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Versailles, Italia, 2013.

Post n°922 pubblicato il 23 Aprile 2013 da VoceProletaria

Versailles, Italia, 2013.
Appunti per una memoria futura.

Non è ancora chiaro  dove, lo scorso sabato, si sia manifestata la più efficace forza eversiva della Costituzione repubblicana d’Italia, se dentro  o fuori il Palazzo.

Versailles, 1788.
Roma, 20 Aprile 2013.
Sabato 20 Aprile 2013 le Camere riunite dei Deputati e del Senato della Repubblica Italiana eleggono, con oltre il 70% dei voti parlamentari e dei grandi elettori, il 12^  Presidente della Repubblica, l’ottantottenne Giorgio Napolitano.
Egli succede a sé stesso, ed è la prima volta, in 65 anni di Costituzione repubblicana, che un presidente venga rieletto. La stessa Costituzione, non a caso, lo “sconsiglia” vivamente.
La sua rielezione è frutto della crisi irreversibile di un sistema (auto)rappresentativo di pochi partiti che, incapaci di ottenere una legittimazione - tanto meno di una soluzione alla crisi nazionale di un Capitale globale -, pensano ormai alla sola salvezza di sé stessi illudendosi di potersela cavare con qualche “brioches” da offrire ad un popolo affamato.
Affamato di pane, certo, ma anche e forse ancor più di giustizia.
Il Palazzo - gli  Stati Generali del 2013 - si arrocca intorno al neo Re Giorgio II e si ritira a corte, la “nostra” odierna Versailles.
C’è chi grida al golpe. E’ Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle.
La crisi politica si avvita su sé stessa, sconfessa e abbandona ogni residuo spirito costituente e getta con prepotenza le premesse per la riscrittura della stessa Costituzione nata dalla Resistenza per l’instaurazione - e la “ratifica de jure” - di un regime presidenziale ampiamente già “de facto”. 
E’ l’inizio o l’incubazione della Rivoluzione…?

I forconi.
Il grido di golpe viene raccolto e raduna velocemente molte migliaia di persone fuori dal Palazzo di Montecitorio. Sono per lo più la prosecuzione di una protesta innescatasi con l’indicazione telematica dei “mediattivisti”  grillini (poco più di 50.000 in tutto) per Stefano Rodotà alla Presidenza della Repubblica, popolare giurista e noto uomo di sinistra (ancorché non privo di macchie) gradito ad un vasto pubblico e sicuramente esperto e competente di problemi istituzionali e costituzionali.

Un presidenzialismo liquido e popolare. Via web.
Le “quirinarie”, ovvero il voto elettronico riservato a pochi e selezionati attivisti del Movimento 5 Stelle, indicano un ordine di preferenze per i candidati che i parlamentari grillini avrebbero dovuto sostenere in occasione delle elezioni presidenziali. I primi due, Milena Gabanelli e Gino Strada, dignitosamente rifiutano. Nonostante l’ingenuo gradimento dei loro sottoscrittori, i due sono perfettamente consapevoli delle loro capacità, così come dei loro limiti. Proprio perché onesti, non si sentono in grado di affrontare un compito così complesso.  Il terzo classificato, Stefano Rodotà, accetta di divenire il candidato di M5S. Ha le giuste competenze, nonché una legittima e motivata aspettativa a ricoprire quel ruolo.
Ciò, tuttavia, comporta una scomunica di fatto da parte del PD, nonostante egli sia stato un fondatore del PDS e, cosa ancor più tragica per lui, diventa una “figurina” nelle mani di Grillo.
Una “figurina” che, grazie ad un elevato grado di popolarità non circoscritta ai soli web-votanti, riesce a penetrare in profondità nelle fila della sinistra e divenire così una vera e propria contraddizione per il PD innanzitutto, ma anche per il centrosinistra che vede la immediata adesione di Vendola a Rodotà in contrasto con le indicazioni del PD.
Il cuneo è ben inserito, Grillo impazza e gode.

L’ancien regime.
Il PD, dal canto suo, ha già scelto un candidato più gradito a Berlusconi che non al suo elettorato, Franco Marini. La sua indicazione “condivisa seguendo le indicazioni costituzionali”, ovvero tra PD e PDL, non riesce a nascondere il carattere propedeutico ad un governo di “larghe intese” che viene interpretato, non a torto, come grande “inciucio”.
Marini, tuttavia, nonostante i grandi numeri che in teoria dovrebbe raggruppare (PD+PDL+Lega+Scelta Civica), non passa la prima votazione, laddove era necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi dei votanti. Le fila renziane e i vendoliani, seppure con opposte visioni e motivazioni, avevano fin da subito dichiarato esplicitamente il loro niet all’ex leader cislino, e ad essi si aggiunge più di un dissidente PD.
Marini bruciato il 18 Aprile; si passa ad un altro.
Il ripiego su Prodi, come estremo tentativo del segretario PD Bersani di ricompattare un partito ormai preda di bande più o meno organizzate, si rivela tragico per la sua intera segreteria costretta poi a dimettersi. I “franchi tiratori”, mai così numerosi nell’intera storia parlamentare, sono tutti interni al PD e affossano e umiliano anche l’ipotesi di un Prodi che, dopo il plebiscito raccolto dagli elettori PD riuniti in assemblea pre-elettorale il 19 aprile, in Aula  non riceve nemmeno i voti sufficienti per l’elezione con maggioranza semplice, ovvero il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. 
C’è chi lo ha definito un “parricidio”: il giovane discolo Renzi uccide il suo “padre putativo” per poterlo emulare.  Pare, però, più un’imboscata degna di una corte popolata da cardinali Richelieu o Mazarino, e senza alcun eroico moschettiere…
E’, comunque, la disfatta totale del partito che detiene la maggioranza relativa in Parlamento, ed è ciò che porterà Bersani ad implorare (inginocchiato sui ceci…?) il ritorno di Napolitano, l’amico più fidato di Berlusconi negli ultimi 7 anni, alla guida dello Stato.

