Creato da kodomonoomocha il 03/11/2005

ambaradam

vuoi giocare con me?

 

 

Ritorni, partenze e crepuscoli degli dei

Post n°156 pubblicato il 02 Febbraio 2007 da kodomonoomocha
 

Ho voglia di tornare qui. Il grave è che non so che scrivere. Non so PIU' scrivere. Le mie dita fanno una fatica atroce a digitare la P la R e la O in questa sequenza. PROgetto diventa PORgetto. Inevitabilmente! Analfabetismo di ritorno? Può darsi. Ma come noto, quando il gioco si fa duro... E invece di far tornare lui, torno io. Torno? Si torno. Ma torno domani. Stasera sto bene qui. A sentire quell'idiota di attorucolo di telenovele di categoria z (che puntualmente guardo tutti i giorni, da anni; attentamente) che con sguardo fisso alla telecamera e faccia di circostanza mi dice: "non fare come me, non usare quella merda!" IPOCRITI BASTARDI. Oh che goduria! Ecco cosa intendo. Sento l'urgenza di tornare al mio originale canale di sfogo. Da troppo tempo non scrivo in maiuscolo i miei giuduzi. Mi resta solo sognare. Ma poi sogno i denti che mi cadono. E mio nonno in un mese viene roso da un tumore. E nessuno ha il coraggio di rivelargli la verità. Che infondo è un grosso atto di amore. Verso di lui. Ma non verso di lei. Lei che ne segue ogni movimento con una tenerezza che non sapevo le appartenesse. Lei, la tedesca, la donna che a 80 anni e rotti, mi chiede ancora come si inseriscono le faccette sul messenger. Lei, la tedesca, a cui non hanno detto la verità. A cui non ho neanche accennato la verità. Lei, che la verità la sa. Per questo mi ha dato la "nana". Una bamboletta di ceramica che da bambina mi era vietata e che richiedevo con perseveranza ogni volta che la intravedevo sull'altissimo scaffale verso il quale protendevo [portendevo - corretto in tempo] le manine. "Nana nana nana nana nana nana". Ma ora che la tedesca si sente morire è giusto che l'abbia io. Ma lei non sta per morire. E' lui che sta per farlo. Ma a lei la verità non l'hanno detta. E lei l'ha capita anche meglio degli altri. Io, da parte mia, ho potuto solo percepirla. E anche l'ultimo dio ha visto il suo crepuscolo. La nonna "Strudel" è vecchia. E io ho bisogno di tornare al mio originale canale di sfogo.

 
 
 

Padri

Post n°155 pubblicato il 22 Novembre 2006 da kodomonoomocha
 

Qualcuno parla di padri.

Padri che, anche se in un tempo lontano, facevano poggiare le teste dei figli sulle proprie ginocchia, proteggevano dai coccodrilli, facevano entrare monete dal naso e le facevano uscire dalle orecchie.
Forse accarezzavano i loro capelli.
I loro capelli.

I miei genitori si sono divorziati quando avevo 3 anni io, 21 mia madre, 23 mio padre.
Eravamo tutti bambini, insomma.
Ed io un po’ di più di loro.
Si, Vecchioni lo ricordo anch’io, così come Guccini, De Andrè, De Gregori.
Sono le uniche cose che mi ha trasmesso di lui.
E Vecchioni soprattutto. E non Samarcanda ma Figlia.

“E figlia figlia non voglio che tu sia felice ma sempre contro finchè ti lasciano la voce”

In questa dedica (appalesatami solo da adolescente), tutte le carezze mancate.
I coccodrilli li ho sempre scacciati da sola.
E anche mia madre era troppo occupata della sua giovinezza per darmi una mano.

Eppure lei mi racconta che – anche se solo a tre anni – ero sinceramente felice che lui se ne fosse andato. Perché allora ingenuamente pensavo che così, finalmente, mia madre potesse essere tutta mia. Non avevo considerato gli altri uomini. Quelli che adesso - finita la sua giovinezza ma non la sua intelligenza - non la vogliono quasi più. Quelli che adesso, con la loro assenza, le hanno consentito di amare un po’ anche me.

Quanto non capiscono un cazzo i bambini!
E quanta delusione, poi, quando si cresce e quelle asppettative e credenze tornano in immagini che che ci sono o non ci sono.
Soprattutto non ci sono.

