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Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3292 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Genesi dell'opera

Umberto Eco aveva alle spalle un gran numero di saggi.

L'idea di scrivere un romanzo venne alla luce nel 1978,

quando un amico editore gli disse di voler curare la

pubblicazione di una serie di brevi romanzi gialli.

Eco declinò l'offerta e, scherzando, affermò che se

mai avesse scritto un romanzo giallo, sarebbe stato

un libro di cinquecento pagine con protagonisti dei

monaci medievali.

Quello che era nato come uno scherzo prese forma

quando nella mente dell'autore si creò l'immagine di

un monaco avvelenato mentre stava leggendo in

una biblioteca.

Nelle Postille al Nome della rosa Eco scrisse che "voleva

uccidere un monaco", ma in seguito criticò chi aveva

preso alla lettera questa dichiarazione, affermando che

la sua curiosità nasceva solamente dal fascino che

l'immagine di un monaco morto mentre leggeva gli suscitava.

Le emozioni connesse a quest'immagine gli derivavano,

a suo dire, dalla partecipazione a sedici anni ad un corso

di esercizi spirituali presso il monastero benedettino di

Santa Scolastica.

La visione della biblioteca con il grande volume degli 

Acta Sanctorum aperti sul leggio e "lame di luce che

entravano dalle vetrate opache" gli creò un indelebile

"momento di inquietudine".

La decisione di ambientare il romanzo nel medioevo fu

una scelta dettata dalla familiarità di Eco con quel particolare

periodo storico, che aveva già approfondito in studi e saggi

precedenti.

Il primo anno, dopo aver avuto l'idea, l'autore lo passò

pianificando i luoghi ed i personaggi della sua opera, per

"prendere confidenza" con l'ambiente che stava immaginando

ed entrare in familiarità con gli attori:

«[...] ricordo di aver passato un anno intero senza

scrivere un rigo. Leggevo, facevo disegni, diagrammi,

insomma inventavo un mondo.

Ho disegnato centinaia di labirinti e di piante di abbazie,

basandomi su altri disegni, e su luoghi che visitavo.»

Titolo

Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era

 L'abbazia del delitto.

Successivamente Eco valutò anche il titolo Adso da Melk,

ma poi considerò che nella letteratura italiana, a differenza

di quella inglese, i libri aventi per titolo il nome del

protagonista non hanno mai avuto fortuna.

Infine si decise per Il nome della rosa, perché a chiunque

chiedesse, "diceva cheIl nome della rosa era il più bello".

La scelta del titolo richiama inoltre il verso, di argomento

 nominalista, I, 952 del De contemptu mundi di 

Bernardo Cluniacense, che chiude il romanzo:

"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"

("La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto

nome: noi possediamo nudi nomi") - nel senso che,

come sostenuto dai nominalisti, l'universale non possiede

realtà ontologica ma si riduce ad un mero nome, ad un

fatto linguistico.

Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi

centrali dell'opera: la frase "Stat rosa pristina nomine, nomina

nuda tenemus" ricorda anche il fatto che di tutte le cose alla

fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo.

Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad

esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane

Adso, destinato a scomparire nel tempo.

Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare

segni, "libri che parlano di altri libri", come suggerisce lo

stesso Eco nelle Postille al Nome della rosa, le parole e i

"nomi" attorno a cui ruota tutto il complesso di indagini,

lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali.

In un articolo pubblicato da Griseldaonline, una rivista

scientifica dell'Università di Bologna, si sostiene che

molti elementi delNome della rosa provengano in maniera

deliberata dalle opere di Leonardo Sciascia.

Tra questi, il titolo ricalcherebbe un'espressione utilizzata

dallo scrittore siciliano in Nero su nero, una raccolta di

scritti pubblicata nel 1979, un anno prima dell'uscita del 

Nome della rosa.

Incipit

Umberto Eco ha dichiarato che l'incipit del primo capitolo

«Era una bella mattina di fine novembre» è un riferimento

alcliché «Era una notte buia e tempestosa», usato da

 Snoopy per l'inizio di ciascuno dei suoi romanzi, e ideato

da Edward Bulwer-Lytton nel 1830.

