Creato da lapassante0 il 11/02/2008

Chiaraviola

"Ci sono persone che lottano tutta la vita è di loro che non si può fare a meno" B. Brecht

 

 

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Una giornata milanese

L’ALTRA MILANO

Cara Milano, mi fa un certo effetto scriverti e sai perché? Perché ti ho sempre detestato. Proprio così, da qui, dalla mia stanza che poi non è altro che una parte di un appartamento, che a sua volta è uno dei tanti che compongono un palazzo di una via che non è nemmeno di Milano, ma di una città distante 70 chilometri, dalla mia tastiera di un computer ormai malandato e destinato ad andare in “pensione”, ennesima vittima di questo pazzo e folle mondo che non conosce altro che il consumismo e la velocità, arrivare prima degli altri, vincere gli sprint, ecco il male della società.

E tu c’entri perché per me sei la rappresentazione di quello che descrivevo prima, un mondo malato, che lascia poco spazio alla profondità, ai rapporti umani, alla lentezza che ti permette di gustare le cose per quello che sono veramente e non fermarsi solo alla superficie, all’effimero.

E poi che fregatura che è il tempo, avete mai pensato se non avessero inventato l’orologio? Con quel suo odioso ticchettìo elettronico, tic, tac, tic, tac, un secondo, due secondi… che sommati portano al minuto, all’ora, al giorno, alla settimana… troppo semplice.

Un’ora è sempre un’ora, aiuta a scandire il tempo, ad organizzare la giornata, è confortante, ma non credete che sia più bello andare a nuotare al mare, e farlo fino a quando si ha voglia e non andare via solo perché è l’ora di mangiare o perché è arrivato il tramonto e la mamma si preoccupa se non torni a casa per cena.

Ma non è bello stare in acqua fermi e osservare il tramonto?

Non è bello stare a guardare il volto di qualcuno che vogliamo molto bene fino a quando gli sorridiamo e ci sentiamo così felici?

Io credo nella profondità, credo nella lentezza, nelle persone che non guardano mai l’orologio, che fanno della lotta il loro significato di vita, come diceva Bertolt Brecht: “Ci sono uomini che lottano tutta la vita, è di loro che non si può fare a meno”.

Ma dove le trovi persone così? Dove trovi qualcosa o qualcuno che ti da davvero l’idea che il tempo si sia fermato?

Milano ha saputo piano piano conquistarmi, perché alla fine ho scoperto che non sei affatto superficiale, certo sei pragmatica, veloce, essenziale, sei  una delle più brutte città industriali esistenti, ma quella è una maschera, una superficie, uno stereotipo… sei brutta, ma conoscendoti meglio pure estremamente affascinante, hai milioni di persone che transitano nelle tue strade, nelle tue piazze, chiese, appartamenti, un via vai impressionante che funziona in base al tempo e che non è altro che la società di oggi, ma Milano è anche il buio della notte, il rombo di  motore di un auto che sgomma solitaria in una strada vuota, il vecchio che beve un buon vino in una bar della periferia, è lo studente che cerca di risolvere gli alloggi di un appartamento residenziale schizzando su un brutto foglio da lucido, 22 ragazzi in braghe che cercano di insaccare il pallone in rete dentro un mostro architettonico capace di accogliere 80.000 persone… ho scoperto che a Milano il tempo non si ferma mai, ma è come si fosse fermato per sempre.

Ti detestavo, ma ora non riesco fare a meno di te.

Chiara (2001)

Queste sono fotografie da me ritratte (con il mio cellulare) durante la mostra "Anni Settanta. Il decennio lungo del secolo breve" della Triennale di Milano visitata sabato 29 marzo.

