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Messaggi del 23/04/2019

Intelligenza artificiale e risonanze magnetiche

Post n°2135 pubblicato il 23 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

 

22 marzo 2019

Intelligenza artificiale e risonanze magnetiche:

ecco un nuovo modo per diagnosticare il tumore

cerebrale

Intelligenza artificiale e risonanze magnetiche: ecco un nuovo modo per diagnosticare il tumore cerebrale

Comunicato stampa -

Un modello di rete neurale già  sviluppato con

successo sul cane, e ora applicato all'uomo,

predice la gravità del meningioma prima dell'esame

istopatologicoUniversità degli Studi di Padova

neuroscienzemedicina

Pubblicato sul «Journal of Magnetic Resonance Imaging»

- prestigiosa rivista scientifica di Radiologia -

un articolo frutto della collaborazione tra il

Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e

Salute dell'Università di Padova (MAPS), il Reparto

di Neuroradiologia e il Reparto di Neurochirurgia

dell'Azienda Ospedaliera di Padova.

I dati preliminari dimostrano la possibilità di valutare

il grado istologico dei meningiomi intracranici umani

tramite una rete neuronale artificiale applicata

direttamente alle immagini diagnostiche di Risonanza

Magnetica, anticipando di fatto i risultati dell'esame

istopatologico derivante da biopsia o da resezione

chirurgica.

Il team di ricercatori e specialisti - tutto padovano

- ha testato una tecnica innovativa, basata su rete

neurale, su pazienti con diagnosi radiologica

(tramite Risonanza Magnetica) di meningioma e

successiva conferma istopatologica (a seguito

dell'asportazione chirurgica dello stesso).

Il risultato è stato, ex ante, il riconoscimento del

grado di malignità della neoplasia, in ben 109

casi su 117, a partire direttamente dalle immagini

diagnostiche.

Tale studio retrospettivo non nasce dal caso;

vincitore di un progetto STARS@unipd 2018 -

(Prediction of the histhologicalgrading of human

meningiomasusing MR images texture and

deeplearning: a traslationalapplication of a model

developed on spontaneously occurring meningiomas

in dogs - MenTex) esso rappresenta il punto di arrivo

di una ricerca triennale eseguita su diversi tipi di

tumori cerebrali di cani di proprietà sottoposti a

indagini diagnostiche e procedure chirurgiche sia

all'Ospedale Veterinario del Dipartimento di

Medicina Animale, Produzioni e Salutedell'Università

di Padova (MAPS) nonché altri importanti ospedali

veterinari privati, nazionali ed esteri.

«Dopo aver sviluppato algoritmi di rete neurale nel

paziente-cane sia per la determinazione di malignità

(grading) dei meningiomi, sia per il riconoscimento

dei gliomi - dice Tommaso Banzato, Principal

Investigator del progetto MenTex e ricercatore in

clinica medica veterinaria al MAPS - ed averne

verificato l'effettivo livello di accuratezza diagnostica,

abbiamo cercato di "allenare" un algoritmo del tutto

simile per l'analisi del meningioma umano».


Il meningioma è la neoplasia intracranica più

frequente sia nel cane che nell'uomo

(rappresenta rispettivamente circa il 50%

ed il 35% delle neoplasie primarie intracraniche);

sono inoltre identici, per le due specie, anche

come classificazione di malignità, suddivisi in:

benigni, atipici e maligni.
«L'esperienza che abbiamo maturato con gli

studi di Risonanza Magnetica sul cane, unica

per metodologia, caratteristiche e numerosità

- prosegue Banzato - l'abbiamo voluta

condividere con i colleghi dell'Azienda Ospedaliera.

Questo ha aperto ad entrambe le equipe nuovi

scenari da cui stanno emergendo ulteriori

interessanti sviluppi».

