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Messaggi di Luglio 2019

L'acqua: una risorsa preziosissima..

Post n°2274 pubblicato il 04 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

 

L'acqua è sempre più scarsa nel mondo e

aumentano i dissalatori e il recuperoI costi

della dissalazione sono in calo.

La polemica sulla salamoia e i consumi energetici
www.greenreport.itAlla terza conferenza

internazionale Action4Good, "Creare soluzioni

resilienti ai bisogni idrici", organizzata a Santa

Margherita Ligure dal 12 al 14 maggio dall'International

Desalination Association (IDA), con il sostegno

di Fao, European Desalination Society, Global Clean

Water Desalination Alliance e Global Solar

Council, e il patrocinio di dell'amministrazione di

centro.destra di Genova e dei Rotary Club di La

Spezia e Lunigiana, sono state esaminate le

questioni energetiche e ambientali legate alla

desalinizzazione e «Il ruolo della desalinizzazione

e del trattamento avanzato delle acque nella

creazione di un mondo più sostenibile». la segretaria

generale dell'Ida, Shannon McCarthy, ha sottolineato

che «Ida supporta un obiettivo H20-C02 e sostiene

il ruolo fondamentale che svolgono l'efficienza

energetica, l'energia rinnovabile e la minimizzazione

dell'impatto ambientale nei sistemi di desalinizzazione

e riutilizzo dell'acqua nel raggiungimento di questo

obiettivo, per garantire che la crescita nel settore

della desalinizzazione e del riutilizzo dell'acqua

vada di pari passo con la responsabilità sociale».

Al centro della discussione a Santa Margherita

ci sono stati i dati dell'IDA Water Security Handbook,

pubblicato a gennaio dall'l'International desalination

association e da Global Water Intelligence (Gwi)

che rappresenta l'ultima e più completa del

mercato della desalinizzazione e del riutilizzo

dell'acqua e dal quale emerge che, dopo 3 anni i

n cui il mercato globale della desalinizzazione è

rimasto stabile, si prevede che il 2019 vedrà la

maggiore crescita della desalinizzazione

dell'acqua marina dalla fine degli anni 2000.

Attualmente nel mondo si riutilizzano più di 200

milioni di acqua al giorno e ci sono più di 20.000

impianti di dissalazione, A trainare la crescita

della dissalazione nel 2019 sarà il Medio Oriente

dove, nella prima metà del 2018, la dissalazione

dell'acqua è aumentata del 28% e sono annunciati

importanti progetti.

Aumentano anche i contratti di dissalazione negli

Usa, mentre la dissalazione di acqua a bassa

concentrazione salina rappresenta ormai il 25%

del totale, Inoltre, negli ultimi anni anche la

dissalazione per uso industriale ha avuto un

aumento considerevole, con un aumento del

21% tra il 2016 e il 2017, dovuto soprattutto

all'incremento della dissalazione nell'industria

petrolifera e gasiera, per le miniere per l'elettronica.

Il mercato globale continua ad essere dominato

(90%) dalle tecnologie di dissalazione a membrana,

con in testa l'osmosi inversa che ha conquistato

anche i Paesi del Medio Oriente dove, tradizionalmente,

si utilizzavano le tecnologie a evaporazione che

creano più salamoia.

Chi dice che le grandi imprese della dissalazione

non vogliono sentir parlare di riutilizzo dell'acqua

sbaglia: spesso si tratta delle stesse imprese e

infatti L'IDA Water Security Handbook sottolinea

con grande evidenza che «Il riutilizzo di acqua come

soluzione ai crescenti problemi idrici nel mondo si

è incrementato significativamente negli ultimi anni»

e fa l'esempio di Città del Capo in Sudafrica e

della California che stanno spingendo per il

riutilizzo delle acque reflue, mentre la Cina punta

molto su riutilizzo delle acque industriali, che

rappresentano il 49% della capacità contrattata

tra il 2010 e il 2017, anche India e Taiwan

stanno incentivando fortemente questo settore.

