2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"Il linguaggio segreto dei fiori" di Vanessa Diffenbaugh

Post n°21 pubblicato il 23 Ottobre 2013 da Vilma66
 
Foto di Vilma66

I suoi occhi tornarono sul mio viso e incontrarono i miei. C'era qualcosa di imprevisto nel suo sguardo, una scintilla di riconoscimento, che catturò la mia attenzione. Lo osseravai meglio e mi fece l'impressione di un uomo che aveva lottato quanto me , anche se in modo diverso. Era più grande di me di almeno cinque anni, pensai. Il suo viso aveva l'aspetto segnato e polveroso dell'agricoltore. Il corpo era snello e muscoloso: immaginai che avesse piantato, curato, e raccolto personalmente i fioi che vendeva. 

Mi avevano già chiuso fuori in passato. La prima volta avevo cinque anni e lo stomaco vuoto e gonfio in una casa con troppi bambini e troppe bottiglie di birra. E io ero rimasta a fissare un minuscolo chihuahua bianco che mangiava la sua cena da una ciotola di ceramica, poi mi ero avvicinata in preda all'invidia. Non avevo intenzione di mangiare il cibo del cane, ma quando il mio padre adottivo mi aveva visto con la faccia a pochi centimetri dalla ciotola, mi aveva preso per la collottola e mi aveva sbattuto fuori. Mi ricordavo di aver vissuto in trentadue case e l'elemento comune a tutte era il rumore: all'esterno autobus, freni, lo sferragliare di un treno merci che passava. All'interno il sovrapporsi dell'audio di televisori diversi, i trilli del forno a microonde e dello scaldabiberon, il campanello della porta, le imprecazioni, lo scatto della serratura. E poi c'era i rumori degli altri bambini: neonati che piangevano, fratelli che litigavano, strilli sotto la doccia troppo fredda, il piagnucolio della compagna di stanza che aveva avuto un incubo.

Avevo la fronte imperlata di sudore nonostante quella mattina facesse freddo ed ero impietrita in uno stato di rapimento che rasentava il terrore. I messaggi segreti dei miei fiori erano stati ignorati per anni e quel modo di comunicare mi rassicurava. Passione, legame, disaccordo, rifiuto: niente di tutto questo poteva esistere in un linguaggio che non suscitava risposte. Ma, se il donatore comprendeva davvero il suo significato, quel ramo di vischio cambiava tutto.

Mi sdraiai sul pavimento del soggiorno e gli occhi mi si chiusero senza volerlo Il pianto divenne un suono fastidioso ma distante. Non mi angosciava più. Per un arco di tempo indefinito dimenticai la fonte di quel suono e perchè avessi cercato di fermarlo. Scivolava sopra di me senza toccarmi. Ero avvolta nella nebbia impenetrabile della mia spossatezza. Mi svegliai di soprassalto solo quando il pianto cessò. Mi assalì il terrore di averla uccisa. Fuori era buio e non avevo idea di quanto tempo fosse passato.

Volevo tornare bambina e portare fiori di zafferano o biancospino al posto di secchi pieni di cardi; perlustrare la baia in cerca di Elizabeth e implorare il suo perdono; ricominciare da capo la mia vita prendendo una strada diversa. Una strada che non mi avrebbe portato a svegliarmi da sola in un parco, dopo aver abbandonato mia figlia in un appartamento vuoto. Avrei voluto parlare con la me stessa di nove anni primo per avvertirla delle conseguenze  dei suoi gesti e indicarle una strada diversa con un messaggio di fiori.

 
 
 
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