversazioni telefoniche'.(!)
In questo modo frasi quali ' quella la era violenta sin da piccola, aveva sensi di persecuzione.. ' viene presa come verità oggettiva, ( 'l'hanno detta senza sapere di essere intercettati, dunque è vero') o come punto diagnostico assoluto ed indiscutibile da masanielli schierati pro o contro, sulla quale fondare la loro arringa e le loro deduzioni.

Quando l'analisi si fa più 'sofisticata' ( sic) allora entra in gioco l'onnipresente 'depressione', o altre sfumature doloroso-patologiche della psiche ( ho letto anche lo stress come primum movens dell'omocidio) , che naturalmente determinano in senso quasi diretto il far fuori il proprio figlio.
Depresso diventa automaticamante omicida.
Una aberrazione diagnostica, un non sequitur, una gran guignol di termini clinici, credenze e adagi popolari.

Ma tant'è.

Non siamo nel campo della dissertazione clinica, quanto in quello del ' trovane una grossa', sul cui piano allora è possibile dire tutto e il contrario di tutto.

Tra le righe, una sequela di cause già trovate ( per un colpa ancora da dimostrare):
' Incapacità di gestire le emozioni', ' mancanza di rete', 'padre non trovato ( e daje! mica poteva mancare il padre assente..).
'Suicidio cercato attraverso la morte del figlio', 'Infanzia difficile e dolorosa'
e altre cose così. Adagi semipopolari che assurgono a causa del crimine, determinismo de noantri.
Criminologia per tutte le tasche.
Non ho ancora sentito 'lo sradicamento territoriale', o il 'vedere la propria femminilità sfiorire nella maternità' o 'il marito troppo preso dal lavoro' tra le spiegazioni dell'agire della mano omicida. Ma so che sono in agguato di penna.
Sono stati usati in casi simili, torneranno fuori.

Ormai tutto è glamour, tutto è espertologia, tutto è baccano mediatico.
Tutto deve trovare una giustificazione clinica.
Anche quando questa o non c'è, o nessuno ancora si è dato da fare per trovarla.

Mi sento di arrogarmi silenzio di chi il mio lavoro lo fa. Nel merito di questo caso, non nel suo dilagare mediatico. Sul quale, infatti, queste cose le scrivo.

Chi si occupa della mente umana, sa bene che esistono delle barriere tra la capacità di intendere e di volere, e la non capacità di farlo.
Che gli stati dissociativi, la psicosi paranoica, il passaggio all'atto non riconosciuto esistono. Esistono eccome.
Ma stanno in luoghi ben precisi. E con altrettanto scrupolo e precisione devono essere accertati.
E, nel caso, usati non per infliggere la pena al malato. Ma per salvarlo dai questi agiti incontrollabili.

Per tutto il resto, si sceglie.
Nella difficoltà, nella tragicità di certe vite.
Nella povertà materiale morale nella quale molte donne versano, si sceglie.
Di vivere o morire.
DI dare la morte,o di non darla.

E su questo che si gioca la responsabilità del soggetto.

Tutto ciò assomiglia , dannatamente, a quel famoso ' crollo emozionale',
o 'sfasamento pulsionale', o ' difetto genetico', formule farlocche con le quali sovente vengono assolti, o quasi, i peggiori energumeni perversi che massacrano le loro donne e le loro figlie.

 

Questa roba viene dalla ia rubrica su Psychiaty on line.it.

 
 
 

Una mal pensata legge sull'anoressia

Post n°154 pubblicato il 11 Agosto 2014 da cpeinfo

 

