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LORENZO CALOGERO, UN POETA DA RISCOPRIRE

Post n°56 pubblicato il 07 Gennaio 2009 da alfredofiorani
 
Tag: Autori

Lorenzo Calogero nasce a Melicuccà (RC) il 25 maggio 1910. Consegue la laurea in medicina nel 1937. Nel ’42 tenta il suicidio. Nel ’54 gli viene affidato l’incarico di medico condotto a Campiglia D’Orcia (SI) che abbandona l’anno dopo. Nel ’56 viene ricoverato a Villa Nuccia (CZ), una clinica per malattie nervose. Qui, tenta ancora il suicidio. Un nuovo ricovero imposto agli inizi del ’58 si protrarrà fino alla metà del ’59. Tornato a Melicuccà, visse isolato alla periferia del paese dove fece un uso incontrollato di caffé, sigarette e sonniferi. Morì misteriosamente fra il 22 e il 25 marzo del 1961.
         Questa è, in sintesi, la vita di una delle voci più alte e controverse della poesia del ‘900 italiano. Misconosciuto al grande pubblico e spesso ignorato anche dagli addetti ai lavori, Lorenzo Calogero è, con Dino Campana (anche lui internato, nell’ospedale di Castel Pulci), l’unico poeta orfico del secolo scorso.
    Ma, anche se la posterità non ha trovato ancora un consenso unanime sull’opera calogeriana, ciò non esclude che vi siano stati rilevanti contributi critici come quelli di Montale, Luzi, Zampa, Spagnoletti, Piromalli, Lanuzza e, in special modo, l’attenzione di Leonardo Sinisgalli, al quale Calogero inviò una copia di MA QUESTO… pregandolo di recensirlo “anche se dovesse dirne tutto il male che si può immaginare.” Invece, è proprio Sinisgalli che intuisce per primo le qualità del poeta e si offre di firmarne la prefazione.
L’attenzione su Calogero viene anche dall’estero: Telegram di Zagabria, Times, Die Welt di Amburgo, dallo Stockolms Tidningem, da Jo Guglielmi su Action Poétique di Grenoble.
Sopra tutti questi apprezzamenti, si pone quello lapidario di Ungaretti: “Lorenzo Calogero, con la sua poesia ci ha diminuiti tutti.”
Anche se quella virgola posta tra il nome e il resto della frase, sembra voler dire: sì, Lorenzo Calogero, quello lì, quel “giovane strano”, come lo definì Betocchi nel ’36, consigliandogli di non affrettare la stampa di POCO SUONO, titolo eponimo della bellissima poesia: Di tanto rovinoso mare/ poco suono giunge/ alle mie orecchie assorte/ in contemplazione dell’Eterno/che come un angelo passa.
    Strano, per la verità, doveva apparire il poeta agli occhi dei suoi tanti interlocutori. Strano per il suo aspetto dimesso, per la sua condizione mentale (che a molti altri ha arriso) e forse per il suo essere del Sud. Strano anche per la sua assoluta dedizione alla poesia alla quale sottomise, omologandola, la sua stessa professione di medico (dirà infatti: sono vissuto nella mia professione come se scrivessi versi). Strano: un aggettivo dall’interpretazione aperta ad ogni accezione possibile. Strano è, di fatto, colui che esce dall’ordinario, dalla consuetudine e che può, di conseguenza, nel bene e nel male, racchiudere in sé tutte le antitesi e le asimmetrie della fenomenologia umana.
    Una esperienza poetica atipica, dunque, quella di Lorenzo Calogero, sia sotto l’aspetto dell’uomo che sotto quello del poeta; un’esperienza che, in ogni caso, non perde mai la sua forza, né la sua capacità di scavo nella parola, ma che, nel suo integrale orfismo (inteso come anelito di liberazione, rifugio dello spirito migliore e luogo di conforto nel presente) si offre come una totalità scrittoria da riscoprire continuamente, nella quale l’espressività viene prima della verità. Un’esperienza poetica, in definitiva, che vive di sé medesima, nell’isolamento delle sue potenzialità semantiche, senza raccordi con l’esterno e con la storicità.
Molto indicativo, a tale riguardo, è quanto lo stesso Calogero ebbe a scrivere ad Alba de Cèspedes nel 1955, al tempo in cui era medico a Campiglia d’Orcia: “Se non ho preso mai in considerazione condizioni storiche come motivo di poesia è perché mi è sembrato che la storia (…) sia proprio la più grave nemica della poesia (…). Storia sono principalmente le condizioni della maggioranza e comunque di quelli che in un modo o nell’altro si sono imposti, scienza sarebbe la verità ancora da ricercare sia pure nel seno della storia qualora questa si consideri come un modo di agire anziché di essere…”  Calogero (l’uomo e il poeta) motiva così il suo certo isolamento.
    Pur prestabilito dall’annoso e nauseante clichè post  mortem, ci fu all’epoca un caso Calogero, caso che, non soltanto è ancora irrisolto, ma venne immediatamente relegato un una sorta di “terra di nessuno”. Un’anomalia dell’esperienza poetica italiana del Novecento da dimenticare al più presto…
A tale riguardo vale la pena riportare quanto scrive Stefano Lanuzza: ”Dopo la promozione, all’inizio degli anni sessanta di un caso-Calogero che ha provocato qualche soprassalto nella sonnecchiante  cultura italiana presso cui tutti i giochi erano stati fatti, si è assistito alla repentina reintegrazione dell’autore in un solco regionalistico o decentrato, valso esclusivamente a esorcizzare e immediatamente escludere come irrilevante una voce che, al contrario, a seguirne gli echi, non cessa di marcare la proprio presenza” (Lo sparviero sul pugno. Guida ai poeti italiani degli anni ottanta” 
-Spirali Edizioni, Milano, 1987-)
    L’ampolla della solitudine entro la quale Calogero fu in vita, venne sempre assecondata dall’allitterazione suono-sonno-sogno, che diventò poi un ossessivo modo di vivere.
Calogero controlla al meglio la sua angoscia, uno stato d’animo a lui favorevole che lo rende un intelligente e “freddo” calcolatore, un abile ragno nel gioco della sintassi, dove il rincorrersi incessante d’immagini e sensazioni danno corpo ad una lettura che si delinea come un fluido incorporeo capace di sorprendenti malie oniriche e dove la penetrante insistenza della sua arte compulsiva si completa nella continua rigenerazione del “materiale” a sua disposizione e  che egli stesso si procura favorendo la paradossale insonnia, sostentandosi di caffé, sigarette e sonniferi.
    Purtroppo, però, ad onta dei suoi quindicimila e più versi, della sua produzione poetica poco suono echeggia nei laboratori della critica e della stampa italiana.
Ed è per questo forse che, conscio dell’indifferenza verso la sua opera, Lorenzo Calogero scrisse ai margini di un foglietto: Non affannarti troppo per le cose della vita, un gran fiotto d’oscurità regnerà dopo di esse.
    Il corpo del poeta senza vita venne ritrovato nella sua casa di Melicuccà il 25 Marzo del 1961 (ma, la morte potrebbe risalire anche a tre giorni prima).
Accanto alle sue spoglie c’era un biglietto sul quale il poeta aveva annotato: “vi prego di non essere sotterrato vivo”.


                                                                                                              

                                                                                                          Serafino Di Cesare

 
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