Gli Usa sono il secondo più grande mercato del

mondo (10% del totale) per il riutilizzo dell'acqua,

mentre anche in Messico, Perù ed Egitto nell'ultimo

anno c'è stata una bona crescita.

In Europa il Paese leader nel riutilizzo dell''acqua

è la Spagna e con la nuova regolamentazione per

l'utilizzo agricolo approvata recentemente dal

Parlamento europeo, nei prossimi anni questo

settore nell'Ue potrebbe crescere vertiginosamente,

passando dagli attuali 3 milioni di m3 al giorno

fino a 18 milioni m3/giorno.

La Spagna è anche leader europeo (e uno dei

primi al mondo) per la dissalazione e ha costruito

e sta costruendo diversi impianti all'estero: 8

delle 20 maggiori imprese a livello mondiale

sono spagnole.

Il presidente Ida, Miguel Angel Sanz, ha sot-

tolineato che «L'Ida ha sempre appoggiato

soluzioni per la scarsità idrica, sostenendo lo

sviluppo della dissalazione e l'industria del

riutilizzo dell'acqua per garantire acqua e risorse

naturali sostenibili.

Negli ultimi decenni, il nostro settore ha raggiunto

un'importante riduzione dei costi dell'acqua non

convenzionale e una maggiore qualità per

garantire la sostenibilità idrica, Dato che il

cambiamento climatico continua ad avere un

impatto sul mondo, insieme alla crescita industriale

e demografica, la domanda di acqua potabile aumenta.

La desalinizzazione e riutilizzo dell'acqua, soluzioni

di approvvigionamento idrico non convenzionali e

rispettose dell'ambiente, sono in linea con l'economia

circolare dell'acqua e offrono soluzioni per la scarsità

idrica».

La Shannon ha aggiunto: «I trend che stiamo

osservando indicano un ampio riconoscimento

del fatto che queste soluzioni avanzate di trattamento

delle acque sono essenziali per la salute e il benessere

delle persone e delle economie di tutto il mondo,

sia ora che in futuro».

Secondo Christopher Gasson di Gwi, «Il grande

successo dello scorso anno è stato il costo della

dissalazione.

I recenti bandi di gara in Arabia Saudita e Abu

Dhabi l'hanno visto scendere per la prima volta

sotto gli 0,50 dollari/m3. Dopo un decennio in cui i

l prezzo è salito verso l'alto a causa degli alti costi

dei materiali e dei maggiori costi energetici, questa

è una buona notizia. In effetti, ci aspettiamo che il

2019 sia l'anno migliore in assoluto nel mercato

della desalinizzazione».

Ma le critiche non mancano: come fa notare Bruce

Stanley di Bloomberg sul Washington Post «E' una

crudele ironia per il pianeta blu: la maggior parte

della Terra è inondata negli oceani, eppure l'acqua

marina è imbevibile.

Gli sforzi su vasta scala per rimuovere il sale

dall'acqua di mare - il processo noto come desaliniz-

zazione - risalgono agli anni '50 e oggi quasi 20.000

strutture dalla Cina al Messico stanno rendendo

potabile l'acqua salata per sostenere la crescita

delle popolazioni.

Ma questa alchimia moderna è sotto esame perché

i critici si chiedono se i benefici della desalinizzazione

giustificano il suo potenziale danno agli ambienti

marini e il contributo al riscaldamento globale».

Le critiche riguardano soprattutto due questioni:

la salamoia e i consumi energetici.

Ma è soprattutto la salamoia a preoccupare, in

particolare dopo la pubblicazione dello studio

"The state of desalination and brine production:

A global outlook", pubblicato su Science of the

Total Environment da un team di ricercatori

dell'United Nations University (UNU - Canada),

dell'università olandese di Wageningen e del

Gwangju Institute of Science and Technology

(Corea del sud) che accusa - soprattutto Arabia

Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar -

di inquinare il mare con un concentrato salato

che può contenere residui di sostanze chimiche

anti-incrostanti e anti-fouling utilizzate negli

impianti. Ida ha risposto che lo studio non fa

differenza tra tecnologie termiche e a membrane

e che «Ha mostrato una mancanza di conoscenza

reale.

