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Sulle dinamiche sindacali

Post n°3 pubblicato il 20 Aprile 2010 da VoceProletaria

        Cari tutti,
ancora una volta le osservazioni di Pietro Ancona (ex Segretario Regionale CGIL Sicilia), qui di seguito riportate, ci forniscono (più di uno) spunto per alcune considerazioni sulla fase in cui ci stiamo dibattendo.
        Qui poniamo l’accento riprendendo poche parole dal suo intervento qui sotto riportato:  …CGIL che si limita a fare una battaglia di retroguardia senza troppa convinzione.  Anche il sindacalismo di base sembra abbastanza frastornato ed assente….
        Cosa sta succedendo, insomma?  Perché questa inerzia?  Mancanza di volontà; sfiducia nei lavoratori; postumi da “scoppola elettorale”  non ancora digeriti; troppi “fronti di lotta”  aperti (“effervescenza operaia”  a causa della crisi…)…?
         Probabilmente anche questo. Ma non solo questo. Purtroppo!
       
        Intanto, per introdurre la nostra modesta considerazione, occorre sfatare una perniciosa quanto ingenua convinzione:
             una relazione tra i sindacati ed i partiti della sinistra C’E’!    E'  invece falso il contrario.
      
   A dispetto anche di quelli che si stracciano le vesti per proclamare la loro assoluta autonomia ed indipendenza da partiti e movimenti politici (con più o meno coerenza tra le parole e i fatti, a seconda della sigla…), una relazione, seppure indiretta (ma talvolta anche più diretta) e magari non voluta, esiste comunque.    Non ci interessa, qui, stabilire chi è collegato a chi, per quanto per certi sia un po' più evidente, e tralasciamo volentieri certe relazioni “sotterranee”  che pure tra certe sigle “di base”  sono note con partiti ex-parlamentari; ci limitiamo invece al nesso politico ed oggettivo che informa l’ambito generale della sinistra nel suo complesso, quindi nelle sue vesti di rappresentanza partitica e di rappresentanza sindacale, e dei suoi soggetti rappresentati o che dovrebbe rappresentare.
       
        Chi non ricorda il suicidio politico, iniziato appena due anni fa, dei partiti della cosiddetta “sinistra radicale”  con la loro scomparsa dal Parlamento prima, e conclusosi ora con la scomparsa da quasi tutte le amministrazioni locali e regionali? 
        Quei partiti hanno pagato i tanti errori commessi in quindici anni di subalternità ad un dogma liberista incarnato nell’attuale PD, senza che riuscissero a determinare – neanche nel momento di loro maggior consistenza, quando nell’ultimo Governo Prodi contavano complessivamente 165 tra deputati e senatori – alcun significativo miglioramento per le classi che li avevano votati, i lavoratori in primis.     Per sintetizzare, forse brutalmente ma in maniera efficace, avevano anteposto l’interesse della propria organizzazione all’interesse dei propri rappresentati.  L’avallo sempre più “governista” alle scelte anche più impopolari dell’ultimo governo di centro “sinistra” – per brevità ricordiamo solo il rifinanziamento alle missioni militari ed i famigerati “protocolli welfare e pensioni” – di quei partiti era dettato unicamente dalla preoccupazione della propria sopravvivenza “di casta”.     Cercavano la propria  salvezza rinnegando ed anzi, opponendosi alla propria stessa “ragione sociale”.
        Altro che “salvezza”, non poteva che essere un suicidio.    E tale è stato, e con giusta ragione.
        La concertazione tra il PD e il PDL di Berlusconi sulle regole elettorali e l’appello di Veltroni al “voto utile” hanno poi inferto la mazzata finale a quegli ectoplasmi.
        La “vampirizzazione”  del PD a danno dei (residui dei) partiti della “sinistra radicale”  ha certo “semplificato”  il quadro parlamentare, ma non gli ha certo giovato più di tanto, tant’è che la destra e Berlusconi spadroneggiano come mai prima, proprio perché privi di un’opposizione appena un po’ più credibile.

        E il sindacato?   Tutto il mondo sindacale non è forse suscettibile di analoghe (o addirittura “identiche”) dinamiche?      
        Noi crediamo di si, almeno per alcuni aspetti.
       
