Creato da: franco_rovati il 03/03/2009
Come stiamo cambiando.

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"La democrazia è cancerogena e gli uffici sono il suo cancro"

W. Burroughs

"La parola 'democrazia' mi destava una insofferenza fisica, come l'odore stantio dei vecchi cassetti; sentivo nell'aria un odore di muffa, di umida miseria, un odore di cavoli lessi nelle scale della nuova società come in certe vecchie portinerie, un odore di farisei."

Leo Longanesi

“[An upside down flag is] an international distress signal. It means ‘we’re in a whole lot of trouble, so come save our ass b’cause we don’t have a prayer in hell of saving ourselves.’” - Sgt Hank Deerfield, from In the Valley of Elah.

 

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Draghi: "Il peggio sembra passato. Ma l'eredità sarà undebito elevato"

Post n°48 pubblicato il 23 Luglio 2009 da franco_rovati
 

«L'Italia sta affrontando una recessione profonda dopo una crescita modesta, ma ci sono alcuni segnali positivi»

(Ansa) ROMA - Secondo Mario Draghi «l'economia italiana sta affrontando una recessione profonda, che fa seguito a un lungo periodo di crescita modesta ma la fase di progressivo peggioramento della congiuntura sembra essersi arrestata; vi sono alcuni segnali positivi». Il governatore di Bankitalia lo ha detto durante l'audizione sul Dpef davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato a Palazzo Madama. «Trainata dalla ripresa mondiale - ha aggiunto Draghi - l'attività produttiva tornerebbe a crescere nel corso del 2010». DEBITO PIU' ELEVATO - Ma i contraccolpi saranno duri, a cominciare dal fatto che «l'eredità della crisi sulle finanze pubbliche sarà un debito molto più elevato». Secondo Draghi «l'incidenza del debito pubblico sul Pil è attesa scendere a partire dal 2011, ma alla fine dell'orizzonte previsivo solo meno di un terzo del maggior debito connesso con la crisi sarebbe riassorbito. L'elevato peso del debito rappresenterà quindi una delle eredità più gravi della crisi». E ancora: «è atteso un ulteriore forte deterioramento dei conti pubblici nel 2009. In base alle stime del Dpef 2010-2013, nell'anno in corso l'indebitamento netto dovrebbe aumentare di 2,6 punti percentuali del prodotto, raggiungendo il 5,%. Il debito pubblico aumenterebbe di quasi 10 punti percentuali salendo al 115,3% del Pil. Il Documento prospetta un calo del prodotto del 5,2%». Sono stime «in linea con quelle incluse nel quadro previsivo recentemente presentato nel Bollettino Economico della Banca d'Italia». PRIORITARIO IL SOSTEGNO AL SISTEMA PRODUTTIVO - «Resta prioritario dare sostegno al sistema produttivo: occorre evitarne un indebolimento strutturale» ha poi detto il governatore di Bankitalia. Per Draghi, infatti, «l'uscita dal mercato di un gran numero di imprese ridurrebbe il potenziale produttivo del Paese, con costi rilevanti anche in termini di capitale umano». PENSIONI - Draghi ritiene anche opportuno «un aumento significativo dell'età media effettiva di pensionamento» che «potrà aumentare il «tasso di attività e sostenere il tasso di crescita potenziale dell'economia». La parificazione dell'età di pensionamento fra uomini e donne nel pubblico impiego «muove in questa direzione». FEDERALISMO FISCALE - Il federalismo fiscale, secondo Draghi, dovrà invece contribuire al «contenimento della spesa». E' questo l'auspicio del governatore di Banca d'Italia: «le modalità di realizzazione del federalismo fiscale saranno cruciali per rendere più efficace la gestione delle risorse pubbliche e razionalizzare la spesa, sempre conservando come riferimento il principio di solidarietà. 21 luglio 2009

 
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Francia: nuovi sequestri di manager

Post n°47 pubblicato il 23 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Operai protestano contro chiusure e licenziamenti.

(ANSA) - PARIGI, 22 LUG - Nuovi sequestri di manager per alcune ore in 2 aziende e blocco di una fabbrica in Francia da parte di operai minacciati di licenziamento. Quattro dirigenti della Michelin a Montceau-les-Mines, sequestrati ieri sera, sono stati rilasciati durante la notte. Sequestro lampo anche per 4 manager della filiale francese del gruppo Usa Schweitzer-Mauduit per protesta contro la chiusura dell'azienda. Gli operai della filiale francese del gruppo svedese Skf hanno bloccato l'ingresso della fabbrica.

Fonte: ansa.it

 
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A rischio Oltre 500mila Posti Di Lavoro. Cnel: ''Grande Incertezza''

Post n°46 pubblicato il 23 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Roma, 22 lug. (Adnkronos/Ign) - "Le previsioni per i prossimi mesi sono molto incerte. La disoccupazione in Italia continuerà ad aumentare e il ricorso agli ammortizzatori sociali sarà ancora significativo. Il ricorso alla Cassa Integrazione nell'ultimo bimestre ha registrato un rallentamento ma resta su livelli assoluti molto elevati a testimoniare della profondità della crisi". Il futuro quadro del mercato del lavoro viene tracciato dal Rapporto del Cnel che stima per il 2009 "una perdita di posti di lavoro tra le 350mila e le 540mila unità se misurato in forze di lavoro e tra le 620mila e le 820mila in termini di Ula (unità lavorative annue). Lo stock di disoccupati potrebbe aumentare in una forchetta che oscilla tra 270mila e 460mila unità.

Il tasso di disoccupazione a fine anno potrebbe collocarsi, nella peggiore delle ipotesi, poco al di sotto del 9%. Cruciali - secondo il Cnel - nel determinare le caratteristiche e l'intensità della ripresa saranno gli ultimi mesi del 2009 e i primi del 2010". Per questo motivo "è importante che vi sia piena consapevolezza del fatto che nei prossimi mesi potrebbero rendersi necessari ulteriori interventi per estendere e rendere ancora più flessibili i sostegni al reddito così come diventa determinante anche l'impulso che le stesse parti sociali e le autorità regionali potranno dare agli strumenti in loro possesso (per esempio enti bilaterali, fondi interprofessionali, risorse regionali e soprattutto comunitarie)".

"I risultati ottenuti dall'attuale sistema di ammortizzatori sociali (così come è stato rafforzato per il biennio) non eliminano la necessità di una riforma del sistema -di cui si parla dal 1997- ma ne possono consentire una discussione più equilibrata e più completa". Il Cnel porrà questo argomento al centro della riflessione dei prossimi mesi, unitamente a quella più complessiva sul futuro del sistema di welfare in Italia.

Il Cnel ritiene, inoltre, che una riforma degli ammortizzatori sociali debba tenere conto di alcuni elementi determinanti: "a) le condizioni di accesso ai sostegni al reddito e le compatibilità di un livello di carattere universale con i costi in termini di sostenibilità finanziaria; b) il rafforzamento delle azioni di formazione e di orientamento, ancora oggi troppo slegate dai bisogni reali del mercato del lavoro, se si vuole riorientare il sentiero di sviluppo dell'economia italiana sui cosiddetti green jobs o su i white jobs (lavori legati ai servizi socio-sanitario-assistenziali alla persona o alle famiglie); c) quale sistema di tutele e sostegni al reddito può essere possibile per il lavoro indipendente, la vittima più significativa di questa crisi. E questo è per il sistema produttivo italiano una perdita di grande rilevanza, che deve essere quantomeno attenuata".

Le indicazioni fornite dal Rapporto consentono di affermare che "siamo in una fase di forte difficoltà e di grande incertezza. Le scelte più importanti da parte delle imprese avverranno - si legge nel documento - con tutta probabilità nel prossimo semestre. La 'tesaurizzazione' del capitale umano dipenderà dalle scelte di politica economica nazionale ma anche dalla congiuntura internazionale. L'assetto del sistema di ammortizzatori sociali sarà determinante per garantire la necessaria coesione sociale e la tenuta del sistema produttivo".

Fonte: Adnkronos - cnel.it Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro

 
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CONFINDUSTRIA: PERSI 200MILA POSTI, RECORD CASSA INTEGRAZIONE

Post n°45 pubblicato il 18 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

La cassa integrazione a giugno continua a galoppare, con un andamento che, se continua così, farebbe chiudere il 2009 con un record di 839 milioni di ore. L'allarme è del Centro studi di Confindustria, che fa il punto sulla crisi mettendo in evidenza qualche segno di recupero sul fronte della produzione, ma uno scenario sempre più difficile per l'occupazione, con 200mila posti persi dall'inizio della recessione.

OCCUPAZIONE, VERSO RECORD CIG. Nel mese di giugno le ore autorizzate di cassa integrazione hanno proseguito la corsa: l'aumento rispetto a maggio, a dati destagionalizzati, è del 6,8% (+12,8% l'ordinaria e +7% la straordinaria). Un andamento preoccupante: infatti, avverte il Csc, "se le richieste rimanessero al livello di giugno per il resto dell'anno, il monte ore nel 2009 raggiungerebbe gli 839 milioni, superando il picco del 1984 (812 milioni)".