La recente proposta di legge che punisce chi istiga alle pratiche alimentari scorrette ( anoressia e bulimia)  si presta ad una duplice lettura: da un lato il piano legislativo, sanzionatorio, dall’altro quello clinico che dovrebbe sostenerla, che appare del tutto assente. Ci troviamo di fronte ad una prova di buona volontà, dove la politica batte un colpo, dimostrandosi consapevole di avere  a che fare con  un disturbo grave intrecciato al discorso sociale, pertanto non confinabile al solo  ambito medico – psicoterapeutico. La mancanza della parte clinico-teorica  rende improbabile che questa avrà realistici effetti sul contrasto alla diffusione dei dca, presentandosi esculsivamente come ‘punitiva’ laddove recita:   Chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, determina o rafforza l’altrui proposito di ricorrere a pratiche di restrizione alimentare prolungata è punito con la reclusione fino ad un anno’. Come non li hanno avuto le leggi che proibivano  l’uso delle droghe, o che hanno cercato di limitare l’alcool, o il gioco d’azzardo. Chi si occupa di clinica, ha ben chiara una cosa:  nessuna patologia, quando è così legata alla  contemporaneità, che si manifesti sottoforma di dipendenza o di sofferenza nel corpo, può essere contrastata ex lege, andando alla ricerca di chi ne ‘istiga’ lo sviluppo. Forte è la sensazione che si sia privilegiata l’anoressia perché malattia di forte impatto mediatico. Il collega Luigi d’Elia, che come me fa parte della redazione di http://www.psychiatryonline.it/ sostiene: l’anoressica, a differenza del depresso cronico o del ludopatico, crei agli occhi dei legislatori un qualche maggiore scandalo sociale o morale o emotivo di cui non sono chiari i contorni, ma tale da giustificare per la prima volta (che a me consti) una proposta di legge con risvolti penali riguardante una psicopatologia’. Si tenga inoltre presente un elemento dirimente: a differenza delle situazioni appena citate, nelle quali gli oggetti per farsi male (droga, alcolici, slot machines, sigarette etc.. ) sono venduti da qualcuno che è evidentemente interessato a trarre lucro da queste forme di dipendenza, nel caso dei dca gli sproni a dimagrire, i consigli per usare i lassativi o per ingannare il dietista,  che sono le parole d’ordine per entrare e restare  nei gruppi pro anoressia ( contro i quali la legge sembra aver dichiarato guerra )  non hanno un retro pensiero economico. Non vogliono guadagnare denaro, bensi’ diffondere il verbo di    una religione per adepti puri e asceti, alla quale si aderisce in forma volontaria. Mi si obbietterà: e allora, i siti di pedopornografia? Vanno o no chiusi ex lege come ‘istigatori’ ad un comportamento deviante e criminale?  Vero, verissimo. Anche se mi risulta difficile pensare che si potrà adire a vie legali contro persone che, in grande maggioranza dei casi, sono adolescenti che, con i  moderni‘social network’, possono in un pomeriggio raggiungere centinaia di amici e amiche creando in pochi minuti questi gruppi chiusi. E le case di moda, allora?  Possono essere considerate ‘istigatori’a comportamenti alimentari scorretti, e pertanto punibili? Al netto della constatazione clinica, ormai da tutti accettata, che l’assioma modella magra = epidemia di anoressia è una bufala sempliciotta ( il modo di evidenziarsi perdendo peso  è il punto di partenza del disagio, l’esprimerlo attraverso il canale codificato ed accettato della bellezza magra è un elemento solo successivo), si sa che  le grandi case di moda hanno continuato ( non tutte )  imperterrite a far sfilare modelle emaciate e clamorosamente ammalate infischiandosene delle mille ed una campagne contro i dca. Vogliamo parlare delle scuole di danza all’interno delle quali perdere peso è un prerequisito di appartenenza? Anche queste dunque saranno annoverate nel gruppo di chi incita all’anoressia?

Temo che una legge siffatta,  promulgata sicuramente con buone intenzioni, ma con evidente carenza di una base clinico-teorica, da persone certamente sensibili al tema, diventerà uno  striscione   dietro al quale marciare,   da sbandierare ogni qual volta la recrudescenza di questa patologia sbuchi dai notiziari, a causa della morte di questa o quella persona famosa, riportando l’anoressia nel gran calderone delle sigle e sottosigle, modalità contemporanea di valutare, assemblare e pertanto svuotare di senso e valore la sofferenza individuale. Specchio fedele di una società appiattita sulle grida e il sensazionalismo per nascondere la sua indolente incapacità a porsi all’ascolto del singolo. Quella che invece sarebbe necessaria, è una dotazione degli strumenti e delle nozioni cliniche ad operatori, insegnanti e famiglie, con scopo preventivo. Un obbiettivo che il legislatore pare abbandonare in partenza quando afferma:  ‘ Il presente disegno di legge non ha certamente l’ambizione di risolvere da solo le molteplici problematiche di malattie legate alla complessità dei disturbi alimentari’. Mostrare solo il volto repressivo  non farà altro che dare a questi gruppi clandestini un tocco di mistero ed elusione che li renderà ancora più appetibili.

