Creato da Mrs.Ramsay il 12/12/2005
Libri, poesie e citazioni letterarie
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Benvenuti "Al faro"
da "Al faro" di Virginia Woolf
Qui, ogni faro è un libro che ho letto: è un nuovo porto, un posto da visitare, una storia da conoscere. Una storia che ha, più o meno, illuminato me e che racconto a voi perchè possa dare a voi quello che di buono ha dato a me.
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Tutti conoscono la storia della guerra di Troia, ma pochi la conoscono dal punto di vista di Elena, la bellissima donna che l'ha provocata. E' lei la protagonista di questo bellissimo romanzo, appassionante e scritto in modo accattivante.
Elena nasce a Troia dalla madre Leda e da Zeus. La sua infanzia è triste ed isolata, priva dell'affetto del padre, che non la considera come una figlia, e della sorella Clitennestra, gelosa della sua bellezza.
Una volta cresciuta viene rapita da Teseo, del quale si innamora perdutamente ma che dovrà poi lasciare per andare in sposa a Menelao, fratello del marito di Clitennestra, Agamennone.
Quando conosce il troiano Paride, capace di suscitare in lei una vera passione, ho riconosciuto nei suoi i pensieri che mi stanno attraversando la mente in questi giorni. Non è facile lasciare un rapporto importante, con tante certezze, più o meno buone, per abbandonarsi a emozioni nuove, persone nuove. Ammiro il suo coraggio, il suo lasciarsi trasportare da quella sensazione incontrollabile che così, a pelle, una persona può suscitare.
Poi Menelao torna a prenderla, dichiarando guerra a Troia.
Qui secondo me il libro inizia a perdere fascino, infatti predomina il racconto di guerra e si toglie spazio ai pensieri personali di Elena che, secondo me, sono poi la parte più interessante del libro.
Nel complesso il racconto è però molto piacevole, scorrevole, scritto bene e appassionante. Se Leslie Carroll dovesse pubblicare qualcos'altro dello stesso genere sicuramente lo comprerei.
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Questo libro fa parte di quelli che rimangono sul mio comodino per mesi (o anni) prima di essere finiti. L'avevo comprato in un periodo in cui mi interessavo maggiormente di psicologia e poi ho alternato momenti in cui divoravo le pagine a mesi in cui proprio non lo consideravo. Con questo non voglio dare subito un giudizio negativo, anzi: Vera Slepoj scrive in modo molto semplice e chiaro, facilmente comprensibile anche a chi la psicologia non la pratica di mestiere.
- Il libro è suddiviso in più parti ed analizza i sentimenti positivi e quelli "negativi", i sentimenti dei giovani e quelli degli anziani, i sentimenti individuali e quelli collettivi.
Da un lato sapere cosa condiziona il nostro modo di essere e di agire mi incuriosisce; dall'altro penso che in fondo, a volte, non ci sia bisogno di scavare alla ricerca di tutte le motivazioni delle nostre azioni e dei nostri comportamenti, ma ci si possa lasciar andare... Penso che sia lecito e giusto cedere ai sentimenti e viverli senza analizzarli.
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All'inizio la mia reazione è stata questa:
"Qualcuno mi spieghi questo libro. Mi spieghi qual è il suo senso, qual è il significato di tutti questi paroloni, di tutte queste pagine così erudite ma allo stesso tempo così vuote... Qualcuno di tutti quelli che lo amano così tanto me lo spieghino perchè io, davvero, non lo sto nè apprezzando nè capendo".
I primi racconti della raccolta non mi sono piaciuti, li ho trovati troppo tecnici, troppo incentrati su temi puramente letterari e privi di un messaggio particolare. Poi sono arrivata a "Le rovine circolari", a "La biblioteca di Babele" (da cui è tratta la citazione del precedente post e che parla della Biblioteca di Babele come metafora della conoscenza e della vita dell'uomo) e da lì in poi mi sono ricreduta, devo ammettere di essere rimasta affascinata dall'abilità dell'autore con le parole... Riesce a tenere un racconto sospeso tra finzione letteraria e realtà, tanto da confonderle, con un'abilità davvero straordinaria.
