Creato da giglio.alfredo il 31/03/2013
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NOTA A CURA DI ALFREDO GIGLIO

Post n°43 pubblicato il 07 Aprile 2013 da giglio.alfredo
Foto di giglio.alfredo

MARZIA  CAROCCI

Nella  Poesia  Contemporanea

 

Non mi pare sia il caso di fare un excursus sull’evoluzione della Poesia in Italia, poiché sarebbe lavoro estenuante e noioso per quei lettori, che di critica letteraria non hanno rudimenti. Ma volendo rinfrescare, brevemente, la memoria a quanti hanno voglia di ricordare e senza entrare in questioni filosofiche, storiche o di ostentata saccenteria, vorrei dire che l’ultima corrente poetica, che è stata imbrigliata in canoni precisi, è stata il Decadentismo, che nasce dalla crisi del Romanticismo.

Nel filone del Decadentismo si sono inseriti, poi, dei gusti o delle tendenze letterarie, che sono stati chiamati: Crepuscolarismo, Futurismo ed Ermetismo, di cui ci occuperemo, brevemente, più in là.

La crisi del Neoclassicismo, genera il movimento romantico, basato sull’esaltazione dell’Io. Dall’esternazione dei sentimenti più intimi del Poeta, nasce, quindi, una spinta emotiva, che lo porterà  ad immedesimarsi in una sorta di eroe, che gli farà amare i sacri valori di patria, di amore e di libertà.

Il Poeta rifugge dalla meschinità contingente e lotta contro le spinte reazionarie ed, in tale forma di lotta, si esalta e vive in una solitudine ed in un dolore, che nasce dall’impossibilità di superare il reale: solitudine e dolore, che lo rendono quasi superiore e  privilegiato.

Il movimento romantico, per certi versi, trae la sua origine, dalla scomparsa del Grande Corso, che genera nella società europea la “grande delusione storica”, che trova la sua giustificazione nei sentimenti traditi di liberta, fraternità ed uguaglianza, propugnati dalla rivoluzione francese.

I Romantici aspirano, quindi, a realizzare i propri ideali, nella celebrazione dei più profondi valori dell’uomo, che, ripetiamo, sprofondano nella impossibilità di superare i limiti del reale, rimanendo imprigionati nell’unica realtà, che è il dolore, come forza ineluttabile, insita nella natura umana.

La disperata lotta contro la Natura matrigna, per fare un esempio, acuirà il dolore nel Leopardi, portandolo verso  un pessimismo esasperato: O Natura, o Natura, perché non rendi poi quel che prometti allor ? Perché di tanto inganni i figli tuoi?

Quando, poi, viene meno la spinta romantica, tesa a valorizzare ogni forma di sentimento, ogni forma di interiorità dell’uomo, il poeta si sente preda di una cocente delusione e soprattutto preda di una solitudine profonda e di un certo smarrimento, per cui diviene osservatore abulico del decadimento della cultura e dell’arte. E da qui nasce il Decadentismo.

Se prendiamo, ora, il Leopardi, poeta romantico, che vive una solitudine, che ricerca valori universali ed il D’Annunzio, poeta decadente, che, invece, vive una solitudine, che ricerca valori individuali, espressi, poi, nella teoria del superuomo, nel periodo in cui si teorizza, sotto la spinta più accesa del nazionalismo ed in pieno Colonialismo, il valore eroico del combattente, notiamo come, in fondo, la differenza fra Romanticismo e Decadentismo non è poi tanto grande. Il Poeta del Decadentismo, che vive nel pieno della stagione dei nazionalismi, diviene, quindi, anche Vate, interprete, cioè, dei sentimenti delle masse  popolari e delle loro rivendicazioni.

Da questo movimento decadente, che vede in Italia, fra gli altri, Giovanni Pascoli, Italo Calvino e Gabriele D’Annunzio ed in Francia, come massimo esponente, Paul Verlaine, nasce una tendenza, definita da Antonio Borgese, Crepuscolarismo, che fonda la sua poetica, oltre che sul dolore e sulla solitudine del poeta, anche sulla precarietà del vivere e sull’impotenza dell’uomo, contro il suo destino, che viene scandito dal ritmo incalzante ed inesorabile del tempo.

