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Messaggi del 20/02/2019

Trovata la tomba di una strega ucraina...

Post n°1954 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Supereva. Articolo

 PUBBLICATO IL 31 LUGLIO 2018

Dal Medioevo in poi, la Santa Inquisizione

ha fatto strage di donne ritenute essere streghe.

Eppure i poveri resti di queste sventurate

raramente vengono riportati alla luce.

Qualche giorno fa, è giunta la notizia del

sensazionale ritrovamento del luogo di sepoltura

di una ragazza probabilmente accusata di

stregoneria e per questo forse giustiziata e

inumata in maniera inconsueta.

La tomba si trova in un villaggio dell'Ucraina

centrale, Leghedzino, risale al III-IV secolo

dopo Cristo e si è conservata molto bene:

lo scheletro al suo interno è quello di una donna

di circa 25 anni, sepolta a faccia in giù e con le

mani legate dietro la schiena, senza nemmeno

il conforto di un minimo corredo funebre.

Questo tipo di inumazione così raro, fa propendere

gli antropologi del locale Museo di Storia Naturale

per l'ìpotesi che si tratti appunto dei resti di una

strega: in Germania, vicino a Zeitz, era stata

ritrovata una necropoli di 1500 anni fa, in cui

era sepolta un'adolescente a faccia in giù, con

le mani legate ed una pesante sbarra di ferro

sulla schiena, come per impedirle perfino di

"resuscitare".

Anche a Fife, in Scozia, la presunta anziana

fattucchiera del 1700 Lilias Adie, che confessò

di essere stata circuita dal diavolo in persona,

venne invece deposta nel fango, con sopra una

pesantissima lastra di pietra, che non le avrebbe

permesso di tornare tra i vivi.

In provincia di Livorno, invece, è stata ritrovata

una donna sepolta con sette chiodi in bocca e

con segni sul corpo di una possibile crocifissione

"nel terreno", probabile conseguenza di un violento

esorcismo. Diversi altri pezzi di ferro appuntiti ne

martoriavano il cadavere, affinché rimanesse

inchiodata per l'eternità alla sua tomba nel Parco

Archeologico di Baratti e Populonia.

 
 
 

A Rocca Calascio

Post n°1953 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Dall'altissima rocca a 1.460 metri s.l.m.,

in provincia dell'Aquila, si può ammirare

una delle vedute più spettacolari

dell'AppenninoRocca Calascio: il castello più elevato d'Italia

In Abruzzo c'è una rocca famosa per essere

la più alta d'Italia. Si tratta diRocca Calascio

 e si trova nel territorio del comune di Calascio,

in provincia dell'Aquila, all'interno del 

Parco Nazionale del Gran Sasso eMonti della Laga.

La rocca sorge ad un'altitudine di 1.460 metri

sul livello del mare e da lì si può ammirare una

delle vedute più spettacolari dell'Appennino, con

alle spalle la catena del Gran Sasso d'Italia e

l'altopiano di Campo Imperatoree davanti la 

Maiella e la catena del Sirente-Velino,

riuscendo a scorgere in lontananza anche

la Conca Peligna.Rocca Calascio è tra i siti

più elevati della rete di castelli, fortificazioni

e torri che, durante il medioevo, garantivano

la protezione del territorio e facilitavano le 

comunicazioni in tutto il Centro Italia.

Il castello, che domina la Valle del Tirino e

l'Altopiano di Navelli, e si trova a poca distanza

dalla piana di Campo Imperatore, era utilizzato

nell'antichità come punto d'osservazione militare,

per la sua posizione molto elevata.

La fondazione della rocca risalirebbe addirittura

all'anno Mille, anche se il primo documento storico

che ne attesta la presenza è datato 1380.

Nel 1500, insieme al borgo di Santo Stefano

di Sessanio, Rocca Calascio diventò possedimento

della famiglia dei Medici, fino al terremoto del 1703.

Fortunatamente, i restauri conservativi, eseguiti

tra il 1986 ed il 1989, hanno consentito il recupero

architettonico e funzionale della struttura,

diventata una delle principali attrazioni turistiche

in Italia.A partire dagli anni Ottanta, la rocca è

stata scelta come ambientazione di film celebri,

tra cui "Lady Hawke" e "Il nome della rosa", e

di recente è stato il set per la serie della Rai 

"Padre Pio" e di alcune alcune scene del film 

"The American" con George Clooney.

Oggi è possibile visitare il castello gratuitamente,

passando per l'affascinante borgo medioevale

sottostante, abbandonato  nel corso del XX secolo.

Rocca Calascio è una meta turistica molto

frequentata, anche grazie al"Rifugio della Rocca",

situato proprio sotto l'antica torre di guardia, che

propone soggiorni in camere ed appartamenti

dell'albergo diffuso, ricavati negli antichi ruderi 

del borgo.Poco distante dal castello, circondati

da un paesaggio mozzafiato, si può ammirare

la suggestiva Chiesa di S. Maria della Pietà, 

altra imperdibile attrazione della rocca più alta d'Italia.

 
 
 

Baia era la Montecarlo dell'Impero Romano

Post n°1952 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Il sito archeologico di Baia era la Montecarlo

dell'Impero RomanoAffacciata sul Golfo di

Pozzuoli, i Romani venivano qui per godere

della brezza marina e delle terapeutiche acque

delle grotte termaliC'era un tempo in cui Baia

 era considerata la Montecarlo dell'Antica Roma.

Una città ricca, un luogo di lusso e divertimento,

dove i patrizi, stanchi dalle lunghe battaglie,

venivano a riposarsi e a soggiornare.

Affacciata sul Golfo di Pozzuoli, i Romani venivano

qui per godere della brezza marina e delle

terapeutiche acque delle grotte termali.