«A tutt'oggi la certezza assoluta di determinare

il grado di malignità della neoplasia, da cui dipende

l'applicazione del più idoneo protocollo terapeutico

- sottolinea Francesco Causin, Direttore del Reparto

di Neuroradiologia dell'Azienda Ospedaliera di Padova 

- è demandata alla valutazione istopatologica post

-asportazione chirurgica.

L'accuratezza di questo modello preliminare è

un'evidente dimostrazione che, in un futuro non cos

lontano, nuove metodologie basate sull'intelligenza

artificiale potranno non solo supportare il radiologo

nel proprio processo decisionale verso la diagnosi

finale, ma anche guidare scelte terapeutiche mediche,

chirurgiche e mininvasive.

L'intelligenza artificiale renderà disponibili ai radiologi

nuovi dati e più sofisticati criteri diagnostici che vanno

oltre all'analisi del rapporto tra clinica e morfologia di

una lesione, affiancandosi alle già utilizzate tecniche

di analisi ultrastrutturale, metabolica e molecolare.

La possibilità infatti - continua Causin - di ipotizzare

con probabilità elevata a priori, ovvero in sede di

diagnosi radiologica, il grado di malignità della lesione

neoplastica consentirebbe di creare contestualmente

un protocollo terapeutico ad hoc, specifico per ogni

paziente, che si integra al reperto istopatologico e

genetico/recettoriale e fornisce indicazioni dirette

al chirurgo su cosa potrebbe aspettarsi nel campo

operatorio».

L'applicazione delle reti neurali alla diagnostica pe

r immagini sta diventando, a tutt'oggi, uno degli

interessi centrali per la comunità scientifica internazionale.

Sempre nella linea di classificazione mediante

Risonanza Magnetica dei tumori cerebrali sono

recentemente apparsi studi preliminari focalizzati

sui gliomi mentre, quello attuale, è il primo riscontro

sperimentale internazionale sul meningioma.

In tutti i casi, prima di validare definitivamente le

nuove metodiche, sarà necessario "allenare" il relativo

algoritmo di rete neurale su casistiche multicentrich

e più numerose, onde valutare l'ulteriore accuratezza

dello stesso su campioni di popolazione variabili e più

significativi.

«L'eccezionalità di questo progetto, oltre al risultato

specifico ottenuto, risiede nel fatto che esso

rappresenta la realizzazione perfetta del concett

o di medicina traslazionale - afferma Alessandro

Zotti, docente di Clinica Medica Veterinaria e

Responsabile del Servizio Veterinario Centralizzato

d'Ateneo - ovvero il passaggio dal modello animale

all'uomo. Realizzazione perfetta  perché il modello

non è stato ottenuto su animali sperimentali, ma

su animali di proprietà che convivono con l'uomo

e sviluppano una patologia spontanea identica a

quella dell'uomo.

L'utilizzo del modello di patologia spontanea animale,

indicato recentemente come una nuova importante

frontiera in un editoriale della rivista Nature,

rappresenterebbe infatti - sottolinea Zotti - uno

storico traguardo verso la riduzione vera dell'utilizzo

di animali sperimentali (Reduction) nonché un

importante aspetto, visto nell'ottica della medicina

clinica, verso la realizzazione della OneHealth,

ovvero la intrinseca interconnessione della salute

umana ed animale».
 
 "Accuracy of deep learning to differentiate the

histopathological grading of meningiomas on MR

images:  a preliminary study" - «Journal of

Magnetic Resonance Imaging» - 2019
Autori: Banzato T., Causin F., Della Puppa A.,

Cester G., Mazzai L. Zotti A.
 
Link alla ricerca: https://onlinelibrary.wiley.

com/doi/full/10.1002/jmri.26723

 
 
 

Università Milano Bicocca: Il germanio mette il turbo ai processori dei pc quantistici

Post n°2134 pubblicato il 23 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

21 dicembre 2016

Università Milano Bicocca: Il germanio mette il turbo ai processori dei pc quantistici

Comunicato stampa - Processori più veloci con il germanio.

