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Sgomberato il cinema Arcobaleno di Bologna occupato dagli indignados.

Post n°540 pubblicato il 16 Novembre 2011 da VoceProletaria

Spiace arrivare troppo tardi nella pubblicazione di questo appassionato intervento della professoressa del DAMS di Bologna, Monica Dall'Asta, in favore dell'occupazione del cinema Arcobaleno (abbandonato e chiuso da oltre cinque anni!).

Purtroppo il cinema, tornato a vita grazie all'attivismo dei giovani occupanti, è stato sgomberato all'alba di oggi, 16 novembre, con l'impiego dei carabinieri che hanno dovuto portare di peso i resistenti.

A loro la solidarietà di Proletaria Vox.

Old Cinema - Ex Novo Arcobaleno
 

di Monica Dall’Asta,  14.11.2011

   Domenica sera il cuore di Bologna pulsava dentro il cinema Arcobaleno: nel suo ventre sotterraneo, a ridosso di Piazza Maggiore. Quello che è avvenuto tra le mura di una delle tante sale del centro storico da lungo tempo ormai dismesse – occupata l’11 novembre scorso dall’Assemblea degli Insolventi, con l’intenzione di farne una piazza coperta dove sperimentare forme di autoorganizzazione sociale per rispondere alla crisi incombente – è troppo importante perché possa in qualunque modo essere sottovalutato da chi abbia a cuore il futuro di questa città.
   Dopo cinque anni di completa inattività, la sala ha di nuovo ospitato una proiezione: un documentario del 2009 di produzione locale (Elenfant Film e Freim), intitolato Old Cinema. Quello che a prima vista poteva apparire come un fatto quasi irrilevante – la proiezione di un film indipendente all’interno di uno spazio occupato – si è trasformato  in un evento eccezionale, realmente singolare, sia per le condizioni nelle quali ha avuto luogo, sia per i processi che lo hanno determinato. Per cominciare, il tema del film è ricco di implicazioni proprio in riferimento al contesto in cui è stato presentato. Si tratta infatti della rievocazione dei modi in cui il “vecchio cinema” veniva fruito a Bologna, dell’esperienza dell’andare al cinema così come si configurava prima dell’avvento delle multisale e di Internet, narrata attraverso le testimonianze di diversi spettatori e spettatrici ultraottentenni: insomma una specie di elegia,  ma non tanto di una forma di intrattenimento, quanto piuttosto di una forma di vita che oggi non esiste più e di cui si va perdendo finanche il ricordo.  
   Il film ha prodotto una viva impressione su tutti coloro che vi hanno assistito, e non solo per la forza simbolica che assumeva per il fatto di essere proiettato all’interno di un cinema da tempo chiuso al pubblico. Questo, certo, è il lato surrealista della vicenda: un film sulla fine di un certo modo di vivere il cinema presentato in un luogo che di questa fine è la traccia materiale, vera e propria rovina del tempo che fu. Ma ben più importante (lato situazionista) è che la sala fosse piena. Come ha osservato il regista Davide Rizzo prima della proiezione, l’altra sera l’ex Cinema Arcobaleno era la sala più affollata di Bologna. In modo veramente sorprendente, la situazione della platea sembrava riprodurre quella del “vecchio cinema” narrato dai testimoni, l’esperienza della visione come fatto sociale, condiviso, partecipato, non ancora ristretto nei circuiti del consumo solitario promossi dai processi di digitalizzazione.
   Per dirla con le parole di uno degli intervistati, il proprietario del glorioso Cinema Smeraldo, il “vecchio cinema” era una forma espressiva ancora capace di “fare un effetto”, cioè di emozionare, commuovere, far vibrare tanti corpi all’unisono come in una sorta di rito laico collettivo. Così domenica sera all’ex Arcobaleno: scoppi di risa e applausi hanno accompagnato la rievocazione dei vari “incidenti” scatenati dalla vicinanza molto fisica, promiscua e indisciplinata, dei corpi che si intrecciavano nelle sale di una volta, vocianti e piene di fumo, dove non di rado ci si poteva imbattere in approcci gay, o nelle tecniche difensive messe in atto dalle ragazze per difendersi da accompagnatori resi troppo audaci dalla suggestione del buio (infatti questa sala è tra l’altro convintamente femminista e queer). Profonda emozione ha suscitato l’apparizione sullo schermo dell’insegna “Arcobaleno”, tra quelle di tanti altri cinema oggi abbandonati: Embassy, Metropolitan, Nosadella. E un boato ha accolto le parole dell’anziana signora che in tutta serenità rivendicava di aver spesso sperimentato, da ragazza, l’ingresso clandestino in sala: perché insomma, vedere un film senza pagare “non è poi come rubare!”