L'incipit del prologo, come già quello del Morgante di Pulci,

riprende Giovanni 1,1-2 («In principio era il Verbo, il

Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»).

Nell'incipit del romanzo appare inoltre 1 Corinzi 13,12 

«Videmus nunc per speculum et in aenigmate»

(«Ora vediamo come attraverso uno specchio, in maniera

confusa, distorta»), già citato in precedenza da Eco

in Opera aperta del 1962.

Fonti di ispirazione e citazioni

All'epoca della concezione dell'opera, il romanzo storico 

con ambientazione medievale era stato riscoperto da

poco in Italia da Italo Alighiero Chiusano, col suo L'ordalia.

Le diverse similitudini (ambientazione temporale, genere

inteso come romanzo di formazione, e scelta dei personaggi

principali, un novizio e il suo maestro, un saggio

monaco più anziano), e la notorietà che L'ordalia 

aveva nel 1979, che un esperto di letteratura come

Umberto Eco difficilmente ignorava, fanno ritenere

L'ordalia con molte probabilità una delle principali fonti

di ispirazione de Il nome della rosa.

Sacra di San Michele, il monastero situato

Sant'Ambrogio di Torino al quale s'ispirò Eco

Dai nomi, dalle descrizioni dei personaggi e dallo

stile scelto per la narrazione, risulta invece

evidente l'omaggio che Eco fa a sir Arthur Conan

Doyle e al suo personaggio di maggior successo: 

Sherlock Holmes.

Guglielmo, infatti, sembra ricavato,per descrizione

fisica e per metodo d'indagine, dalla figura di Holmes:

le sue capacità deduttive, la sua umiltà e il suo

desiderio di conoscenza sembrano infatti riprendere

e, a tratti, esaltare gli aspetti migliori dell'investigatore

 britannico.

Inoltre proviene dalla (immaginaria) contea di Baskerville,

che riprende il nome dal miglior romanzo di Doyle,

 Il mastino dei Baskerville, che per atmosfera può tranquil-

lamente essere considerato come una delle fonti del libro

di Eco.

Parallelamente il giovane Adso riprende alcuni aspetti

della figura del fido Watson holmesiano.

Come Watson è il narratore in prima persona della

vicenda e come lui si mostra ottuso e poco attento,

nonostante il desiderio di apprendere, e pronto all'azione.

I nomi dei due personaggi (Watson e Adso) presentano

inoltre un'assonanza.

Evidenti sono anche i riferimenti nel romanzo di Eco

a Brother Cadfael, monaco e investigatore medievale

protagonista di una serie di romanzi gialli della scrittrice

inglese Ellis Peters (1913-1995) a partire dal 1977 

con A Morbid Taste for Bones, tradotto in italiano

col titolo La bara d'argento, in cui fratello Cadfael ha

come aiutanti due novizi.

La ripartizione del testo in base alle ore del giorno (ore

canoniche nel romanzo di Eco) è un prestito dal celeber-

rimo romanzo Ulisse di James Joyce.

In un dialogo tra Guglielmo e Adso il primo usa la

metafora wittgensteiniana della scala che "si deve gettar

via" dopo averla impiegata per salire, attribuendola a

"un mistico delle tue terre" (Adso, come Wittgenstein,

è austriaco).

Dopo il secondo omicidio, Guglielmo, a partire da

un'osservazione di Alinardo (secondo giorno, dopo vespri),

ipotizza che la serie dei delitti sia basata su un progetto

ispirato alle sette trombe dell'Apocalisse, e ciò influenza le

sue indagini successive.

Ma alla fine si scopre che nonc'era alcun piano

("Ho fabbricato uno schema falso per interpretare le mosse

del colpevole e il colpevole vi si è adeguato", settimo giorno,

notte; è significativo che Jorge, invece, pensi che si tratti

di un piano divino di cui lui è lo strumento).