Lo rivela una ricerca realizzata dal Dipartimento di Scienza dei

Materiali dell'Università di Milano-Bicocca appena pubblicata su

Nature Communications. Lo studio è stato finanziato da Fondazione

Cariplo

fisicacomputer science
Milano, 21 dicembre 2016 - Il germanio è una soluzione concreta per

la realizzazione dei pc quantistici di futura generazione.

A dimostrarlo sperimentalmente è lo studio "Strong confinement-induced

engineering of the g-factor and lifetime of conduction electron

spins in Ge quantum wells" (DOI: 10.1038/ncomms13886),

pubblicato su Nature Communications (doi) e che vede come

autori principali Fabio Pezzoli e Anna Giorgioni del Dipartimento

di Scienza dei Materiali dell'Università di Milano-Bicocca, in

collaborazione con la Joannes Kepler Universität di Linz e il Politecnico di Milano.
 
Grazie a questo studio, si è dimostrato che l'utilizzo del germanio

al posto del tradizionale silicio, oltre a rendere più veloce la trasmissione

dei dati offre anche un altro vantaggio sul fronte della spintronica:

la capacità di codificare le informazioni mediante l'orientamento

magnetico degli elettroni ottenuto a "comando".

Una sorta di "bussola" interna a ciascuna particella che grazie alla

sua natura quantistica  moltiplica la velocità di calcolo rispetto agli

attuali transistor.
 
'Lo studio della fisica dello spin in materiali come il Germanio

integrato su Silicio - commenta Fabio Pezzoli - può essere sfruttata

per realizzare dispositivi efficienti, con ricadute significative

pratiche come il targetting di medicinali o fondamentali come la

comprensione dello spazio-tempo quantistico.'
 
Questa scoperta apre percorsi alternativi alla miniaturizzazione dei

transistor, metodo tradizionale oramai sempre meno sfruttabile, dato

che non è possibile ridurne le dimensioni all'infinito.
 
La ricerca, compiuta nell'ambito di un progetto finanziato da

Fondazione Cariplo, tratta un argomento che sarà alla base della

prossima flagship europea sulle quantum technologies che partirà

nel 2018 all'interno del programma quadro europeo Horizon2020.
 
Obiettivo di quest'iniziativa sarà portare l'Europa all'avanguardia

della seconda rivoluzione quantistica in tutto il mondo nell'arco

di dieci anni e trasmettere i progressi trasformativi nella scienza,

nell'industria e nella società, fornendo soluzioni migliori per grandi

sfide in settori quali l'energia, la salute, la sicurezza e l'ambiente. 

 
 
 

Possiamo aprire la scatola nera dell'intelligenza artificiale?

Post n°2133 pubblicato il 23 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

22 ottobre 2016

Possiamo aprire la scatola nera dell'intelligenza artificiale?

Possiamo aprire la scatola nera dell'intelligenza artificiale?

L'intelligenza artificiale è ormai dappertutto, grazie al

dilagare delle macchine che sfruttano le capacità di

apprendimento profondo.

Ma prima che gli scienziati possano fidarsene tanto da

usarle nelle loro ricerche, devono comprendere in che

modo imparano, ed è un compito tutt'altro che semplicedi

Davide Castelvecchi/Nature

computer scienceapprendimentointelligenza artificiale

Dean Pomerleau ricorda ancora il suo primo braccio di

ferro con il problema della scatola nera.

L'anno era il 1991 ed era impegnato in un pionieristico

tentativo di raggiungere un risultato che oggi è comune

nella ricerca sui veicoli a guida autonoma: insegnare a un

computer come guidare.

Il progetto consisteva nel guidare un veicolo militare

Humvee appositamente modificato attraverso strade urbane,

ricorda Pomerleau, che allora era uno specializzando di r

obotica alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in

Pennsylvania.

Con lui nell'Humvee c'era un computer che aveva programmato

per guardare attraverso una telecamera, interpretare ciò che

stava accadendo sulla strada e memorizzare ogni sua (di Pomerleau)

azione di  risposta. Alla fine, sperava Pomerleau, la macchina

avrebbe avuto a disposizione un numero di associazioni sufficiente

per guidare da sola.