Qui c'erano ville meravigliose, bagni terapeutici

e tantissime costruzioni di cui restano preziose vestigia.

tempio-mercurio-baia

Oggi il complesso archeologico di Baia è un'area

situata nella frazione di Bacoli, nell'area dei 

Campi Flegrei. Dello splendore del luogo oggi

rimane soltanto quella che, allora, era la zona

collinare della città. Il resto è celato sotto il mare.

Se la maggior parte dei turisti va in Campania

per visitare Pompei, forse dovrebbe prendere

in considerazione di andare a Baia: sicuramente

troverà meno coda all'ingresso e lo stupore non

sarà da meno.Dall'antica città restano alcuni

edifici e cupole, come quella delTempio di Diana,

del Tempio di Mercurio e di quello di Venere.

Non si trattava di luoghi di culto, bensì di 

strutture ternali. Le cupole servivano proprio

per raccogliere i vapori provenienti dal suolo

caldo.Il Tempio di Mercurio fungeva da frigidarium,

quindi per i bagni di acqua fredda.

Doveva essere spettacolare, invece, il Tempio

di Venere: da quel che è possibile scorgere

tuttora, aveva una pianta ottagonale con ampie

finestre e all'interno correva un unico ballatoio

affacciato sulla grande piscina.

Nelle antiche terme ci si può ancora immergere.

Tra le più popolari ci sono le Stufe di Nerone,

delle stufe naturali, vere e proprie saune

all'interno di piccole grotte.

L'ambiente, riscaldato dalle acque termali

sottostanti e da emissioni di vapore prodotto

dall'attività vulcanica, raggiunge una temperatura

di circa 53°C.

Fanno molto bene per la cura delle malattie

delle vie respiratorie, per i reumatismi, l'artrosi

e per chi ha problemi di pelle.

Dirigendosi verso il mare, in una posiziona

panoramica mozzafiato, s'incontra la Villa

dell'ambulatio, con diverse terrazze collegate

tra loro da un complesso di scale, l'ultima delle

quali conduce al Settore di Mercurio.

tempio-diana-baia-campania

Delimitato da due scale parallele si trova il 

Tempio di Sosandra, che prende il nome da

una statua di Afrodite Sosandra rinvenuta

nel 1953 e che oggi è esposta nel Museo

Nazionale di Napoli.
Completamente sommerso dalle acque è,

invece, il ninfeo di Punta Epitaffio ovvero

una sala per banchetti risalente all'epoca

dell'Imperatore Claudio, le cui opere scultoree

sono state trasferite nel Museo archeologico

dei Campi Flegrei allestito nel Castello Aragonese.

Nascosti sotto il mare ci sono anche i resti dei

porti commerciali di Baia (Lacus Baianus) e

il Portus Julius, mentre più a Nord aveva sede

il porto di Capo Miseno, dove attraccava la

flotta imperiale Romana al ritorno dalle

imprese belliche. Qui sotto, a 5 metri dalla superficie

del mare, si intravedono mosaici, affreschi, sculture,

tracciati stradali e colonne, ormai inglobati in un

habitat marino da anemoni, stelle marine

e branchi di castagnole. La zona sommersa di

Baia è un'area marina protetta e conserva

parecchi reperti archeologici.

 
 
 

Il limoncello calabrese

Post n°1951 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Da più di 500 anni a Cosenza cresce profumato

e rigoglioso il limone Igp, orgoglio di Rocca

Imperiale e protagonista delle ricette calabresiLimone Rocca Imperiale

Giallo intenso, profumo avvolgente, gusto deciso.

Il limone Igp coltivato aRocca Imperiale, nel cuore

della Calabria, è uno degli agrumi più apprezzati 

del Sud Italia. Coltivato da secoli, fin dal Rinascimento

è conosciuto come limone "Antico" o

"Nostrano di Rocca Imperiale".

Il nome "Limone di Rocca Imperiale" ha visto i natali

nel 2001 quando i coltivatori di limoni del paesino

calabrese si sono riuniti in un consorzioper tutelare

il tesoro giallo. Un'unità decisamente fruttuosa che ha

portato poi nel 2011, a dieci anni di distanza,

al riconoscimento dell'IGP, l'indicazione geografica

protetta che tutela e valorizza il luogo di origine dove

crescono, rigogliosi, i frutti profumati dal colore dorato.

Limone di Rocca Imperiale

Alberi di limone a perdita d'occhio conferiscono al

paesaggio della zona calabrese un aspetto peculiare,

qui il gradiente di giallo domina sulla veduta circostante.

L'area dove si trova il Comune di Rocca Imperiale è

particolarmente favorevole per la crescita dei limoni,

le piogge adeguate, la buona qualità del terreno e

l'ottima permeabilità del suolo, senza dimenticare la

buona disponibilità delle falde acquifere del Pollino

conferiscono il mosaico perfetto per la crescita di

questi bellissimi frutti.

Le Terre dei limoni di Rocca Imperiale sono protette

dalle colline a ovest, a nord e a sud, mentre da sud

est subiscono il positivo effetto dell'azione

mitigatrice del mare.  Una combinazione geografica

che permette ai meravigliosi alberi di limoni di crescere

sani e robusti e ricolmi di frutti.

Pieno di succo, dalla forma allungata e il sapore

molto gradevole,  il limone calabrese è quasi

completamente privo di semi, dall'aroma inimitabile 

e dal peso medio tra i 100 e i 200 grammi.

Le prime attestazione storiche che parlano del limone 

disseminato in provincia di Cosenza risalgono al

diciassettesimo secolo.

