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L'antico DNA delle genti americane...

Post n°1838 pubblicato il 23 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli

 

Fonte: Le Scienze

09 novembre 2018

Una nuove versione del popolamento delle Americhe

L'analisi del DNA ottenuto dai resti di antichi

abitanti del Nord e del Sud America ha mostrato

che il popolamento del continente americano ha

seguito modelli di dispersione complessi, rivelando

anche l'enigmatica presenza di antichi gruppi

umani imparentati con popolazioni dell'Australasia.

Il popolamento delle Americhe è stato molto più

complesso di quanto ipotizzato, e in alcune regioni

vi hanno contribuito gruppi ancestrali finora

sconosciuti, come dimostra una "firma" genetica

che li apparenta alle popolazioni australasiatiche,

in particolare agli indigeni del Papua, dell'Australia

e delle isole Andamane.

A scoprirlo è stato un gruppo internazionale di

ricercatori diretti da Eske Willerslev e J. Víctor

Moreno-Mayar dell'Università di Copenaghen,

in Danimarca, che firmano un articolo

 pubblicato su "Science".

Molti studi si sono concentrati sulle prime migrazioni

umane in Nord e Sud America, arrivando alla

conclusione - basata prevalentemente sul confronto

del genoma di persone viventi e un numero limitato

di DNA antichi, provenienti per lo più dal Nord

America - che le prime popolazioni americane

avrebbero iniziato a differenziarsi dai loro antenati

siberiani ed estremo-orientali poco meno di 25.000

anni fa; in seguito, circa 15.000 anni fa, queste

prime popolazioni si sarebbero diversificate ulteriormente

in nordamericane e sudamericane.

Tuttavia ben poco si sapeva sulla dinamica dei

successivi spostamenti di queste genti.

Una nuove versione del popolamento delle Americhe

Una delle sepolture in cui sono stati rinvenuti

i resti analizzati. (Cortesia Mark Aldenderfer)

Ora Moreno-Mayar e colleghi hanno sequenziato

il genoma di 15 antichi americani, sei dei quali

vissuti oltre 10.000 anni, provenienti da località

di tutto il continente: dall'Alaska fino alla Patagonia.

La scoperta più sorprendente è stata la presenza

di un chiaro segnale genetico australasiatico in

popolazioni del Sud America, del tutto assente

in quelle del Nord America.

"Il fatto che questo segnale non sia stato

documentato in Nord America - osserva Moreno-

Mayar - implica che un gruppo precedente

[a quelli considerati i primi americani] che lo

possedeva era già scomparso, oppure che un

gruppo giunto più tardi ha attraversato il Nord

America senza lasciare alcuna traccia genetica."

Una nuove versione del popolamento delle Americhe

Il sito di Trail Creek, in Alaska, dove sono stati

scoperti resti umani risalenti a circa 9000 anni fa.

(Cortesia NPS photo by Jeff Rasic)Inoltre, le analisi

hanno mostrato che le ondate migratorie da nord

a sud sono state molteplici, portando a popolazioni

chiaramente diversificate, ma secondo un modello

tutt'altro che lineare. Le popolazioni insediatesi per

prime in America centrale, per esempio, sono risultate

geneticamente più differenziate sia dalle popolazioni

del nord sia da quelle del sud.

A mostrare la complessità del quadro è stata anche

la scoperta che il genoma estratto dai resti umani

scoperti nella Spirit Cave, in Nevada, quindi Stati

Uniti, è sorprendentemente simile a quello dei resti

trovati a Lagoa Santa, nello Stato brasiliano del

Minas Gerais, a testimonianza di un rapidissimo

spostamento nel continente del loro gruppo di

appartenenza.

Singolarmente, inoltre, i genomi della Spirit Cave

e di Lagoa Santa sono molto più vicini ai nativi

americani contemporanei rispetto a qualsiasi altro

gruppo antico o contemporaneo sequenziato fino

a oggi nel continente. Una scoperta, questa, che

ha anche permesso di porre fine a una ventennale

contesa giuridica fra le autorità statunitensi e la

nazione dei Paiute-scioscioni - la principale popolazione

di nativi americani che vivono in Nevada - che

dopo la scoperta dei resti ne aveva rivendicato la

restituzione in base al Native American Graves

Protection and Repatriation Act.

Proprio grazie alle analisi effettuate da Eske

Willerslev e colleghi, nel 2016 lo scheletro di Spirit

Cave è stata restituito alla tribù e all'inizio di

quest'anno si è svolta una cerimonia di sepoltura

privata a cui ha partecipato anche Willeslev.

Una nuove versione del popolamento delle Americhe

 Resti umani rinvenuti a Lagoa Santa, in Brasile.
(Cortesia Natural History Museum of Denmark)

Un altro studio specificamente dedicato alla genetica

delle popolazioni andine degli altopiani e al loro

adattamento a quel difficile ambiente - effettuato

da un gruppo internazionale di ricercatori diretto

da John Lindo della Emory University di Atlanta e 

pubblicato su "Science Advances" - ha mostrato

che i primi insediamenti stabili sull'altopiano risalgono

a un periodo compreso fra i 9200 e gli 8200 anni fa.

Le analisi effettuate su una serie di DNA antichi -

di età compresa fra i 6800 e i 1400 anni fa - hanno

rivelato che i primi adattamenti all'altitudine sono

insorti piuttosto rapidamente; tuttavia - abbastanza

sorprendentemente, come osservano i ricercatori -

non hanno interessato geni legati all'adattamento

all'ipossia (carenza di ossigeno). (Le popolazioni

andine attuali sono geneticamente predisposte a

una più elevata produzione di emoglobina nel sangue.)

Le prime mutazioni hanno invece interessato

il sistema cardiovascolare.

Ma la modifica genetica più incisiva ha riguardato

la capacità di digestione dell'amido. Verosimilmente

è stata una risposta adattiva alla dipendenza da una

dieta che per millenni ha visto la patata, ricca di amido,

come fonte alimentare assolutamente primaria.

 
 
 
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