Possiamo aprire la scatola nera dell'intelligenza artificiale?

In ogni viaggio, Pomerleau addestrava il sistema per qualche

minuto, per poi lasciarlo andare a se stesso.

Tutto sembrava andare bene, finché un giorno l'Humvee,

avvicinandosi a un ponte, improvvisamente deviò da un lato.

Pomerleau evitò l'incidente solo afferrando velocemente il volanre

e riprendendo il controllo.


Tornato in laboratorio, Pomerleau cercò di capire dove aveva

sbagliato il computer.

"Una parte della mia tesi è consistita nell'aprire la scatola nera e

capire che cosa stava 'pensando' ".

Ma come? Aveva programmato il computer per agire come una

rete neurale - un tipo di intelligenza artificiale (IA) ispirata al cervello

che prometteva di funzionare meglio degli algoritmi standard nel

gestire le situazioni complesse del mondo reale.

Purtroppo, queste reti sono anche opache quanto il cervello.

Invece di memorizzare ciò che hanno appreso in un blocco

ordinato di memoria digitale, distribuiscono le informazioni

in un modo molto difficile da decifrare. 

Pomerleau riuscì ad afferrare il problema solo dopo un gran

numero di test sulle risposte del software a vari stimoli visivi:

la rete stava usando i margini erbosi della strada come indizio

per la direzione da seguire, per cui l'aspetto del ponte l'aveva

confusa.

Venticinque anni dopo, decifrare la scatola nera è diventato

sempre più difficile e più urgente.

La tecnologia è esplosa sia in complessità che in numero di

applicazioni.

Pomerleau, che ora insegna robotica alla Carnegie Mellon,

descrive il suo piccolo sistema sull'Humvee come "una versione

povera" delle enormi reti neurali che vengono usate per le macchine

di oggi.

E le tecniche di apprendimento profondo, in cui le reti vengono

addestrate su enormi archivi di dati, hanno applicazioni

commerciali che vanno dalle automobili a guida autonoma ai siti

Internet che consigliano prodotti in base alla storia di navigazione

di un utente.

L'apprendimento profondo promette di diventare onnipresente

anche in ambito scientifico.

I futuri osservatori radioastronomici ne avranno bisogno per t

rovare segnali utili nella mole altrimenti ingestibile dei loro dati;

i rivelatori di onde gravitazionali lo useranno per identificare

ed eliminare le più piccole fonti di rumore; e gli editori lo useranno

per setacciare e "taggare" milioni di articoli  e libri scientifici.

Alla fine, secondo alcuni ricercatori, i computer dotati di

apprendimento profondo potranno anche manifestare immaginazione

e creatività.

"Butteremo dei dati in pasto alla macchina, e quella restituirà leggi

di natura", dice Jean-Roch Vlimant, fisico al California Institute of

Technology a Pasadena.

Ma questi progressi renderebbero il problema della scatola nera

ancora più acuto.

Come fa la macchina a trovare i segnali utili, per esempio?

E come si può essere sicuri che non sbagli?

Fino a che punto dovremmo essere disposti a fidarci dell'apprendimento

profondo?

Possiamo aprire la scatola nera dell'intelligenza artificiale?

 "Penso che stiamo sicuramente perdendo terreno rispetto

a questi algoritmi", dice Hod Lipson, esperto di robotica alla

Columbia University a New York City.

Egli paragona la situazione all'incontro con una specie aliena

intelligente i cui occhi hanno recettori non solo per i colori primari

- rosso, verde e blu - ma anche per un quarto colore.

Sarebbe molto difficile per gli esseri umani capire come vede il mondo

l'alieno, e per lui spiegarlo a noi.

I computer avranno difficoltà analoghe nello spiegaci le cose a noi,

dice Lipson.

"In un certo senso, è come spiegare Shakespeare a un cane."

