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Quando nel 1928 i Ch’en videro la fama ottenuta a Pechino da Yang Lu Ch’an, acconsentirono che Ch’en Chao Pi (1893-1973) accettasse l’invito del farmacista Tung Jen T’ang a recarsi nella capitale. Diventato anch’egli famoso, Ch’en fu chiamato a insegnare agli ufficiali militari di stanza a Nanchino, così chiese e ottenne che a Pechino si recasse a insegnare in sua vece il suo celebre zio Ch’en Fa K’o (1887-1957), che inizierà la diffusione del Ch’en T’ai Chi in tutta la Cina. Oggi i rappresentanti più noti di questo stile sono Ch’en Hsiao Wang e suo cugino Ch’en Chen Lei, i quali ricevettero insegnamenti proprio dai maestri della 18ª generazione Ch’en Chao Pi e Ch’en Chao Kui, quest’ultimo figlio di Ch’en Fa K’o. Quando fu invitato a insegnare alla corte imperiale, frequentando soprattutto il principe Tuan e i soldati Ch’ing, Yang Lu Ch’an iniziò a modificare il proprio metodo di T’ai Chi, tenendo conto della preferenza dei dignitari per gli aspetti salutari della pratica. Inoltre si dice che egli non volesse insegnare i segreti più riposti dell’arte agli odiati manchi. L’evoluzione ulteriore, fino alla denominazione di un sottostile Yang, avvenne con i due figli di Lu Ch'an (il primo figlio, Feng Hou, morì precocemente) Pan Hou (1837-1892) e Chien Hou (1839-1917), nonché coi nipoti Yang Shao Hou (1862-1930) e soprattutto Yang Ch'eng Fu (1883-1931). Yang Pan Hou, che si diceva fosse in grado di camminare nel fango senza sporcarsi i piedi e persino di levitare, fu anche maestro di Wu Chien Yu (1834-1902), il cui figlio Wu Chien Ch’üan (1870-1942) creò un altro sottostile di T’ai Chi Ch’üan. Nella generazione successiva, Yang Shao Hou, figlio maggiore di Yang Chien Hou, ha fama di maestro e combattente estremamente severo, tanto che si dice abbia ucciso diversi avversari. Probabilmente continuava la tradizione del nonno, i cui allenamenti erano così duri che in gioventù i suoi due figli tentarono di sottrarvisi in ogni modo. Le tecniche di Shao Hou sono più corte, essenziali e aggressive rispetto allo stile di Yang Ch’eng Fu. Quest’ultimo, fratello minore di Shao Hou, da bambino non amava il T’ai Chi, ma una volta appassionatosi all’arte vi si dedicò con assiduità, diventando un grande maestro e un combattente temibile; anche grazie alla sua stazza massiccia e alla lunga pratica statica delle posizioni, che portarono la sue energia intrinseca ch’i a livelli inimmaginabili. Ku Li Hsin ha scritto di lui: «Quando faceva una dimostrazione di T’ai Chi Ch’üan i suoi calci erano potenti e veloci e benché i suoi pugni fossero lanciati con morbidezza, erano duri come una sbarra d’acciaio avvolta nel cotone». quasi pigramente e parlava di rado, tanto che gli allievi pare avessero paura di fargli domande. Questa espansione smisurata ha fatto dello Yang shih T’ai Chi Ch’üan lo stile di kung fu più praticato, ma sovente ne ha anche intaccato la qualità. Fin da Yang Ch’eng Fu, infatti, esso è stato insegnato alle masse in maniera semplificata ed edulcorata, soprattutto come esercizio fisico salutare. Nel secolo scorso si è infine diffusa tutta una serie di scuole minori di T’ai Chi: per esempio Chang p’ai T’ai Chi Ch’üan, Hung p’ai, Li p’ai, Ying Chia, Ch’an Men, Jiu Kung, Ju I, Ching Kung Ch’an Sze, Pa Kua T’ai Chi e Hsing I T’ai Chi (nati mischiando al T’ai Chi Ch’üan rispettivamente lo stile Pa Kua Chang e lo Hsing I Ch’üan). I lati più profondi del T’ai Chi, con il suo importante bagagliomarziale, sono