Come quelle di me bambina insieme a mio padre.
Si ogni fine settimana veniva a prendermi. Ma dopo l'obbligatoria mezz'ora di macchina che separa le nostre città e che  percorrevamo (e percorriamo tuttora) nel silenzio o nello stridere di superficiali parole di cortesia, le immagini che seguono sono quelle di me con i miei nonni o con la moglie di mio padre o con la famiglia della moglie di mio padre.
E così quello che rimane è solo il vuoto dei vari "come va  la scuola", "come va il lavoro", "come stai".
Nessuna moneta nel naso. E nessuna mia risposta sincera. Nemmeno arrabbiarmi con lui sapevo allora, nemmeno fare i capricci.
Era semplicemente uno sconosciuto.

Era mio zio a portarmi a raccogliere i fiori, a mettermi sulla carena della moto per andare a “fare le curve” sulla panoramica, a comprarmi il corriere dei piccoli, ad essere sempre e comunque lì, nonostante mia madre, nonostante mio padre, nonostante lui non sia mio padre.
Ed è mio zio che tutt’ora è lì ad aspettarmi, a preoccuparsi, a pagarmi il bollo della macchina se me ne dimentico.
Di carezze e discorsi importanti è sempre stato avaro anche lui. Ma questo non importa. Come dare colpe ad un uomo che non doveva esserci eppure c'è sempre stato alla faccia di altri che avrebbero dovuto esserci e non ci sono stati.

Altri come lui. Come mio padre.
Lui inizia ad essere presente nelle mie immagini solo da adolescente.
Solo quando finalmente diventò padre.
Purtroppo non mio, ma almeno padre.
Ricordo in particolare un suo sguardo, Fattomi quando avevo 14 anni e lui aspettava un’altra figlia.
In quello sguardo ho visto la sua consapevolezza, la consapevolezza di un fallimento.
Solo da allora, credo, capì cosa significhi essere padre. Capì che essere padre significa esserci. Significa scacciare i coccodrilli per non farti cominciare troppo presto a combattere.
Anche se non con me, da quello sguardo compresi che lo capì.
E fu sempre in quella  circostanza che mi svelò di pensare a me ogni volta che ascolta "Figlia".

E figlia, figlia,
figlia sei bella come il sole,
come la terra,
come la rabbia, come il pane,
e so che t'innamorerari senza pensare,
e scusa,
scusa se ci vedremo poco e male:
lontano mi porta il sogno
ho un fiore qui dentro il pugno.

Sicuramente mi ha amata molto più di quanto io abbia amato lui.
E sicuramente ha provato anche a dimostrarmelo.
Troppo tardi.
Ormai ero troppo abituata a combattere da sola per volere alleati.
Lui non poteva più scacciare i coccodrilli. Anche lui era un coccodrillo.
E come un coccodrillo, la prima volta che gli chiesi qualcosa da figlia, la prima volta che scacciai il mio orgoglio e mi misi nelle sue mani chiedendogli aiuto, mi mangiò.
Mi costrinse ad abortire.
Troppo difficile spiegare ai suoi amici e colleghi che il bravo dottore, il rispettabile uomo, l'abile professionista, aveva una figlia zoccola e incinta a soli 17 anni.
Smisi di parlargli per 3 anni. Senza fatica. Infondo non gli avevo mai parlato.

Lo odiai con tutta me stessa e non solo per il dolore che quella scelta imposta mi aveva provocato, ma anche per l'umiliazione che mi era costata quel chiedergli aiiuto.
Ma poi finalmente capii.
Gli feci credere di averlo perdonato e divenni la figlia perfetta.
Bella, brava, seria, laureata.
Gli permisi di sfoggiarmi in giro, gli scrissi una lettera "d'amore".
E come ogni vera puttana,  giocando con le sue debolezze e i suoi sensi di colpa,  cominciai a gestirlo
,
 a sfruttarlo, a prendere senza amore quello che mi spettava.
Non fosse mio padre, ora,  mi farebbe pena.
Ma è mio padre

“E figla figlia non voglio che tu sia felice ma sempre contro finchè ti lasciano la voce, vorranno
la foto col sorriso deficente,  diranno: "Non ti agitare, che non serve a niente", e invece tu grida forte,
la vita contro la morte”

Ho imparato la lezione, babbo.
E ho imparato più della lezione.
Ho imparato a gridare forte ma olo nella mia mente.
Ho imparato che essere contro, essere veramente contro, significa sfruttare a proprio piacimento i sensi di colpa altrui. Perchè si può essere contro con il cuore o con il cervello. Con il cuore ci rimettiamo solo noi, con il cervello - e con un sorriso ipocrita stampato sul viso - possiamo ottenere tutto quello che ci serve. Basta solo azzittire la propria coscienza e il proprio dolore.Basta solo essere egoisti e cinici.
E se emergono anche in noi un pò di sensi di colpa, il mercato ci offre tante sostanze per soffocarli.