Il riscatto del comico….
L’astuto Grillo, intanto, riesce ad aggregare intorno al “suo” uomo-immagine Rodotà gran parte di elettori PD delusi ed incazzati per le manovre inciuciste e pasticciate di Bersani.
E’ un’operazione politica molto furba, tanto che anche buona parte della sinistra ex-parlamentare si lascia affascinare dall’indicazione di Grillo per Rodotà e, forse inconsapevolmente (quindi ancor più colpevolmente, in quanto stupida), partecipa ad una inedita campagna in suo favore.

…politicista come e più degli altri.
Il rapido discredito che aveva iniziato a circondare i grillini, dopo più di un mese di vere e proprie stupidaggini dette e fatte tra i banchi parlamentari, viene dimenticato ed, anzi, si trasforma in una nuova investitura popolare di Grillo come resuscitato “fustigatore della casta inciuciona” ed ora anche “fine politico”.
Politicista o politicante, tuttavia, appaiono i termini più appropriati al caso.
Tre piccioni con una fava: lo sdoganamento popolare del presidenzialismo, ormai assunto a dogma da tutte le forze politiche parlamentari; la distruzione di uno dei tre poli partitici in competizione, il PD di Bersani (e pure di chi verrà dopo di lui…); la contestuale sua sostituzione col nuovo polo emergente, ovvero il M5S.
La sinistra (quella “vera“ e non quella finta del PD e dintorni), che pure dovrebbe rappresentare la più accesa opposizione ai tentativi reazionari ed autoritari inscritti nel sistema presidenziale, è fuori gioco, completamente allo sbando e per di più affascinata e sussunta dalle istanze comunque eversive di una folla sapientemente teleguidata da un  Grillo imbonitore che può temere solo e soltanto il suo “maestro politico”, Berlusconi, ma non certo una forza rappresentativa priva di un suo progetto, di una sua visione e di una sua identità.

La Guardia Reale.
Il polo antagonista che potrà competere a Grillo la futura Presidenza plenipotenziaria (del Consiglio o della Repubblica, si vedrà…) sarà, ahinoi, il PDL di un Berlusconi ogni giorno più forte.    Le forze di Reazione sono più vive e vegete che mai.

La marcia del 20 Aprile, poi la ritirata. Strategica.
Il grido di golpe, dunque, e l’annunciato arrivo di Grillo a Roma a capo di una rivisitata “marcia” dall’infausta memoria, produce dunque un assedio a Palazzo Montecitorio.
I citoyens che Grillo ha invocato per il suo arrivo, sperando in milioni di essi, iniziano così a manifestarsi sotto gli occhi delle telecamere televisive accorse a Palazzo per seguire l’elezione presidenziale e però distratte da tanta partecipazione popolare.
E’ una folla, tanto vasta che circonda l’intero perimetro di Montecitorio, solo inizialmente composta da grillini e in seguito molto più composita e attraversata tanto da elementi di destra, quanto da elementi di sinistra extraparlamentare, quanto da delusi del PD ed enrages vari.
La destra estrema di Forza Nuova, in adesione all’appello di Grillo, si raduna in una piazza vicina ma non arriva a Montecitorio, anche per una discreta opera di dissuasione creata dalla presenza già un po’  più organizzata dei compagni di Rifondazione Comunista.
Il pericolo, però, che la situazione possa sfuggire di mano anche a Grillo è sicuramente presente, e non alberga solo nelle menti delle forze dell’ordine… Lo stesso Rodotà, infatti, prende finalmente le distanze e si dissocia dai proclami eversivi di Grillo.
Da qui il ripiego in una conferenza stampa del comico e lo scioglimento di ogni altro tipo di manifestazione dall’imprevedibile esito finale.
Poco male, in fondo. E’ presumibile che il vero obiettivo di Grillo, più che l’agognata elezione di Rodotà, fosse in realtà proprio questo: la popolarizzazione e l’invocazione “vox populi”  di un sistema presidenziale tramite elezione diretta.
Nessuno finora era riuscito in questo disegno, per quanto da sempre suggerito e proposto da interessati “consigliori” statunitensi e vari “oscuri poteri”. Nemmeno il Pannella dei temi andati, col suo ridicolo e anglicizzante “Emma for President” era riuscito nell’impresa, anche se va detto, però, che un implicito omaggio glielo ha riconosciuto proprio Grillo col cammeo di Emma Bonino tra i candidabili alle sue “quirinarie”.
E‘ lecito, dunque, pensare che Grillo sia  il più affidabile “rivoluzionario colorato” su cui oggi possa contare l’establishement a stelle e striscie, Soros in testa…

Parrucconi, sanculotti, girondini, girotondini…? Tutto, meno che i giacobini.
A ricordo di questa giornata restano alcune eloquenti immagini televisive. Immagini speculari ma asimmetriche, laddove in una finestra si assiste alle felicitazioni ed agli abbracci di centinaia di parlamentari (non senza alcune scene di sconforto, come Bersani affranto per le ormai inevitabili dimissioni…) e con un Berlusconi raggiante per il suo ultimo successo; in un’altra finestra si vede la folla sempre più numerosa a manifestare la sua rabbia e a scandire il nome del “suo” presidente, Rodotà.
Si percepisce in maniera tangibile la distanza abissale e la cesura netta tra questi due mondi completamente estranei l’uno all’altro, eppure così simili nei loro tratti politici principali.
L’orgia sconcia di un potere autocratico e consapevole della sua strafottenza nei confronti del popolo versus una folla ignara della sua stessa carica eversiva e tuttavia telecomandata.
In nessuno di questi due poli si rintraccia afflato democratico, né tanto meno rivoluzionario.
Sono solo le prime immagini di un diluvio a venire…

Apres moi le deluge.
Re Giorgio II è acclamato Presidente.  Il suo è già un potere assoluto.
Ad esso spetta ora l’insindacabile compito di nominare il futuro governo e, se impossibilitato in ciò, sciogliere le camere e riportare l’Italia al voto.
In ogni caso, qui si consuma la fine della Seconda Repubblica.
Nessuno la rimpiangerà, questo è certo, ma ciò che ci aspetta non sarà niente di meglio.
Giusto il “diluvio”…

Bologna,  23.04.2013                                                             Virginio Pilò

 

 

 

 
 
 

I grillini 5 stelle di Torino contro l’ANPI

Post n°921 pubblicato il 12 Aprile 2013 da VoceProletaria


I grillini 5 stelle di Torino contro l’ANPI

Adducendo motivi apparentemente tecnici - atti di vandalismo, incomprensioni con la sezione locale dell'Anpi - i consiglieri del Movimento 5 stelle votano e firmano un odg della destra zeppo di propaganda parafascista contro i partigiani e la resistenza antifascista.