         Innanzitutto il quadro delle presenze sindacali ammesse ai vari “tavoli” si è ristretto e continuerà a restringersi.  Il “comando”  del Capitale tollera sempre meno ogni più piccola “interferenza”  e non esita a schiacciarla senza troppi complimenti.
        Già nel Pubblico Impiego, grazie alla concertazione tra Governo e CISL e UIL (ma, in un primo momento, era presente e collaborante anche la CGIL…), i “comparti”  contrattuali saranno ridotti a (massimo) 4 dagli attuali 9; ciò renderà praticamente impossibile il raggiungimento della “rappresentatività nazionale”  a tutti i sindacati che non siano, appunto, CGIL/CISL/UIL.
        La UGL (quella di Renata Polverini…) sarà comunque ammessa, come attualmente avviene, in grazia di “protocolli politici”, che tradotto vuol dire che non si può escludere dai tavoli di contrattazione il sindacato di Fini & Co.
         Nessun’altra sigla potrà godere di analogo trattamento, ovviamente.
        Basta dunque ridurre il corrispettivo dei “collegi elettorali”  per eliminare sicuramente ogni velleità di qualsiasi organizzazione sindacale di base.  Anche qui, dunque, la "semplificazione"  avviene e, ahinoi, con minor clamore mediatico.

        In questo contesto, peraltro annunciato ormai da due anni, si sono consumate ed esaurite le ultime “sperimentazioni”  di una stagione, durata poco meno di vent’anni, in cui era cresciuto e si era sviluppato il sindacalismo di base, un’esperienza unica al mondo, eredità di movimenti di lotta che affondavano le loro radici nei ruggenti anni ’70.
        Il Patto di Base, una sorta di alleanza programmatica tra CUB/RdB, Cobas ed SdL, dopo una vita di pochi mesi, è esploso per le sue contraddizioni interne legate principalmente sulla pretesa di forma organizzativa (in sintesi: centralizzazione estrema vs. forma federata e aperta), oltre che sui referenti che si intendevano rappresentare (in sintesi: sindacato incentrato sui lavoratori vs. sindacato “metropolitano” dei soggetti precari).
        Era questi, in definitiva, l’unico ed ultimo appello possibile per un soggetto davvero unitario di tutto il frastagliato arcipelago di sigle sindacali “di base”  e/o  “autorganizzate”.
        Dalle macerie del Patto di Base, e con spiccato spirito revanscista, una parte di questi ha deciso di riproporsi sotto una nuova sigla, la Unione Sindacale di Base, unione di SdL, RdB e frammenti di CUB (la più grande Confederazione di Base, da cui RdB polemicamente si separa) e frammenti ancor più minuscoli di altre sigle, alcune non proprio  “di base”  quanto invece più propriamente “autonome”.  Il tutto viene presentato, ovviamente, come “percorso di riunificazione del sindacalismo di base”.   Mah…! 
         L’espediente retorico, in realtà,  sembra voler celare una eterogenesi dei fini a noi poco comprensibile.

        Stimiamo la forza di CUB in circa 230.000 iscritti reali; quelli dei Cobas in poco più di 12.000 (tra dipendenti pubblici e privati); quelli del nuovo soggetto USB in non più di 25.000 a “fusione”  avvenuta.   
        I paragoni con CGIL/CISL/UIL sono ovviamente improponibili; la CGIL, forte di 5.500.000 di iscritti, può indicare in una sola Camera del Lavoro di una qualsiasi provincia neppure troppo grande una superiorità numerica a tutti gli iscritti di una sigla che si pretende “nazionale”  come USB;  lo stesso vale per la UIL che, seppure la più piccola tra i confederal/concertativi, vanta comunque poco meno di 2.500.000 di iscritti.     Sono questi, comunque, i numeri che fanno testo.
        Che senso ha, quindi, continuare a “scindere l’atomo”  nel sindacalismo di base?

         Naturalmente non ignoriamo lo spessore qualitativo di queste sigle e le loro preziose esperienze, tutt’altro… la dimensione numerica, tuttavia, ci indica quali e quante possibilità esistano ancora per incidere realmente nell’attuale situazione di crisi economica al di fuori e contro una logica neo-concertativa.        La vediamo nera, anzi, nerissima.