Di fronte a queste sfide, gli esperti di intelligenza artificiale

stanno rispondendo proprio come Pomerleau: aprendo la scatola

nera e facendo l'equivalente di ciò che fanno le neuroscienze.

Le risposte non sono però una vera comprensione, dice Vincenzo

Innocente, fisico del CERN, il laboratorio che ha aperto la strada

all'applicazione dell'IA nella fisica delle particelle.

"Come scienziato - dice - non mi basta saper distinguere i gatti dai

cani.

Uno scienziato vuole essere in grado di dire: 'la differenza è

in questo e in questo".

 
 
 

Il batterio dell'ulcera nello stomaco di Ötzi

Post n°2132 pubblicato il 23 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

07 gennaio 2016

Il batterio dell'ulcera nello stomaco di Ötzi

Dal contenuto dello stomaco dell'Uomo del Similaun,

la mummia risalente a 5300 anni fa scoperta nel 1991,

è stato possibile isolare il genoma di H. pylori, il batterio

che attualmente infetta una notevole percentuale della

popolazione mondiale, causando gastriti e ulcere.

L'identificazione dello specifico ceppo ha permesso di

ricostruire la cronologia dell'evoluzione del batterio, che

s'intreccia con le migrazioni e gli incroci tra le popolazioni

umane nelle ultime migliaia di anni(red)

antropologiamicrobiologia

Nello stomaco di Ötzi, la mummia risalente a 5300 anni fa

scoperta nei ghiacci del Similaun nel 1991, sono ancora presenti

i resti di Helicobacter pylori, un batterio attualmente presente

in circa metà della popolazione mondiale e responsabile di

gastriti e ulcere.

È questo il risultato di un nuovo studio pubblicato su "Science" 

da Frank Maixner della European Academy (EURAC) di Bolzano

e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale.

La scoperta getta una luce sull'evoluzione del batterio negli ultime

migliaia di anni, oltre a suggerire nuove ipotesi sullo stato di salute

dell'Uomo del Similaun.

"Pensavamo che fosse estremamente improbabile trovare il batterio

nello stomaco di Ötzi, perché la mucosa non è più presente tra i resti",

ha spiegato Albert Zink, coautore dello studio.

Insieme con i colleghi, Zink ha deciso quindi di aggirare il problema

estraendo tutto il DNA del contenuto dello stomaco e di separare l

e sequenze genetiche di Helicobacter pylorie ricostruire così un

genoma del batterio vecchio di 5300 anni".

Il batterio dell'ulcera nello stomaco di Ötzi

Ricostruzione dell'aspetto dell'uomo del Similaun

(© South Tyrol Museum of Archaeology, Foto Ochsenreiter)

Gli autori hanno scoperto anche la presenza dei marcatori

proteici che si trovano oggi nei soggetti infettati dal batterio:

ciò indica che il  sistema immunitario aveva già reagito all'infezione.

Ma il dato più sorprendente emerso dalle analisi è che si tratta

di un ceppo batterico piuttosto virulento, più simile ai ceppi

che si trovano in Asia centrale e meridionale che a quello

europeo attuale.

Questa conclusione ha notevoli conseguenze per la ricostruzione

delle diverse fasi di contatto e di incrocio delle popolazioni

dopo l'ultimo massimo glaciale, poiché in origine esistevano

due ceppi differenti di H. pylori, uno africano e uno asiatico,

che a un certo punto si sono ricombinati per dare origine alla

forma europea attuale.

Finora si riteneva che gli esseri umani del Neolitico, nel passaggio

cruciale dalla vita nomade a quella stanziale basata sull'agricoltura,

fossero infettati già da questo ceppo europeo.

Il contenuto dello stomaco di Ötzi, invece, sembra testimoniare il

contrario.

"La ricombinazione dei due tipi di Helicobacter può essersi

verificata solo in un'epoca successiva a quella di Ötzi, e questo

dimostra che la storia degli insediamenti in Europa è molto più

complessa di quanto ipotizzato", ha concluso Maixner.