Si tratterebbe, insomma, di un nuovo record, ma non in rapporto alla forza lavoro: una volta trasformate nell'equivalente di lavoratori occupati a tempo pieno, infatti, le ore di Cig nel 2009 sono stimate raggiungere l'1,93%, contro l'1,40% del 1993 e il 2,11% del 1984. Non si spegne neanche l'allarme occupazione: il tasso di disoccupazione, avverte Confindustria, "é aumentato e aumenterà", tanto che, "é elevato il rischio che la disoccupazione ciclica si trasformi in strutturale e incida negativamente sulla crescita potenziale". Secondo i calcoli del Csc, tuttavia, i posti persi dall'inizio della recessione sono 200mila, meno della metà dei 500mila stimati dalla Contabilità nazionale (Istat): la differenza riflette il ricorso alle riduzioni di orario, innanzi proprio tutto la Cig.

PRODUZIONE, RIPRESA DEBOLE
. I segni di recupero visti da Confindustria sono a "livelli molto bassi". A giugno, infatti, la produzione industriale è cresciuta dello 0,6% su maggio, quando è rimasta invariata sul mese precedente (in aprile +1,2% mensile). Migliorano, tuttavia, le condizioni per investire nel giudizio delle imprese: a giugno il saldo delle risposte è salito a -12,8 da -44,4 di marzo e meno negativa è anche la tendenza di ordini e domanda.

CREDITO, ANCORA DIFFICOLTA'
. I piccoli segnali positivi presenti nell'attività sono invece assenti per quanto riguarda l'accesso al credito: resta "alta", infatti la quota di imprese manifatturiere italiane che non ottiene credito, 7,5% a maggio.

Fonte: ansa.it

 
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Psicopatia di successo

Post n°44 pubblicato il 16 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

Dal libro “La morte del prossimo” di Luigi Zoja.

A questo punto è inevitabile una domanda: l’imprenditore, sempre più lontano dagli uomini perché sempre più occupato da contratti e battaglie legali, rischia di perdere qualità psicologiche come umanità ed empatia?

I nuovi, immensi abusi finanziari – Enron negli Usa, Parmalat in Italia – potrebbero essere, a circolo vizioso, tanto conseguenze, quanto, una volta che il pubblico si è assuefatto, cause di erosione del rispetto per il prossimo?

E’ nato da poco, ma già giganteggia un nuovo settore di psicologia aziendale: la corporate psychopathy (psicopatia aziendale). Negli scandali di fine secolo XX e inizio secolo XXI, infatti, non si sono trovate immoralità occasionali di persone che hanno sbagliato, possono pentirsi, ma perversioni morali permanenti che, se non fossero state scoperte, sarebbero continuate perché non lasciavano sensi di colpa: è la condizione chiamata psicopatia, difficile da redimere.

Uno dei più noti questionari per identificare i disturbi psicopatici è lo Psychopathy Checklist, di Robert Hare. Sotto la spinta di una nuova immoralità aziendale, l’autore ne ha prodotto una versione differenziata in due parti.

Una prima lista va in cerca del fattore 1: mancanza di scrupoli, di responsabilità, di sensi di colpa, tendenza alla menzogna e alla manipolazione, cinismo e così via.

Il secondo elenco riguarda il fattore 2: instabilità, comportamenti apertamente devianti, aggressività non controllata.

In Europa gli studi sulla corporate psychopathy sono meno sviluppati rispetto all’America, ma mostrano tendenze simili. Una ricerca di Blinda Board e Patarina Fritzon, dell’Università del Surrey, ha comparato un gruppo di 39 manager di successo con criminali e pazienti psichiatrici gravi. La loro classificazione finale ha diviso la popolazione esaminata in “psicopatici di successo” e psicopatici senza successo”.

Proviamo a riassumere quello che interessa ai nostri scopi. Tanto secondo gli studi di Hare e Babiak, quanto secondo quelli di Board e Fritzon – effettuati non solo in istituzioni diverse, ma in continenti diversi – la personalità del manager brillante ha non pochi elementi in comune con quella dello psicopatico.

Le caratteristiche antisociali, però, sono presenti in quantità diverse e si manifestano meno direttamente.

Il fattore 1 di Hare, che corrisponde a un’immoralità non visibile, quindi particolarmente pericolosa, è presente sia nei manager sia negli psicopatici criminali.

Il fattore 2, invece, si ritrova solo nei criminali tradizionali.

E’ in un certo senso, meno sorprendente e meno pericoloso, perché scontato e visibile.

I soggetti che, nella classificazione di Hare, possiedono il fattore 1, secondo l’Università del Surrey sono "psicopatici di successo” e rivestono alte cariche aziendali.

Quello che differenzia dal gruppo dei “senza successo” è l’aggressività. Nei manager essa si manifesta in modo più differenziato e senza fretta: non aggrediscono fisicamente, sottomettono l’ex-prossimo ad un cinismo aziendale.

Il gruppo degli “psicopatici senza successo” si compone invece di criminali classici (sempre secondo lo studio dell’Università del Surrey, che infatti li ha intervistati in carcere).

Si tratta di malfattori d’altri tempi i quali, pur disponendo di caratteristiche necessarie come la mancanza di scrupoli, non hanno saputo adattarsi completamente ai nuovi rapporti economici e tecnologici. Hanno infatti ancora bisogno del prossimo: anche se, come richiede il loro temperamento, ne hanno bisogno per aggredirlo.

L’accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica  e dalla competizione del mercato ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli, favorendo l’emergere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti.

Questa “selezione culturale” ripropone, nella vita economica quotidiana, una strozzatura attraverso cui un flusso pacifico diventa un getto aggressivo.

Una simile selezione si è già vista in occasione di grandi rivolgimenti politici.

Anche le loro accelerazioni hanno favorito le psicopatie: si è imposto chi sapeva cogliere i vantaggi immediati, perdendo il senso ultimo dell’azione politica. Lo abbiamo visto sia nei nazionalismi, quando sono scivolati in fascismi, sia nella rivoluzione russa o in quella culturale cinese, sia nel rinazionalizzarsi dei comunismi, per esempio con la disgregazione della Iugoslavia.

Ognuna di queste strozzature ha compresso e accelerato la storia. Ogni volta, la compressione ha trattenuto la maggioranza delle personalità equilibrate e liberato un getto di psicopatici.

 

Gli studi sulla psicopatia aziendale non hanno niente di rivoluzionario.

Spesso si limitano ad assemblare dettagli di microstoria che, a loro volta, si connettono alla macrostoria.

Un manager poi rivelatosi psicopatico, per esempio, avrebbe dovuto mettere sull’avviso perché non era andato ai funerali di sua madre. Ma, questo, apprendiamo dai libri è quello che fece anche Stalin. La differenza è che, quando si comportò così, Stalin era già Stalin, mentre un amministratore d’azienda non dovrebbe avere il potere di un tiranno: interpellato in proposito, l’80 per cento dei lettori del sito Cnn ha risposto che i responsabili aziendali dovrebbero oggi essere sottoposti a test per valutare la presenza di psicopatie. Nei fatti, niente di simile avviene: il risultato è l’esplodere quotidiano di nuovi scandali.

Forse la lotta finale non sarà – come aveva predetto Ignazio Silone nel suo scritto sui comunisti delusi – un o scontro tra comunisti ed ex-comunisti, ma tra capitalisti ed ex-capitalisti divenuti psicopatici. All’imprenditore postmoderno si richiedono doti non comuni: eppure non è facile che diventi, per i suoi dipendenti, un mito equivalente agli eroi tradizionali. Come avevano previsto già Lev Tolstoj e John Ruskin, la sua attività lo trasforma facilmente in un cinico senza onore: all’opposto del comandante che mette in salvo i suoi e affonda con la nave, è lui il primo che deve salvarsi.

Del resto, risale a quasi un secolo fa il programma dell’economia moderna, secondo cui il capitalismo-avidità avrebbe finito col rimpiazzare quello classico o fordista. Già nel 1919, infatti, un giudice americano aveva condannato Henry Ford, che voleva reinvestire gli utili della sua fabbrica di automobili creando nuovi stabilimenti e migliorando la produzione: la storica sentenza diede ragione ai suoi soci fratelli Dodge – più tardi industriali dell’automobile a loro volta – perché, diceva, lo scopo di un’azienda è arricchire i proprietari e non dar lavoro agli operai o prodotti più utili ai consumatori.

Al mondo esistono ancora, nominalmente, diversi paesi anticapitalisti, comunisti e/o persino rivoluzionari; e diversi movimenti anticapitalisti, comunisti e/o rivoluzionari nei paesi capitalisti.

Mezzo secolo fa, le loro voci minacciavano di morte il capitalismo liberale, anche se proprio in quegli anni i paesi a economia di mercato stavano effettuando la più equa distribuzione di redditi e di servizi della storia umana.