Non ci sono molte informazioni antiche su questa

piccolo tesoro giallo e ciò si spiega a causa del 

notevole isolamento in cui centri agricoli come quello

di Rocca Imperiale erano immersi. Né venditori né

acquirenti erano soliti conservare documentazioni

sugli acquisti e sulle vendite, per poter ricordare

e memorizzare la quantità di frutti comprati o

venduti erano soliti fare un piccolo segno su un

asse di legno ad ogni operazione di compravendita

 
 
 

In Bosnia...

Post n°1950 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

PUBBLICATO IL 15 MAGGIO 2018

Il mistero dell'enorme palla ritrovata in Bosnia

Nel marzo 2016, in Bosnia, è stata fatta una

scoperta che ha dell'incredibile: è stata trovata,

infatti, nel villaggio di Podubravlje, una sfera

di pietra gigante.La sfera, scoperta per metà

e per l'altra metà conficcata nella terra, ha un

raggio che, a detta dei risultati preliminari

degli studi fatti su di essa, è di circa 1,2 -

1,5 metri.I materiali di cui è fatta non sono

ancora stati esaminati ma, considerata la

sua colorazione rossastra e marrone, si pensa

che abbia al suo interno un elevato contenuto

di ferro.Ciò ha permesso di fare delle stime

approssimative sulla sua massa, che dovrebbe

aggirarsi attorno alle 30 tonnellate.

Ciò che rende unica questa scoperta è il fatto

che potrebbe testimoniare che il sud dell'Europa,

i Balcani e la Bosnia in particolare, sono stati culla

di civiltà avanzate di un passato lontano di cui

non si hanno testimonianze scritte.La sfera,

inoltre, testimonierebbe che questi popoli

maneggiavano una tecnologia avanzata, in

quanto quella sferica è una di quelle geometriche

più difficili da realizzare, assieme a quella

piramidale e a quella conica.Qualora fosse stata

fatta a mano, inoltre, sarebbe la sfera più grande

mai realizzata dall'uomo mai trovata.Un docente

della University of Manchester School of Earth,

Atmospheric and Environmental Sciences, però,

ha un'altra interpretazione.Secondo lui, infatti, l

a sfera è un esempio di concrezione, ossia la

formazione di una massa compatta di roccia

dovuta a fenomeni naturali.Quale sarà la verità?

Solo il tempo potrà dircelo!

 
 
 

Le strutture territoriali arabe

Post n°1949 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte:

VIRGILIO CURIOSITÀ PUBBLICATO IL 06 FEBBRAIO 2019

Il Medio Oriente è costellato da migliaia

di sconcertanti strutture a forma di aquilone

o ruota, sono circa 400, costruite in pietra,

grosse come campi da calcio, situate in

Arabia Saudita ad Harrat Khaybar, uno

dei numerosi campi vulcanici sparsi nella

penisola arabica. L'identificazione di queste

cosiddette "strutture" è incerta, si ipotizza

che alcune risalgano a 9.000 anni fa.

Una prima prova registrata risale al 1927

quando il tenente della Royal Air Force Percy

Maitland pubblicò un articolo riguardo a

queste rovine sulla rivista Antiquity,

riportando che le aveva sorvolate in un'area

lavica e che, insieme ad altre strutture di pietra,

erano chiamate dai beduini "opere degli uomini antichi".

Oggi, visti dallo spazio, hanno un aspetto

lunare o addirittura marziano: piccole colline

vulcaniche, laghi di lava congelati e pozzi

generati esplosivamente come crateri.

Diversi studiosi le hanno paragonate a dei

geroglifici come le Linee di Nazca.

Il geroglifico è un segno molto ampio ricavato

manualmente su una superficie, quindi, anche

la funzione di queste misteriose strutture

potrebbe essere simile a quella degli

enigmatici disegni ritrovati nel deserto peruviano.

Inoltre, se si considera che i cerchi di pietre

erano un luogo sacro di preghiera per gli antichi,

si può supporre avessero una funzione religiosa.

Tesi avvalorata anche da Huw Groucutt, un

borsista presso la Scuola di Archeologia

dell'Università di Oxford, il quale non vede

"alcun chiaro scopo funzionale" perciò ipotizza

che siano siti dove si svolgevano attività rituali.

La verità è che non se ne viene a capo: diverse

ipotesi non collimano. E soprattutto c'è scarsa

attenzione rispetto ad altri siti archeologici

sparsi per il mondo.

 

 
 
 

Altre novità....

Post n°1948 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Nella frazione di Borzone del piccolo comune

di Borzonasca si trova un grande volto umano

scolpito nella roccia.

Tanti i misteri e le supposizioni che lo avvolgonovolto megalitico borzone

Alto sette metri, semi nascosto dalla vegetazione

e avvolto dal mistero: si tratta del volto megalitico

di Borzone, frazione del piccolo comune di Borzonasca

in provincia di Genova.

Scolpito su una roccia  è stato scoperto solamente

nel 1965 e viene considerata la scultura rupestre

più grande d'Italia e d'Europa.

Leteorie e i misteri sulla sua realizzazione sono molti.

Tra le tante ipotesi vi è quella che sostiene si

tratti di una realizzazione risalente al Paleolitico

Superiore, il paragone infatti è con i menhir con

fattezze umane.

Un'altra teoria lo colloca in un ambito ancora

più particolare, secondo alcuni studi si potrebbe

paragonare con il volto che si intravede

sullaSindone di Torino.

In questo caso gli autori sarebbero stati i 

monaci Benedettini che abitavano l'abbazia

di Sant'Andrea di Borzone, che si trova nella

vicinanze. Pare che fosse stato realizzato per

convertire gli abitanti della valle del Penna e

che i monaci vi si recassero una volta all'anno

in preghiera.

Ma le supposizioni non si fermano qui, recenti

ricerche suggeriscono infatti nuove ipotesi.