Ma c'è anche un'altra domanda che i ricercatori si pongono, e

riguarda lo stato di salute di Ötzi: l'uomo del Similaun soffriva

di stomaco? La questione sorge da un dato clinico: un decimo

delle persone infettate dal batterio sviluppano complicazioni,

come ulcere dello stomaco o gastrite, per lo più in età avanzata.

"Il fatto che Ötzi soffrisse di stomaco non si può affermare con

certezza, perché i tessuti colpiti dall'infezione non sono

sopravvissuti; tuttavia, esistono effettivamente i presupposti

perché fosse colpito dai disturbi indotti da H. pylori".

 
 
 

Una storia diversa della società dei Maya

Post n°2131 pubblicato il 23 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

31 dicembre 2015

Una storia diversa della società dei Maya

Una storia diversa della società dei Maya

Nuovi scavi nella cittadella maya di Cerén, la "Pompei

delle Americhe", rimasta sepolta per 1400 anni sotto una

coltre di cenere lavica, mostrano che i suoi abitanti godevano

di un certo grado di libertà nelle decisioni che riguardavano

l'organizzazione familiare, la religione e le coltivazioni agricole.

Questa conclusione smentisce l'idea consolidata che, nel

Periodo classico dell'era pre-ispanica, ogni aspetto della vita

sociale dei Maya fosse strettamente controllato dalle élitedi

Andrea Small Carmona

archeologiaantropologia

Gli archeologi hanno pensato per decenni che, per mantenere

un impero prospero e potente su un vasto territorio oggi suddiviso

tra El Salvador, Honduras, Guatemala, Belize e Messico

sudoccidentale, le élite maya devono aver esercitato uno stretto

controllo sulla popolazione, sui costumi e sull'economia.

Ora però nuovi reperti rivenuti a Cerén, un parco archeologico

situato ad appena 35 chilometri a ovest di San Salvador, raccontano

una storia molto diversa su questa civiltà, sorta intorno al 1000 a.C.

e sviluppatasi fino al crollo nel XVI secolo.

I resti archeologici di Cerén, soprannominata "la Pompei

delle Americhe", sono stati scoperti nel 1976 da Payson Sheets,

un antropologo dell'Università del Colorado a Boulder.

Le rovine si trovavano sotto uno strato di cenere spesso cinque

metri, prodotto da un'eruzione del vulcano Loma Caldera circa

1400 anni fa.

Una storia diversa della società dei Maya

Negli edifici di Cerén gli archeologi hanno trovato raffinate

ceramiche, un segno del fatto che i suoi abitanti potevano

acquistare oggetti di valore dalle élite maya

(Credit: Colorado University)

Quasi quattro decenni dopo la scoperta, un team di archeologi

e antropologi statunitensi e salvadoregni guidati da Sheets ha

ripreso gli scavi nella cittadella, scoprendo centinaia di oggetti

di uso quotidiano conservati in ottime condizioni grazie allo

schermo protettivo di cenere.

Gli scienziati ritengono che l'eruzione del vulcano sia stata così

forte che gli abitanti sono stati costretti ad abbandonare la città,

abbandonando le loro cose.

"È questo rende Cerén uno dei siti archeologici più ricchi della

regione", dice Sheets.

Secondo quanto riferito in un articolo apparso 

sulla rivista "Latin American Antiquity",

i dati emersi dagli scavi raccontano la storia di una comunità che

sembra avere avuto molta libertà nelle decisioni cruciali che

riguardavano l'organizzazione familiare, la religione e le coltivazioni

agricole.

Tra i reperti più importanti vi è una piccola strada, o Sacbe,

l'unica strada maya attualmente conosciuta in El Salvador, che

collegava una coltivazione di yucca con l'area urbana, costituita

da case e da edifici pubblici.

I ricercatori hanno anche scoperto altre coltivazioni suddivise

in diversi lotti, situate tra il campo e la città.