Il 25 aprile è una festa di tutti

(di MoVimento Torino) 9 aprile 2013

Come Movimento 5 Stelle di Torino, vorremmo rispondere ai comunicati della sezione ANPI Nizza-Lingotto-Millefonti-Filadelfia e dei dirigenti politici di Rifondazione Comunista, relativi ai festeggiamenti del 25 aprile nella IX Circoscrizione.
L'ordine del giorno approvato dalla Circoscrizione sull'argomento è soltanto la conseguenza del comportamento della locale sezione ANPI e del suo presidente, l'ex consigliere circoscrizionale dei Comunisti Italiani Giacomo Gorgellino. Lo scorso anno, la Circoscrizione ha deciso di stanziare per i festeggiamenti del 25 aprile una cifra inferiore alla richiesta, ma comunque sufficiente a coprire sostanzialmente i costi della parte istituzionale delle celebrazioni. Non è stata invece finanziata la festa successiva, che peraltro ha poi causato problemi al quartiere per i vandalismi (in particolare l'imbrattamento dei muri) che si sono verificati durante il suo svolgimento.
A fronte di questo, la sezione ANPI non ha trovato di meglio che rifiutare il contributo dichiarandosi offesa, rifiutare la partecipazione al consiglio aperto in cui si discuteva la vicenda e accusare sul piano personale i consiglieri di voler "portare sullo stesso piano partigiani e nazifascisti"... tutto per non aver concesso per intero i soldi che l'ANPI chiedeva e per non avergli voluto finanziare anche la festa.
Soltanto a questo punto la circoscrizione ha scelto di non voler più collaborare con la locale sezione ANPI, chiedendo invece una interlocuzione con la direzione provinciale; e se tutti i gruppi politici del consiglio circoscrizionale, da sinistra a destra, hanno fatto in modo che questo ordine del giorno venisse approvato, evidentemente è perché il comportamento della sezione ANPI è stato inaccettabile sul piano istituzionale e fuori da qualsiasi logica.
Ci pare evidente che quanto avvenuto non ha motivazioni politiche, ma consegue ai cattivi rapporti tra la sezione ANPI e la circoscrizione, derivanti forse anche da questioni personali irrisolte tra Gorgellino e i suoi ex colleghi. Per questo troviamo inaccettabile la strumentalizzazione politica che Rifondazione Comunista cerca di farne, pur di ottenere un po' di visibilità, e la pericolosa commistione di ruoli tra una sezione ANPI e un partito politico, perché esse rischiano di caratterizzare le celebrazioni del 25 aprile come una festa di parte, cioè proprio ciò che vuole chi ha nostalgia del fascismo.
Crediamo che sarebbe più maturo e rispettoso, per l'ANPI e per tutte le forze politiche che hanno veramente a cuore la festa della Liberazione, fermare questa escalation di attacchi e riportare il 25 aprile a ciò che è per il Movimento 5 Stelle e che dovrebbe essere per tutti, ovvero il ricordo del sacrificio del sangue di giovani di ogni colore politico contro il fascismo, e la riaffermazione unitaria dei valori fondamentali della nostra Costituzione.

I consiglieri comunali e circoscrizionali del Movimento 5 Stelle di Torino


Di seguito invece la presa di posizione di due esponenti locali di Rifondazione Comunista

Ora sappiamo che non è stato un fatto incidentale, che non è solo un consigliere circoscrizionale del Movimento 5 Stelle ad essersi schierato a favore di uno squallido ordine del giorno (primo firmatario un consigliere della Lega) rivolto contro l’Anpi della Circoscrizione 9 di Torino. In un comunicato datato 9 aprile tutti i consiglieri comunali e circoscrizionali del Movimento 5 Stelle di Torino prendono posizione a favore del suddetto ordine del giorno affermando che la revoca di qualsiasi rapporto istituzionale con la locale sezione Anpi, in particolare per quanto attiene la celebrazione della giornata del 25 aprile, “è soltanto la conseguenza del comportamento della locale sezione Anpi…”, di problemi connessi a “vandalismi (in particolare l’imbrattamento dei muri) ” che si sarebbero verificati durante lo svolgimento della festa organizzata dall’Anpi.

Al di là di queste diatribe che fanno riferimento a questioni ampiamente confutate dalla locale sezione dell’Anpi il fatto d’inaudita gravità è l’ordine del giorno approvato col voto favorevole di tutte le forze di destra, del Movimento 5 Stelle, dei Moderati per Fassino grazie anche all’astensione e alla non partecipazione al voto delle forze di centrosinistra (Pd, Sel, Idv) che detengono la maggioranza consiliare in Circoscrizione. Quest’ordine del giorno è una commistione d’ignoranza, d’idiozie e di provocazioni politiche tipo: “se si sono usati termini come <nazicomunisti> lo si è fatto come una sintesi perfetta dei due mali immondi: il nazismo fortunatamente cancellato dal pianeta, ed il comunismo, che domina tuttora in molte nazioni ed ammorba ancora pesantemente vita politica, gangli, istituzioni e poteri della società italiana”. E ancora è stato detto e scritto della “necessità, proprio per non costruire una realtà distorta ed alterare la verità storica, tuttora nascosta", di spiegare” che alcuni Partigiani, Gruppi e Brigate, di ben chiaro colore politico”  tramavano agli ordini dell’Unione Sovietica per la “sostituzione di una dittatura con un’altra peggiore: il comunismo”.