A scriverlo su Facebook è stato lo stesso comune

di Borzonasca dove questo volto così ricco di

mistero ha sede. L'ultima idea è che possa

trattarsi di un'opera realizzata da un artista,

a fornire la nuova chiave di lettura le ricerche

dell'architetto parmense Andrea Pacciani.

L'architetto ha supposto che l'opera possa

essere stata realizzata dall'artista genovese

Francesco Borzone che è vissuto nel corso del

Seicento, oppure che lui avesse tratto ispirazione

per le sue opere proprio dalla scultura rupestre.

Ma perché tanta attenzione? Perché l'origine,

l'epoca e la paternità di questo volto imponente

sono ancora oggi incerte, anche se sono in molti

a credere che si tratti del volto di Cristo.

Tante ipotesi diverse che si susseguono e fanno

osservare il volto megalitico di Borzone ogni

volta con occhi diversi. A partire dal sesso:

si tratta di un uomo o di una donna? 

È stato riprodotto il volto di Cristo dai monaci e

i segni che si vedono sulla fronte sono un 

richiamo alla corona di spine? Oppure è l'opera

di un'artista?

Domande alle quali solo il tempo e ulteriori studi

potranno dare una risposta. Forse.

 
 
 

Il mistero del Cristo Velato di Napoli

Post n°1947 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

La scultura più famosa al mondo alimenta da

secoli leggende popolari sulla figura del

committente, Raimondo di Sangro.

Ma un documento svela l'arcanoCristo Velato

Fin dal Settecento, il Cristo Velato custodito

nella Cappella Sansevero diNapoli attira

estimatori e turisti da ogni parte del mondo,

soprattutto per l'incredibile trasparenza del

sudario che da secoli ha alimentato numerose

leggende sul committente della scultura.

Realizzata nel 1753, l'opera è considerata uno

dei maggiori capolavori scultorei mondiali, tanto

che Antonio Canova dichiarò che sarebbe stato

disposto a dare persino dieci anni della propria

vita pur di essere stato l'autore di una simile

meraviglia.

A rendere il Cristo Velato una scultura unica

nel suo genere è soprattutto l'incredibile trasparenza

del sudario. Nel corso dei secoli, la prodigiosa

tessitura del velo marmoreo, che lascia stupiti

osservatori e studiosi, è stata avvolta nel più

fitto mistero. Stando ad una leggenda popolare,

 il committente dell'opera, Raimondo di Sangro,

settimo principe di Sansevero, nonché famoso

scienziato e alchimista, avrebbe insegnato allo

scultore la calcificazione del tessuto in cristalli

di marmo.

Per oltre duecentocinquant'anni, si è erroneamente

creduto che l'incredibile trasparenza del sudario

fosse dunque il frutto di un processo alchemico

di "marmorizzazione", effettuato dal principe

che avrebbe adagiato sulla statua un vero e

proprio velo che nel tempo si sarebbe

marmorizzato attraverso un processo chimico,

dando vita all'opera d'arte così come la conosciamo

oggi.

Studi scrupolosi, insieme ai vari documenti coevi

alla realizzazione del Cristo Velato, hanno però

svelato il mistero: Giuseppe Sanmartino avrebbe

in realtà lavorato su un unico blocco di marmo.

 In un documento, datato 16 dicembre 1752 e

conservato presso l'Archivio Storico del Banco

di Napoli, è riportato un acconto di cinquanta

ducati a favore dell'artista napoletano, firmato

da Raimondo di Sangro (il costo complessivo

della statua ammonterà a cinquecento ducati).

Nel contratto, il principe scrive: "E per me gli

suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico

Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro

Signore morto coperta da un velo ancor di marmo".

Inoltre, in alcune lettere spedite al fisico

Jean-Antoine Nollet e all'accademico della Crusca

Giovanni Giraldi, Raimondo di Sangro descrive il

sudario trasparente come "realizzato dallo stesso

blocco della statua", mentre più in là il biografo

settecentesco del principe, Giangiuseppe Origlia,

avrebbe specificato che il Cristo è "tutto ricoverto

d'un lenzuolo di velo trasparente dello stesso marmo".

La leggenda, però, è ancora dura a morire e

tutt'oggi l'incredibile trasparenza del sudario non fa

che alimentarla.

 
 
 

I segreti di Napoli

Post n°1946 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Alla scoperta dei 7 segreti di NapoliIl sole,

il mare, la pizza, sono solo una riduttiva lista

delle bellezze di NapoliIl sole, il mare, la pizza,

sono solo una riduttiva lista delle bellezze di Napoli.

Non tutti sanno infatti, che la città partenopea è

una ricchissima città d'arte, cultura e storia le

cui radici risalgono all'VIII secolo a.c.

Ancora oggi è possibile trovare traccia di ogni

civiltà che è passata a Napoli: dai Greci ai Romani,

dai Bizantini ai Normanni, dagli Svevi agli Angioini,

dagli Aragonesi agli Spagnoli passando per i Francesi.

Ma accanto ai monumenti più famosi come il Maschio

Angioino, l'Albergo dei Poveri, la Galleria Umberto I,

la Reggia di Capodimonte, il Real Teatro di San Carlo

(solo per citarne qualcuno) esiste anche una Napoli

ricca di segreti, poco conosciuti ma dal fascino irresistibile.

Ne abbiamo scelti 7, che vi sveliamo di seguito...

I tunnel sotterranei

Nel cuore del centro storico, in Piazza San Gaetano,

si trova l'ingresso alla Napoli sotterranea un vero e

proprio dedalo di cuniculi che si snodano sotto la città.

In una sorta di città sotto la città, è possibile ammirare

i resti dell'antico acquedotto greco-romano, dei rifugi

antiaerei della Seconda Guerra Mondiale, un antico

Teatro greco-romano e tracce di manufatti risalenti

all'era preistorica.