(….)

Insomma, anche nella patria del capitalismo, in nome degli interessi della società, lo Stato prelevava agli individui più avidamente di ogni capitalista.

Tra allora e oggi, una rivoluzione è avvenuta. (…)

La ricchezza si sta addensando di nuovo nelle mani dei privilegiati, con una velocità che non ha precedenti nella storia, mentre il progresso economico lascia spesso a lavoratori e classi medie solo le briciole.

Nell’ultima generazione, i dipendenti delle aziende americane hanno in generale ottenuto il diritto di chiamare i capi col nome proprio, non preceduto da un titolo e neppure da un “signore” (cosa che equivale a dare del tu nelle lingue europee).

E’ un involontario sarcasmo: ancora nel 1980 il capo (CEO) di un’azienda americana guadagnava mediamente 40 volte lo stipendio dei suoi dipendenti. Ora la differenza ufficiale è già di centinaia di volte, ma quella reale è ancor maggiore, perché i dati non includono i guadagni sul capitale attribuiti ai manager. Nello stesso paese, nella stessa città, ma anche all’interno dello stesso luogo di lavoro, dove si finge di essersi avvicinati dandosi del tu, la distanza si è fatta sconfinata.

Con maggiore o minore ritardo, il mondo sta seguendo questa tendenza. Le persone ragionevoli si pongono una domanda: se ai vertici delle singole imprese industriali e finanziarie le recenti trasformazioni hanno concentrato una inattesa percentuale di psicopatici, cosa succede al vertice di tutta la società?

Questa punta della macropiramide sociale è infatti la somma dei vertici delle micropiramidi (imprese, gruppi sociali, ecc.) che la compongono: anche se l’analisi clinica di tutto lo strato più alto della società non è possibile, è logico supporre che sia un concentrato delle psicopatie accertate alla cima dei settori di cui si compone.

I rivoluzionari cambiamenti, dunque, non consistono solo in rapidissime concentrazioni di ricchezza. L’altra scioccante novità è che nei posti guida si è seduta una immoralità senza precedenti. A denunciarla come psicopatica, questa volta non sono gli anticapitalisti ma alcuni ipercapitalisti.

Se scorrete internet alla voce significativa corporate psychopaty, troverete pagine e pagine che elencano libri e articoli su questa nuova criminalità: non provengono, però da editori o movimenti di sinistra e tanto meno da Chiese, per cui le sorti del prossimo non paiono di attualità, ma da pubblicazioni specializzate nella gestione aziendale.

Da quando la res pubblica è diventata res privata, a scrivere di queste cose sono, come abbiamo visto, le esperte di psicologia criminale dell’Università del Surrey.

O il Dottor Paul Babiak, psicologo dell’industria newyorkese (che, inevitabilmente, dalle industrie trae il suo reddito).

Il più celebre è il citato Robert Hare, professor emeritus all’Università della British Columbia, a lungo consulente di organizzazioni sovversive come l’Fbi, che espone le sue teorie in laboratori rivoluzionari come i congressi della polizia canadese.

La critica alla nuova disumanità del capitalismo post-industriale e divenuta una specializzazione della società capitalista post-industriale.

 

Fonte:  libro “La morte del prossimo” di Luigi Zoja.

 
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Svizzera, mercato del lavoro ancora in crisi

Post n°43 pubblicato il 14 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Rispetto al giugno dell'anno scorso +70% di giovani disoccupati. Male tutti gli indicatori.

BERNA – Ancora in difficoltà il mercato del lavoro in Svizzera. Secondo un sondaggio svolto dalla SECO (Segreteria di Stato dell’economia), alla fine di giugno 2009 erano iscritti 140′253 disoccupati presso gli uffici regionali di collocamento (URC), 5′125 persone in più rispetto al mese precedente.

Il tasso di disoccupazione è aumentato in un mese dello 0,2%,  dal 3,4% nel mese di maggio al 3,6%. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, il numero di disoccupati è aumentato invece di 48′776 soggetti (+53,3%).

Di seguito pubblichiamo i dati resi noti dalla Seco tramite il comunicato istituzionale.

Disoccupazione giovanile nel mese di giugno 2009
Il numero di giovani disoccupati (15-24 anni) è aumentato di 1′127 unità (+5,3%) arrivando al totale di 22′464, ciò che corrisponde a 9′294 persone in più (+70,6%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Persone in cerca d’impiego nel mese di giugno 2009
Complessivamente le persone in cerca d’impiego registrate erano 198′990, 6′474 in più rispetto al mese precedente e 54′444 (+37,7%) in più rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.

Posti vacanti annunciati nel mese di giugno 2009
Il numero dei posti vacanti annunciati agli URC ammonta a 14′855 unità. In seguito all’adozione di una nuova modalità di calcolo, tale cifra non può essere confrontata con i valori del mese o dell’anno scorso.

Lavoro ridotto conteggiato nel mese di aprile 2009
In aprile 2009 sono state colpite dal lavoro ridotto 68′929 persone, ovvero 27′907 in più (+68,0%) rispetto al mese precedente. Il numero delle aziende colpite è aumentato di 506 unità (+22,9%) portandosi a 2′712. Il numero delle ore di lavoro perse è cresciuto di 262′328 (+10,0%) portandosi a 2′885′058. Nel corrispondente periodo dell’anno precedente (aprile 2008) erano state registrate 56′873 ore perse, ripartite su 677 persone in 93 aziende.

Termine dell’indennità di disoccupazione nel mese di aprile 2009
Secondo i dati provvisori forniti dalle casse di disoccupazione, nel corso del mese di aprile 2009, 1′849 persone hanno esaurito il loro diritto alle prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione.

L’8 giugno 2009 il sistema informatico usato finora per il collocamento e la statistica del mercato del lavoro (COLSTA) è stato sostituito da una nuova versione che permette più precisione e velocità nel calcolo dei dati.

Red. Int.
(fonte: news.admin.ch)

Fonte: lanotizia.ch

 
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Svizzera, un’azienda su due prevede licenziamenti

Post n°42 pubblicato il 14 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Circa il 40% delle imprese elvetiche ha in previsione di attuare licenziamenti. Sale la disoccupazione in tutta Europa.

ZURIGO – La crisi economica diventa sempre più crisi occupazionale in Europa e nel mondo. Mentre proprio oggi la Francia annuncia un tasso di disoccupazione all’8,7%, con un incremento dell’1,1% nel giro di un solo trimestre, le imprese svizzere denunciano l’arrivo di tempi molto duri.

Circa il 40% delle imprese svizzere prevede tagli occupazionali nei prossimi dodici mesi. E mentre il 65% ha già deciso il congelamento delle assunzioni, il 35% ha in programma l’introduzione della disoccupazione parziale. E’ quanto emerso da un sondaggio di Adecco, che ha coinvolto 500 responsabili del personale in tutto il pese.

Secondo i dati, finora un quarto delle imprese che hanno partecipato al sondaggio ha licenziato dipendenti a causa della recessione; nel 20% si lavora a orario ridotto.

Se le previsioni sono fosche, fino ad oggi la maggioranza delle imprese ha reagito alla crisi con misure meno drastiche: il 53% ha ordinato il recupero degli straordinari, il 49% ha differito le assunzioni.

Nei prossimi dodici mesi nel settore dell’industria il 55% delle imprese pianifica licenziamenti, nel commercio il 32%. Ancora abbastanza al sicuro il settore dei servizi, coinvolto solo per il 20%

Fonte: lanotizia.ch

 
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REDDITI, UN ITALIANO SU DUE DICHIARA MENO 15.000 EURO

Post n°41 pubblicato il 14 Luglio 2009 da franco_rovati
 

di Corrado Chiominto e Domenico Conti

ROMA - Un italiano su due dichiara al fisco meno di 15.000 euro "lordi" di reddito. Uno su quattro se è un lavoratore autonomo. E l'80% dei contribuenti è sotto quota 26.000 euro, tanto che il reddito medio si attesta a 18.892 euro l'anno: 1.453 euro lordi al mese, se si considera anche la tredicesima. I Paperoni, per contro, sono pochissimi: solo lo 0,2% della popolazione, 75.689 contribuenti, denuncia al fisco un reddito superiore ai 200.000 euro e di questi 43.006 sono lavoratori dipendenti: "solo" 20.061 gli autonomi. E' lo spaccato che emerge dalle prime elaborazioni statistiche che il ministero dell'Economia ha realizzato sulle dichiarazioni presentate da circa 41 milioni di italiani nel 2008, relative quindi ai redditi 2007. L'immagine che emerge, anche se con un reddito in leggero aumento, è quella consueta di un paese spaccato in due. Sia dal punto di vista geografico che reddituale. Così, se si guarda alle dichiarazioni delle società di capitale emerge che una metà dichiara di essere in perdita e la quota rimanente di avere un utile, anche consistente.