 
 
 

Palestina

Post n°153 pubblicato il 17 Luglio 2014 da cpeinfo

 La questione Israelo -Palestinese è ridotta oggi alla sola acuzie del bombardamento sulla striscia di Gaza. Come moltii sono stato sui libri, e come tantii, mi sono fatto la mia idea. Sono a volte riuscito ad argomentarla, altre no. Ho incontrato integralismi, sono io stesso caduto in una visione monoculare. Finita la polvere delle bombe, mi chiedo: cosa è quel che c'è la fuori ? Perchè quel reale non è più aggredibile con le parole? Come 'sbrogliarsela', come arrangiare una, non dico strategia, ma l'abbozzo di una strada per uscire dalla palude sanguinosa nella quale la popolazione di Gaza affoga, prigioniera di un colossale cul de sac, legato a doppia mandata dall'immobilismo dell'Occidente? Non lo so. La mia opinione è quella di chi è schierato. La condizione essenziale, ben chiara a quella che era l'Italia che aveva una politica estera degna di tal nome, è che Israele si ritiri da terre che non sono , nè mai sono state , sue. Una volta tanto, e una di più, se qualcosa, ben poco, si può fare, è smetterla di ciurlare nel manico degli articoli, contrapposti o meno, falsati o rigorosi che siano. Il 'dibattito' è sceso ad un livello di contrapposizione speculare, tale da renderlo inutile. Ho avuto uno scambio feroce su un quotidiano con chi l'opinionista da salotto lo fa di mestiere, sbottando al suo ennesimo 'basta, che noia, parliamo d'altro..! E non mi urtate l'aperitivo con tutti quei bambini morti..! Il prezzo da pagare , in molti casi, è essere pubblicamante additato come filo Hamas. Il rapporto causa effetto è una brutta bestia, se usato in maniera travisata. Nessuno, ripeto nessuno, può mettere i dubbio che Hamas sia null'altro che un gruppo di feroci assassini, invasati fondamentalisti e squallidi vigliacchi che non attendono altro che Israele faccia macelli nella popolazione civile, per alimentare l'odio e quindi sostenersi e pigliare finanziamenti più o meno occulti dalle fasulle democrazie Arabe. ( a meno che non mi si venga a dire che Gli Al Saud sono una dinastia di monarchi democratici e illuminati). La questione è 'perchè Hamas ha attecchito? Perchè la loro ferocia fa adepti? Perchè tanti giovani si arruolano nelle truppe di queste scure schiere? Riguardatevi 'L'odio', sulla banlieus francesi. E' lo stesso motivo per il quale il fondamentalismo Ceceno ha fatto adepti, specie tra la popolazione giovane . Hamas è un cancro della democrazia, che nasce laddove uno stato invasore ( come sancisce l'Onu), occupa da decenni militarmente un altro Stato, straziando ogni regola militari , calpestando il diritto internazionale, i diritti civili, con una violenza, una strafottenza, una forza militare esercitata da tempo immemore. I territorio occupati NON sono di Israele. Li ha occupati ( come Saddam occupò il Kuwait). Ha strappato terre non sue, deportato ( lo dice l'onu) migliaia di persone. Ha rubato loro le case e l'acqua delle preziose falde. Ha usato la violenza come arma di invasione e mentenimento di un gioco basato sul disprezzo del diritto internazionale, e sull'uso spropositato della forza. Ed è ben lontana dal voler adeguarsi al diritto internazionale, ma usa la logica del disprezzo dell'altro, facendosi beffe di risoluzioni ONU, condanne. Nonchè dei , per loro, patetici resoconti di amnesty international, che da anni ne descrive la violenze e le sopraffazioni. SI tratta di un fondamentalismo religioso contro un altro ( La destra Israeliana rivendica qui territori perchè nella Torah , essi dicono, quella era la terra di Israele. E usa questo metodo con chi ha il Corano come punto di partenza.) Uso le parole di un amico medico psichiatra, palestinese, che da anni vive li, e già si è visto saltare per aria due case, nonchè la vecchia madre accoppata ad un posto di blocco. Se tu nascessi in una terra nella quale vedi i soldati verdi che picchiano tua madre , la quale non può andare al lavoro perchè dall'ospedale di Haifa a casa ci sono 3 km e sette posti di blocco, ti porresti qualche domanda. Se ti fosse impedito di andare a scuola, e tuo padre senza passaporto non potesse espatriare, due pensieri ti assalirebbero. Se questa condizione fosse condivisa da tutti i ragazzi della tua via e del tuo palazzo, se ti abituassi a vivere da prigioniero, dietro ad un muro che ne tu ne i tuoi potete oltrepassare, la tua insofferenza crescerebbe. Se parlando con i tuoi genitori iimparassi che , anche loro da piccoli, sono nati senza diritti, senza cittadinanza, abituati a tremare al passare dei soldati verdi che hanno su di te diritto di vita o di morte. Se poi venissi a conoscenza che tu sei la terza generazione di figlio del nulla, qualcosa in te cederebbe. Ma se alla fine di tutto, parlando con un vecchio, o leggendo un archivio, scoprissi che quella terra era del tuo bisnonnno, come lo era la casa e l'orto e l'acqua, finchè non sono venuti i soldati verdi e vi hanno cacciato per dare quella terra e quella casa ai coloni , bè, amico mio, allora qualcosa in te cederebbe.'