A leggere l’ordine del giorno c’è solo l’imbarazzo della scelta di nefandezze che stravolgono il senso della realtà fino a rovesciare sui “signori” dell’Anpi locale, prigionieri di “dogmi e tabù” l’idea di far propria la “prassi infame del ventennio passato, i cui signori si richiamano…”. Cose dell’altro mondo, vere e proprie schifezze che dovrebbero indignare qualsiasi sincero democratico. Che cosa succede invece? Che i grillini, come un sol uomo, fanno un comunicato di strenua difesa dell’ordine del giorno dal titolo “il 25 aprile è una festa di tutti”. Per loro il problema è costituito dal “comportamento inaccettabile dell’Anpi” cui fa seguito “la strumentalizzazione politica di Rifondazione Comunista”. Ecco a cosa porta il dirsi “né di destra, né di sinistra”, a fare il gioco e a dire cose di destra!

Ribadiamo quanto scritto ieri. Quanto accaduto all’interno di un ambito istituzionale di Torino è di tale gravità che ci aspettiamo la ferma dissociazione di tutte le espressioni politiche e istituzionali della città che si richiamano all’antifascismo e alla Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza. Con rinnovato orgoglio diciamo anche che i comunisti e le comuniste furono un pilastro della Resistenza e della ricostruzione democratica del nostro Paese. A quei valori e a quella lotta antifascista, di giustizia, di cambiamento noi non rinunciamo, anzi li rinnoviamo con forza. Ora e sempre Resistenza!

Ezio Locatelli, segretario provinciale Prc Torino
Juri Bossuto, ex candidato sindaco città di Torino

 
 
 

Chi danza sul Titanic.

Post n°920 pubblicato il 12 Aprile 2013 da VoceProletaria

Chi danza sul Titanic.

Care colleghe, cari colleghi,
un serio problema tecnico ha compromesso il normale funzionamento della presente newsletter e solo con una forte limitazione si è poi riuscito a ripristinare la consueta informazione che, tuttavia, da qui in avanti potrà avvenire solo con una minore periodicità e capillarità.
In identica misura, la difficoltà si è estesa al blog http://blog.libero.it/VoceProletaria/  con un aggiornamento sempre più ridotto.

La sospensione della comunicazione ha però concesso una osservazione più distaccata e decantata dal gossip giornaliero degli avvenimenti politici, quindi tutt’altro che penalizzante.

L’ultima nostra comunicazione, (http://blog.libero.it/VoceProletaria/11959615.html) faceva riferimento ai vincitori delle scorse elezioni politiche e prefigurava un governo “di programma” (“tecnico”, “istituzionale”, “del Presidente”, tutti sinonimi equivalenti, ma si fa prima a dire “inciucio”)  e dove il riciclaggio del tanto detestato Berlusconi potrà avvenire, ancora una volta, col plauso e l’attiva collaborazione di ciò che resta di un già sconquassato PD.
Le nostre ultime righe così recitavano:
Oggi, dunque, quella Europa che ha tifato e aiutato Monti ed il PD, ed insieme ad essa i poteri grandi e piccoli italiani così come quelli che stanno oltreoceano, sono consapevoli  che dovranno scendere a patti di nuovo con lui, Berlusconi.   
Gli altri "contendenti"  si sono dimostrati, per l'ennesima volta, solo pallide e malriuscite imitazioni o macchiette.   Niente che possa rassicurare quei poteri ed i mercati padroni.
Insomma, a meno di un accidente dovuto all'età anagrafica, in questo quadro istituzionale il mattatore è e sarà ancora lui, il Caimano.
Non che ci volesse la sfera di cristallo, intendiamoci, ma era necessario se non altro un ragionamento fuori dalla vulgata nazionalpopolare di Repubblica, RAI, Corsera, etc… che continuavano e continuano ad ammannirci brodini e camomille soporifere in attesa di sbrogliare la (loro) matassa. Non a caso, sempre gli stessi, ci spacciano l’ultimo golpe istituzionale di Napolitano come una “misura atta a rassicurare i mercati e cercare una soluzione istituzionale” ormai chiaramente impraticabile col solo ausilio di Bersani e di Monti.
Fallito – fin da subito ed in partenza – il tentativo di formazione di un governo affidato a Bersani, ecco dunque la nomina di dieci saggi, in spregio ad ogni prerogativa e funzione del Parlamento appena eletto, buoni giusto a perdere tempo in attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e senza alcuna utilità pratica o politica, ma che ben descrivono un esercizio sempre più arbitrario ed “assoluto” del Presidente della Repubblica.