Questo aspetto della vicenda poliziesca sembra ispirato a

quanto accade nel racconto La morte e la bussola di

Jorge Luis Borges.

Abbazia di San Colombano, fondata nel VII secolo a 

Bobbio, nei remoti e solitari confini fra l'Appennino

ligure, piemontese, lombardo ed emiliano.

Per ambientare il suo romanzo, Eco (che succes-

sivamente si è rivelato un profondo conoscitore

del pensiero geografico e cartografico del Medioevo

europeo, come traspare da molti elementi presenti

nel romanzo) si è ispirato alla Sacra di San Michele,

abbazia benedettina monumento simbolo del 

Piemonte.

Per lo scriptorium dell'Abbazia, Eco ha tenuto presente

anche l'Abbazia di San Colombano di Bobbio fondata

in epoca longobarda (che era, all'epoca delle vicende,

considerata in territorio ligure negli Appennini al confine

con il Piemonte).

Inoltre anche la biblioteca e l'intera abbazia di San Gallo

 in Svizzera sono state tra le fonti cui l'autore ha attinto

per immaginare il monastero in cui è ambientato il romanzo

 Il nome della rosa(in particolare è da menzionare la

 Pianta di San Gallo.

All'inizio del romanzo, prima del manoscritto, è riportata

la pianta di un'abbazia che comunque ha una struttura

diversa da quella del romanzo di Eco).

Alla fine del terzo giorno è presente una citazione dal 

V Canto dell'Inferno di Dante, la cui opera è citata un

paio di volte.

Inoltre, Adso racconta un proprio svenimento con le

parole "Caddi come un corpo morto cade" che sono

una chiara citazione della Commedia. Guglielmo invece

parla di Malachia come di un "Vaso di coccio tra i vasi

di ferro" richiamandoEsopo e Manzoni.

Nel sogno di Adso, vengono citate due frasi che oggi

sono famose perché ritenute fra i primi documenti del 

volgare italiano: "Traete, filii de puta!", da un'iscrizione

nella Basilica di San Clemente in Roma, e "Sao ko kelle

terre per kelle fini ke ki kontene..." dai Placiti cassinesi.

La scena in cui Adso copula con la contadinella è un 

collage di spezzoni del Cantico dei cantici e di brani di

mistici che descrivono le loro estasi.

In questo modo Eco ha cercato di trasmettere come

un monaco sperimenterebbe il sesso attraverso la sua

"sensibilità culturale".

La tecnica con cui l'assassino uccide i monaci è ripresa

dal film Il giovedì (1963) di Dino Risi.

Il manoscritto

La finzione del manoscritto ritrovato, utilizzata da

Umberto Eco, è un espediente narrativo già usato

da altri autori nella storia della letteratura: per esempio 

Alessandro Manzoni nei Promessi sposiWalter Scott 

in Ivanhoe (un manoscritto anglonormanno),

 Nathaniel Hawthorne ne La lettera scarlattaCervantes 

nel Don Chisciotte (il manoscritto in aljamiado di Cide

Hamete Benengeli), Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso

Giacomo Leopardi nel preambolo al Frammento apocrifo

di Stratone da Lampsaco nelle Operette morali.

Eco riutilizza questo espediente nel suo romanzo 

Il cimitero di Praga.

A differenza di Manzoni però, che utilizzò l'espediente

del manoscritto per attribuire veridicità storica al suo

romanzo e per potersi distaccare dalla vicenda (in quanto

non inventata da lui e non coinvolto) potendo quindi

giudicare dall'alto le azioni dei personaggi, Eco inserisce

numerosi elementi per far capire al lettore che la storia

è fittizia e nulla può essere giudicato vero.

Infatti mentre Manzoni trova un manoscritto originale

del '600 Eco ne ritrova uno con numerose correzioni

che è stato trascritto e tradotto numerose volte, con i

conseguenti errori di copiatura e traduzione a cui tutti

i manoscritti sono sottoposti, si perde così il vero

storico.

 
 
 
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