Nel complesso, pur essendo chiaro che Borges è davvero impeccabile in quanto a stile e in quanto a cultura, secondo me il libro, nel suo complesso, non è all'altezza di alcuni racconti veramente imperdibili in esso contenuti.
"La Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. Aggiungo: infinita."
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"La Biblioteca è illimitata e periodica.
Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l'Ordine).
Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine".
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Raramente (o forse mai?) mi è capitato di apprezzare davvero un libro di racconti. Non ne sono per niente appassionata. In genere mi danno l'idea di storie insipide, prive del fascino e incapaci di coinvolgermi. Sarà che ultimamente il tempo è sempre poco e che la prospettiva di dover leggere poche pagine mi si presenta più rilassante dell'affrontare un librone, sarà l'argomento del libro, ma l'ho letto veramente volentieri.
"L'assassino degli scacchi" è il titolo di uno dei racconti. Ogni racconto è il pretesto per parlare di un argomento matematico che in un modo o nell'altro ha a che fare con la vita quotidiana. I temi sono vari, chi gioca a scacchi, chi deve giocarsi l'eredità di un parente facendo funzionare una sua invenzione, chi si perde in un labirinto...
Forse i racconti non sono scritti in modo perfetto, è chiaro che Brenot non è uno romanziere, ma il risultato è comunque buono. Le parti che ho preferito e apprezzato di più sono però state i "post racconti", dei paragrafi in cui sono spiegati, in modo chiaro e comprensibile anche a chi non ha studiato matematica, gli argomenti toccati nel racconto (topologia, teoria dei giochi, geometria di base, pi grego...).
Cosa c'entra la matematica con la vita quotidiana? Beh, senza la matematica non esisterebbe l'economia, non potremmo fare una tac nè una visita radiologica, non esisterebbero i computer, i bancomat, e la lista potrebbe continuare indefinitivamente... Questo libro è solo un piccolo assaggio.
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Era tanto tempo che non mi succedeva di essere trasportata così da un libro, di essere catapultata in modo così intenso nella vita di altre persone.
Indubbiamente l'ho scelto per il titolo. Una sola parola, ma intensa. Penso che il tradimento, di qualunque tipo, sia uno dei gesti che più possono segnare una persona.
Per quanto riguarda il tradimento all'interno di una coppia (perchè è di questo che si parla nel libro, di una famiglia, di una coppia distrutta) non mi è mai successo di tradire, non è mai stato nella mia natura, non ne ho mai avuto il desiderio, e, penso, spero, che nessuno l'abbia fatto a me.
Il tradimento è una macchia, una rottura, una ferita che non si può cancellare.
Questa storia, la storia di traditi e di traditori, è un agghiacciante racconto di come ci si sente, da una parte e dall'altra, quando questo succede, è una storia delle estreme conseguenze che un simile gesto può provocare e delle due facce che può avere: il tradimento può essere sia la causa della fine di un amore che una conseguenza di una rottura già in atto. Ad ogni modo è un gesto che io disapprovo fortemente e che non riesco ad accettare.
Un pò di delusione per il finale del libro e per l'intromissione di una persona esterna a rubare la scena, ma nel complesso questa storia merita davvero di essere letta.
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Non so se sia una deformazione mia, che non apprezzo più come un tempo il romanzo che tratta temi di psicologia e di psichiatria, ma a differenza degli altri due libri che ho letto di McGrath, Follia e Grottesco, ho davvero fatto fatica ad arrivare alla fine.
Forse era proprio il personaggio in sè a non convincermi, la storia a non interessarmi più di tanto ma davvero sono rimasta delusa e annoiata.
Si parla Dennis, un uomo che vive insieme a delle "anime morte" in una pensione di Londra. Qui rivive il suo passato, la sua infanzia, raccontandola nel suo diario. Era un bambino triste e infelice che viveva con i genitori, un padre alcolizzato e una madre affettuosa con lui ma sempre afflitta e turbata dai comportamenti e dai tradimenti del marito. La vita trascorre triste e monotona fino a che la madre scompare e al suo posto arriva l'amante, a impossessarsi dei sentimenti e delle attenzioni del padre, a sostituirsi in tutto e per tutto (tranne che nell'affetto per lui) alla madre. Ai vicini si racconta che la madre è tornata in Canada dalla sorella ma Dennis (che si soprannomina Spider) sa, o crede di sapere, cosa le è successo veramente...
