2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"Splendore" di Margaret Mazzantini

Post n°31 pubblicato il 09 Novembre 2014 da Vilma66
 
Foto di Vilma66

Io studiavo sul pavimento con la schiena incollata al muro accanto alla porta d'ingresso, credo di averci lasciato il segno, su quel muro, come nella stalla dove batte il culo il cavallo. Era semplicemente il luogo più vicino al mondo, al rumore della vita. La casa vuota, solo una stanza illuminata in fondo dove la domestica stirava. Una sagoma di donna che non era mia madre. Come quei fantocci che vegliano le vigne. Avrei preferito essere solo, accettare la cruda realtà dell'abbandono invece che quell'inganno. L'Italia da paese da emigranti cominciava in quegli anni ad accogliere i primi flussi migratori. Quando la vecchia domestica sarda tornò indietro, Georgette aprì la porta a somale, magrebine, eritree. Mi consegnò ai loro odori, ai loro sorrisi di maschere africane. Ero il bambino ideale per una domestica straniera, un corpo silenzioso, quasi invisibile. Fu il primo esercizio umano che feci ... Imparai che l'asse da stiro è il regno magico di queste vite, il calore unito all'iterazione del gesto consente loro astensioni totali dal reale, riagganciare il destino interrotto, una palafitta, un lurido mercato di semi e capre. A volte mi mostravano le fotografie dei loro figli, io guardavo quei musi messi in posa, incalliti di povertà.

Costantino era lì, solido, immobile, non eravamo mai stati tanto vicini. Il suo sguardo era arrendevole e schietto , materno e virile. Adesso non era più un soccorrritore estraneo ma era lui. Volevo scacciarlo. Lo feci solo più tardi, quando bruscamente mi misi in piedi. Ma in mezzo ci fu una pausa, un tempo durante il quale non mi mossi affattto, e lucidamente guardai quel volto stupito, inondato di timida gioia, come se tutta la vita avesse atteso quell'attimo di confidenza e di bontà.

E davvero accadde, e fu contro natura, e davvero vorrei sapere cos'è la natura, quell'insieme di alberi e stelle, di sussulti terrestri, di limpide acque, quel genio che ti abita, che ti porta a fronteggiare a mani nude le tue stesse mani e tutte le forze del mondo. Allora fu natura, la nostra natura che esplose e trovò l'espressione più dolce e benevola. Ci trovammo ... Dolcemente caddero i suoi abiti come armature che si liquefanno. I suoi ruvidi vestimenti di ragazzo. Lui grosso, io magro, lui povero, io figlio di misera gente benestante ... Stupiti ci sollevammo in quel cielo di plastica arancione, ci piegammo come uomini sulle messi e raccogliemmo il nostro grano in quell'immenso splendore.

Non potevo dimenticare quel corpo da vitello disperato e bisognoso. Avevo voglia di strappargli il berretto e buttarlo sulle rotaie. Di vederlo morire travolto da un locomotore. Ci dividemmo le fotografie prima che salissi sul treno. Salutai quel soldato con un muto abbraccio virile. Lo vidi andare via senza voltarsi, di colpo non c'era più. Quando il treno passò attraverso la montagna sentii una pietra staccarsi dal mio petto, la vidi rotolare e depositarsi nello strapiombo dove correvano le rotaie. Mi toccai il petto, credetti di morire. Aveva lasciato il suo bianco cratere. Adesso quella natura anemica, seppellita, avrebbe potuto tornare a vivere, a trovare i suoi colori , a inerpicarsi selvatica e libera. Quel rigoglioso vuoto era l'avvenire.

Sono stato euforico per giorni dopo quella notte superba. Forte e sfacciato, come solo i segreti sanno renderci, bello e diabolico, alimentato da correnti sotterranee, fulgente di una luce autoindotta. Ho continuato a sentirmi la pelle in un certo modo, tesa, arrossata, attraversata da ferite di piacere. Mi sono voltato tra la folla sorridendo, preso alla collottola, la carne strappata sovrapposta a quella del mio uomo, buttata nella sua gabbia a chilometri di distanza. Il lucente pasto del leone sono stato per giorni e giorni. Ho chiuso gli occhi in treno, in macchina, al buio e nella luce. Per quel memento mori, per rivedere ancora tutto e ripescare i dettagli. "Non lasciamo passare altri dieci anni", ci siamo salutati così. Invece il tempo ci mette in fila e passa ...

Siamo in stallo su cieli diversi, io guardo troppo lontano, lui dietro gli occhiali da sole la gente che si muove intorno a noi , che potrebbe riconoscerlo ... "Sembri una checca" dice. Ha più confidenza, è più sciatto ... Paga lui con prepotenza ... Forse ha soltanto paura, come sempre ... Ci infiliamo in quel motel ...Faccio quello che lui vuole, gli giro la cinghia dei pantaloni intorno alla gola, lo colpisco ... Vorrei fare l'amore docilmente, ma lui ha già una donna per questo ... Il mio corpo è sempre più fragile. La mia mente è molto più avanti, ma la mia mente serve a poco.

 

 

 
 
 
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