META' ITALIA CON 15.000 EURO: La quota di coloro che dichiarano un guadagno sotto questa soglia è del 50,2%. Ma la percentuale varia a seconda delle tipologie di reddito: così dichiara un imponibile sotto questa soglia il 34,8% dei dipendenti, il 22% degli autonomi e il 59% dei pensionati. Se si sale un poco emerge che l'80% dei contribuenti dichiara non oltre 26.000 euro.

ITALIANO MEDIO A 18.892 EURO: Il reddito medio degli italiani nel 2007 era pari a 18.892 euro, in crescita del 3,1% rispetto all'anno precedente. In base ai dati di via XX settembre crescono più i redditi da lavoro autonomo (+2% a 37.124 euro) che quelli percepiti dai dipendenti (+1% a 19.335 euro). Un aumento maggiore, ma l'importo assoluto è più basso, hanno poi registrato i pensionati, passati da 13.046 a 13.448 euro, con un incremento del 3%, surclassati però da coloro che possiedono partecipazioni societarie, saliti da 19.254 a 19.927 euro (+3,5%).

SOCIETA', 1 SU 2 PERDE: Quasi una società di capitali su due dichiara al fisco di essere in perdita. Dalle statistiche emerge che sono circa 520 mila le società che mostrano un utile, mentre sono 419 mila quelle in perdita. Le società di capitali hanno quasi raggiunto il milione di unità, con una crescita del 2,9% rispetto all'anno precedente, ed oltre un quinto risiede in Lombardia.

BONUS ENERGIA PER 185 MILA: Dalle dichiarazioni emerge il successo degli sconti fiscali del 55% per il risparmio energetico: sono stati utilizzati da oltre 185.000 contribuenti.

Fonte: Ansa.it

 
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Taranto, nessuno paga l’energia Case "allacciate" ai semafori

Post n°40 pubblicato il 14 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Ippazio Stefàno è il sindaco di Taranto. Quando venne eletto, a furor di votanti, venne portato a spalle per le strade della città. Il popolo della sinistra radicale, dell’Udeur, del nuovo partito socialista e della diccì di sempre, festeggiava la fine di un’epoca di malcostume, di spese folli, di conti mai pagati, l’Ilva su tutti con quei tredici milioni di euro di Ici dimenticati, si fa per dire. Bene, Ippazio Stefàno ha ricevuto, sulla scrivania del suo ufficio in municipio, la bolletta dell’Enel: rispetto all’ultima fattura ci sono trecentocinquantamila euro in più da pagare. Uso e abuso di aria condizionata? Luminarie in eccesso? Asciugacapelli a manetta? Scaldabagno elettrico da caserma?

Niente di tutto questo. Trattasi di semafori. Consumano, quelli tarantini, che non potete credere, da un isolato all’altro si passa da trentatré a quarantasette euro e poi si sale a centoventotto, si cresce a centosessantasei, si monta a trecentosettantanove, si decolla a millenovantanove e, sempre più in su, allegria, si toccano i millesettecentoquarantotto euro, virgola settantacinque centesimi. Roba da Las Vegas nelle ore notturne o Parigi sempre, ma Taranto non ha casinò e nemmeno il Louvre.

Nel caso dei 1.748 e virgola, poi, nemmeno Totò avrebbe potuto immaginare quello che sembra accadere: infatti il semaforo in questione sarebbe quello collocato in via Nazario Sauro angolo via di Palma. Ho usato il condizionale perché in quel sito non esiste nessun semaforo. Il trucco c’è ma non si vede. Lino Banfi, che ha appena compiuto settantatré anni, racconta che quando arrivò il primo semaforo a Canosa, sempre in Puglia siamo, un vecchietto, sorpreso e incuriosito, commentò: «Hii, la pantiera luminosa!». A Taranto la bandiera sventola e alla grande.

Come la mettiamo allora, dottor Ippazio Stefàno? La mettiamo che qualche tarantino da fiction senza pulp ha collegato l’impianto di casa a quello semaforico, dunque, clandestinamente sugge, succhia, assorbe, E io pago, direbbe il Totò di cui sopra. Infatti a pagare la bolletta è il Comune, generoso, disponibile, ben disposto, nonostante in tempi recenti un dirigente della direzione programmazione finanziaria avesse allertato i più, con il sindaco prima di tutti, che qualcosa andava controllato, che i conti non erano tranquilli, insomma che il semaforo era intelligente mentre qualcuno stava facendo il furbo e qualcun altro, il fesso.

Non c’è stata reazione, anzi luce verde, avanti così, nemmeno il segnale di attenzione, giallo, figuratevi il rosso che poi, farebbe parte, come sfondo stinto, della fazione del sindaco succitato. Ma questa non è una semplice, banale vicenda di destra e sinistra, questa è la dimostrazione che il cittadino del nord, preso per il bavero e per il portafoglio, dai semafori «pilotati» dai comuni padani e costretto a pagare multe improbabili e a vedersi togliere punti pesanti sulla patente, trova vendetta nel cittadino del sud che non si attacca al tram, non ce ne sono, ma al semaforo, sperando che in municipio a nessuno venga in mente di spegnere l’attrezzo perché altrimenti frigorifero, televisore e stereo andrebbero in black out. È un’Italia bella da attraversare con attenzione, dall’Alpi in giù, senza arrivare alle Piramidi. Agli incroci stradali, non piegate la testa a destra e a sinistra ma date un’occhiata se qualche filo elettrico penzoli dal semaforo, se avvertite qualcosa di strano, tranquilli, non vi stanno facendo la fotografia, stanno accedendo il televisore.

Fonte: ilgiornale.it

 
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Como - CASSA INTEGRAZIONE A QUOTA 412.238 ORE, NEL FEBBRAIO 2008 ERANO «SOLO» 58.762

Post n°39 pubblicato il 17 Aprile 2009 da franco_rovati
 

I dati della provincia di Como e le novità  in materia di Politiche Attive per il Lavoro.

Nel mese di febbraio 2009 sono state au torizzate in provincia di Como 412.238 ore di cassa integrazione. A febbraio 2008 erano state 58.762. Questi alcuni dei dati con tenuti nell'Osservatorio di stribuito nei giorni scorsi dal settore Politiche Attive del Lavoro della Provincia, guidato dall'assessore Alessandro Fermi .

Tra gennaio e febbraio 2009, si contano 3.248 per sone alla ricerca di un la voro (si tratta solo di chi si è rivolto ai Centri per l'Im piego); nello stesso periodo dell'anno scorso se ne con tavano 2.073, che significa +57%. I 3.248 sono così sud divisi: 774 si sono rivolti al Centro Impiego di Appia no, 638 a Cantù, 970 a Como, 510 a Erba, 345 a Menaggio e i restanti 11 in altri cen tri. Da 15 anni non si re gistrava una situazione del genere.In merito alla cassa in tegrazione guadagni, a feb braio 2008 le ore autoriz zate erano: 58.762 (56.962 per l'ordinaria e 1.800 per la straordinaria); a feb braio 2009 il monte ore au torizzate è lievitato a quota 412.238 (171.465 per l'ordi naria e 240.773 per la straordinaria). In base al settore sono così suddivise: industria 150.463 ordinaria e 240.773 straordinaria; edi lizia 21.002 ordinaria. Il confronto tra province lombarde, sempre in me rito a febbraio 2009, rileva che in merito alle ore au torizzate di cassa ordinaria la provincia messa peggio è Brescia con 3.220.338 ore mentre per la straordina ria, dopo Milano con 734.553, ore c'è Bergamo con 285.011. L'osservatorio del Mer cato del Lavoro si sofferma anche sulle imprese regi strate, dati che permettono di capire qual'è stata l'evo luzione della struttura pro duttiva. Nel corso del 2008 le iscrizioni al Registro del le Imprese sono state 3.572, il 6,8% in meno del 2007, le cessazione sono state 4.093, il 21% in più, un dato che comprende però anche le cancellazioni d'ufficio (1.029). Nell'Albo Imprese Artigiane nel 2008 le nuove iscrizioni sono state 1.510, il 13% in meno del 2007 e le cessazioni 1.597, l'8,8% in più (301 le cancellazioni d'ufficio). Per tamponare la crisi la provincia di Como ha messo in campo 8mi lioni di euro per sostenere chi è in cerca di lavoro. Proprio negli ultimi giorni una novità : «Abbiamo si glato un protocollo d'intesa con le banche per quanto riguarda l'anticipo della cassa integrazione straor dinaria e lo slittamento del mutuo - spiega Fermi - L'ac cordo è stato firmato con Bcc Alta Brianza, Bcc di Cantù, Banca di Legnano e Credito Valtellinese. Chi si trova in cassa integrazione può chiedere di non pagare la rata del mutuo sulla pri ma casa fino a quando il periodo di cassa sarà  con cluso». L'anticipo della cas sa integrazione era un provvedimento attivo già  da qualche mese, nuova in vece la possibilità  di far slittare la rata del mutuo.