 Nessuno giustifca Hamas, ma provate voi a nascere prigionieri in una terra e una casa che era vostra. Vostra. E che voi potete abitare solo da non cittadini, senza diritti e senza lavoro. Provate voi. Hamas si sostiene sulla ferocia di Israele che sa quanto importante sia la lezione freudiana dell'avere un nemico per tenere unita una nazione. Le cose che io scrivo, sono inutili. L'articolo di Cristian Raimo è ben scritto ( su minimamoralia, forse l'unico), e io amo le cose ben scritte, ma non è che un tassello di domino incastonato in una infinita serie di argomentazioni che a loro volta servono a corroborare o confutare, o solo commentare, altri articoli ( nella fattispecie l'inutile articolo della Dominijani sul manifesto, che non mi interessa affatto approfondir, non foss'altro per il fatto che dalle colonne di un quotidiano mantenuto con i nostri soldi perchè tecnicamante fallito, si incita all'indifferenza ). Così come è plasticamente inutile il commento del non so ben quale onorevole che si scandalizza dei razzi di Hamas, lasciando l'approfondimento storico a chi le scrive i comunicati stampa, sempre che costui una conoscenza storica la possieda. Oggi, davvero, gli atti pratico reali, quandanche non spostino di un solo millimetro l'ennesima bomba intelligente o l'ennesimo razzo sparato dalle alture spellate del deserto sopra a Gaza, mi sembrano la sola cosa vera, umana, priva di dietrologie. I gesti concreti non sono certo indossare una casacca e andare a combattere, prendere un rpg e cercare di tirare giù un elicottero di Tel Aviv. Tutto l'agire che ci resta è prendere posizione senza parole, usando cose minime che nel tempo hanno perso la loro efficacia simbolica, perchè abusate e affogate nella retorica di tanti che ne hanno fatto abuso per inventarsi un mestiere e camparci al vita. Dunque se c'è da donare un euro per cercare il plasma che a Gaza scarseggia, lo farò. Se troverò un qualche pompelmo Jaffa alla Coop, non lo comprerò. Se in qualche luogo una decina di persone si darà appuntamento in piazza con la bandiera palestinese, ci andrò, compatibilmente col mio lavoro. Se il mio amico medico palestinese mi chiede, come è accaduto un ora fa , di divulgare il cc sul quale mandare un po di soldini per comprare tende e bendaggi utili a tamponare il macello, lo metterò online. Lo so, sono bazzecole, spiccioli di un borghese annoiato, ma non ho altro. Sono, incautamente, scivolato in quel mondo chiuso nella bolla nel quale ho sempre temuto di spiaggiare. Quello di coloro che scrivono della questione non già per informare, o sensibilizzare, ma per segnare il loro posto al tavolo del dibattito, per problematizzare, rilanciare,. Quelli per i quali i morti di Gaza valgono quanto le quote latte, il proporzionale, le code sulla Salerno Reggio Calabria, o la panza di Renzi: un articolo in più, in una lunga ed inutile proliferazione seriale di sdegni contrapposti. Un gesto, fatto magari in compagnia, va almeno nella direzione di una preghiera collettiva verso un Dio multiforme che, hai visto mai , quel giorno l'ascolta. Io detesto la frase 'super partes', specie di fronte a questo grand guignol. Quindi, signori, per chi tenendo la matita con due dita per non sporcarsi usa il linguaggio per dialettizzare, problematizzare, analizzare, ciurlare, il senso di un slogan ghiacciato e schizzato sul muro vi è sconosciuto, ma mantiene quel senso di umiltà e libertà intellettuale che , da mestieranti della polemica, molti 'intelletuali' hanno smarrito. W la Palestina libera.

 
 
 

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