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La peste ai tempi di Tucidide.

Post n°2906 pubblicato il 12 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Tucidide tra peste e democrazia ieri come oggi

16 aprile 2020


Il coronavirus nel 2020. La peste ad Atene nel V sec. a.C.
Ieri come oggi il contagio è "democratico".
Semina morte senza guardare in faccia a nessuno: potenti o

disgraziati, forti o deboli. La vicenda di Pericle insegna...
Lo straordinario resoconto di Tucidide del terribile morbo

all'ombra del Partenone viene ora riproposto ad 

Archeologia Viva come spunto di riflessione dal professor

Umberto Pappalardo. Volentieri condividiamo. 

La peste ad Atene:
Tucidide, La guerra del Peloponneso II, 47-53

Tucidide nacque ad Atene fra il 460 e il 455 a.C., in

una delle più aristocratiche famiglie dell'Attica.

Accusato di alto tradimento, fu condannato a morte, che

evitò andando in esilio per oltre vent'anni.

In quel lungo periodo compose l'opera che lo avrebbe

reso famoso: 

" La guerra del Peloponneso", un resoconto sul conflitto che

dal 431 al 404 oppose Atene a Sparta per il dominio sul mondo

 greco.

Nel 404, dopola resa di Atenefu richiamato in patria con un

decreto speciale che revocava la condanna.

Morì poco tempo dopoin circostanze mai chiarite.

Lo storico descrive l'epidemia di peste che colpì Atene

intorno al 430 a. C., durante la guerra del Peloponneso,

quando la città era sotto assedio.

Il morbo provocò migliaia di morti, fra i quali lo stesso Pericle.

Umberto Pappalardo*


 All'inizio dell'estate i Peloponnesiaci e i loro alleati invasero l'Attica.


Li comandava Archidamo, re di Sparta.

Erano nell'Attica solo da pochi giorni, quando il morbo cominciò a

manifestarsi ad Atene.

l medici non riuscivano a fronteggiare questo morbo ignoto ma anzi

morivano più degli altri, in quanto si avvicinavano ai malati.

A quanto si dice, la peste incominciò in Etiopia, poi passò in Egitto e


in Libia.

Ad Atene piombò improvvisamente e contagiò prima gli abitanti

del porto.

Gli ateniesi sostenevano che i nemici avevano gettato dei

veleni nei pozzi ...

Si dica pure su questo argomento quello che ciascuno pensa,

medico o profano che sia, io ne racconterò i sintomi, giacché

io stesso ne fui affetto ...

All'improvviso, le persone venivano prese da vampate di calore

alla testa, arrossamento e bruciore agli occhi.

La gola e la lingua assumevano un colore sanguigno ed emet-

tevano un odore sgradevole.

Dopo questi sintomi sopraggiungevano starnuti e raucedine.

Dopo non molto il male scendeva al petto con una forte tosse

e quando raggiungeva lo stomaco provocando spasmi, svuota-

menti di bile e forti dolori.

Nella maggior parte dei casi si manifestava anche un singhiozzo

con sforzi di vomito che generavano violente convulsioni.

Il corpo era rossastro, livido e come fiorito di piccole pustole; le parti

ardevano a tal punto da non riuscire a sopportare nemmeno le vesti

leggere.

Molte persone si gettarono nei pozzi, oppresse da una sete

inestinguibile, ma il bere dava poco risultato.

L'insonnia opprimeva.

La maggior parte moriva dopo giorni per effetto del calore; se invece

sopravvivevano, la malattia produceva una violenta diarrea e così

morivano per lo sfinimento ...

Il morbo mostrò di essere diverso dalle solite epidemie ...

La malattia portava via tutti, anche chi era curato con la maggiore

attenzione.

Non esisteva nessuna medicina che si potesse applicare ...

Se si accostavano alle persone, morivano per il contagio, e in

particolar modo quelli che agivano per generosità .. .

La malattia non colpiva due volte la stessa persona in modo grave.

Oltre alla malattia, aggravava il loro disagio l'afflusso della gente dai

campi ...

Tutte le consuetudini che prima si seguivano nel celebrare gli uffici


funebri furono sconvolte e si seppelliva come ciascuno poteva.

Molti usarono modi di sepoltura indecenti, dato che i morti erano

numerosi gli uni, posto il loro morto su una pira destinata a un altro,

vi davano fuoco; altri, mentre un cadavere ardeva, vi gettavano

sopra anche quello che stavano portando e se ne andavano.

Il morbo dette inizio a numerose infrazioni della legge . . . poiché

dal momento che una pena ben più grande pendeva sulle loro teste,


era naturale godere della vita prima che tale punizione

piombasse anche su di loro.


*Umberto Pappalardo è docente di Archeologia

classica, Archeologia pompeiana e Archeologia

e Storia dell'arte greca e romana all'Università

di Napoli Suor Orsola Benincasa.

È membro del comitato scientifico di Archeologia

Viva. 

 
 
 
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