Lo studio è l'opinione di alcune persone che

lavorano in un'università e non un'opinione

ufficiale delle Nazioni Unite sulla desalinizzazione».

Va anche ricordato che lo stesso studio non mette

in dubbio la necessità di realizzare dissalatori

dove ce n'è bisogno e di estendere la tecnologia

ai Paesi i via di sviluppo.

Lo studio UNU è stato anche analizzato (e smontato)

dagli ingegneri e dagli scienziati dell'Asociación Española

de Desalación y Reutilización (AEDyR) che hanno

ricordato che «Tutti i processi di dissalazione separano

l'acqua in entrata (marina o salmastra) in due flussi

diversi: uno di acqua potabile (l'acqua dissalata prodotta)

e un flusso conosciuto come salamoia (chiamato anche

concentrato o rifiuto) e che è la stessa acqua in ingresso

con una maggiore concentrazione di sali, essendo questi

diluiti in una minore quantità d'acqua.

La salinità della salamoia dipende dalla concentrazione di

sale che ha l'acqua in entrata.

La percentuale di acqua dissalata e di salamoia è

differente in ogni impianto di dissalazione, poiché dipende

dai livelli di conversione dell'acqua che permettono

l'efficienza del processo di dissalazione di ogni impianto.

Le differenti tecniche di dissalazione sono associate a

diversi rapporti di conversione dell'acqua e, a questo

proposito, i processi a membrane (osmosi inversa,

nanofiltrazione e elettrodialisi, con l'osmosi inversa

che è la più utilizzata nella desalinizzazione in Spagna

e globalmente) sono associati a rapporti di conversione

molto più elevati rispetto ai processi ad evaporazione

(MSF, MES)».

Anche la qualità dell'acqua in entrata è importante

per determinare i rapporti di conversione ed è molto

più complesso e costoso gestire impianti di dissalazione

con un elevato rapporto di conversione, quando la

salinità dell'acqua in ingresso è maggiore.

La salinità media dell'acqua di mare è compresa tra i

35 e i 45 grammi per litro (l'acqua consumabile da un

essere umano varia da 3 a 25 grammi di sale per litro),

ma all'AEDyR sottolineano che varia secondo il mare,

la zona e la profondità alla quale viene presa e che

quella del Mediterraneo - con 36 - 39 g/l - è l'acqua

"ideale" per la dissalazione- Quella più salata (se si

escludono mari interni come il Mar Morto e il Mar Caspio )

è quella del Mar Rosso (42 - 46 g/l), seguita da quella del

Golfo Persico (40 - 44 g/l).

Il Mar dei Caraibi ha una salinità simile a quella del

Mediterraneo (34 - 38 g/l), seguito dall'Oceano indiano

(33 - 37 g/l) e dagli oceani Pacifico e Atlantico (33 - 36 g/l),

mentre il Mar Baltico tecnicamente è un mare salmastro

con una salinità di appena 6 - 18 g/l.

Ma quello che sottolinea maggiormente AEDyR è che

«Nonostante nella salinità del mare possano esserci

degli squilibri locali, è importante sottolineare che, a

livello globale, il bilancio marino del mare è costante».

Inoltre, la salinità del mare dipende da diversi fattori:

l'evaporazione superficiale provocata dall'energia

solare (e quindi può essere diversa secondo le stagioni);

nelle zone tropicali, che sono più calde, c'è una

maggiore salinità che in mari come il Mediterraneo

e quelli delle latitudini più elevate.

Ad abbassare la salinità è anche la presenza di foci di

fiumi (ma lì di solito non servono dissalatori).

In profondità, dove le temperature sono costanti e più

basse, la salinità è inferiore.

Le correnti influenzano poco la salinità del mare.

Per questo è molto più costoso e complesso gestire

dissalatori in mari come il Mar Rosso e il Golfo Persico

dove la salinità è più alta e i prelievi e gli scarichi

avvengono su bassi fondali.