Una mostra straordinaria che ripercorre un periodo storico semplicemente irripetibile, quello che va dal 1969 al 1980: l'allestimento curato da Mario Bellini e Gianni Canova, è molto emozionante e coinvolgente, al punto che la reputo una delle migliori mostre da me visitate, assolutamente all'altezza di una Parigi, di una New York, di una Londra... indimenticabile per esempio la scena del delitto Pasolini, dove si poteva trovare L'Alfa Romeo Giulietta dello scrittore, con i fari accesi all'interno di una stanza buia: ciò permetteva di far vivere allo spettatore l'atmosfera terrificante di quel delitto (all'inizio ero ignara che si trattava della simulazione e vi giuro che mi sono spaventata a vedere nel buio l'auto con i fari accesi e il rumore del motore acceso!....), la stanza dove i brigatisti tenevano in ostaggio Moro, il mitico Bar Sport con la televisione che mostrava la partita Italia Germania 4-3, i volantini politici, la rassegna stampa, la stanza con la musica di quegli anni (quando sono entrata c'erano i mitici Pink Floyd e mi sono fermata ad ascoltarli diversi minuti... stupendo), il bunker, il cinema con i drappi di velluto rosso, la radio, il teatro con Dario Fo, etc... Nessun dubbio che l'originalità di questa mostra è stata quella di avere saputo far rendere partecipe il visitatore emotivamente, coinvolgendolo soprattutto dal punto di vista ambientale (c'erano perfino gli odori!).

Ciliegina sulla torta sono le citazioni di Fabrizio De Andrè che si leggono di volta in volta durante il percorso della mostra: azzeccate e illuminanti.

Una mostra semplicemente Indimenticabile.

Qui trovate la descrizione tecnica, tratta dal sito ufficiale della Triennale.

La mostra ripercorre gli anni Settanta attraverso alcune installazioni dedicate a parolechiave (viaggio, corpo, conflitto, corteo, ecc.) o a figure emblematiche (Moro, Pasolini) del decennio in questione.
Nello stesso tempo, passa in rassegna ed espone, sottolineando le contaminazioni e le ibridazioni fra i vari linguaggi, quanto gli anni Settanta hanno espresso nel cinema e nella letteratura, nel design e nella musica, nell’arte figurativa e nel fumetto, nel teatro e nella moda, nel sistema mediatico e in quello tecnologico, nella comunicazione e nello sport.

La mostra si articola su due piani su una superficie totale di 2834 mq.
La messa in scena di Mario Bellini presenta uno spazio neutro, bianco, con nuvole sul soffitto. Le stanze, per contrasto, sono un’esplosione di creatività, colori, suggestioni ed emozioni che spingono il visitatore a creare un proprio personale percorso, non a seguirne uno obbligato.

La mostra non solo racconta la storia del periodo ma consente al visitatore di “farne esperienza” diretta. Al primo piano, dalla ricostruzione di un bar nella settimana della partita di semifinale dei Mondiali Italia-Germania del 1970 agli ambienti di uno studio radiofonico in cui è trasmesso l’audio dei funerali di Fausto e Iaio, all’installazione di Chiara Dynys dedicata al corteo molteplici sono gli spunti che la mostra offre per far capire la grande creatività e i profondi cambiamenti con cui ancora oggi ci confrontiamo.

Al piano terra, oltre alle sezioni dedicate a fumetto, grafica e moda, l’arte degli anni Settanta è presentata attraverso una selezione di opere di vari artisti da Mario Schifano a Alighiero Boetti, per citarne solo alcuni.

Il tema del rapporto fra arte e corpo, a partire dagli anni Settanta a oggi, è indagato attraverso i lavori di artisti come Andres Serrano e molti altri.

La mostra del 1972 Italy. The New Domestic Landscape, organizzata dal Moma di New York, esemplare per il riconoscimento del design italiano all’estero, è il punto di partenza per presentare la ricostruzione della Kar-a-sutra di Mario Bellini e l’installazione di Gaetano Pesce Habitat for Two People realizzata proprio in occasione di quella mostra e presentata adesso per la prima volta in Italia, a cui si aggiungono lavori di Riccardo Dalisi, Ugo La Pietra e Enzo Mari.

Due artisti affrontano e si confrontano con due eventi cardine del decennio: le tragiche morti di Pier Paolo Pasolini e di Aldo Moro. Elisabetta Benassi presenta un’installazione dedicata a Pier Paolo Pasolini, mentre Francesco Arena ricostruisce a grandezza naturale la cella in cui è stato rinchiuso Aldo Moro. Lungo tutto il percorso sono inoltre presenti una cronologia e delle tavole sinottiche che permettono di individuare gli eventi più importanti in ambito storico e socio-culturale.