Chi danza sul Titanic.
Dopo più di un mese dall’esito elettorale si torna dunque con prepotenza (e con la metaforica decapitazione di Bersani) all’ipotesi ormai divenuta “stretta necessità” del governo di programma.
Inutile dire che questa è la soluzione ideale e persino caldeggiata da quasi tutte le destre che oggi compongono il Parlamento. Ecco perché:
Scelta Civica - Monti. Sa che in questo scenario un certo ruolo potrebbe essergli ancora assicurato, se non altro come “garante” dei poteri d’oltralpe. Non è detto che ciò avvenga (potrebbe scontare il suo scarso appeal elettorale), ma risulta difficile immaginare la sua totale ed improvvisa eliminazione dalla scena politica di governo. Vedremo… In ogni caso ha solo da sperare nella sopravvivenza, il più a lungo possibile, di questa legislatura.
M5S - Grillo. E’ il soggetto che, forse ancor più di Berlusconi, ha spinto per la soluzione “inciucista” poiché convinto che così potrà tranquillamente acconsentire o, più probabilmente, “sparare” su ogni provvedimento o legge che dovesse scaturire dal governo PD-PDL. Il “tiro al piccione” è del resto l’unica vera strategia nelle mani grilline, altrimenti incapaci di proposte organiche e coerenti.
In realtà è un calcolo che, al di là di una vista in superficie, presenta numerose incognite e pericoli per il Movimento 5 Stelle, già accusato da parte di molti suoi elettori proprio di “incompetenza”, ovvero di non sapersi confrontare con la “politica”  né di saper proporre atti o risoluzioni proprie.
Inoltre, se tutto lo tsunami si dovesse risolvere come nella “prorogatio”  di Monti, dove sarebbe la “novità”  tanto annunciata da Grillo…?
Tra l’altro, una volta affidate le sorti legislative a Berlusconi, vero “padre politico putativo” di Grillo, non è detto che l’elettorato del M5S, gran parte del quale transfugo proprio dal PDL, non si lasci riconquistare proprio dal vecchio Berlusconi, anzi…  Normalmente, l’originale ha la meglio sull’imitazione…
Grillo potrebbe tuttavia assicurarsi una nuova iniezione di sangue fresco a spese di Bersani e di un PD ormai completamente democristianizzato. Gioco piuttosto facile, come sparare sulla Croce Rossa o assaltare, armi in pugno, un furgone che trasporta sacche di sangue dell’AVIS. E, infatti, è proprio in quella direzione che Grillo ha puntato le sue armi.
PDL - Berlusconi. Giusto per ripeterci, e rafforzati nel ragionamento di più di un mese fa, risulta il vero vincitore politico di questa tornata elettorale, e ancor più risulterà vincente alle prossime elezioni necessariamente anticipate. Il fattore tempo, peraltro, giocherebbe a suo maggior vantaggio per l’opera di riconquista dei transfughi di cui sopra che hanno preferito – temporaneamente – Grillo al PDL.
Lega - Maroni. Ha potuto tirare il fiato, soprattutto per la conquista del governatorato della Lombardia e, con essa, del “mitico Grande Nord”. Ciò gli ha consentito di sedare i tentativi revanscisti di Bossi e dei suoi ancora fedeli e gli consente ancor più di rinsaldare l’alleanza strategica con Berlusconi. Seppure ancora “a rimorchio”, e seppure con un programma sicuramente più minimalista di una vagheggiata “secessione” (tuttavia ancora presente in alcune “ipotesi di scuola”  riguardo future ri-combinazioni di macroregioni su scala europea), resta un alleato importante per un Berlusconi non ancora pienamente ristabilito. Anche per la Lega, comunque, il fattore temporale non è secondario, proprio per un ri-consolidamento nei suoi territori.
PD - Renzi. Il nuovo-nuovo ha di che cantare vittoria in nome di un pragmatismo che vede la definitiva sconfitta di ogni afflato ideale, ideologico (nel senso di sistema di pensiero organico della società e delle sue trasformazioni) e persino “politico” nel senso più profondo del termine. Una mutazione genetica ed antropologica del PD, o di ciò che ne resta, che si potrebbe tradurre in una devoluzione politica, da forza progressista e popolare a pura forza conservatrice, elitaria e reazionaria.
E’ questo, in definitiva, l’Homo Novus che i poteri forti preferiscono, ed è questo l’uomo che verrà…
Per tutti questi, o quasi tutti, una scialuppa di salvataggio non si nega.

Gli esclusi dal banchetto.
PD – Bersani + SEL - Vendola.
Stretto all’angolo, in compagnia di pochi “giovani turchi” e di vecchi notabili mai scomparsi realmente dalla scena (D’Alema, Fassino, etc…), Bersani sarebbe così costretto – obtorto collo, si badi bene! – ad inventarsi un progetto neo-liberale (e con un profilo liberista più temperato) per non essere estromesso completamente dall’arco parlamentare, ma con una tribuna comunque più ridotta. Il “narratore con la zeppola”  Vendola, ovviamente, sarebbe ancillarmente al suo fianco.  
Futuro incerto e appannato.  Più che una scialuppa di salvataggio, un semplice salvagente.

Chi manca all’appello, dunque?  Ah, già…! Manca sempre la Sinistra. Quella di Classe, per di più…!

Dalla padella alla brace.
Infine, il “programma”  principale del governissimo prossimo futuro, ovvero la riforma del sistema elettorale tesa a superare il famigerato “porcellum”, non è neanche detto che si traduca in meglio.

La buttiamo lì, senza star troppo a proseguire, seguendo un “ragionamento” (sic!) che oggi va per la maggiore ma che ci ripugna: riteniamo purtroppo probabile l’adozione di un sistema di governo “francese”, ovvero un presidenzialismo a doppio turno come coerente conseguenza di vari fattori. 
 
- La delegittimazione degli organi costituzionali “ordinari”, il Parlamento in primis, ma anche la Magistratura e lo stesso Stato Nazionale. Attacchi interni eversivi (dalla Lega dei primi anni ’90 ad arrivare a Grillo col M5S), ed attacchi esterni (UE, BCE, FMI, NATO) hanno ben chiarito lo stato di estremo asservimento dell’Italia a poteri transnazionali ben più forti ed importanti del nostro ordinamento costituzionale nazionale.
- La necessità, dunque, di una “governance”  aliena da dinamiche partitiche e da interessi particolari (e/o “personali”) ma pienamente inserita nella partita della competizione globale del Capitale.
- La necessità di espungere qualsiasi forza “terza”  possa pregiudicare un bipolarismo simmetrico e speculare, e soprattutto omogeneo agli indirizzi dei poteri di cui sopra.
- L’esercizio “de facto” di un progressivo presidenzialismo inaugurato da Cossiga e via via rafforzatosi nei venti anni di Seconda Repubblica, da Scalfari, passando per Ciampi, per arrivare alle vette raggiunte da Napolitano e “santificate”  dai media e dall’establishement.

La definitiva istituzione “de jure”  del sistema si tradurrebbe, dunque, nella ratifica di una pratica ormai consolidatasi a danno degli spazi di democrazia rappresentativa invece previsti dalla Costituzione.
Va da sé che questa ultima mossa avverrebbe con l’implicita intenzione di eliminare da qualunque gioco politico (per quanto ininfluente si possa dimostrare ai fini pratici, proprio per quanto su detto) ogni forza “estranea”  o anche minimamente incompatibile o anche blandamente “sospetta” con questo “nuovo ordine”. 
Si imporrebbe, cioè, un concentrato di bipolarismo nonostante questi si sia rivelato proprio il grande sconfitto delle ultime elezioni, sia pure ad opera di un soggetto (Grillo) che non rifiuta lo stesso sistema, anzi… tenda soltanto a sostituire uno dei due poli attuali. Le stesse consultazioni on line sul nome da proporre ai parlamentari grillini per la votazione del Presidente Repubblica alludono ed approcciano in maniera “democratica e diretta”  all’elezione popolare del Presidente da parte di tutti i cittadini.

In questo contesto, al momento difficile da immaginare granché diverso, le politiche sociali che si abbatteranno sulle nostre spalle avranno la benedizione pressoché unanime di tutte le forze oggi presenti in Parlamento. Da quelle di Governo a quelle di opposizione (quale, poi…?).
I segnali di esistenza in vita di una Sinistra capace di ribaltare, o anche più modestamente modificare, la situazione sono sempre più deboli.