In mare sono stati identificati 70 elementi chimici,

la maggioranza in quantità estremamente piccole.

I più abbondanti sono: cloruro, sodio, magnesio,

zolfo, calcio, potassio, bicarbonato, bromo, stronzio,

boro e fluoro. I

ricercatori spagnoli fanno notare che «Insieme, questi

sali costituiscono più del 99% della massa di soluti

dissolti nell'acqua di mare.

Tra loro il cloruro e il sodio (che formano il cloruro di

odio, cioè i componenti del sale da tavola comune)

costituiscono più dell'85% del totale dei sali dissolti

nell'acqua marina.

Le quantità dei restanti elementi sono minoritarie,

dato che sono in concentrazioni molto piccole, con

percentuali inferiori all'1%. Anche alcuni di loro,

come fosforo, ferro, manganese, iodio e rame

sono in concentrazioni costanti, mentre, al

contrario, titanio, cadmio, cromo, antimonio,

germanio, tallio e cloro hanno concentrazioni

variabili, lo stesso avviene con i gas (ossigeno,

anidride carbonica e azoto) disciolti nelle acque

marine, in quanto la loro presenza è legata ad

alterazioni da parte di organismi biologici o

reazioni fisico-chimiche.

Anche se sembra ovvio, è importante sottolineare

che l'acqua di mare non è semplicemente una

soluzione di sali e gas disciolti, ma che gli organismi

che vivono nel mare esercitano un'influenza sulla

composizione delle acque.

Per esempio, i molluschi estraggono calcio dall'acqua

marina per fabbricare le loro conchiglie e corpi e le

spugne e alcuni tipi di alghe marine eliminano lo

iodio del mare».

Rispondendo ancora allo studio dell'UNU, l'AEDyR

spiega che «Il progetto di ogni impianto di dissalazione

è unico.

Non esistono due impianti uguali, poiché è necessario

adattare il suo design alle specifiche condizioni locali.

E lo scarico della salamoia è specificamente progettato

per ridurre al minimo l'impatto di ogni impianto date

quelle specifiche condizioni locali.

I sistemi di scarico della salamoia sono progettati

attraverso la costruzione di emissari con diffusori e

una precedente diluizione che fanno in modo che la

salamoia, quando viene a contatto con il mare e le

correnti marine, si dissolve rapidamente.

Tutti gli impianti di dissalazione sono soggetti a

periodici studi di fattibilità e impatto ambientale

approvati dall'autorità competente, per analizzare

in profondità il possibile impatto della salamoia.

Vi sono numerosi studi nazionali e internazionali

che confermano l'innocuità del rigetto della

salamoia nell'ambiente marino quando lo scarico

viene è effettuata correttamente.

La Spagna ha guidato la protezione ambientale

rispetto alla salamoia con progetti di ricerca del

Cedex e di diverse università, dando vita a

raccomandazioni per progetti e piani di monitoraggio

ambientale negli impianti di desalinizzazione che

sono stati adottati anche da altri Paesi».

E i ricercatori spagnoli evidenziano che secondo

lo stesso studio UNU esistono nuove tecniche pe

trattare e recuperare i componenti della salamoia:

«La ricerca di nuove soluzioni per migliorare l'efficienza

delle tecniche di dissalazione e l'uso di nuove

tecniche per il trattamento delle salamoie interessate

dallo studio a cui facciamo riferimento si stanno

sviluppando in diversi progetti in Spagna e nel resto

del mondo, quindi non è escluso che nei prossimi

anni ci saranno degli sviluppi in questi settori.

Secondo i dati dello studio, prendendo in considera-

zione l'acqua desalinizzata prodotta e la salamoia

sversata a seconda delle aree geografiche, vediamo

che, a livello globale, i tassi di recupero (rapporti

di conversione) sono circa dello 0,50.