Non sempre le dediche riescono bene come si vorrebbe, vero babbo?
E' l'interpretazione che distrugge tutti i nostri piani
 e le nostre buone intenzioni.
Ma soprattutto una canzone non può sostituire un abbraccio.

 
 
 

Una risposta. Per te.

Post n°154 pubblicato il 07 Novembre 2006 da kodomonoomocha

Beh vedi, A., è una storia lunga la mia... tanto lunga... inizia là sulla neve dove l'ho raccontata (con la gaynor ecc), passa per un coma etilico a 15 anni e un moroso tossico per 7 anni e insieme a lui, coca, trip, ecstasy e qualsiasi cosa sballasse.Lui va in comunità e io a 17 anni mi faccio la prima pera...ma poi, bleah, non mi piace. Mi calmo, mi fermo, 8 anni con solo un pò di coca ogni tanto e tanto tanto alcol ogni giorno. Nel frattempo mi laureo e comincio a lavorare e lavoro bene, sono brava. Mi divido completamente. Brava ragazza di giorno, cattiva ragazza di notte e nei week end. Poi scoppio e trovo l'uomo della mia vita con cui comincio a spacciare 50 grammi di coca alla settimana. Sempre divisa, sempre lavorando bene, sempre vivendo il giorno da brava ragazza. E continuo così per 3 anni fino ad arrivare a 5 grammi al giorno di media solo per sentirmi bene, per continuare a essere la brava ragazza di giorno. Sono gonfia, sono rovinata, mi viene un'emoragia interna, non smetto subito anzi vado a convivere con 2 tossici e passo alla roba. Pian piano lascio la coca, lascio l'alcol e tutti a dirmi "uh simo, si vede proprio che adesso stai bene, sei un'altra". Si sto bene, sono un’altra. Fumo la mia roba e sto bene. Poi i soldi scompaiono e troppi tunisini cominciano a girarmi intorno. Non voglio farmi sgamare, non l’hanno mai fatto. Così un giorno sputo il tutto addosso ai miei, mi distacco dall’uomo della mia vita e comincio ad andare al Sert. E’ passato un anno e mezzo da quel giorno. In mezzo ci sono altri viaggi a ravenna e bologna. In mezzo ci sono tante altre facce extracomunitarie. In mezzo (ma anche prima e dopo) ci sono tanti rigagnoli di fumo, ma anche rave, MD, coca, speed e qualsiasi altra cosa riesca a portarmi via,compresi vari tentativi di suicidio più o meno consapevoli. Poi c’è un primo abbadono del sert e, dopo qualche mese, un ritorno. E poi c’è la mia psichiatra forse, non so. Alcun giorni sono convinta, altri sono come questa mattina. Mi sento falsa, finta costruita. Ma mi sento così anche quando mi faccio… Non so. Forse sono solo una persona qualunque. Forse sono solo una persona che non sa scegliere. Insomma, ho aspettato spesso per fare le analisi… ma non è mai servito!Grazie per la tua storia.

 
 
 