   Niente avrebbe potuto essere più vicino al sentimento degli occupanti dell’Arcobaleno, che tutto pensano fuorché di aver compiuto un furto. Proprio al contrario, essi ritengono di aver restituito all’uso pubblico un luogo da troppo tempo espropriato ai bisogni e ai desideri della cittadinanza, uno spazio dove provare a costruire un centro di iniziativa comunitaria nel quale escogitare collettivamente forme di autoorganizzazione per difendersi dalla crisi. Nelle tante assemblee che si sono succedute in questi giorni si è parlato di servizi pubblici autogestiti (asili, mense), di mutuo soccorso, di banche del tempo, di come rispondere all'emergenza abitativa in vista dell'arrivo dell'inverno, insomma dei tanti possibili modi attraverso i quali provare ad affrontare la decrescita e l’insolvenza che molte e molti ritengono essere l’unico scenario sensato per il prossimo futuro.
   Si è parlato anche, naturalmente, di come poter restituire questo spazio alla sua vocazione originaria di luogo di diffusione culturale (ma in futuro, si è detto, anche di produzione), di come farlo attraversare dalle tante pratiche espressive (cinema, teatro, musica…) che oggi non riescono a trovare un pubblico perché giudicate inadatte alla diffusione nei circuiti commerciali. Il Teatro Valle occupato di Roma, con cui si è già aperto un canale di comunicazione, è stato spesso citato come naturale interlocutore con cui lavorare per costruire un circuito autogestito all’interno del quale far circolare le produzioni culturali indipendenti.
   Ma c’è un problema. I locali dell’ex cinema sono di proprietà privata e il Comune di Bologna sembra ritenere per questo necessario che si proceda allo sgombero immediato. L’opinione di molte persone è invece che l’amministrazione comunale non possa disimpegnarsi tanto facilmente da questa situazione, invocando l’atto dovuto di fronte all’occupazione di un bene privato. La prolungata chiusura al pubblico di un luogo di diffusione culturale così centrale e la concomitante esistenza di un ampio movimento che ne reclama l’uso sociale e ne invoca il riconoscimento quale bene comune pongono all’amministrazione una richiesta di interlocuzione cui essa non può sottrarsi.
   La proiezione di domenica sera all’ex Arcobaleno ha mostrato nel modo più trasparente che la crisi del cinema non dipende automaticamente dalle trasformazioni tecnologiche, ma innanzitutto dalla disgregazione e dall’atomizzazione del tessuto sociale e che laddove una società si ricostituisce e autodetermina i propri bisogni anche i piccoli film fatti con poche risorse possono incontrare il loro pubblico, o meglio una platea che non sia fatta solo di spettatori incatenati a un ruolo di pura passività, ma di attori vivi e protagonisti di processi comunicativi reciproci e condivisi.
   E’ solo l’inizio. La nuova iniziativa in programma questa notte, lanciata con il titolo ”La lunga notte del corto”, segnerà un salto di qualità nelle dinamiche socio-culturali di questa città. L’assemblea ha invitato i tanti produttori di video indipendenti attivi a Bologna a portare i loro corti all’Arcobaleno occupato, dove saranno proiettati nel corso di una lunga nottata. Quale novità si affaccia in un evento come questo? E’ facile rispondere: diversamente da quanto accade nel caso del cinema “ufficiale”, qui la proiezione sarà avvenuta di fronte a un pubblico composto non già di spettatori, ma di realizzatori, videomaker, operatori, che finalmente troveranno un’occasione per entrare in contatto gli uni con gli altri, per dialogare tra loro, scambiersi esperienze, ovvero: per cominciare a formare un embrione di società. Dal film realizzato e fruito entro una piccola cerchia di amici e poi affidato all’anonimato della rete, a un’esperienza di visione reciproca e partecipata che diventa occasione di relazione e di messa in comune di pratiche espressive e di saperi, di emozioni e conoscenze.
   Se anche la malaugurata ipotesi dello sgombero dovesse verificarsi, sarà molto difficile per l’Amministrazione fingere che si tratti di un semplice episodio da poter chiudere e dimenticare senza conseguenze. Mentre la finanza internazionale crolla rovinosamente lasciando intorno a noi i detriti del vecchio mondo in via di disfacimento, e mentre la politica istituzionale sconta la sua totale inadeguatezza a gestire la complessità della situazione reale, la messa in rete di tante intelligenze, conoscenze, competenze è un patrimonio sociale troppo prezioso perché si possa pensare di cancellarlo con un colpo di spugna. Del resto questa cosa è già cresciuta troppo perché possa dissolversi nel giro di una notte. E’ già una società e con essa si dovrà per forza fare i conti.

 

 

 

 

 
 
 
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