Il Poeta rinuncia alle illusioni, generate dal sentimento e, vive, ripeto, il disagio esistenziale, con l’angoscia di un vivere incerto; questo accade proprio per il fallimento dei miti borghesi, già denunciati, molto tempo prima, dallo stesso Leopardi.

Il Crepuscolarismo, se si eccettuano correnti diverse come l’Ermetismo, vivrà una stagione poetica molto intensa, che si potrebbe ancora riscontrare, per certi versi, in molti poeti contemporanei, in cui la poesia vive come arte immortale e non solo come esercizio estetico o di pura forma prosaica.

Dopo la seconda Guerra Mondiale e l’avvento del Neorealismo, che viene apprezzato in cinematografia ed in prosa, ma non tanto nella poesia, si ha una frammentazione di stili e di mode di far poesia, che ci conduce in una Babele, di cui non si riesce a venir fuori.

Qui sento l’obbligo di dire, con franchezza, che anche il poeta e lo scrittore dei nostri giorni, fortunatamente non tutti, risentono dell’economia del mercato globale, e si innamorano non tanto dell’arte, ma anche del profumo del denaro e della notorietà, per cui si comincia a sgomitare, all’ombra dell’invidia e di una sfrenata competizione, che dà sempre origine ad una forma di corruzione diffusa, pur di raggiungere la grande Editoria. La Poesia diviene, quindi, mercanzia. Dire questo, mi duole e non poco, ma lo ritengo necessario.

Nelle presentazioni, nelle antologie e nelle recensioni di opere, specie se miranti a vincite di importanti premi letterari, si ricorre più spesso alla logica delle amicizie, delle parentele, del “do ut des”, per cui, capita spesso a critici di pochi scrupoli, di dire meraviglie di un’opera che non vale nemmeno  le pagine di carta su cui è scritta.

Complici sono anche i tanti recensionisti, che non sono, come direbbe il Manzoni, “ vergin di servo encomio e di codardo oltraggio” e non vivono di quella onestà intellettuale, più volte invocata dal Montale.

Questi poeti, che io definirei di serie “C”, i quali hanno la patente della mediocrità e dei quali, per una forma di compassionevole indifferenza, si dice solo qualche pregio, ma si tacciono le pecche, l’insipienza e la banalità, sono capaci di produrre solo una poesia senz’anima e scialba, e sono costretti, pur di emergere, a rivolgersi al potente di turno, dominus di qualche importante casa editrice, che ha collusioni ed agganci con i mass media,…. ed il gioco è fatto!!

Dopo un po’ si va in Televisione e, a volte, anche al Quirinale ed infine, se si è fortunati, si finisce alla produzione di qualche rappresentazione cinematografica.

La vera poesia non la troviamo in questi soggetti, ma al di fuori di queste logiche, tese solo a guadagnare una gran quantità di denaro.

Io, personalmente, preferisco poeti veri e più autentici. Le opere dei mediocri, potranno vivere  la stagione della notorietà, ma non avranno mai la gloria e l’immortalità, e cadranno, inesorabilmente, nell’oblio, dopo il guizzo di luce, prodotta dai Media.

La cultura italiana è caduta così in basso che anche, nelle austere aule accademiche, vivono mezze voci e mezze figure, che non solo non brillano di luce propria, ma sono avviate verso un declino culturale inarrestabile.

Ritornando al nostro discorso, diciamo che, accanto alla corrente del Decadentismo, o meglio, all’interno del Decadentismo, nasce e si inserisce l’Ermetismo, di cui Giuseppe Ungaretti è stato il caposcuola.

Gli ermetici ricercano la parola essenziale, la parola ricca di significato spirituale. La poesia, che nasce da questa ricerca di integrità della parola, si fa essa stessa essenziale e genuina. Nei componimenti degli ermetici prevalgono la brevità, il frammento, l'assenza della punteggiatura e l’antiliricità. La realtà non viene colta nelle apparenze, ma quasi nella sua immediatezza; il verso, per così dire, deve fissare l'attimo.

