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Messaggi del 21/01/2006

Un "fascio" di televisori?

Post n°176 pubblicato il 21 Gennaio 2006 da annisexanta
Foto di annisexanta

Carlo Vichi
Italiani! Ve la do io la tivù

Saddam? "Un'invenzione americana. Come la Russia e il comunismo". I sindacati? "Una porcheria. E la Confindustria è peggio". La rovina dell'Italia? "La politica democratica. Anzi la proletarchia". Il capitalismo familiare? "Cazzata. Non esiste". Il segreto della sua longevità? "L'esempio! Come i generali tedeschi, come Rommel!", esclama Carlo Vichi, 81 anni, industriale. Il signor Mivar (acronimo di Milano Vichi apparecchi radiofonici)ha le sue idee. Tante, e nessuna ortodossa. Anche come imprenditore è atipico. È rimasto l'ultimo produttore italiano di televisori in un mercato dominato dalle multinazionali asiatiche e americane. Un televisore su quattro venduto in Italia esce dalla Mivar di Abbiategrasso. Le radici risalgono al 1945. Oggi è in sofferenza, il fatturato è sceso a 100 milioni di euro, il bilancio è in rosso, i dipendenti, da 900 sono calati a 500. Ma il vecchio combattente, con il suo 90 per cento delle azioni (il 10 è della moglie) è sempre lì, in trincea, dalle 7 e 30 alle 20, domeniche comprese. Tranne 15 giorni ad agosto nella natìa Maremma.

Non ha un ufficio suo, riceve in una stanzetta accanto alle linee di assemblaggio dove si affannano i camici bianchi. "Ero qui anche a Natale. Per forza: tutto ciò che sono è qui dentro", dice, e gli vibra la mandibola con la corta barbetta: "Io sono produttore, incarno l'élite. Sono come un campione di salto con l'asta, primatista in un'unica disciplina". A poche centinaia di metri c'è il nuovo stabilimento, pronto dal 2000, e mai inaugurato. Per le tensioni irrimediabili, dice, con i sindacati, gli enti locali, la burocrazia. Quando aprirà? Mai!", sbotta, le vene gonfie sul collo: "Ne farò un museo". Vichi è un originale. Figlio di un metronotte, infanzia dura, studiò elettrotecnica alle scuole serali dal 1937 al '41, dopo la giornata di lavoro. Ha quattro figli, a cui non lascerà l'azienda: già lo sanno. La sua missione, televisori prodotti in Italia a basso prezzo, assemblando componenti asiatiche, lui l'ha compiuta. Resistere ad oltranza non potrà. Vendere non vuole. Dopo di lui il diluvio. Oggi Vichi non si definisce fascista. "Sono mussoliniano". Non vota da cinquant'anni. In un ufficio tecnico dove transitano ingegneri della Toshiba in visita, è esposto un bronzo del Duce appartenuto a Duilio Susmel. Un quadro effigia Mussolini affianco a Hitler, di profilo come Puskas e Di Stefano. Vichi si racconta a lampi: le condanne per comportamento antisindacale, i torti subiti nel '68, "l'istinto bestiale del proletario", la concorrenza dei televisori turchi, il suo passaggio dalla Mercedes alla Lexus, sempre nell'ambito dell'Asse. Nel congedarsi, in cortile, batte i tacchi: "A noi!".

 
 
 
 
 

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