stati invece riservati a pochi discepoli, tra cui il maestro CHANG DSU YAO, che ebbe modo di studiarlo soprattutto con i maestri Liu Pao Ch’ün, Chang Ch’ing P’o. Yang Ch’eng Fu viaggiò per tutta la Cina diffondendo ampiamente il sottostile della sua famiglia e istruendo allievi divenuti famosi, come Ch’en Wei Ming, Tung Ying Chieh, il nipote Fu Chung Wen ed i suoi figli Yang Shao Chung, Yang Ch’en Ming e Yang Chen Tuo, oggi considerato in Cina Popolare caposcuola della branca di famiglia. In un libro scritto nel 1930, invece, Hsu Yu Shen testimonia che nel tempio Pao Fu di Pechino Yang Ch’eng Fu praticava le 108 tecniche della forma principale ben dodici volte al giorno. Sebbene ritenuto una persona socievole, durante le lezioni Yang Ch’eng Fu, come altri maestri, stava spesso seduto
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LA STORIA DEL T'AI CHI CH'UAN Mentre la “famiglia esterna” del kung fu fa affidamento in prima istanza su un tipo di attività fisica derivata essenzialmente da movimenti rapidi e vigorosi dell’apparato muscolo-scheletrico, gli stili interni, fin dall’inizio dell’addestramento, si basano soprattutto su funzioni più sottili e profonde, a volte persino esoteriche (ecco una ragione per l’uso del termine “interno”), del corpo umano, come il flusso dell’energia vitale ch’i. In realtà questa divisione torna ad essere artificiosa man mano che si diventa più esperti di kung fu, anche perché, essendo il corpo umano lo stesso, le situazioni marziali le stesse e le scoperte della civiltà sinica le stesse, va da sé che pressoché tutti gli stili tradizionali di arti marziali cinesi condividono gli stessi principi di base: per esempio uso dei vari aspetti di forze ed energie fisiche, come ching, ch’i e shen; alternanza equilibrata di opposti complementari: Yin e Yang, tensione (fino agli estremi dell’esplosione della potenza generata dal corpo) e rilassamento, eccetera; armonia tra i vari distretti corporei; rispetto e sfruttamento dei cinque costituenti simbolici della natura (Wu Hsing: legno, fuoco, terra, metallo e acqua) e ispirazioni ad altri concetti importanti del millenario pensiero cinese. A causa di questa unità inscindibile per natura bisogna comprendere che nella pratica di un metodo nei chia non è possibile prescindere da elementi esterni, come non potrà essere un vero esperto chi coltiva uno stile wei chia senza contemplare gli aspetti interni. Così si usa dire che col procedere della pratica, gli stili esterni si arricchiranno via via di lavoro sugli elementi “interni" e viceversa.Uno dei metodi di kung fu che si ispira in maniera complessa, fin dal suo nome, alla filosofia cinese, taoista in primo luogo, è lo stile interno T’ai Chi Ch’üan. Il termine T’ai Chi deriva appunto dall’antica cosmologia cinese e, col significato di “polarità” (Chi) suprema (T’ai)”, indica lo stato primigenio dell’universo in cui dal vuoto iniziale (detto appunto Wu Chi, “assenza di polarità”) prendono forma le coppie di elementi opposti e complementari il cui rapporto è alla base dei fenomeni seguenti dell’universo. Una dicotomia necessaria ben esemplificata visivamente dal noto simbolo grafico del T’ai Chi (T’ai Chi t’u). La formulazione finita del concetto di T’ai Chi come è stato tramandato si deve alla profonda speculazione taoista, e così si pensa che anche la creazione del metodo di pugilato omonimo abbia risentito massicciamente della misterica comunità di seguaci del Tao.
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