PREFATIO
La parola non è che un arco spezzato
consegnato a un riflesso,
prigioniera di un ritmo imposto.
Il significato è il suo incubo
sedimentato con la forza.
Una parola non è che un viaggio
che nulla abbandona e nulla cancella.
Azione linguistica di Paolo Zignani, sommessa, infittita d'ombre e ispessita di impreviste ospitalità. Qui trovano rifugio narrazioni in versi e in prosa, al timido tepore dello sguardo del viandante mediato, che in se stesso partecipi comprensivamente del moto di frantumazione e ricomposizione del testo. Che colui che passa sappia ascoltare il profugo logos che tutto abbraccia. Che una bussola labirintica ne orienti l'arguto interpretare.
I tag indicano il tipo di composizione: poesie (una per post) o racconti (anche suddivisi in più post), ma non mancano appunti di filosofia e riflessioni sulla letteratura, la musica, la storia. Proprio i tag offrono un salvagente, un orientamento ai rari nantes smarriti nel gurgite dei post. Questo spazio soggiace alla tentazione razionalistica e perciò truffaldina di porgere un indice, un vademecum, un'irradiazione orientata all'audace viatore ermeneutico, cui spetterebbe il destino ben più ardito e soave dello smarrimento nell'infinito.
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Il serpente oltre lo specchio
Post n°6 pubblicato il 24 Luglio 2010 da pensierostraziato
L’ultimo respiro cambiò il colore delle assi di legno della sua camera, dal marrone scuro sottratto agli alberi che ancora ne pativano, lasciando una macchia alabastro in mezzo al bosco, a un viola variegato, un caleidoscopio di sfumature del nero più amaro e profondo. Piangevi per lui, e lui era, lo sentivo. Faceva l'operaio e non sapevamo bene nemmeno come si chiamasse. Quello sguardo ti faceva male, per quanto fosse sereno. "Entrava in una fabbrica degli anni Cinquanta, concentrandosi su una vecchia foto" ci avevano raccontato. Riappariva di sera con la tuta sporca, stravolto. Si diceva che a casa avesse un laboratorio, dove di notte costruiva un meccanismo magnetico vegetale composto di ibridi spesso inaccettabili. Eppure proprio lui aveva visto quei personaggi che ti seguivano e di cui nemmeno conoscevi l'esistenza: la signora con l'ombrello da sole e la borsetta rosa, che cambiava anch'essa colore, come l'ombrello, non sai se per l'umore o il clima. Vedeva anche il 14enne che componeva musica e si avventava su ogni pianoforte che trovava e la ragazza innamorata seguita da pettirossi saltellanti, da colombe, persino da fiori. Non ci potevo credere ma così raccontava colui che aveva preparato una piccola valigia dicendo che sarebbe servita alla sua anima. Ormai la valigetta era sparita: nemmeno questo si comprende. Barbara sostiene che era stata proprio l'anima a portarla via. La psiche che era rimasta ancora piccola, con l'altezza di un ragazzo. Così lo immaginava colei che mi avrebbe voluto sposare, alla quale non potevo credere nemmeno questa volta. Faceva l'operaio, è vero, questo solo era certo. Solo di rado lo incontravo. Arrivava un gabbiano lungo la spiaggia. Quel gabbiano, sempre lo stesso. Pensai anch'io, come diceva Barbara, che venisse mandato da lui. Eppure ogni volta lui mi aspettava. Dico lui. Penso "lui". Eppure sono io. Io e lui. Mi aspettavo. Mi avvicinavo a me stesso. Al funerale non avrei invitato i tuoi fantasmi inconsapevoli, se avessi potuto comunicare con loro. Venne il cielo, ma disunito, spaccato, come fosse stato spezzato. Era disorientante vederlo dominare su ogni cosa altissimo e scardinato, come una porta impossibile. Fra le presenze del tuo dramma la ragazza sembrava circondata da stelle polari, al punto da non poter camminare. Sedette in riva una roggia, confortata dalla madre. Quel che più meravigliava erano le condizioni della salma dell'operaio, poiché avevano inifinite ubicazioni sul pianeta. Ciascuna cellula del suo corpo si era scomposta e come per un'insospettabile forza reattiva e disgregatrice le une erano finite immensamente lontane dalle altre. Vidi una fabbrica nel deserto fustigata da opposti venti prima fischiare poi emettere suoni d'organo. Suonò una sirena. Cantò una sirena. Vidi un uomo non lontano piegarsi in due dal dolore e lo udii parlare di un mare lontano. Il suo sguardo sembra ribollire di memorie. Si aprirono i cancelli della fabbrica. Vidi uno sconosciuto uscire, un operaio. Uscii e vidi uno sconosciuto, e non lontano un uomo contorcersi dal dolore. Vidi uno sconosciuto uscire dalla fabbrica e avvicinarsi a me. Uscii dalla fabbrica e vidi il proprietario. Mi guardai negli occhi. Mi chiesi: "Chi sei?" con due voci in due deserti e i cieli si sdoppiarono e l'organo impazzì di una musica che costringeva le stelle a muoversi. I due deserti danzarono. La terra si muoveva nel vuoto. L'uomo piegato in due dal dolore si rialzò e corse disperato verso uno spicchio di mare. Io ed io ascoltammo i silenzi di due lune spezzarsi per due deserti. Era il nostro cielo di due lune rosse e delle stelle sdoppiate che danzavano follemente per amore della musica che ogni cosa strappandone l'essenza aveva attraversato. Fu la musica a uccidere il proprietario della fabbrica. Prima di spirare delirava di un cielo con due lune e di una musica d'organo e di stelle che danzavano sdoppiate. Nessuno udì il colpo di pistola. |
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