"Se mai avete avuto un diario, saprete che certe sere è quasi impossibile buttare giù anche una sola frase, mentre altre volte le parole fluiscono sulla carta ora dopo ora finchè non si è svuotati, e allora si ha l'impressione non di aver scritto, ma si essere stati scritti. [...poche pagine dopo...] ed è per questo che sono così incline al terrore adesso, perchè sono sempre consapevole del pericolo di rottura, che a sua volta mi spinge a desiderare il controllo, che che spiega perchè la sensazione di essere plagiato, ingabbiato, scritto, mi fa così disperatamente paura. Perchè ciò che può scrivermi, senza dubbio più anche distruggermi".
Forse sono stati questa storia poco coinvolgente, povera di colpi di scena (era chiaro fin dall'inizio che Dennis aveva dei problemi e che la sua realtà era ben diversa dalla vera realtà), e lo stile non ben definito (davvero si fa fatica a capire quando emerge Spider e quando Dennis, quando emerge il bambino e quando emerge l'adulto; sembra quasi, e non mi è chiaro se è voluto o no, che in più di vent'anni sia rimasto sempre la stessa persona) che hanno contribuito a non farmi davvero apprezzare questo libro come gli altri due.
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"Col tempo, sviluppai il mio sistema a due teste. Il davanti della mia testa lo usavo con le altre persone in casa, il dietro lo usavo quando mi trovavo da solo. [...] Il dietro era la parte reale della mia vita, ma per tenere fresco e sano quanto vi albergava dovevo avere un davanti che lo proteggesse, come i pomodori in una serra. Così, quando ero da basso, parlavo e mangiavo e mi muovevo, e ai loro occhi ero io, ma solo io sapevo che "io" non ero lì: quello che loro vedevano era solo la serra; io ero dietro, dove viveva Spider, davanti c'era Dennis".
Quante volte abbiamo avuto due o più facce... E non per ipocrisia. A volte avere due facce serve per sopravvivere.
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Mentre riordinavo la mia stanza ho trovato una decina di fogli che avevo scritto 3-4 anni fa, mentre leggevo "Guerra e pace", e mi sono accorta di non averne mai parlato su questo blog.
Non è stato facile prenderlo in mano, il libro di Tolstoj ha davvero l'aspetto di un mattone insormontabile, ma devo dire che l'ho letto con vero piacere e che ho ancora tanti cari ricordi.
La storia si svolge nei primi decenni dell'Ottocento durante la campagna napoleonica in Russia, e sono due i centri della narrazione: la vita degli uomini in guerra e la vita delle loro famiglie, di chi la guerra la vive da lontano.
Indubbiamente io ho preferito la seconda parte. La storia mi interessa ma le pagine di pura storia mi annoiano. A me piacciono le storie delle persone, delle singole persone.
Ma più di tutto mi piace moltissimo lo stile di Tolsoj, lo stile "classico", la narrazione corposa, completa, con le storie di tanti personaggi diversi, ben delineati e con forte personalità, le cui storie si intrecciano tra loro.
Un libro intramontabile, che ha davvero lasciato il segno.
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"All'avvicinarsi del pericolo, due voci parlano sempre ugualmente alto nell'anima dell'uomo; l'una dice molto ragionevolmente di riflettere alla qualità stessa del pericolo e al mezzo di evitarlo. L'altra dice, ancora più ragionevolmente, che è troppo penoso, troppo tormentoso pensare ai pericoli, quando prevederli tutti e scansarli non è in potere dell'uomo, di modo che val meglio, distogliersi dalle cose penose sino a che non giungano, e pensare alle cose piacevoli".
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il 19/04/2011 alle 12:52
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il 25/03/2009 alle 03:48