C'è qualcosa che non va in questo cielo

Post n°153 pubblicato il 06 Novembre 2006 da kodomonoomocha
 

C'è qualcuno che non sa più che ore sono
E questo qualcuno devo essere io."Se non vai a fare le analisi devo sospendere la terapia"Ma come faccio come faccio come faccio a fare le analisi se l'ultima fumata l'ho fatta 5 minuti fa? Ok, Simo situazione sotto controllo) Ops "ho la febbre! Non posso venire a prendere la terapia" (ne tanto meno fare le analisi)!
Dai, A. continuiamo questo giochino.
Continuiamo a prenderci per il culo per un'altra settimanella.
Fammelo fare, A., ti prego, fatti prendere per il culo ancora una volta.
Ho solo bisogno di togliermi l'aureola per un paio di giorni.
Ho solo bisogno di credere di non essere diventata...Diventata, diventata...Questa cosa qui, insomma. Questo essere isolato, asessuato, non comunicativo, superficiale. Questo essere piegato alle banalità della televisione e ai discorsi strategici per lo sviluppo d'azienda. Questo essere sociale e morale capace solo di cambiarsi la maschera dei tanti sorrisetti di compiacimento, e cambiarsela neanche tanto bene, che è meglio stare chiusi in casa e vedere meno gente possibile. Questo essere triste, che non è più capace di ridere di gusto o piangere disperato o descrivere la sua angoscia. Questo essere che non fuma, non beve e bestemmia ogni tanto ma solo dal suo divano. Questo essere che non è più io. Che non è più io tutto io niente io stronzo io ubriacone io profeta io buffone io anarchico io fascista io ricco io senza soldi io radicale io diverso io uguale negro ebreo comunista io frocio io perchè canto(parlo) so imbarcare io falso io vero io genio io cretino .Che non è più tutto e niente. Ma che è il medio. La metà, il mezzo, il normale. Il mezzo, lo strumento. Il lavoratore, l'educato, il carino, il tranquillo, l'equilibrato, il calmo, il pacato, il controllabile. Un attimo, solo un attimo di respiro e poi - giurin giurello - tornerò ad essere la brava bambina di sempre. Ho solo bisogno di esplodere, urlare, gridare, scopare, ubriacarmi, annebbiarmi, drogarmi, confondermi... ridere. Ridere di gusto e senza motivo. quel riso che scoppia dentro e non si ferma. Quel riso che ti fa fare grandissime figure di merda. Quel riso per cui la gente ti guarda sbalordita pensando questa non è normale. O in alternativa, di piangere.
Ma basta questa serietà, questa postura, questo battere su tasti che scrivono in un altro mondo. Mi rivedo a 14 anni, ad una settimana bianca, a Ponte di Legno, di notte, in maniche corte, a vomitare sulla neve con la mia amica del cuore la nostra prima sbornia, mentre due inglesi sconosciute facevano da sfondo alla nostra gioia feroce con "I will survive".
E' la verità, è la pura verità.
Questi tempi c'erano.
Li ricordo, seppur lontani li ricordo.
Simona tu eri così.
Il giorno dopo stavi male ti vergognavi ti pentivi, ma eri così.
Eri viva.
Sorridevi.
Certo, vomitando, ma comunque sorridevi.
Ora vomiti senza sorridere.
Io che l'ho vista piangere di gioia e ridere che più di lei la vita credo mai nessuno amò io non vi credo lasciatela stare, voi non potete...
No, non potete...
 

 
 
 

Il gioco dei ricordi

Post n°152 pubblicato il 03 Novembre 2006 da kodomonoomocha
 

Non so perchè ma oggi ho in mente un ricordo fisso.
Un ricordo poco importante,
Un ricordo da niente.
Non citato, non voluto, non richiamato.
Un ricordo.
Un ricordo normale.

Io, sola, a Bologna.
Un appuntamento, un corso, un lavoro.
Una sede d'incontro vicino alla stazione, vicino alla "montagnola".
Gente che parla di requisiti tecnici di nuovi prodotti informatici.
Io seduta ad un tavolo rotondo.
Sorridente e indifferente.
Poi, una scusa ed esco.
Come nei più banali ricordi, una bella giornata di primavera.
Come oggi. Qui. Anche se non è primavera.
Ed esco.
Attraverso la strada ed eccomi alla "montagnola".
Eccomi camminare tra la gente.
Eccomi seduta su una panchina.
Eccomi guardarmi intorno a cercare un viso conosciuto.
Ecco il viso conosciuto.

Si, perchè "noi" ci conosciamo tutti.
Ci riconosciamo tutti.
Stessi occhi, stessi gesti, stessa estraneità dal resto del mondo.
Uno sguardo e...
"Hai bisogno?"
"Si"
"Tra 5 minuti al bar della  piazza"
5 minuti, il bar della piazza, un tavolino, "un caffè, grazie!".
Ancora qualche minuto e...
"Ciao", si siede, sorride, allunga la mano sotto al tavolo, passa tre buste, passo 50 euro.
"Ciao", si alza e se ne va.
"Ciao" e nascondo la roba nel reggiseno.

Tutte le comunicazioni fossero così semplici e dirette...

 
 
 

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