Ciò si verifica in tutte le aree geografiche ad eccezione

del Medio Oriente, che è, secondo lo studio, il luogo

in cui viene prodotta la percentuale più elevata di

salamoia globale (70,3%). Senza entrare in valutazioni

su queste cifre, si fa notare che questa area geografica

è quella dove si concentrano la maggior parte degli

impianti di dissalazione a evaporazione di grandi

dimensioni (principalmente MSF, impianti di dissalazione

che in Spagna non costruiamo più a partire dagli anni '90),

che hanno rapporti di conversione nella produzione di

acqua inferiore all'osmosi inversa e quindi maggiori

rese in salamoia.

Va rilevato che, negli ultimi anni, l'osmosi inversa è la

tecnologia più applicata nei nuovi impianti nella regione,

per cui si prevede che questa tendenza sarà invertita

nel corso del tempo verso gli indici globali più coerenti.

Sebbene questi squilibri locali possano causare

preoccupazione, è necessario chiarire che l'equilibrio

salino complessivo del mare è costante.

L'acqua desalinizzata dopo il suo utilizzo viene

nuovamente trattata negli impianti di trattamento

delle acque reflue e torna direttamente al mare

attraverso gli scarichi».

Stanley sul Washington Post fa notare che,

nonostante i dubbi di qualcuno, «La necessità di

rendere potabile l'acqua di mare non mostra segni

di rallentamento.

Con gli attuali tassi di consumo, il più grande emirato

degli Emirati Arabi Uniti potrebbe esaurire le scorte

di acque sotterranee naturali "nel giro di pochi decenni",

ha affermato l' Abu Dhabi Environment Agency in un

rapporto del 2017.

Tuttavia, l'aumento della domanda di risorse idriche

limitate sta stimolando nuove idee per la produzione

alimentare tanto quanto per la desalinizzazione.

L'International Center for Biosaline Agriculture di

Dubai ricicla la salamoia per irrigare le piante tolleranti

al sale come la salicornia, che può essere mangiata

o utilizzata per i biocarburanti.

L'istituto di ricerca coltiva anche colture alimentari

come la quinoa che prosperano in terreni salati e

desertici».
Anche per quanto riguarda l'atro grosso problema

(e il maggior costo dei dissalatori), i consumi energetici,

le cose stanno migliorando: attualmente un impianto di

dissalazione a osmosi inversa consuma circa 3 kWh/m3,

i primi impianti a evaporazione consumavano più di 50

kWh/m3. I ricercatori spagnoli spiegano ancora:

« Per mettere questa cifra in prospettiva, se consideriamo

che il consumo energetico di una famiglia media in Spagna

è di 13.141 kWh/anno e che il consumo medio annuale

pro-capite è di 150 litri/giorno, prendendo come riferimento

che il consumo di energia medio per produrre 1 m3 di acqua

desalinizzata è 3kWh/m3, con il consumo energetico di una

famiglia media si è in grado di rifornire 80 persone con

acqua di mare desalinizzata per tutto l'anno».

La maggiore efficienza energetica dei dissalatori è

avvenuta grazie a interventi che hanno riguardato

l'intero processo di dissalazione: tubazioni, pompe,

membrane, recupero di energia, utilizzo di energie

rinnovabili e recupero dei prodotti chimici.

La percentuale più elevata di consumi energetici di un

dissalatore viene dalle pompe ad alta e bassa

pressione utilizzate nelle diverse fasi del processo

di dissalazione.

Le pompe a bassa pressione servono soprattutto

a caricare e scaricare l'acqua e a seconda delle prese

(costiere, in pozzi o con condotte sottomarine) e il

consumo di energia varia notevolmente da un

impianto all'altro.
Le pompe ad alta pressione servono a far passare

l'acqua di mare attraverso le membrane con una pres-

sione di circa 65-70 bar. Per sfruttare la pressione della

salamoia in uscita, che ha la stessa pressione (meno le

perdite di carico stimate in circa 3 bar), sono stati

progettati sistemi di recupero energetico e dalle iniziali

pompe invertite, mosse dalla pressione e dalla portata

della salamoia, si è passati prima alle turbine Pelton

che hano maggiori prestazioni di recupero e ora alle

camere di interscambio della pressione, con prestazioni

di recupero ancora migliori, che sono diventate il nuovo

standard dei moderni dissalatori.