Le "gradonate" e le "pedamentine"


Se amate il trekking urbano non perdetevi le

oltre 200 scale che dal mare vi condurranno

alla collina. Nell'antichità erano considerate un

vero e proprio sistema viario in grado di collegare

i vari punti della città. Cadute in disuso oggi sono

state recuperate ed è possibile percorrerle in tutta

la loro bellezza. Lo scalone monumentale di

Montesanto, la Pedamentina di San Martino, il Petraio,

le scale di Santa Maria Apparente sono solo alcune

delle maestose scalinate di cui Napoli è ricca.

La Cappella di San Severo e il Cristo Velato


Si tratta di una vecchia chiesa oggi sconsacrata, al

cui interno si trova una dei più bei monumenti di Napoli,

il Cristo velato realizzato dall'artista napoletano

Giuseppe San Martino. Ma non è tutto.

Nella stessa chiesa è possibile ammirare la statua del

Disinganno, realizzata dallo scultore genovese 

Francesco Queirolo, rappresenta un uomo avvolto

da una rete. A questa statua è legato il mistero del 

principe Raimondo di Sangro, secondo cui era in grado

di tramutare la stoffa in marmo.

La sedia di Santa Maria Francesca delle 5 piaghe


A Toledo nei Quartieri Spagnoli, in Vico Tre Re, tra gli

antichi palazzi si trova una piccola casa che una volta

era l'abitazione di Santa Maria Francesca delle 5 piaghe,

una suora napoletana, al cui interno vi è un piccolo

Santuario a lei dedicato. Salendo delle ripide e piccole

scale, si sale a quella che fu la sua dimora.

In una stanza, si trova la famosa sedia di Santa

Maria Francesca, detta anche sedia della fecondità,

meta ogni anno di miglia di donne che rivolgono una

preghiera alla Santa al fine di ottenere la sua

intercessione per ottenere una gravidanza.

Il Museo Anatomico


In via Luciano Armanni, si trova il famoso museo

anatomico fondato verso la fine del '700 dall'anatomista

 Domenico Cotugno. Oggi al suo interno oggi è possibile

ammirare strumenti chirurgici dell'epoca, rari testi di

medicina oltre alle pietrificazioni di Efisio Marini.

Cosa sono le pietrificazioni? Interi corpi umani conservati

in perfetto stato.

La Chiesa di S. Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco


In Via dei tribunali 39, è possibile ammirare la 

Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio

ad Arco risalente agli inizi del 1600.

Nella zona inferiore della chiesa, sono custodite

le ossa dei morti di peste e di indigenti bisognosi

di sepoltura. Ancora oggi è possibile vedere dei

corpi appesi alle pareti con dei ganci per favorire

la perdita dei liquidi del corpo e favorire il processo

di mummificazione.

Ma la curiosità più grande è rappresentata

dal miracoloso teschio di Lucia, una ragazza morta

di tisi a soli 16 anni e che oggi è considerata la

"protettrice" delle donne che non riescono a trovare

marito o impossibilitate ad avere figli.

Il Parco della tomba di Virgilio


A Piedigrotta nel quartiere Chiaia, all'interno del

 Parco Vergiliano, è possibile visitare la tomba di Virgilio -

il più grande poeta romano - dove è possibile leggere

il seguente epitaffio: "Mantova mi generò, la Calabria

mi rapì, e ora mi tiene Napoli"; oltre alla tomba di

Giacomo Leopardi.

A questo parco è legata una curiosa leggenda

secondo cui Virgilio ritrovò una bottiglia nella

quale erano imprigionati dodici diavoli che, in

cambio della libertà, gli insegnarono tutti i

segreti delle arti magiche. Infatti Virgilio,

secondo la tradizione era considerato anche

un mago.

 
 
 

i portici di Bologna sono un patrimonio UNESCO

Post n°1945 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Dal 2006 sono nella "tentative list" dei siti

italiani candidati a diventare patrimonio

Unesco, ma ora il sindaco accelera e il

responso per i portici di Bologna dovrebbe

arrivare nel 2021

portici bologna unesco

Portici di Bologna patrimonio Unesco:

continua il procedimento per la candidatura

di queste opere architettoniche all'organizzazione

delle Nazioni Unite.

Anzi accelera, perché il sindaco Virginio Merola

 ha costituito il gruppo di lavoro tecnico che

avrà il compito di scrivere il dossier. 

Questa documentazione in due anni dovrà

portare, prima, alla candidatura e poi alla decisione

finale del Consiglio Internazionale dei Monumenti

e dei Siti di Parigi.

Sono 42 i chilometri di portici cittadini che puntano

a questo riconoscimento, mentre è dal 2006 che

sono inseriti nella "tentative list" italiana con altri

siti candidati a diventare patrimonio mondiale

Unesco.

Ora si può arrivare alla fase finale di valutazione

e per farlo il Comune diBologna ha richiesto

la consulenza alla Links Foundation, ovvero

una realtà no profit che è specializzata

(tra le tante altre cose) anche nella redazione

di questa tipologia di documenti.

Una versione preliminare del dossier verrà

consegnata al Consiglio di Parigi a settembre 2019,

mentre quella definitiva sarà datata febbraio 2020.

Il responso dovrebbe arrivare a febbraio

dell'anno successivo, il 2021.

È importante sapere che l'Italia, essendo il Paese

al mondo con il maggior numero di siti Unesco

(54 tra più famosi e meno conosciuti),

non può presentare più di una candidatura

all'anno.

Dei dieci criteri che vengono valutati per l'inclusione,

sono in particolare due su cui sta lavorando il

Comune, come riporta il sito cittadino.