"In queste piccole piantagioni non si seguivano processi

standardizzati: alcune colture erano tenute meglio di altre,

o seguivano procedure diverse.

Ciò significa che avevano differenti proprietari, e questo è

possibile solo se gli abitanti di Cerén erano socialmente indipendenti",

spiega Roberto Gallardo, archeologo del David J. Guzmán National

Anthropology Museum e coautore dello studio.

Nonostante ciò, il fatto che ci fosse solo una strada significa

che un'autorità locale ha deciso dove collocarla, dice Rocío

Herrera, ricercatore presso il Dipartimento di Archeologia

del Ministero della Cultura di El Salvador, e coautore

dello studio.

"Riteniamo che gli anziani avessero un ruolo decisionale

importante su alcune questioni, per esempio sulla costruzione

della strada.

Ma oltre a questo, tutto sembra indicare che non c'era

il dominio autoritario di una élite".

Sheets e il suo gruppo hanno anche riportato alla luce 12

edifici pubblici in un'area che si estende per circa

4.000 metri quadrati.

Tra le costruzioni vi erano laboratori, cucine comunitarie e

una sauna.

Anche l'architettura di questi edifici, realizzati

con tecniche e materiali diversi, e la mancanza di un'attenta

pianificazione urbana, una caratteristica distintiva della

cultura Maya, mostrano la libertà di cui godevano gli abitanti

di Cerén nel prendere decisioni che riguardavano la vita sociale,

decisioni, senza la rigorosa autorizzazione di una casta superiore.

Una storia diversa della società dei Maya

Un'immagine della stretta strada di pietra di Cerén, nota come sacbe.

I piccoli cumuli sullo sfondo sono piantagioni di mais.

Gli archeologi ritengono che non avessero un unico proprietario,

il che suggerisce che gli abitanti della cittadina avessero una certa

indipendenza economica dalle élite maya (Credit: Colorado University)

.Ma quello che ha attratto in particolare i ricercatori è l'interazione

economica tra i cittadini di Cerén e l'élite maya.

Molte delle ceramiche trovate nelle case e negli edifici sono stati

troppo elaborate per essere state prodotte con la tecnologia disponibile

in quella comunità.

Gli archeologi hanno anche trovato asce di giada, molto

apprezzate per il lavoro agricolo.

"Giade e ceramiche raffinate e sono oggetti che provengono

dalla comunità di élite.

Come sono arrivate nelle case di Cerén? Gli abitanti avevano

accesso a questi raffinati manufatti, ma non facevano parte di

una grande città", sottolinea Herrera.

"Il fatto che, pur essendo gente comune, gli abitanti di Cerén

avessero la disponibilità di questi oggetti indica che le élite

sapevano dell'esistenza di queste persone e che hanno intrattenuto

relazioni commerciali con loro e permesso loro un certo grado

di indipendenza".

Una storia diversa della società dei Maya

Una delle abitazioni maya rinvenute nel corso degli scavi

(Credit: Colorado University)Gli archeologi ritengono che le élite abbiamo

inviato la merce preziosa agli abitanti di Cerén utilizzando un "mediatore",

addetto alla vendita dei manufatti.

"Se gli oggetti erano troppo costosi per i cittadini di Cerén, i mercanti

non erano costretti a rimanere: erano liberi di portare la loro merce al

mercato successivo, per cercare di spuntare un prezzo migliore",

dice Gallardo.

Le informazioni raccolte a Cerén contraddicono l'ipotesi che durante

il Periodo classico, considerato una delle fasi più produttive dell'Era

pre-ispanica, tra il 250 e il 900 d.C., le élite maya controllassero

ogni singolo aspetto della società: l'economia, la politica, la religione,

le arti e le scienze.

I ricercatori sono convinti che a Cerén ci sia ancora molto da

scoprire.

"È possibile che vi siano altre comunità sepolte sotto la cenere

ai lati del vulcano.