I ricercatori AEDyR concludono: «Attualmente, le possibilità

di migliorare le prestazioni delle apparecchiature e dei

circuiti idraulici della desalinizzazione ad osmosi inversa

sono molto limitate, poiché i limiti termodinamici sono stati

quasi raggiunti, quindi il prossimo passo è ridurre

significativamente il consumo energetico di un impianto

a osmosi inversa sta nell'abbassare le pressioni di lavoro,

vale a dire trovare membrane che consentano il funzionamento

a pressioni più basse con una produzione uguale o superiore

o un tipo di membrana che possa funzionare con

pretrattamenti meno esigenti di quelli attuali».

 
 
 

Altre notizie sul tyrannosaurus rex

Post n°2273 pubblicato il 04 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
Grazie allo studio genetico di molti

uccelli viventi e all'analisi del cervello

di alcuni esemplari di dinosauri, gli

scienziati hanno scoperto che T. rex

era dotato di un olfatto simile a quello

del gatto domestico

di Michael Greshko

dinosauri,cretaceo,paleontologia,genetica,dna

Tyrannosaurus rex era probabilmente dotato

di uno spiccato senso dell'olfatto, leggermente

inferiore a quello dell'attuale gatto domestico.

Illustrazione di Roger Hall, Alamy

Secondo un nuovo studio, il predatore 

Tyrannosaurus rex e i gruppi a lui imparentati

erano dotati di uno spiccato senso dell'olfatto,

che superava quello di tutti gli altri dinosauri

estinti.

Lo studio, pubblicato su Proceedings of the

Royal Society B, si propone di verificare a grandi

linee la quantità di geni coinvolti nelle abilità

olfattive di T. rex, decine di milioni di anni dopo

il decadimento del suo DNA.

La convinzione che i tirannosauri avessero un

forte senso dell'olfatto non è affatto recente.

Nel 2008, per esempio, i ricercatori hanno

dimostrato che in T. rex e nei gruppi imparentati

ampie porzioni del cervello venivano utilizzate

per elaborare gli odori.

Ma quello appena pubblicato è soltanto l'ultimo

studio fra i tanti mirati a mettere in relazione il

DNA degli animali attuali con le loro abilità corporee

e sensoriali, con l'obiettivo di comprendere in modo

più approfondito le capacità e i comportamenti dei

loro antenati che si estinsero molto tempo prima.

"Non stiamo parlando di Jurassic Park", afferma 

Graham Hughes, biologo computazionale dello

University College Dublin, responsabile dello studio,

in riferimento all'intenzione degli scienziati del film

di ricostruire il DNA dei dinosauri.

"Si sta cercando di comprendere in che modo

l'evoluzione sensoriale abbia giocato un ruolo

fondamentale, a prescindere dal posizionamento

all'apice della catena alimentare".

"Accolgo con favore questo lavoro, che costituisce

un nuovo contributo a studi di questo genere,

in cui le persone utilizzano le informazioni

genetiche e morfologiche per dedurre le funzioni

sensoriali e i ruoli ecologici delle specie estinte",

dichiara Deborah Bird, ricercatrice post-doc

dell'Università della California, Los Angeles,

che ha utilizzato tecniche simili per ricostruire

il repertorio olfattivo di Smilodon, il gatto dai

denti a sciabola.

Fiutare gli indizi

Hughes e il collega John Finarelli, paleontologo

allo University College Dublin, desideravano da

sempre studiare i sensi nei dinosauri e si sono

concentrati in particolare sull'olfatto.

"Di cosa odorava l'ambiente nel Cretaceo?

Tutti si chiedono che aspetto avesse, ma che

profumo si sentiva?", si chiede Hughes.

Nello studio, i due ricercatori si sono concentrati

sulla forma del cervello dei dinosauri, che può

preservarsi parzialmente grazie al residuo

dell'impronta sulla superficie interna di crani

in buono stato di conservazione.