Uno è quello secondo il quale si deve mostrare

il ruolo di interscambio di valori umani, in un arco

temporale lungo o dentro un'area culturale, sugli

sviluppi di architettura, tecnologia, arti monumentali,

pianificazione urbana e disegno del paesaggio.

L'altro vuole che costituiscano un esempio

straordinario di una tipologia edilizia, insieme

architettonico o tecnologico, oppure di un paesaggio,

che illustri fasi della storia umana.

Inoltre il Comune è al lavoro anche per la definizione

di "Eccezionale Valore Universale".

Il sindaco nella sua newsletter settimanale ha

posto l'accento proprio sull'obiettivo Unesco:

"È ormai pienamente avviata la macchina della

candidatura - ha scritto -. Non molliamo la presa,

forti anche del lavoro fatto nel precedente mandato.

Ho costituito un gruppo di lavoro tecnico.

Per il 2021 contiamo di sapere se uno dei simboli

di Bologna, 42 di chilometri di portici di diverse

epoche storiche, avrà questo prestigioso

riconoscimento".

 
 
 

I portici di Bologna.

Post n°1944 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

  • Porch Architecture in the Streets of Bologna, Italy

Bologna è la città dei portici per antonomasia.

Nel capoluogo felsineo, i porticati misurano

complessivamente più di 38 chilometri, contando

solo quelli nel centro storico, che arrivano a 53 km

se si aggiungono quelli fuori porta.
Non esiste al mondo una città più porticata di

Bologna. Per la loro importanza artistico-culturale,

i portici bolognesi sono stati inseriti nel 2006 nella

"Tentative List" italiana dei siti candidati a

diventare Patrimonio dell'Umanità UNESCO. 

Qui troviamo portici da record, a partire da

quello di San Luca, che con i suoi 3.796 metri

di lunghezza e le sue splendidi 666 arcate è

il più lungo del mondo.

Ecco come sono nati i portici a Bologna

Ma come sono nati i portici che hanno reso il

capoluogo felsineo famoso in tutto il mondo?

La prima testimonianza di questo straordinario

patrimonio architettonico risale all'anno 1041.

L'Università di Bologna attirava in città moltissimi

studenti e accademici, ma il forte incremento

della popolazione era dovuto anche all'immigrazione

dalle campagne vicine.

Ben presto, si dovette far fronte ad una vera e

propria emergenza abitativa, e si sentì l'esigenza

di inventarsi un nuovo spazio urbano.

Così, i cittadini decisero di aumentare la cubatura

delle proprie case, ampliando i piani superiori con

la creazione di sporti in legno sorretti dal

prolungamento delle travi portanti del solaio e,

in caso di forte sporgenza, da mensole

dette"beccadelli".

Con il passare del tempo, gli sporti aumentarono

in grandezza, per cui fu necessario costruire

colonne di sostegno dal basso, che ne impedissero

il crollo. Fu così che nacquero i portici.

Ecco come sono nati i portici a Bologna

Da subito i bolognesi compresero la grande

utilità di queste opere architettoniche, che

offrivano riparo dal sole e dalle intemperie,

permettendo a cittadini e turisti di attraversare

la città con qualsiasi condizione atmosferica.

I portici favorirono anche l'espansione di

attività commerciali e artigiane, oltre a rendere

più abitabili i pianterreni, isolandoli dalla

sporcizia delle strade.

Nel 1288, il Comune di Bologna stabilì che tutte

le case nuove dovessero essere costruite con

il portico in muratura, mentre quelle già esistenti

che ne fossero state prive erano tenute ad

aggiungerlo. Tuttavia, nella città felsinea 

sopravvivono oggi ben otto portici in legno.

Di questi, un celebre esempio è Casa Isolani,

in strada Maggiore, risalente al XIII secolo,

insieme all'elegante Casa Grassi in via Marsala

e a Casa Rampionesi, in via del Carro.

Risalgono invece al Trecento Casa Azzoguidi-Rubini,

in via S.Niccolò, Casa Seracchioli al principio di

via S.Stefano, fino all'ex orfanotrofio di via Begatto,

mentre il più giovane portico ligneo è quello di via

Gombruti 17, realizzato nel XV secolo.

 
 
 

Sant'Agata Feltria, la capitale italiana delle fiabe

Post n°1943 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

A Sant'Agata Feltria, in provincia di Rimini, c'è la Rocca

delle Fiabe, il castello che ospita il museo dedicato ai

personaggi fiabeschi

In provincia di Rimini c'è un castello fatato dove le fiabe 

sono di casa, letteralmente. Sant'Agata Feltria, appartenente

alla comunità montana Alta Valmerecchia, è diventata a

tutti gli effetti la capitale italiana delle fiabe.

Presso il castello di Rocca Fregoso è stato allestito un museo

interattivo dove le più belle storie frutto del patrimonio

favolistico italiano prendono vita. Ideata dal professor

 Antonio Faeti, professore di storia della letteratura per

l'infanzia presso il dipartimento di scienze dell'educazione

dell'Università di Bologna, la Rocca delle Fiabe si propone

come una roccaforte che si prefigge l'obiettivo di salvaguardare

dall'oblio le fiabe che hanno intrattenuto nei secoli intere

generazioni di fanciulli e che le moderne tecnologie e la massiccia

pervasività dei mass-media rischiano di far dimenticare.

Senza titolo-6Una capitale del fiabesco di cui si sentiva fortemente la mancanza

che si sviluppa attraverso quattro temi principali ospitate in

altrettante stanze ricolme di libri, video, illustrazioni e scritti

tutti finalizzati a sorprendere e rapire l'animo dei bambini e dei

fanciullini adulti amanti delle fiabe.