Siamo in attesa di un finanziamento per una nuova fase del progetto,

in cui vorremmo vedere che cosa troviamo seguendo la strada ai suoi

estremi nord e sud. Sappiamo dell'esistenza, a sud, di una città

denominata San Andres, che ospitava il centro religioso maya più

vicino al Cerén", conclude Sheets.

(La versione originale di questo articolo è apparsa 

su www.scientificamerican.com il 22 dicembre 2015.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

Agricoltura e crescita delle popolazioni preistoriche

Post n°2130 pubblicato il 23 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

Agricoltura e crescita delle

popolazioni preistoriche

Agricoltura e crescita delle popolazioni preistoriche

L'adozione dell'agricoltura, databile in Europa tra

10.000 e 12.000 anni fa, non fu un fattore determinante

della crescita delle popolazioni umane preistoriche.

Da un'analisi statistica delle datazioni al radiocarbonio

condotta sui resti degli insediamenti nordamericani dello

stesso periodo, è emerso che le popolazioni di cacciatori

-raccoglitori avevano tassi di crescita molto simili(red)

antropologiaarcheologiastatisticaagricoltura

Popolazioni umane preistoriche di cacciatori-raccoglitori

che abitavano il Nord America sono cresciute allo stesso

ritmo delle società basate sull'agricoltura in Europa.

È la conclusione di uno studio 

pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" 

da ricercatori dell'Università del Wyoming, che mette

in discussione una teoria consolidata secondo cui l'adozione

dell'agricoltura, iniziata tra 10.000 e 12.000 anni fa, avrebbe

accelerato la crescita della popolazione umana.

Secondo precedenti ricerche, a partire dalla fine dell'ultima

glaciazione, la crescita della popolazione umana sul lungo

termine è stata dello 0,04 per cento per anno.

Si tratta di un valore che si riscontra in diverse parti del

mondo con differenti condizioni climatiche, e che è rimasto

di fatto invariato fino a circa 200 anni fa, quando una serie

di fattori ha portato a tassi di crescita più elevati.

Attualmente, la popolazione umana mondiale cresce

a un tasso medio dell'uno per cento per anno.

Agricoltura e crescita delle popolazioni preistoriche

Ricostruzione di un insediamento primitivo di popolazioni

agricole (Wikimedia Commons)Gli autori hanno effettuato

un'analisi statistica delle datazioni al radiocarbonio dei resti

fossili relativi a insediamenti preistorici di popolazioni di

cacciatori-raccoglitori vissute tra 6.000 e 13.000 anni fa in

una regione che si trova a cavallo tra gli Stati del Wyoming e

del Colorado.

Questi dati forniscono una documentazione piuttosto precisa

della dimensione di queste popolazioni e quindi anche del

loro tasso di crescita annuo, risultato pari allo 0,041 per cento,

in linea con la crescita di altre regioni in tutto il Nord America,

pur con fluttuazioni a breve termine che durano da alcune

centinaia a mille anni in specifiche regioni.

Nello stesso periodo, le popolazioni europee erano già passate

a un sostentamento basato sull'agricoltura, ma il loro tasso di

crescita era praticamente lo stesso.

"Questa somiglianza nei tassi di crescita indica che gli esseri

umani preistorici erano efficacemente adattati al loro ambiente,

al punto che la pressione ambientale specifica di ogni regione

non era il principale meccanismo di regolazione della crescita

della popolazione a lungo termine", scrivono gli autori.

In definitiva, l'introduzione dell'agricoltura non può essere

collegata a un aumento del tasso annuo a lungo termine della

crescita della popolazione.

Probabilmente, i fattori determinanti erano di natura globale

ed erano connessi al cambiamento climatico, o a fattori

biologici che influenzano l'aspettativa di via o il tasso di

fecondità, come per esempio le malattie.

Per avere un riscontro più preciso su base sperimentale,

sottolineano gli autori, sarebbero necessarie nuove analisi

su ulteriori datazioni al radiocarbonio.

 
 
 

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