Riuscire a conoscere i dettagli potrebbe sembrare

un compito arduo, ma per fortuna i ricercatori

hanno potuto fare affidamento su animali tuttora

esistenti: gli uccelli, discendenti dei dinosauri.

In generale, gli uccelli odierni dotati di diversi

recettori olfattivi - proteine che si legano con

particolari molecole olfattive - tendono ad avere

bulbi olfattivi (vale a dire le regioni del cervello

che elaborano gli odori) sproporzionatamente

grandi.

Così Hughes e Finarelli hanno passato al setaccio

la letteratura scientifica alla ricerca di informazioni

riguardanti le dimensioni del bulbo olfattivo e

hanno misurato le proporzioni delle dimensioni

del cervello di 42 uccelli viventi, due uccelli

estinti, l'alligatore del Mississippi e 28 dinosauri

non aviani.

Inoltre, hanno individuato il DNA di molti uccelli

attuali e, successivamente, hanno incrociato

questi dati con quelli provenienti da uno studio

pubblicato in precedenza, allo scopo di costruire

un nuovo database dei geni recettori olfattivi

negli animali viventi.

Quando i ricercatori hanno adattato il modello

risultante dallo studio degli animali viventi ai

dinosauri hanno scoperto che Tyrannosaurus

rex aveva probabilmente tra 620 e 645 geni

che codificavano i recettori olfattivi, una

quantità di geni leggermente inferiore a quella

presente nei polli e nei gatti domestici.

E anche altri dinosauri predatori, come

 Albertosaurus, avevano una grande quantità

di geni recettori olfattivi.

Ma l'odore non è utile solo a procacciarsi il cibo.

Gli animali si servono dell'olfatto per riconoscere

i loro parenti, marcare il territorio, attrarre gli

individui dell'altro sesso e individuare i predatori.

Tra tutti i vertebrati viventi, l'elefante detiene

il record di geni recettori olfattivi: l'animale

erbivoro possiede infatti circa 2.500 di questi

geni.

Con un olfatto così sviluppato, gli elefanti

riescono a percepire la quantità di cibo

soltanto grazie all'odore.

Di certo, come dimostrano le evidenze, alcuni

dinosauri erbivori facevano un maggiore

affidamento sull'odore rispetto ad alcuni

predatori.

In uno degli erbivori analizzati da Hughes

e Finarelli, il teropode Erlikosaurus, la presenza

di geni recettori olfattivi stimata era maggiore

rispetto a Velociraptor e a molti dei gruppi con

lui imparentati.

Nonostante ciò, T. rex e Albertosaurus continuano

a detenere un'abilità olfattiva senza pari.

Un salto nell'ignoto

Studi futuri potrebbero dedicarsi alla comprensione

di cosa, esattamente, T. rex e i suoi parenti annusas-

sero nell'Era dei dinosauri.

I dati esistenti consentono a Hughes e Finarelli di

individuare alcuni odori presenti nel repertorio

olfattivo dei dinosauri, come il sangue e la vegetazione.

Ma interi gruppi di geni recettori olfattivi non sono

ancora stati ricondotti a particolari odori.

"È molto strano: abbiamo molte informazioni sul

funzionamento dell'olfatto, ma ne abbiamo così

poche sulla tipologia di proteine che si lega a

particolari molecole olfattive", afferma Hughes.

"È possibile che vi siano aziende che producono

profumi a conoscenza di tali informazioni.

Ma dal punto di vista scientifico, non abbiamo

ancora delle risposte: è una delle grandi sfide

della scienza".

I ricercatori sostengono che studi futuri potreb-

bero essere in grado di individuare i fattori che

hanno determinato l'evoluzione sensoriale nel

tempo; per esempio, l'adattamento di alcuni

mammiferi alla vita acquatica avrebbe determinato

l'indebolimento dell'olfatto nei discendenti.

Hughes ritiene che un simile studio potrebbe

prendere in considerazione i dinosauri non aviani.

"Sono appassionato di dinosauri sin da bambino:

è stato incredibile poter dare il mio modesto

contributo alla conoscenza dei dinosauri". 

 
 
 

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