Fonte: giornaledicomo.it

 
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Fincantieri Anno difficile, più ricavi e meno utili Al via l’aumento di capitale da 300 milioni

Post n°38 pubblicato il 09 Aprile 2009 da franco_rovati
 

Un 2008 in chiaroscuro per il gruppo Fincantieri. L’azienda ha archiviato l’esercizio con una crescita record del fatturato dell’8% a 2,9 miliardi di euro. La redditività non è stata altrettanto soddisfacente. L’utile netto è sceso da 36 a 10 milioni «a causa della congiuntura internazionale sfavorevole».

Ciononostante, per il quinto anno consecutivo, il consiglio d’amministrazione ha deciso di proporre all’assemblea la distribuzione di un dividendo di 10,1 milioni, pari a una remunerazione annua del 3% del capitale sociale. Una piccola boccata d’ossigeno per il Tesoro che risulta essere azionista unico dell’azienda.

Sotto il profilo commerciale, nel 2008, sono stati raccolti ordini per 2,5 miliardi (contro il valore record di 4,2 miliardi del 2007), «in un contesto di mercato segnato dalla crisi finanziaria - hanno spiegato dalla società - che ha bloccato i nuovi ordini a partire da settembre 2008». A causa della riduzione degli ordini, il portafoglio totale si è attestato a 10,8 miliardi (in calo rispetto ai 12 miliardi del 2007), mentre gli investimenti sono diminuiti, negli ultimi dodici mesi, da 116 a 111 milioni di euro.

Infine, per sostenere il piano industriale ’07-’11, il cda ha dato l’ok a un aumento di capitale di 300 milioni. Ricapitalizzazione prevista già nel 2007, ma che non si era potuta realizzare. «Sono soddisfatto della tenuta dell’azienda in un momento di crisi come questo e fiducioso per il futuro» ha commentato il numero uno di Fincantieri, Giuseppe Bono.

Fonte: Libero-news.it 30.03.09

CRISI: FINCANTIERI; STOP A MEGAYACHT, SLITTANO COMMESSE

La crisi economica non risparmia nemmeno il comparto del superlusso e il settore della cantieristica, coinvolto dalla contrazione dei consumi del turismo e del tempo libero. Fincantieri ha infatti annunciato ai sindacati l'avvenuta cancellazione di una commessa multimiliardaria per la costruzione di un megayacht, a causa di difficoltà del committente, lo slittamento dei tempi di consegna, su richiesta degli armatori, di navi già in lavorazione oltre al rischio di congelamento di un programma per la costruzione di traghetti. Lo riferiscono i sindacati di categoria che hanno chiesto un incontro con l'amministratore delegato per un'analisi dell' attuale situazione economica. La Fim Cisl valuta che tali fatti "potrebbero portare a negative ricadute nei cantieri di Muggiano, Ancona, Genova Sestri e Castellamare che andrebbero a diminuire gli attuali carichi di lavoro. Se a ciò si aggiunge che non si stanno acquisendo nuovi ordini - scrive la Fim in una nota - il quadro non si presenta tranquillo per nessuno dei siti produttivi". Per questo il sindacato di categoria ritiene "prioritario mettere in sicurezza Fincantieri, facendo in modo che venga rafforzata, e non ridimensionata, da questa crisi strisciante e indecifrabile nella sua portata e durata. Serve certamente un confronto, e a questo non ci sottrarremo, su come recuperare efficienza e produttività - scrive la Fim - puntando su un'organizzazione del lavoro che permetta a Fincantieri di aggredire un mercato sempre più difficile". L' allarme è condiviso dalla Uilm: "Di fronte a questi primi segnali preoccupanti la Fincantieri ha paventato la possibilità di sospendere la trattativa di secondo livello in quanto non è oggi possibile prevedere la densità degli effetti della crisi finanziaria e di mercato nel medio e lungo periodo", scrive in una nota. In tale contesto, la Uilm ritiene necessario "affrontare un confronto serrato sulla vertenza con l'obiettivo di un reale recupero di efficienza e produttività, attraverso una più concreta organizzazione del lavoro che permetta a Fincantieri di aggredire un mercato sempre più ristretto e competitivo". (ANSA). 19.11.08

 
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Crisi, chirurgia plastica nuovo investimento per trovare lavoro

Post n°37 pubblicato il 08 Aprile 2009 da franco_rovati
 

Quando la situazione si fa dura, alcuni si rivolgono al chirurgo plastico. La recessione ha chiaramente dato un taglio agli interventi di chirurgia plastica nel 2008, con gli interventi negli Stati Uniti in calo del 9%, fino a scendere a 11,8 miliardi di dollari, stando ai dati dell'American Society of Plastic Surgeons.

Ma alcuni chirurghi e pazienti stanno riscoprendo l'interesse per questo tipo di chirurgia, in particolare tra le persone che vogliono sembrare più giovani e più "fresche" per competere meglio in un mercato del lavoro sempre più difficile.

"Ho 56 anni e sono stato nel mondo della musica per 35 anni. Lo scorso anno non è stato un buon anno e presto dovrò sostenere dei colloqui di lavoro", spiega Jeff Grabow, un dirigente di marketing musicale a Los Angeles, che recentemente ha speso 17.000 dollari per un lifting facciale.

"La chirurgia plastica ha senso per me. Sembro più giovane di 10 o 15 anni e ho più fiducia in me stesso".

Il chirurgo di Grabow, Payman Simoni, ha detto di aver eseguito sul paziente un "lifting da sveglio", utilizzando solo l'anestesia locale, che secondo lui riduce i tempi di recupero e i costi dell'operazione di circa 6.000 dollari, rendendolo un intervento estremamente popolare tra coloro che cercano lavoro.

"Prima della recessione, le persone facevano questo genere di operazioni per poi potersi divertire di più nella vita sociale"; ha detto Simoni. "Ma ora la chirurgia plastica è diventata una necessità per qualcuno. Nel mercato del lavoro di oggi le persone non possono più contare solo sulle proprie capacità. Vogliono sembrare più belli e più giovani per avere maggiori possibilità di competere per i posti di lavoro", ha concluso il chirurgo.

MESSA A PUNTO ESTETICA

L'American Society of Plastic Surgeons ha pubblicato una ricerca che testimonia come le donne americane guardino sempre più alla chirurgia estetica per essere competitive nel mercato del lavoro.

Circa il 13% delle 756 donne oggetto dello studio, comprese tra i 18 e i 64 anni, ha affermato di considerare l'eventualità di un intervento chirurgico per avere maggiore fiducia e maggiori possibilità nel mondo del lavoro.

Circa il 3% ha detto di aver già subito degli interventi di chirurgia estetica per aumentare le proprie chance lavorative e il 73% ha detto che sembrare più giovani o più attraenti è un elemento che conta nel mercato del lavoro di oggi, soprattutto in un momento economicamente così difficile.

Linda Mason, produttrice televisiva e fotografa a Los Angeles, ha detto di aver, recentemente, fatto ricorso ad un lifting perchè "inserita in un mercato giovane".

"Mi rapporto con persone giovani e la miglior cosa che posso fare per avere successo è rimanere giovane", ha detto la donna alla Reuters.

Il chirurgo plastico di Manhattan Stephen Greenberg ha visto un'opportunità in questa nuova fetta di mercato e ha promosso il suo "Pacchetto da battaglia per il lavoro", sia per gli uomini che per le donne.

"Abbiamo fatto dai 50 ai 60 interventi da quando abbiamo lanciato questo pacchetto, cinque mesi fa", ha detto Greenberg, riferendo come non tutti "i ritocchi" abbiano avuto necessità dell'intervento chirurgico ma che, per alcuni, sono bastati interventi meno invasivi e costosi.

"Uomini e donne di 40 o 50 anni competono con persone di 10 0 15 anni più giovani e spesso i datori di lavoro preferiscono qualcuno che appaia più giovane e fresco, anche se meno qualificato", ha continuato Greenberg, che ha anche detto che alcuni pazienti ritengono l'intervento chirurgico un vero e proprio investimento e per questo chiedono anche dei prestiti per pagarlo.

Spesso, l'intervento di chirurgia estetica viene fatto, oltre che per motivi lavorativi, anche solo per un sollievo emotivo in un momento difficile.

"Penso che quando le persone si sentono giù per via della crisi economica, nasca in loro la voglia di fare qualcosa per sentirsi meglio", ha detto Greenberg.

D'accordo con lui si è dimostrato il chirurgo di New York City Steven Pearlman.

"La gente è stanca e sta cominciando a capire che la vita è breve. La chirurgia estetica è un investimento su se stessi. Ti fa sentire bene, ti fa sentire migliore almeno una dozzina di volte al giorno, quando ti guardi allo specchio", ha concluso Pearlman.