Per concludere, mi pare di potere affermare, senza dilungarmi ulteriormente  su poeti bravi e meno bravi, fortunati e meno fortunati, che la poesia contemporanea, quella vera, quella che ancora non ha avuto l’imprimatur della Storia, che vive di uno status di perfetta autonomia e non d’incontri televisivi o di pubblicazioni sulle antologie, controllate dagli amici, sia ancora in grado di essere forza vitalizzante del linguaggio, capace di un discorso più ampio e più teso all’universalità, proprio come nel Leopardi, partendo soltanto dalle emozioni del proprio animo e dalle percezioni che vivono nel proprio Io.

In tale contesto, non mi è difficile, senza nulla togliere alla magia dell’arte, che va dalla Menicanti alla Merini, da Dante Maffia a Luigi Manzi, da Valerio Magrelli a Pierluigi Bacchini, individuare in una Poetessa singolare, la continuazione di un Crepuscolarismo più nobile, che condivide, col Romanticismo, alcuni valori mai perduti, come l’accentuato lirismo ed il dolore per l’impossibilità di superare il reale, mentre ricerca valori universali e, col Decadentismo, l’angoscia di un vivere incerto.

Tali valori, che sono quelli enunciati, uniti alla percezione dell’angoscia, appunto, di un vivere incerto, li troviamo tutti espressi nella poetica, fortemente introspettiva di Marzia Carocci, che si distacca dal sentire di tutta quella pletora di poeti dell’ultima ora, per assumere connotati propri ed una personalità originale, quanto unica, riuscendo ad essere indipendente nella proprietà, sia della tecnica, che del linguaggio. Inoltre riesce a fondere, nella sua poesia, quegli elementi, appartenuti al Romanticismo ed al Decadentismo, per costituirne un felice superamento ed affermare la sua totale autonomia.

A proposito del linguaggio, raffinato, perfetto e sempre aderente al contenuto, devo ripetere che esso appartiene tutto al bagaglio culturale della Carocci, che lo plasma, lo rende vivo e lo nobilita a suo piacimento, per creare la sua originale poesia.

Volendo concludere questa mia analisi semplice, perché tutti possano capire, colti e meno colti, vorrei aggiungere che oggi la poesia contemporanea è priva di mandato sociale, nel senso che predilige essere esercizio estetico, dalla connotazione, quasi sempre autoreferenziale, piuttosto che strumento principe, atto a sferzare i mali di una società, appiattita ormai sul valore della mercificazione,  spinta a ridurre  tutto, anche l’arte, a pura mercanzia.

Aggiungo che molti poeti o finti poeti, producono componimenti antilirici, senza rima e senza metrica, quasi sempre rivolti al particolare ed al banale, dal sapore unicamente prosaico e vorrebbero farli  passare addirittura per vera poesia. E questo non giova al valore universale della lirica.

Viceversa, trovo, che la poesia della Carocci, si discosta da queste tendenze modaiole ed abbraccia sia temi sociali, in quelle liriche in cui il suo grido si leva alto e forte, per denunciare alcuni mali della società, come la guerra, l’egoismo smodato e l’invidia imperante, sia per l’opposizione all’antilirismo ostentato, specie degli Ermetici, creando poesia vera, sia nei contenuti, sia nella forma sempre soave, assonante, che conferisce al verso ritmo ed armonia.

Infine, mi piace sottolineare, che Marzia Carocci, in tutta la sua vasta e variegata produzione letteraria, avverte non solo il dolore per una società, che è rimasta orfana di quei valori tradizionali, a lei tanto cari, ma avverte anche la solitudine e l’isolamento, in quanto Poetessa, costretta a vivere in un mondo a lei completamente estraneo, che privilegiando gli opportunisti e gli adulatori, ignora il vero Artista e lo dice chiaramente, nei versi, che riporto a chiusura di questo mio modesto lavoro:

 

Il poeta
col suo peso nel cuore
fa un affresco sul foglio,
ma chi è cieco non vede
quei colori sul bianco,
quella brina sul fiore,
quella lacrima stanca che sul tavolo muore!:
China il capo il poeta ignorato,
altra pagina, altro foglio sgualcito
ed è nero su bianco,
la coscienza d'un uomo
tra la mano e la biro,
è una voce silente che si perde nel niente,
è un graffito del vento fra le pieghe del cuore
.

Alfredo  Giglio

 

 

                                       

 
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