Navi corsare, galeoni che solcano oceani, mongolfiere, locomotive

a vapore sono i mezzi che sviluppano il tema del viaggiatore

incantato con protagonisti d'eccezione come il Piccolo Principe

 e Corto Maltese.Scarpe, scarpine, scarpette, al secondo piano,

approfondisce il tema dellefanciulle perseguitate nella storia

delle fiabe, come Cenerentola o la Bella Addormentata nel bosco.

In una stanza si ricordano tutte le angherie subite da Cenerentola,

vessata dalla matrigna e dalle sorelle cattive per poi ottenere il

proprio riscatto nella sala successiva, una bellissima sala da ballo,

ricolma di luci e profumi inebrianti, dove la protagonista di una delle

fiabe più appezzate di tutti i tempi balla con il suo principe a poca

distanza da una teca che custodisce la scarpetta di cristallo, della

collezione Ferragamo, che ricorda il celebre momento del

riconoscimento del principe della sua amata.

fiabe 1Il solitario castellano, altra area tematica tratta il tema del re che

si rinchiude, protetto dalla propria smania ed individualismo,

tra le mura del proprio castello. Un'ultima stanza, ancora in fase

di allestimento, avrà come tema i "fanciulli nella foresta" dedicata

ai piccoli protagonisti delle fiabe, come Mowgli e Peter Pan.

Castello ricco di fascino e magia, tra le stanze della Rocca Fregoso

aleggiano più di mille anni di storia. Alla fine del XV secolo il primo

nucleo costituito appena da una torre di avvistamento ampliata poi

nel corso de decenni, venne restaurata dietro commissione di Federico

di Montefeltroper mano di Francesco di Giorgio Martini che fornì

l'aspetto attuale. Dal 1974 il castello è diventato un museo permanente

 e oggi ospita la rocca delle fiabe, un baluardo della fantasia unico nel

suo genere in Italia.

 
 
 

I segreti dei buchi neri

Post n°1942 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

01 febbraio 2019

I segreti dei getti di materia e antimateria dei buchi neri

Le prime simulazioni di particelle di materia

e antimateria in rotazione attorno a un buco

nero suggeriscono l'origine degli enigmatici

getti con velocità vicine a quella della luce nel vuoto.

Ulteriori dettagli potrebbero essere forniti dai

dati registrati dall'Event Horizon Telescope che

sta studiando il buco nero al centro della Via

Lattea e quello al centro di Messier 87di

Davide Castelvecchi / Natur

buchi neriastrofisica

Per la prima volta un gruppo di astrofisici ha

calcolato come singole particelle di materia e

antimateria girano vorticosamente attorno a

un buco nero in rotazione.

Queste simulazioni al computer forniscono

informazioni cruciali su come i buchi neri proiettano

getti di materia a una velocità che è quasi quella

della luce, e i risultati del gruppo supportano

due meccanismi di alimentazione proposti in

precedenza sul modo in cui vengono alimentati

i misteriosi flussi di particelle.

La nuova tecnica di simulazione potrebbe anche

aiutare gli astrofisici a interpretare i dati di una

schiera globale di radiotelescopi che stanno

osservando il buco nero supermassiccio al centro

della Via Lattea.

I risultati del gruppo, pubblicati il 23 gennaio,

sono una "pietra miliare" nello studio dei buchi

neri, dice Serguei Komissarov, astrofisico all'Università

di Leeds, in Regno Unito.

razione di getti materia emessi da un buco nero.

(NASA/ESA/Scisti)I getti di materia ad alta energia

sono comuni in tutto il cosmo e sembrano provenire

da una varietà di fonti, anche se non ci sono ancora

prove dirette su come si formano.

Nella nostra galassia, molte stelle di neutroni

producono questi getti, così come alcuni buchi neri

relativamente piccoli - quelli non molto più massicci

del Sole - nel processo di assorbimento della materia.

Gli astrofisici pensano che alcuni buchi neri

supermassicci al centro di altre galassie al centro

di altre galassie siano dietro spettacolari getti che

si estendono per migliaia di anni luce, come quelli

visti intorno alla galassia Messier 87.

In molti casi, soprattutto per i piccoli buchi neri, i getti

sembrano contenere una sottile nebbia di elettroni

e delle loro controparti di antimateria, i positroni,

che fuoriescono come plasma ad alta velocità.

Gli attuali modelli di comportamento dei buchi neri

indicano che le coppie particella-antiparticella

sono prodotte all'interno di intensi campi magnetici

ed elettrici che vorticano vicino all'orizzonte degli

eventi di un buco nero, la superficie sferica da cui

nulla può fuggire una volta che la si attraversa.

La maggior parte di queste particelle cadono nel

buco nero.

I getti si formano vicino ai poli magnetici del

buco nero, dove trecce caotiche di campi magnetici

intrecciati emergono nello spazio interstellare.

Questi campi, secondo la spiegazione prevalente

degli astrofisici, porterebbero via parte dell'energia

e del momento di rotazione del buco nero, oltre a

creare più elettroni e positroni.

In passato, le simulazioni 3D della dinamica del

buco nero hanno modellato il plasma di elettroni

e positroni come un continuum.

Ma in questo studio, Parfrey e colleghi hanno

incluso nelle simulazioni le singole particelle e

hanno osservato come i loro movimenti si sono

intrecciati con i campi magnetici ed elettrici,

contribuendo ad alimentarli.

I loro risultati mostrano correnti turbolente di

positroni ed elettroni che si muovono in direzioni

opposte, mentre entrambe roteano attorno a un

disco intorno all'equatore del buco nero.

Queste correnti fanno sì che l'energia emerga

dalle regioni polari.

"La cosa più importante dei getti in generale

non è il plasma, ma la tanta energia che esce

dal campo elettromagnetico", dice il coautore

Kyle Parfrey, astrofisico al Goddard Space Flight

Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland.

"È quello che vediamo accadere."