Sue Ziedler

Fonte:Yahoo notizie

 
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Jim Rogers: bisogna abbandonare al fallimento AIG

Post n°36 pubblicato il 08 Aprile 2009 da franco_rovati
 

"Mantenendo il supporto governativo sull'azienda AIG, e su altri istituti finanziari malati, si rischia di compromettere l'economia americana". Queste le parole dell'investitore miliardario Jim Rogers durante un'intervista rilasciata al network finanziario CNBC. "Qualora AIG andasse in bancarotta, dovremo fare i conti con due o tre anni orribili dal punto di vista economico, ma e' molto meglio far fallire una sola societa' che l'intero Paese" conclude Rogers.

Fonte: Yahoo Finanza

http://www.youtube.com/watch?v=zxRdU...e=channel_page

 
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CRISI, E' BOOM DEGLI SFRATTI PER MOROSITA'

Post n°35 pubblicato il 07 Aprile 2009 da franco_rovati
 
Tag: sfratto

Senza misure di sostegno al reddito delle famiglie in affitto, nel triennio 2009/2011 si prevede che altre 150.000 famiglie perderanno la propria abitazione subendo uno sfratto per morosita' incapaci di far fronte al pagamento dell'affitto. E' quanto emerge da una ricerca della Cgil e del Sunia, 'La crisi economica acuisce il fenomeno degli sfratti per morosita', che registra una crescita del 16% degli affitti nel 2008.  "Mentre il Governo prepara il 'Piano casa' come stimolo per la crescita - denuncia una nota - esplode l'emergenza sfratti". "Il mercato dell'affitto privato, infatti, e' caratterizzato da quella famiglia tipo che oggi piu' che mai subisce gli effetti della crisi economica: il 20,5% dei nuclei sono unipersonali (di questi il 58% composti da donne), il 67% delle famiglie in affitto percepiscono un solo reddito e in queste il 39,6% e' rappresentato da operai e il 29,2% da pensionati, piu' di un quinto dei capofamiglia ha oltre 65 anni e un quarto e' costituito da donne". E "per le famiglie dove spesso l'unica entrate e' un reddito da lavoro dipendente o una pensione - secondo la ricerca - l'affitto incide con percentuali insostenibili: tra il 40 e il 50% a Genova e Torino, tra il 50 e il 70% a Bologna e Firenze, oltre il 70% a Milano e Roma. In generale le spese totali per l'abitazione gravano sul reddito mediamente tra il 50 e il 70%, con i casi eclatanti di Milano e Roma, dove l'incidenza oscilla tra l'82 e il 92%. A fronte di un reddito medio da lavoro dipendente sostanzialmente invariato (considerato pari a 16.045 euro annui, al netto delle imposte e dei contributi, secondo il dato di Banca d'Italia 'I bilanci delle famiglie italiane' dell' anno 2006), gli affitti sono aumentati del 16% nel corso del 2008". "Data l'insostenibilita' dei canoni, delle spese per l'abitazione e dell'aggravarsi della situazione economica e occupazionale - secondo la Cgil ed il Sunia - senza misure di sostegno al reddito delle famiglie in affitto, nel triennio 2009/2011 si prevede che altre 150.000 famiglie perderanno la propria abitazione subendo uno sfratto per morosita' incapaci di far fronte al pagamento dell'affitto". "Rispetto a queste che sono le vere esigenze del Paese - osserva la segretaria confederale della Cgil, Paola Agnello Modica - il Governo propone un Piano per chi ha gia' casa". "In attesa di conoscere la integrale proposta del Governo di un piano che viene spacciato per 'Piano Casa' ma che e' in realta' un 'Piano per l'edilizia", per Agnello "gia' e' chiaro che dall'agenda politica sparisce il tema dell'edilizia sociale e dell'affitto". "Significativo infatti che dei 550 milioni stanziati dal Governo Prodi, l'attuale Governo ne conceda con un anno di ritardo solo 200 alle Regioni, mentre riduce le risorse per chi e' in affitto tagliando i soldi per il fondo sociale". E la stessa nota fa sapere che "solo negli ultimi cinque anni circa 120.000 famiglie hanno perso la loro abitazione, come emerge dai dati dell'Ufficio Centrale di Statistica del Ministero dell'Interno del dicembre 2008". "Per circa 100.000 casi, il provvedimento di sfratto e' stato eseguito per morosita' a causa dell'incidenza altissima dell'affitto sul reddito percepito. Inoltre, agli sfratti gia' compiuti si aggiungono molti emessi e non ancora eseguiti: altre 50.000 famiglie rischiano di perdere la propria abitazione con l'esecuzione dello sfratto. Guardando le aree metropolitane a piu' alta tensione abitativa nel complesso sono stati emessi quasi 100.000 sfratti per morosita' e circa 90.000 famiglie hanno subito un esecuzione del provvedimento: a Milano e Roma circa 20.000 famiglie, a Napoli quasi 15.000, a Torino piu' di 10.000. Mentre a Genova, Firenze, Palermo e Roma circa il 10% delle famiglie in affitto, escludendo le abitazioni di proprieta' pubblica, hanno subito uno sfratto per morosita'".

FOnte: agi.it

 
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Cremazioni, a Milano il record europeo

Post n°34 pubblicato il 07 Aprile 2009 da franco_rovati
 

Quest'anno a Milano sei morti su dieci saranno cremati. La stima è dei servizi funerari e cimiteriali del Comune. Una media che non solo distanzia il capoluogo lombardo dal resto d'Italia, dove le incinerazioni sono ferme all'8%, ma anche dal quadro europeo (36,6%). Il primato milanese è stato sottolineato durante i lavori del meeting europeo organizzato dal European federation of funeral services (Effs) dedicato alla cremazione. «Milano incarna un ruolo pionieristico in questo settore, per ragioni sia storiche, sia culturali - ha spiegato l'assessore comunale ai Servizi al Cittadino, Stefano Pillitteri -. In questi anni l'amministrazione è stata lungimirante nel costruire il polo crematorio di Lambrate, di cui ora stiamo progettando l'ampliamento». Lo scorso anno sono stati cremati proprio a Lambrate 7.920 corpi.
TARIFFE BASSE - «Stanno cambiando le modalità del culto dei morti, anche se alcuni scelgono la cremazione come forma di risparmio - ha spiegato Luigi Balladore, direttore dei servizi funerari e cimiteriali del Comune -. Il Comune vanta le tariffe più basse di tutta Italia, che vanno dai 280 ai 380 euro». Oltre ai vantaggi privati della cremazione (scompaiono le spese per le esumazioni) il convegno ha evidenziato anche quelli pubblici, legati alla minore richiesta di campi cimiteriali. Tuttavia resta aperta la questione ambientale e per questo i responsabili dei più importanti cimiteri europei hanno ribadito la richiesta di un quadro normativo certo e omogeneo su scala continentale. «I nostri cinque forni a Lambrate - ha concluso Balladore - sfruttano tecnologie avanzate, tuttavia ancora non abbiamo filtri per la raccolta dei fumi da combustione di zinco».

Milano - L'aumento delle cremazioni manda in crisi i marmisti

Cresce a dismisura la pratica della cremazione fra i (defunti) milanesi. La Camera di Commercio conferma che le richieste di cremazione hanno superato quelle di sepoltura. I fattori che spingono in questa direzione sono due: il venir meno del credo religioso e i costi esorbitanti delle tombe. Un monumento marmoreo può costare anche 3500 euro, mentre l’urna cineraria si attesta sui 200, senza contare che la Regione Lombardia permette di tenere in casa il vaso con le spoglie del caro estinto. Questo cambio di indirizzo funerario ha prodotto anche una forte crisi fra i marmisti, che hanno deciso di rilanciare il settore dei monumenti funebri con un corso suddiviso in cinque materie denominato “Stones”, con l’ambizioso scopo di aumentare la professionalità degli addetti e recuperare così i clienti che altrimenti opterebbero per essere “inceneriti”.

 
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Re e alfieri mangiati dalla recessione: in Ticino la partita della crisi

Post n°33 pubblicato il 07 Aprile 2009 da franco_rovati
 

L’alfiere muove e mangia posti di lavoro a ripetizione. Potrebbero arrivare a quota 8000, forse più, a giugno, e salire addirittura a 10mila se la crisi dovesse colpire ancora duro.Sono le stime della Sezione del lavoro del Cantone. Quella contro la crisi è una partita giocata sulla fragile scacchiera dell’economia ticinese, servono nervi d’acciaio per evitare danni e guadagnare lentamente posizioni. L’apertura della gara, a gennaio, segnava 7.515 disoccupati, 7.564 a febbraio, una 536 in più rispetto al febbraio 2008. Ma negli ultimi cinque mesi hanno perso il posto anche 2000 frontalieri, non conteggiati nella statistica cantonale. Numeri che riportano il mercato del lavoro al biennio 2005-2006. E a restare senza salario sono stati soprattutto i lavoratori di mezza età: con 30-40 anni, molti specializzati.