La mia giornata è proseguita, dopo un pranzo con una cara amica architetto di Milano (che mi ha fatto vedere la sua casa nuova in ristrutturazione... dovere, anzi deformazione professionale...), a Palazzo Reale dove ho avuto il piacere di visitare la mostra di uno dei miei pittori preferiti Francis Bacon e l'Arte delle Donne. (non ho avuto la forza nè l'energia di visitare quelle di Balla e Canova, con le sue sculture provenienti dell'Hermitage di San Pietroburgo, ci tornerò...).

Bacon insieme a Rothko e Basquait è uno degli artisti che adoro maggiormente, anche se ammetto di non conoscerlo molto... visto che nell'arte, un pò come nella vita, vado molto a istinto e le opere di Bacon mi hanno sempre ispirata e attratta... vederlo in questa mostra mi ha aiutato ad approfondirlo meglio e ho scoperto un'artista che aveva un metodo rigoroso e un percorso estremamente coerente. La mia ricerca culturale non finirà certo qui, visto che è mia intenzione continuare ad approfondire il percorso artistico di Bacon, nonchè la mia indagine sugli anni Sessanta e Settanta. La splendida giornata milanese è stata come una lezione per me, una grande lezione, un tassello molto importante che va ad aggiungersi a quelli già raccolti prima e destinati ad aumentare giorno per giorno per concludere il cerchio, il mio piccolo progetto personale che coinvolgerà diverse persone, le quali ne sono certa mi daranno un supporto decisivo.

Frida Kahlo, esposta alla mostra "L'Arte delle donne. Dal Rinascimento al Surrealismo", a Palazzo Reale, Milano.

La serata, al mio rientro da Milano, si è conclusa al cinema, o meglio alla Porta S. Agostino di Bergamo per assistere alla proiezione del film "Le fond de l'air est rouge" di Chris Marker, restaurato e in lingua originale (sottotitolato in italiano).

Nel suo film più lungo, Le fond de l’air est rouge, Chris Marker attraversa le lotte, le ossessioni, gli ideali e le sconfitte del decennio 1967-1977, “governando e modellando” immagini rimosse, intese secondo una duplice accezione: da un lato immagini scartate alla fine della lavorazione di un film, le code non utilizzate, dall’altro immagini entrate nel flusso della comunicazione televisiva, usate e abusate, trasmesse e subito fagocitate, rimosse dalla memoria collettiva. Il titolo allude all’espressione francese “le fond de l’air est frais”, che indica l’aria fresca che si respira in primavera anche quando la temperatura sale, e allude al “fondo” rosso della rivolta che caratterizza gli anni ‘60 e ‘70, senza mai palesarsi in un evento risolutivo e realmente rivoluzionario. Il film raccoglie materiale girato tra il 1967 e il 1977 ed è articolato in due parti: la prima si intitola Les mains fragiles e affronta la guerra in Vietnam, la morte di Che Guevara, il maggio 1968; la seconda, dal titolo Les mains coupée, critica lo stalinismo e l’intervento sovietico in Cecoslovacchia e chiude con il colpo di stato in Cile. Il montaggio non segue un ritmo uniforme, procede per associazioni e si compone come un collage, si espande nel tempo e nello spazio, rifiutando la visione di una storia che procede in modo definitivo e semplificato; le otto voci off scelte per la lettura del commento restituiscono la polifonia del ricordo e spingono lo spettatore ad interrogarsi sulle proprie immagini rimosse e sul loro significato. La colorazione artificiale delle sequenze e la musica composta da Luciano Berio raffreddano il coinvolgimento emotivo, attenuano la disillusione personale e provocano un effetto di straniamento che, di nuovo, riporta la storia nel dominio dell’arte. Il film, che nella versione del 1977 dura quattro ore, sarà proiettato nella versione statunitense, riveduta e aggiornata dall’autore nel 1993, dal titolo A Grin Without a Cat, della durata di tre ore.