A partire da ciò, ogni ragionamento e considerazione dovrebbe venire da sé.
Invece…

Un saluto.                             ProletariaVox

 
 
 

Fionde contro carri armati - la disfida di Bologna

Post n°919 pubblicato il 09 Aprile 2013 da VoceProletaria

Fionde contro carri armati
La disfida di Bologna

di Wu Ming,  08.04.2013

Potrebbe sembrare una questione locale, invece sta decisamente debordando dai confini cittadini, per le implicazioni politiche che porta con sé. Il 26 maggio 2013 i bolognesi dovranno esprimersi sul seguente quesito:
Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole di infanzia paritaria a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali
b) utilizzarle per le scuole paritarie private
Da un paio di settimane la battaglia referendaria sul finanziamento comunale alle scuole paritarie private bolognesi è entrata nel vivo. Da una parte sono schierati tutti i poteri forti cittadini, a difesa dell’attuale sistema integrato pubblico/privato; dall’altra un comitato referendario indipendente, senza mezzi e senza fondi, che però ha prodotto un appello nazionale firmato da alcune delle più importanti personalità italiane, tra cui Rodotà, Settis, Camilleri, Hack, Gallino (e che tutti possono firmare qui).
La posta in gioco è un milione di euro che il comune di Bologna versa ogni anno alle scuole paritarie private, cioè a 25 istituti di impronta confessionale e a due istituti laici, tutti a pagamento, con rette che vanno dai duecento ai mille euro al mese.
L’emergenza è rappresentata dall’esaurimento dei posti disponibili nella scuola pubblica. All’inizio di quest’anno scolastico, 423 bambini sono rimasti esclusi dalla scuola materna pubblica e il comune ha dovuto correre rocambolescamente ai ripari, senza riuscire a soddisfare le domande di tutti: 103 bambini sono rimasti comunque fuori, a fronte di 96 posti ancora disponibili nelle scuole paritarie private. Evidentemente si tratta di famiglie che non possono pagare le rette o non vogliono impartire ai propri figli un’educazione confessionale.
L’iniziativa dei referendari ha già ottenuto un primo risultato pratico. Il comune insieme ai partiti della maggioranza consiliare, al M5S, ai sindacati confederali e all’Usb, ha inviato una lettera a Roma per chiedere da parte dello stato più impegno, diretto o indiretto, per le scuole bolognesi. Bologna infatti è la città dove il coinvolgimento statale nella scuola è di gran lunga minore in rapporto a quello comunale.
Questo atto congiunto non è stato pensato l’anno scorso, quando è scoppiata l’emergenza materne, ma è cosa degli ultimi giorni, conseguenza diretta della campagna referendaria. Per questo non è difficile interpretarlo anche come un’azione strategica del comune per depotenziare il referendum del 26 maggio, mostrando una tardiva iperattività. Tuttavia la lettera chiede che, in alternativa a un impegno diretto, lo stato “finanzi con risorse aggiuntive il comune, perché possa proseguire il suo impegno”. Non è specificato però se il comune utilizzerebbe quei soldi statali per darli alla scuola pubblica o a quella paritaria privata. Ne consegue che il valore del quesito referendario non solo viene confermato, ma addirittura rafforzato dalla lettera congiunta di politici e sindacalisti.
Manovra a tenaglia e partita truccata
L’ambiguità viene parzialmente sciolta dal partito di maggioranza, il Pd, che si è mosso in parallelo, lanciando una propria petizione cittadina.
La richiesta allo stato è di assumere “la gestione diretta di più scuole dell’infanzia” oppure assicurare al comune “i fondi necessari affinché possa proseguire il suo impegno” (più o meno le stesse parole utilizzate nella lettera di cui sopra). In questo caso appare più chiaro che secondo il Pd l’impegno del comune dovrebbe essere indirizzato al mantenimento dello status quo. Si legge infatti in testa alla petizione: “Un sistema integrato per dare risposta a tutte le famiglie”. Ancora una volta quindi, non viene affermata la precedenza per la scuola della costituzione, cioè quella pubblica, gratuita, pluralista e non confessionale.
C’è poi una contraddizione della quale è ben difficile tacere: il Pd ha appoggiato il governo Monti, quello che più di tutti, in Europa, ha scaricato sull’istruzione pubblica i costi della crisi, con tagli indiscriminati, a fronte di un aumento degli stanziamenti per la scuola privata. Fa un po’ ridere che oggi gli stessi che predicavano tagli e austerità affermino con voce stentorea: “Ora basta. Lo stato faccia la sua parte”. Quando si sono lasciate scappare tutte le vacche dalla stalla tenendo spalancata la porta, dopo si può sbarrarla con tutta la forza che si vuole, ma la credibilità ne risente.
Intanto il Pd e gli amministratori, uniti nella lotta per l’opzione B, iniziano un tour propagandistico per i quartieri di Bologna, in difesa del sistema integrato. Il sindaco Virginio Merola, che per il suo ruolo dovrebbe fare da garante e arbitro della contesa referendaria, ha deciso di scendere in campo con la maglia di una delle due squadre, con una bella B stampigliata sopra. Lo stesso farà l’assessore alla scuola. Ci si abitua talmente a evocare i conflitti d’interessi altrui da non vergognarsi più di mettere in mostra i propri. Così, mentre fa propaganda per l’opzione B, il primo cittadino annuncia di volere istituire soltanto 200 seggi, i quali – statistiche alla mano – garantirebbero l’accesso al voto per meno del 40 per cento degli aventi diritto. Se si considera che tanto una scarsa affluenza al voto quanto la vittoria della B sono risultati utili per la compagine politico-amministrativa del sindaco, il sospetto che si stia giocando scorretto nasce spontaneo.
School connection
L’indizione di questo referendum ha anche il merito di portare alla luce una connessione d’interessi politici ed economici trasversali. Per rendersene conto è sufficiente osservare la composizione del tavolo alla conferenza stampa di presentazione del comitato pro-B.
Come campione è stato scelto un personaggio di levatura nazionale, il professor Stefano Zamagni (classe 1943), il cui curriculum parla da solo. Docente di economia all’università di Bologna, già insegnante alla Bocconi, presidente dell’Agenzia per il terzo settore, membro della New York Academy of Science, nonché consulente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, membro della Pontificia accademia delle scienze sociali, già consulente di papa Benedetto XVI.
Al suo fianco in conferenza stampa, Walter Vitali, senatore del Pd, due volte sindaco di Bologna negli anni novanta, e un paio di ex assessori delle medesime giunte, ovvero i fautori del modello integrato di scuola pubblico/privato, varato nel 1995.
A seguire, il segretario cittadino della Cisl; il presidente nazionale di Federcultura-Confcooperative; l’ex pro rettrice dell’università.
Insomma, dietro allo stesso tavolo parlano con una sola voce la burocrazia del partito di governo cittadino, i baroni universitari, le cooperative bianche, il sindacato d’ispirazione cattolica.
Ciò che unisce questi apparati di potere è l’intesa che si produsse tra ex comunisti ed ex democristiani a metà anni novanta, quando si doveva formare l’Ulivo e dare avvio al percorso che anni dopo sarebbe approdato alla nascita del Partito democratico. Il terreno di scambio fu appunto la scuola, ovvero l’apertura al finanziamento pubblico alle scuole private cattoliche. La convenzione venne infatti firmata con la Federazione italiana scuole materne (cattoliche).
Poco dopo, le giunte Vitali si resero responsabili anche della privatizzazione delle farmacie comunali, che portavano nelle casse pubbliche due miliardi di vecchie lire all’anno. L’operazione fu conclusa dopo che, nel 1997, un referendum consultivo era stato vinto dai contrari alla privatizzazione, ma data la scarsa affluenza alle urne (36 per cento), l’amministrazione tirò diritto e vendette le farmacie. Curatore di quella dismissione fu un altro professore d’area cattolica, l’allora assessore al bilancio Flavio Delbono, coautore insieme al professor Zamagni di un manuale di economia.