Ma accanto a questo dato negativo c’è da segnalare che il mercato del lavoro è pure cresciuto dello 0.8 per cento, poco certo tenendo conto dei recenti ritmi di crescita attorno al 4 per cento. A frenare l’aumento dei disoccupati c’è stato l’uso dell’ orario ridotto che ha permesso a molte aziende in difficoltà di non licenziare i dipendenti: una trentina quelle che vi hanno fatto ricorso sino adesso, siamo comunque ben lontani dalle 145 dell’anno scorso o dalle 678 registrate cinque anni fa.

Sulla scacchiera dell’economia qualcosa, però, si muove. Nonostante la congiuntura nel 2008 è aumentato il numero delle nuove imprese che hanno raggiunto quota 2.198. Scricchiola invece il mercato dell’auto: le immatricolazioni dei veicoli, sostanzialmente stabili nell’ultimo biennio, hanno registrato una contrazione del 10% nel mese di gennaio. A ridare ossigeno alle vendite potrebbero servire gli ecoincentivi per la rottamazione decisi con le misure anticrisi del Cantone. Soffre anche il turismo con una contraddizione nel comparto alberghiero che nei quattro  mesi consecutivi ha col-ezionato il segno meno. Risultato: all’appello mancano 82 mila pernottamenti (in controtendenza il dato svizzero) e un meno 6% del fatturato.

Per contro regge bene l’edilizia che ha ancora ottime riserve di lavoro almeno sino alla fine dell’anno e con risultati di tutto rispetto nel quarto trimestre del 2008 che ha segnato un 37% in più di richieste di nuove autorizzazioni a costruire. Un dato che compensa il bilancio di un anno che si era chiuso con una flessione per l’edilizia abitativa.

Si arretra di qualche casella sulla scacchiera con il Pil (prodotto interno lord) che ha cominciato con una contrazione marcata per giungere nel dicembre scorso ad un rallentamento progressivo. E così mentre inizialmente le previsioni stimavano una crescita ragionevolmente sopra l’1% adesso si ipotizza una contrazione (secondo l’Ufficio federale di statistica) l’1.1% in termini reali. Ne soffre di conseguenza anche la bilancia commerciale, particolarmente importante in un Cantone come il Ticino con poche materie prime e fortemente dipendente dai mercati esteri o di altri cantoni. A fine anno le esportazioni si sono contratte del 18.3% rispetto allo stesso mese del 2008 a fronte di importazioni inizialmente stabili e poi sempre più deboli.

La regina che può dare scacco alla crisi resta sempre l’innovazione, la competitività internazionale, come dimostra l'esperiena di alcune aziende. Sono i risparmi da convogliare negli investimenti e i consumi che reggono ancora bene, producendo fatturati record per la grande distribuzione, Coop, Migros, e Ikea Svizzera (900 milioni di fatturati: concederà aumenti salariali generalizzati dell’1,5 per cento). Basterà? La partita sulla scacchiera dell’economia ticinese resta aperta.

 

 

Mauro Spignesi Fonte: caffe.ch

 

 
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Baranzini: “Siamo tornati indietro di tre o quattro anni”

Post n°32 pubblicato il 07 Aprile 2009 da franco_rovati
 
Tag: crisi

MAURO BARANZINI Docente, economista, decano della Facoltà di scienze economiche all'Usi

“Non finirà presto, o meglio non durerà nove mesi come tanti hanno previsto. Almeno questa è la mia previsione”. Il professor Mauro Baranzini, decano e docente della facoltà di Scienze economiche dell’Usi, smorza gli entusiasmi: “Questa è una brutta crisi e in Ticino la sua faccia vera non l’abbiano ancora vista. Rischiamo di tornare indietro di tre-quattro anni? “Se continua così...”.

Perché questo pessimismo? “Non sono pessimista, sono realista. Parlo con i colleghi di altre università e registro i dati. Per esempio, mi ha recentemente impressionato quello delle esportazioni in Giappone: meno 59%. È indicativo”.

Molti suoi colleghi tuttavia fissano una data: giugno 2009. Da qui, anche in Ticino, dovrebbe partire una inversione di tendenza. È d’accordo? “Io non ci credo. E poi cosa vuol dire inversione di tendenza? Che si ridurrà il numero di disoccupati, che si creeranno nuovi posti, che il Pil riprenderà a salire? Magari potrebbe anche capitare che uno di questi indicatori segni un segno più, ma se gli altri resteranno negativi la ripresa non partirà affatto”.

In che fase siamo della crisi? “Quasi a metà strada. In Ticino s’è fatta sentire meno perché qui tutto arriva in ritardo rispetto alla Svizzera, dove tutto arriva in ritardo rispetto all’Europa e dove tutto arriva in ritardo rispetto agli Stati Uniti”.

Però molti settori stanno tenendo, almeno qui in Ticino. Non crede? “La nostra è una piccola economia ben organizzata. Ciò ci sta consentendo di tenere posizioni”.

Molte imprese negli scorsi anni hanno segnato utili importanti, in una situazione di difficoltà partono in vantaggio? “Sicuro. Chi ha riserve può nuotare in apnea”.

Chi vede meglio e chi peggio? “Vedo in pericolo le imprese legate alle esportazioni, e sono tante. Penso al settore metalmeccanico, alla meccanica di precisione (guardiamo a cosa è successo alla Agie), a quello della componentistica d’auto che vivono di riflesso la crisi”.

Chi va meglio? “Beh, intanto l’edilizia che ha ancora riserve di lavoro. Poi la farmaceutica e il settore delle biotecnologie, la scuola e la formazione. Senza dimenticare i servizi pubblici. Insomma, tutti quelli non legati strettamente alle esportazioni”.

Un primo bilancio della crisi e una proiezione sino a giugno? “Si potrebbe arrivare a 12 mila disoccupati, la disoccupazione segue l’evoluzione congiunturale (ndr. ma le stime del Cantone sono inferiori) Poi, bisognerà rimboccarsi le maniche e ripartire appena sarà passata la bufera”.

Fonte: caffe.ch

 
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Manager assediato dai dipendenti

Post n°31 pubblicato il 02 Aprile 2009 da franco_rovati
 

Protesta sotto le finestre di un dirigente del call center Omnia di via Breda. «Siamo senza stipendio»

«Adesso basta! Li vogliamo qui. In mezzo a noi. E ce lo ven­gano a spiegare con parole loro come mai non ci sono stati paga­ti gli ultimi due mesi di stipen­dio». Così parlavano ieri matti­na i dipendenti del call centre Omnia di via Breda 176. Da gior­ni la tensione e la rabbia stava­no montando. Questa volta, pe­rò, si è passati ai fatti. Una cin­quantina di operatori hanno la­sciato il lavoro e sono scesi in cortile. Sotto le finestre del di­rettore generale, nonostante la pioggia. Determinati a fare scen­dere il manager per ottenere su­bito spiegazioni. Fernando Ruzza ha capito la situazione e ha accettato l’invi­to senza farsi pregare. «Non mi sono certo sentito in pericolo o accerchiato — tiene a precisare il manager —. Anzi, devo ringra­ziare dipendenti e sindacati per la correttezza del confronto». Resta il fatto che la riunione im­provvisata in cortile non era cer­to prevista. La determinazione dei dipendenti ad avere rassicu­razioni riguardo agli stipendi ha spiazzato lo stesso sindacato interno. «Abbiamo capito subi­to che di fronte a colleghi che non riescono ad arrivare alla fi­ne del mese, che non hanno più soldi per pagare il mutuo e gli alimenti all’ex moglie, le forma­lità del confronto sindacale non potevano essere mantenute — racconta Silvana Tranquillo del­la Cub, sindacato presente nel call centre insieme con la Cgil —. L’idea di chiedere un incon­tro e aspettare era improponibi­le. Le risposte servivano subito. Per calmare gli animi».

Quando Fernando Ruzza è sceso in cortile erano circa le 9.45 del mattino. Il confronto è continuato fino alle 11.30 al ri­paro di una tettoia. Poi il sinda­cato ha chiesto il permesso for­male di riunire tutti i dipenden­ti in assemblea. Via libera subi­to accordato. E così Ruzza si è trovato a gestire la situazione davanti a tutti i 300 presenti in turno. «Chi lavora a tempo pieno in Omnia guadagna tra 950 e 1.100 euro — racconta Tran­quillo —. Quando si vive con così poco basta una busta paga che salta per metterti in difficol­tà. Era da tempo che gli stipen­di venivano pagati in ritardo. Ma stavolta si sta andando trop­po per le lunghe. Tanto per ren­dere l’idea, c’è gente che trova difficile fare il pie­no per raggiungere il posto di lavoro».