Chris Marker è una personalità poliedrica, la sua attività cinematografica copre un arco di tempo di oltre cinquant'anni ma sfugge alle tradizionali classificazioni tematiche o cronologiche: dopo averlo definito montatore, cineasta, fotografo, scrittore, poeta, romanziere, giornalista, reporter, testimone, viaggiatore e creatore di materiali multimediali si è iniziato a chiamarlo artista, usando questo termine in un'accezione leonardiana che abbraccia i molti ambiti di azione di questo autore eclettico.

 
Rispondi al commento:
cateviola
cateviola il 02/04/08 alle 09:17 via WEB
off topic NON VOTO
Ciao, sorellina passante... salutami Milano la prossima volta che andrai a prendere una boccata d'aria viva dalla chiusa Bergamo... sai che a Milano (e dintorni) ho lasciato un pezzetto di cuore e un sogno di quelli che non fanno svegliare...
un bacione da Firenze
 
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La ragione l'è dei bischeri

Il fiorentino ama la rissa (verbale) , il dissenso aperto, la battuta pronta e diffida di chi gli dà facilmente ragione, perché ci tiene ad averla, ma quando si sente dire "L'ha ragione, l'ha ragione..." sospetta che lo si prenda in giro (per bischero) e che uno gli dia ragione per poter continuare a fare quello che gli pare.

In passato era ben vivo il gusto per le allusioni, la battuta con o senza doppio senso da cogliere al volo o dimenticare per sempre. Perché una battuta spiegata è un disastro. (Caterina)

Io con Caterina, la mia sorellina di cuore...

I Fiorentini sono dei passionali trattenuti e la fiorentinità è loro scudo. Prendono in giro gli altri soprattutto quando fanno cose che farebbero anche loro, in un festival perverso di autoironia. Questo scudo li rende spesso un po' chiusi, un po' orsi, tanto sono diffidenti, sospettosi, sempre pronti a pensare che gli altri li vogliano fregare. Ma è anche la loro salvezza: Firenze difficilmente si plasma, difficilmente si piega. Il loro terreno non è fertile per chi vuole piazzare le tende delle limitazioni alla libertà, e di questo i Fiorentini ne saranno sempre tremendamente orgogliosi e fieri! (Sandro)

I miei amici con i quali condivido la mia passione viola... Sandro, Caterina, Cristian, Simone e Salvatore, intelligenza e cuore: persone splendide.

 

E LA FIORENTINA

E’ tutto peggiorato nel mondo, non solo nel calcio, e allora bisogna partire da se stessi: in Italia si amano i riti, anche quelli falsi, evidenti, ridicoli… il calcio è un po’ tutto questo. Non so se siamo tifosi idioti, ma so che siamo veramente innamorati e che allo stadio andremo ancora. E sia chiaro:  non vogliamo regali, anche perché sappiamo che così è più bello vincere e non ce ne frega niente se siamo gli unici a farlo (o forse qui mi illudo?). Siamo rimasti solo noi? E allora diamo il meglio di noi stessi, non ci pentiremo, ma soprattutto teniamoci ben stretta la nostra diversità.

... penso all’urlo collettivo di Firenze, a quel modo di gridare al mondo la propria voglia di esserci.
Non esistono tifoserie capaci di esplodere d’amore infinito come i fiorentini. Una parte dell’Italia se ne è accorta, ma sinceramente non ci interessa… in fondo quelli che ora ci fanno i complimenti, sono gli stessi che hanno cercato di distruggerci… ipocriti…
Ci guardiamo in faccia e ci accorgiamo di avere negli occhi una luce nuova, intensa, brillante…quella luce è la Fiorentina. Hanno provato a portarcela via, non ci sono riusciti. E sapete perché? Immaginate di chiudere gli occhi, di riaprirli e accorgersi di vivere un sogno vero. Un sogno chiamato Fiorentina. Squilla il telefono, è un’amica, non tifosa, ma evidentemente contagiata…”Chiara, sono strafelice per te…un amore sincero non muore mai”.

 

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