Le giunte Vitali degli anni novanta, che giustificarono le proprie politiche a colpi di “modernizzazione” e “superamento degli steccati ideologici”, riuscirono nella non facile impresa di minare il più solido sistema di welfare dell’Europa occidentale, costruito dalle giunte rosse del dopoguerra, e di fare perdere alla sinistra il governo della città dopo quarantacinque anni. Nel 1999 le elezioni amministrative vennero vinte da Giorgio Guazzaloca, già presidente dell’Associazione commercianti, appoggiato da Berlusconi.
Per rivincerle, cinque anni dopo, gli allora Democratici di sinistra dovettero far precipitare in città un pezzo grosso, Sergio Cofferati, che si rivelò una personalità decisamente fuori misura e del tutto estranea al contesto locale, al punto da inimicarsi praticamente chiunque e rinunciare a una ricandidatura. Quindi è stata la volta di Flavio Delbono, ripescato per l’occasione dal Pd, a dimostrazione dell’incapacità di uscire dalle secche del decennio precedente. Delbono è durato poco più di sei mesi, dopodiché ha dovuto dimettersi travolto da uno scandalo per uso improprio di fondi pubblici (“Cinziagate”), in seguito al quale ha patteggiato la pena a un anno e otto mesi per peculato, truffa aggravata, intralcio alla giustizia, induzione a rilasciare false dichiarazioni, abuso d’ufficio. Questo con buona pace del collega e amico Zamagni che aveva dichiarato: “Delbono è una persona seria. Sono certo che non abbia utilizzato fondi pubblici per fini privati” (intervista all’Unità, 17 giugno 2009).
A seguire: il lungo periodo di commissariamento affidato ad Anna Maria Cancellieri, che in città si è guadagnata i galloni per diventare ministro degli interni del governo dei tecnocrati montiani. Infatti Bologna è stata un laboratorio anche per la svolta “tecnica” del potere esecutivo nazionale.
Alla fine di questa discesa libera, eccoci all’attuale sindaco, Virginio Merola, che eredita il disastro politico di un ventennio e fa quello che può con i mezzi che si ritrova, finendo a giocare una partita che dovrebbe invece arbitrare.
Ecco chi sono gli sponsor dell’opzione B.
Insieme ovviamente al Popolo della libertà, alla Lega nord, alla curia e a Comunione e Liberazione.
B-side
“È evidente che si tratta di persone malate di ideologismo”, ha affermato il professor Zamagni in un’intervista, a proposito dei promotori del referendum. E ha aggiunto che la motivazione ideologica dei referendari sarebbe “ispirata a un laicismo che si sperava fosse scomparso”.
È un vecchio trucco: spacciare per ideologia la rivendicazione di un diritto, in questo caso quello alla scuola pubblica. La parola “diritto” infatti non compare nemmeno una volta nel Manifesto a favore del sistema pubblico integrato bolognese della scuola dell’infanzia, promosso dal professor Zamagni.
Il motivo è semplice: i diritti o sono universali o non sono diritti; e se sono universali allora possono essere esercitati solo superando gli elementi di discriminazione, di esclusività, di privilegio. Ora, fino a prova contraria, una scuola che applichi vincoli di censo o di confessione religiosa non è una scuola inclusiva, ma esclusiva. È cioè una scuola che non può riconoscere l’istruzione come diritto universale, ma tutt’al più la libertà di scelta del modello d’istruzione che si preferisce.
Nel loro manifesto infatti Zamagni & co. parlano di “libertà di scelta educativa”, e con questo intendono dire che con le tasse di tutti ognuno dovrebbe potersi finanziare l’educazione che vuole. Se affermassimo questo principio dovremmo conseguentemente accettare di finanziare qualunque tipo di scuola: non solo quelle cattoliche, quelle steineriane, e perfino quelle che applicano rette salatissime – come già avviene -, ma anche le eventuali scuole islamiche, quelle “padane”, quelle laiciste, o quelle di qualsivoglia compagine sociale. In questo modo, invece di una società basata sulla convivenza tra diversi produrremmo una società a compartimenti stagni e nella quale alcune categorie sociali (i benestanti, gli appartenenti a una data confessione religiosa, etc.) avrebbero il proprio welfare su misura, mentre i poveri ne avrebbero un altro. È il modello di certi paesi anglosassoni, dove quella pubblica è la scuola di chi non può permettersi una propria scuola. Una scuola di serie… B, appunto.
In barba alla petizione del Pd, Zamagni non nasconde che sia proprio questa la prospettiva: “Tutti sanno − anche i referendari − che le risorse statali a favore delle scuole materne, e non solo, sono destinate a diminuire. Proprio per questo, cosa fa il saggio amministratore in questi casi? Cerca di siglare delle alleanze strategiche con altri soggetti della società civile per accumulare una quantità maggiore di risorse”.
Si dà insomma per scontato che la scuola pubblica verrà piano piano abbandonata in favore di una sempre maggiore integrazione di quella privata nel sistema pubblico. Significa che se l’istruzione sarà sempre più a carico dei privati, chi potrà spendere di più avrà accesso a scuole migliori. Ecco qual è il futuro che stanno preparando i paladini dell’opzione B, mentre fanno firmare petizioni per chiedere l’intervento dello stato. Tanto è vero che il loro refrain è che minacciare il sistema integrato significa “mettere a repentaglio la possibilità di assicurare a molti bambini la frequenza della scuola d’infanzia” (Zamagni dixit). Purtroppo per i bambini e le loro famiglie, invece, è l’attuale sistema integrato che non garantisce più il diritto alla scuola per tutti, dato che i posti alla scuola pubblica bolognese non sono più sufficienti a soddisfare la domanda, mentre nella scuola privata paritaria i posti avanzano. Preannunciare catastrofiche conseguenze nel caso di vittoria dell’opzione A, serve a nascondere il fatto che il sistema che si vuole difendere ha già clamorosamente fallito il suo obiettivo.
La srà dûra!
All’accusa di ideologismo di Zamagni si è aggiunta quella dell’ex sindaco Vitali, che ha tacciato i sostenitori dell’opzione A di “statalismo”, perché vorrebbero tornare alla gestione interamente pubblica della scuola pubblica.
Viene da chiedersi cosa ci sia di più statalista della sussidiarietà orizzontale, cioè del modello d’istruzione integrato pubblico/privato. A guardare bene non è niente di nuovo, è il buon vecchio assistenzialismo statale all’impresa privata che questo Paese conosce bene. Perfino le forme ricattatorie sono le stesse: i sostenitori dell’opzione B affermano che senza i contributi comunali, le scuole private paritarie sarebbero costrette ad aumentare le rette, quindi perderebbero iscrizioni. Come a dire: o mi sovvenzioni o metto la gente (anzi, i bambini) in mezzo alla strada.
Neanche a dirlo, la rete di clientele politiche ed economiche mobilitata per difendere la school connection è estesissima. Si va dalle cooperative – bianche e rosse – alle baronie universitarie; dalle gerarchie sindacali alla burocrazia di partito; dalle parrocchie alla associazioni che vivono di sovvenzioni e finanziamenti comunali. Il sistema di potere cittadino sta muovendo le corazzate per schiacciare l’ipotesi di un cambiamento di rotta riguardo alla scuola per l’infanzia.
Sarà dura per i referendari, che possono contare soltanto sulle proprie forze. Eppure questa battaglia, apparentemente folle, clamorosamente impari, merita d’essere premiata con tutta l’attenzione anche da fuori città. Comunque andrà a finire, infatti, sarà un piccolo grande esempio di come sia possibile sfidare dal basso il potere sul terreno degli interessi comuni, mettendone in risalto i compromessi e le ambiguità.