Omnia Group è un’azienda quota in Borsa che dà la­voro in Italia a ol­tre tremila perso­ne. Nella sede di via Breda su più turni lavorano circa 800 perso­ne. Negli ultimi tempi il call center naviga in acque difficili. L’ultimo bilancio, approvato martedì dal consiglio di ammi­nistrazione, è in rosso. «Ma ab­biamo messo le premesse per il rilancio dell’impresa — ha spie­gato ieri Ruzza ai dipendenti as­setati di euro —. Un paio di set­timane fa è entrato in azienda un socio austriaco che si farà ga­rante per ottenere la liquidità necessaria a pagare subito gli stipendi. Non solo. E’ già previ­sta la ricapitalizzazione dell’im­presa». Insomma, le buste paga arri­veranno a giorni. Ma il timore che il caso Omnia sia il segnale del passaggio della crisi dall’in­dustria ai servizi è legittimo. «Siamo un settore ad alta inten­sità di lavoro — osserva Ruzza —. Se le banche chiudono i ru­binetti, nelle aziende come la nostra i flussi di cassa ne risen­tono subito. Mettendoci in diffi­coltà».

Rita Querzé
Fonte: corriere.it

 
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Milano - Crisi, 70 mila aziende a rischio chiusura

Post n°30 pubblicato il 02 Aprile 2009 da franco_rovati

Camera di commercio: da anni mai tante difficoltà. Ma il Cosmit: hotel troppo cari per il Salone del mobile

Depressi. Col portafogli chiu­so a doppia mandata. E preoccu­pati per il futuro. Così un son­daggio della Camera di commer­cio di Milano tra le imprese atti­ve in provincia racconta lo stato d’animo e le abitudini degli im­prenditori alle prese con la crisi. Il dato più preoccupante: cir­ca 70 mila delle 280 mila impre­se del territorio, secondo le sti­me della Camera, ha seri dubbi ri­guardo al proprio futuro. Inoltre po­co meno di 28 mi­la attività hanno già abbassato la saracinesca. «Quest’ultimo è il dato che ci sor­prende di meno — fanno notare in via Meravigli —. È fisiologica la chiusura di 25 mila imprese l’anno. Mentre non succedeva da anni che oltre il 27 per cento delle aziende fos­se in difficoltà». «Questa situazione, tra alti e bassi, è destinata a durare anco­ra. Anche se, per fortuna, ci so­no settori che stanno tenendo — riflette il presidente della Ca­mera di Commercio, Carlo San­galli —. È importante in questa fase sostenere il sistema delle piccole e medie imprese nell’ac­cesso al credito. Per questo la Ca­mera di commercio di Milano, in via straordinaria, ha avviato un Fondo di riassicurazione di 10 milioni a favore dei Confidi che potrà attivare finanziamenti bancari per circa 700 milioni di euro».

L’ufficio studi della Camera, in collaborazione con le associa­zioni di categoria, monitorerà su base mensile l’andamento della crisi. Intanto gli imprendi­tori intervistati si raccontano de­pressi (uno su cinque). E alle prese con cali del fatturato supe­riori al 30 per cento in un caso su tre. In questi mesi la crisi sta col­pendo anche il settore alberghie­ro. Che stima tagli al fatturato dal 18 al 35 per cento, a seconda delle zone. Nonostante ciò, il Co­smit, ente organizzatore del Sa­lone del mobile, a Milano dal 22 al 27 aprile, denuncia politiche di prezzo spropositate. «Tra i ca­si concreti segnalati dagli esposi­tori c’è quello di un hotel che per la stessa stanza durante il Sa­lone dell’anno scorso chiedeva 250 euro mentre oggi è arrivato a quota 468 — denuncia Manlio Armellini, amministratore dele­gato di Cosmit —. Questi sono comportamenti inaccettabili per una città a cui il Salone ha dona­to prestigio, business e turismo d’affari».

Di fronte a questa segnalazio­ne il presidente degli albergato­ri dell’Unione del Commercio, Alberto Sangregorio, si mostra sorpreso: «I colleghi che pratica­no politiche del genere non pos­sono che essere eccezioni. Sem­plicemente perché in un mo­mento come questo aumentare i prezzi non conviene a nessuno. Ci risulta, invece, che la maggio­ranza dei nostri associati stia ri­vedendo al ribasso le convenzio­ni stipulate con le aziende». Dal canto loro le associazioni dei consumatori danno un con­siglio ai turisti, d’affari e non: «Se qualcuno propone prezzi troppo alti non resta che armar­si di pazienza e rivolgersi ai con­correnti — suggerisce Michele Cavuoti di Altroconsumo —. In una fase come questa non do­vrebbe essere difficile trovare qualcuno interessato a conqui­stare clienti».

Rita Querzé
Fonte: corriere.it

 
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Primo maggio, concerto a rischio: mancano 900 mila euro per coprire i costi

Post n°29 pubblicato il 02 Aprile 2009 da franco_rovati
 

Dopo la lettera di Vasco Rossi una notizia crea apprensione fra le migliaia di giovani che si preparano al grande raduno in piazza San Giovanni. Il Concerto del primo maggio è a rischio. Mancano i fondi. Per la prima volta il concertone promosso da Cgil, Cisl e Uil è minacciato dalla problema del bilancio. Calano i ricavi e crescono le spese di allestimento.

«Da un punto di vista imprenditoriale — dice Marco Godano — dovremmo gettare la spugna, perché non abbiamo ancora trovato 8-900 mila euro. Ma resto ottimista». Godano è l’organizzatore di grandi eventi (anche per la Confindustria) che da 8 anni, su incarico delle tre confederazioni, si occupa di portare cantanti e musicisti sul palco del primo maggio attraverso la società Primata. Quest’anno l’operazione si sta complicando. Non perché manchino i nomi di spicco. Anzi, c’è anche Vasco Rossi. Ma i costi lievitano. «Di solito — continua Godano — il concerto costa circa un milione e mezzo, ma quest’anno viaggiamo verso i 2 milioni».

L’evento si è sempre autofinanziato per circa il 50% con i diritti di trasmissione Rai e per l’altra metà con i finanziamenti degli sponsor, spiega l’organizzatore. Ma ora «la Rai ci ha annunciato un taglio del 10% rispetto all’anno scorso e da parte di due fra i più importanti sponsor, Telecom Italia e Monte dei Paschi di Siena, non c’è stata la conferma del loro impegno». I conti sono presto fatti, secondo l’impresario: circa 80 mila euro in meno dalla Rai, oltre 300 mila in meno dagli sponsor e siamo già a quasi 400 mila, ai quali si aggiungono i circa 500 mila in più da trovare quest’anno. «È chiaro che la crisi economica sta colpendo, ma forse pesa anche la cattiva fase delle relazioni industriali. Sarebbe un peccato, perché mai come quest’anno il concerto è un’occasione per rilanciare la musica italiana. Credo che in un caso così in Francia ci sarebbe un intervento del governo a sostegno della musica nazionale».

Fausto De Simone, che per la Cisl segue la questione, spiega che è stato chiesto un incontro alla Rai: «Spero che la Rai confermi il suo contributo, senza tagli». Quanto agli sponsor, «ci appelliamo alla sensibilità delle aziende: col primo maggio lanceremo, attraverso un numero telefonico unico per gli sms, una raccolta di fondi per i figli dei morti sul lavoro». Anche Godano si appella alle aziende: «Ci rivolgeremo anche a quelle piccole. A questo punto accettiamo qualsiasi contributo, anche piccolo, piccolissimo». Ma il tempo stringe: «O troviamo i soldi in un paio di settimane o dovremo prendere una decisione con i sindacati». Siamo, insomma, alla colletta. Di certo, sottolinea De Simone, Cgil, Cisl e Uil non tireranno fuori un euro: il concertone si è sempre autofinanziato e, se vuole sopravvivere, dovrà continuare a farlo.

Vasco Rossi: Il rocker emiliano sarà sul palco di San Giovanni dopo dieci anni: «Vorrei restituire quello che ho ricevuto»Il rocker emiliano sarà sul palco di San Giovanni dopo dieci anni: «Vorrei restituire quello che ho ricevuto»

«Questo è il momento della solidarietà, vorrei restituire un po' di quello che ho ricevuto». Per questo Vasco Rossi, dopo dieci anni di assenza di nuovo sul palco di San Giovanni per il concertone del Primo Maggio, ha deciso di offrire 10omila euro per finanziare la raccolta fondi istituita a favore degli orfani delle vittime sul lavoro. «Non vedo un bel clima in giro», scrive il rocker emiliano in un lettera ideale al «Caro Primo Maggio»: «La crisi economica e, soprattutto, la difficoltà per molti di arrivare a fine mese. Non tira una bella aria e non è certo il mondo che vorrei», anche se «non mi occupo di politica e "governare" tra l'altro è un termine che non ho mai gradito», e «per me è andata sempre bene e torno con riconoscenza, peccato che per il nostro Paese non si possa dire altrettanto».

IL CONCERTO - È il messaggio che il Blasco lancerà dal palco nei 45 minuti di esibizione nel concertone del Primo maggio che ha per tema «Il mondo che vorrei», prendendo in prestito il titolo proprio di una sua canzone, titolo anche della raccolta fondi istituita per l'assegnazione di borse di studio a favore degli orfani delle vittime sul lavoro.

Fonte: corriere.it

 
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