Questo effetto è stato previsto negli anni settanta

dagli astrofisici Roger Blandford e Roman Znayek,

che hanno proposto un meccanismo per spiegare

come i getti potrebbero trarre energia dallo spin

di un buco nero, e come ciò contribuirebbe a

rallentarne la rotazione.

(La teoria di Einstein equipara l'energia alla massa;

quando lo spin di un buco nero rallenta, diventa

più leggero).

Lo studio ha anche corroborato un secondo

meccanismo, che spiega come l'energia è estratta

da un buco nero rotante, un meccanismo proposto

per la prima volta dal fisico-matematico britannico

Roger Penrose negli anni sessanta.

Secondo il modello di Penrose, alcune particelle

create vicino all'equatore del buco nero hanno

energia negativa, così, quando cadono nel buco

nero, ne rallentano la rotazione.

Questo ipotetico fenomeno ricorda la "radiazione

di Hawking" proposta in seguito da Stephen Hawking,

in cui le particelle di energia negativa contribuiscono

a ridurre la massa di un buco nero.

Le nuove simulazioni sono ancora incomplete,

dice Parfrey. In particolare, non includono la fisica

dettagliata della creazione delle particelle e delle

antiparticelle, o del disco di accrescimento -

il flusso di materiale intorno al buco nero -

che si pensa alimenti i campi elettromagnetici.

Un buco nero che rimanesse isolato dalla materia

dissiperebbe rapidamente questi campi, finendo

in uno stato di quiete e buio, senza emissione

di getti di plasma.

Il coautore Benoît Cerutti dell'Université Grenoble

Alpes, in Francia, afferma che l'Event Horizon Telescope,

una rete di antenne radio sparse per il globo che

dovrebbe produrre i primi risultati quest'anno,

potrebbe offrire alcuni interessanti dettagli su

come il plasma si muove intorno al buco nero

supermassiccio al centro della Via Lattea, e a

quello al centro di Messier 87. "La mia speranza -

dice Cerutti - è che ponga più vincoli osservativi".

--------------------------
(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Nature

" il 30 gennaio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

 
 
 

L a nostra galassia....

Post n°1941 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

06 febbraio 2019

La nostra è una galassia contorta

La nostra è una galassia contorta (Cortesia Chen Xiaodian) 

La Via Lattea non ha una struttura piatta.

Nelle regioni più esterne della nostra galassia,

il disco stellare e quello gassoso sono curvati

e contorti in una forma a spirale, come ha

dimostrato una mappa tridimensionale di

una particolare classe di stelle variabili, la cui

distanza dalla Terra può essere determinata

con buona approssimazione.

astronomiaSiamo abituati a scorgerla come

una striscia luminosa nel cielo durante le notti

più limpide. Ma la sua forma, che potremmo

vedere se potessimo raggiungere un punto di

vista esterno e lontano, non è quella di un disco

piatto, come finora immaginato.

Man mano che ci si allontana da suo centro, infatti,

gli estremi della Via Lattea sono sempre più curvati

e contorti: il suo profilo è più simile a quello di una "S"

che a quello di una "I" sdraiate. Lo rivela una nuova

mappa tridimensionale pubblicata su "Nature Astronomy" 

da una collaborazione tra Macquarie University di

Sydney, in Australia, e Accademia delle scienze cinese.

Gli autori hanno elaborato questo nuovo modello

tridimensionale della nostra galassia basandosi su

un recente catalogo di una classe particolare di

stelle, le cosiddette Cefeidi classiche, una vera

miniera di informazioni sul cosmo.

La nostra è una galassia contorta

Illustrazione del modello tridimensionale della

Via Lattea ottenuta dagli autori, con il disco

deformato e contorto. (Cortesia Chen Xiaodian)

Queste stelle sono giovani e hanno una massa

variabile da 4 a 20 volte la massa del Sole, e

sono fino a 100.000 volte più brillanti.

Con masse così elevate, il combustibile della

fusione nucleare che le tiene accese brucia

rapidamente, condannandole a una vita

relativamente breve: pochi milioni di anni.

Un'altra loro caratteristica è la variabilità della

luminosità, che cambia ciclicamente con un

periodo che può andare da alcuni giorni ad

alcuni mesi. La misura del periodo di pulsazione,

combinata con quella della luminosità apparente,

permette agli astronomi di ottenere stime affidabili

delle loro distanze dalla Terra, con un'accuratezza

variabile tra il 3 e il 5 per cento.

E proprio dalle posizioni delle stelle Cefeidi, gli autori

australiani e cinesi hanno ottenuto la prima mappa 3D

affidabile delle zone più periferiche della Via Lattea.

Ottenuto il modello del disco stellare delle Cefeidi,

si è visto che esso riproduce la distribuzione

dell'idrogeno molecolare allo stato gassoso che

permea la galassia e che non è confinato in un piano

sottile.

"Con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che l'insieme

tridimensionale di 1339 Cefeidi e il disco di gas della

Via Lattea si seguono l'uno con l'altro da vicino, il che

fornisce nuove informazioni su com'è fatta la nostra

galassia", ha spiegato Richard de Grijs della

Macquarie University, autore senior dello studio.

"Forse ancora più importante è il fatto che nelle

regioni più esterne della galassia, il disco delle

stelle è curvato e progressivamente contorto

in una forma a spirale".

Non è la prima volta che gli astronomi osservano

una forma del genere: ci sono altre decine di galassie

con forme analoghe. E le misurazioni hanno portato

anche a definire le cause fisiche di questa deformazione.

"Combinando le nostre con altre osservazioni,

abbiamo concluso che questo schema è causato

molto probabilmente da coppie di forze gravitazionali

prodotte dal disco di stelle più centrale", ha concluso

Liu Chao, altro autore senior dello studio.

 
 
 

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