 
 
 

Io sono Legenda

Post n°918 pubblicato il 27 Marzo 2013 da VoceProletaria

Io sono Legenda

di Alessandra Daniele,  25.03.2013

Gli attuali sviluppi della politica italiana stanno suscitando molto interesse negli osservatori stranieri, che ne seguono il tormentato percorso, riprendendolo a distanza con gli smartphone, per poi mostrarlo agli amici increduli. Pubblichiamo quindi a loro beneficio una legenda delle principali definizioni in uso nel dibattito politico italiano.
Tecnici - Cialtroni incapaci
Responsabili - Corrotti voltagabbana
Moderati - Rabbiosi estremisti
Sondaggi - Cifre sparate a cazzo di cane
Esperti di flussi elettorali - Cazzari
Esperti di nuovi media - Cazzari
Esperti di medicine alternative - Cazzari
Economisti - Cazzari
Popolo della Rete - Ignoranti
Società civile - Ignoranti
Volti nuovi - Ignoranti
Giovani - Quaranta-cinquantenni cazzari e ignoranti
Figure istituzionali - Rincoglioniti
Libertà - Legge del più ricco
Democrazia diretta - Legge del più ricco
Larghe intese - Legge del più ricco
Governo istituzionale - Legge del più ricco
Liberalizzazione del mercato del lavoro - Licenziamenti
Misure a sostegno dell'impresa - Licenziamenti
Misure a sostegno delle banche - Tasse
Manovre aggiuntive - Tasse
Interventi strutturali - Licenziamenti e tasse
Trasparenza - Propaganda
Telegiornale - Propaganda
Discorso istituzionale - Propaganda
Intervista - Marchetta
Olgettine - Puttane
Ragazze immagine - Puttane
Animatrici - Puttane
Nipoti di Mubarak - Puttane
Riforme istituzionali - Puttanate
Al più presto - Mai
Appena possibile - Mai
Nei primi cento giorni - Mai
Assolutamente mai più - Subito
Vittima d'una persecuzione giudiziaria - Ladro
Innocente fino al terzo grado di giudizio - Ladro
Grande risorsa imprenditoriale per il paese - Ladro e sfruttatore
Imprenditore prestato alla politica - Ladro, sfruttatore, cazzaro, ignorante, e puttaniere.
Sperando che questa legenda sia stata utile agli osservatori stranieri in Italia, ricordiamo loro di non dare cibo agli scilipoti, e non attraversare la corsia di scorrimento veloce sulla quale I Due Marò vanno e vengono dall'India. Soprattutto però gli raccomandiamo la regola più importante: divertitevi! Dopotutto a che altro serve l'Italia?

 

 

 

 
 
 

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