        Non è ancora certo che le prossime elezioni RSU del Pubblico Impiego si svolgano davvero, come da calendario, alla fine di quest’anno, ma se ciò dovesse avvenire non ci stupiremmo affatto se la CGIL, confidando nelle ulteriori divisioni del sindacalismo di base e proprio in un’analoga proposizione di “voto utile”, riuscisse a “vampirizzare”  tutte le sigle sindacali alla sua sinistra.   In molti casi, nei settori del lavoro privato, questo è già avvenuto.
        Né, tanto meno, ci stupiremmo se tale succhiata di sangue non fosse comunque sufficiente a resuscitare un “morto che cammina”  che, anche in virtù del suo passato prossimo e delle sue attuali pulsioni neo-concertative, oggi non può far altro che aspirare ad un ruolo comunque marginale e subordinato alle scelte liberiste che trovano piena espressione nel PDL e nel PD, ovvero il suo stesso referente politico, e privilegiasse CISL, UIL e UGL, i più fedeli complici ed interpreti di tanti desiderata.
        In poche parole, se questa "vampirizzazione"  fosse realmente utile a riunire in una sola organizzazione la conflittualità necessaria a combattere gli effetti della crisi e chi è causa della stessa, ce ne faremmo volentieri una ragione.  Invece...
        Il congresso che si sta articolando in casa CGIL, con la nuova configurazione del suo quadro direttivo, confermerà quanto qui accennato. Purtroppo.

        L’unico ragionamento che, invece, dovrebbe e potrebbe trovare spazio oggi, tanto più in una situazione oggettiva di crisi, dovrebbe essere rivolto allo sforzo per la costruzione di un vero Sindacato di Classe.  Uno sforzo a cui tutti i soggetti coscienti, indipendentemente dalla sigla sindacale in cui sono impegnati, dovrebbero essere chiamati a compiere e che, in più occasioni, oggi trova espressione in numerosi comitati "contro la crisi"  e realtà di lotta che travalicano volentieri i "recinti"  delle sigle sindacali "ufficiali".
        Esiste già, insomma, una disponibilità in tal senso ed è quella "effervescenza operaia"  che, forte della propria iniziativa dal basso, ha costretto i sindacati ad "inseguire"  i lavoratori sulle gru e sui tetti delle fabbriche occupate.
        Ma ciò non è, ovviamente, sufficiente, né pretende di esserlo.
       
        Il Sindacato, dunque. Dalla miseria generale del quadro attuale alla necessità di costruzione dell'Organizzazione dei Lavoratori.

        Le scelte organizzative che ci si propongono sotto gli occhi, purtroppo, vanno nella direzione esattamente opposta.   Anche queste, infatti, ci pare antepongano l’interesse dell’organizzazione (distacchi, permessi, soldi, agibilità varie, carriere, etc…) a quello dei lavoratori, e rendono inadeguate tutte le “soluzioni”  sin qui proposte.
        Sperare oggi, poi, che chi è impegnato a guardarsi l’ombelico si attivi e mobiliti contro la legge 1167, il famigerato “Collegato Lavoro”, è evidentemente chieder troppo…!
 
Un saluto.                            p. Proletaria E.R. – Virginio Pilò
 

Perchè non si sciopera contro la 1167?
           

        Entro i prossimi dieci giorni si decideranno le modifiche richieste all'allegato lavoro legge 1167 dal Capo dello Stato. Sacconi ha fatto sapere che riproporrà il testo più o meno come era stato licenziato dalle Camere mentre la CISL vorrebbe addirittura peggiorarlo spostando a dopo l'assunzione la stipula della clausola compromissoria magari estendendo subito a tutti i lavoratori attuali una norma teoricamente proposta per i nuovi assunti. Gli emendamenti proposti dal PD sono stati giustamente criticati dal professore Gallino che li ritiene al disotto di quanto chiesto dal Capo dello Stato.
        La CGIL ha reso una dichiarazione in linea con le osservazioni del Quirinale. Esclude l'arbitrato di equità ma non taglia il nodo gordiano con un deciso colpo di spada sostenendo che nessun tipo di arbitrato anche se concordato con il lavoratore possa decidere in materia di licenziamenti e di giusta causa.
        E' preannunziato un presidio del Parlamento il giorno dell'approvazione della legge il 26 aprile. A cose fatte!
Nessuna mobilitazione nelle fabbriche e nel territorio tranne due iniziative quasi simboliche. Penso che sarebbe stato opportuno uno sciopero generale di almeno un'ora per tutti i lavoratori accompagnato da una azione di sensibilizzazione della opinione pubblica.
        Questa inerzia sommata alla sostanziale adesione di CISL ed UIL e del PD alla modifiche proposte  dal governo darà ai parlamentari l'idea di una partita già decisa e sostanzialmente abbandonata dalla CGIL che si limita a fare una battaglia di retroguardia senza troppa convinzione.
        Anche il sindacalismo di base sembra abbastanza frastornato ed assente.
        La 1167 sommata alla legge Biagi, al nuovo contratto di lavoro romperà la schiena ai lavoratori italiani che saranno ancora più ricattabili e privati di un minimo di tutela.

Pietro Ancona

http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

 
 
 
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