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Messaggi del 07/11/2020

In memoria di S.Connery.

Post n°3307 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Il nome della rosa (film)

parte 1

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il nome della rosa
Il nome della rosa.pngUna scena del film
Titolo originaleThe Name of the Rose
Lingua originaleinglese
Paese di produzioneItaliaGermania Ovest,Francia
Anno1986
Durata126 min
Generethrillerorroreepico,storicogiallo
RegiaJean-Jacques Annaud
SoggettoUmberto Eco (dal romanzo omonimo)
SceneggiaturaAndrew BirkinGérard BrachHoward Franklin eAlain Godard
ProduttoreBernd EichingerBernd SchaefersFranco CristaldiAlexandre Mnouchkine (co-produttore), Pierre Hébey(produttore associato),Herman Weigel (produttore associato)
Produttore esecutivoThomas SchühlyJake Eberts
Casa di produzioneCristaldi Film,Radiotelevisione Italiana, Neue Constantin Film,Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF), Les Films Ariane, France 3 Cinéma
Distribuzionein italianoColumbia Pictures Italia
FotografiaTonino Delli Colli
MontaggioJane Seitz
Effetti specialiAdriano Pischiutta
MusicheJames Horner
ScenografiaDante FerrettiGiorgio GiovanniniRainer SchaperFrancesca Lo Schiavo
CostumiGabriella Pescucci
TruccoHasso von HugoMaurizio Silvi
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali
Doppiatori italiani

Il nome della rosa è un film del 1986 diretto da 

Jean-Jacques Annaud.

Scritto da Andrew Birkin, Gérard BrachHoward Franklin

 e Alain Godard, è tratto dall'omonimo romanzo di

 Umberto Eco del 1980.

Trama

Tramite flash-back, l'anziano frate Adso da Melk racconta

di quando, ancora semplice novizio, trascorse dei giorni in

un'abbazia benedettina in Piemonteassieme al suo mentore

, Guglielmo da Baskerville.

Nel 1327 alcuni terribili omicidi sconvolgono un'abbazia 

benedettina sperduta tra le Alpi piemontesi.

Nel monastero dovrà svolgersi un'importante disputa sulle tesi

dell'Ordine francescano a cui è chiamato a partecipare il dotto

frate inglese Guglielmo da Baskerville, che giunge all'abbazi

a insieme al suo giovane novizio, Adso da Melk.

L'abate, conoscendo il passato da inquisitore di Guglielmo, gli

affida il delicato caso delle morti avvenute dentro il monastero,

poiché molti sono convinti che siano state causate dalla mano

del maligno e prova ne è che le vittime avevano le dita e la

lingua di un intenso colore nero.

Guglielmo non è però convinto da questo dettaglio, e ritiene che

l'assassino si trovi, in realtà, all'interno dell'abbazia.

 
 
 

Il nome della rosa, film,parte 2

Post n°3306 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

I due frati si ritrovano in un ambiente ostile,

visti con sospetto da molti monaci.

Il giovane Adso incontra brevemente una

ragazza che abita in un povero villaggio ai piedi

del monastero, dove gli abitanti vivono nella

fame e nella miseria, costretti a rifornire di cibo

l'abbazia in cambio della salvezza eterna.

Le indagini iniziano subito, a partire dalla morte

di un giovane monaco, Adelmo il miniatore, il cui

cadavere è stato ritrovato ai piedi delle alte

mura dell'abbazia dopo una tempesta;

Guglielmo afferma fin da subito che si tratta di

suicidio.

Durante le loro indagini i due fanno la conoscenza

di due frati, il bibliotecario Jorge da Burgos, vecchio

e cieco, intollerante alla commedia allegra, alle

risate e al secondo libro della Poetica di Aristotele,

e il deforme Salvatore, un monaco che parla una

lingua mista tra il volgare e il latino (con parole francesi

, inglesi e spagnole), rivelatosi essere stato un

 dolciniano, una setta bollata come eretica dalla

Chiesa cattolica.

Le misteriose morti continuano e questa volta a

perire è Venanzio, il traduttore dal greco dello

 scriptorium, il cui cadavere viene trovato immerso

in un recipiente contenente sangue animale.

Guglielmo crede che le due morti siano collegate

tra loro e scopre che la vittima, che presenta le dita

e la lingua nere, aveva un rapporto di amicizia con

Adelmo. Una notte, Adso ritrova la giovane ragazza

del villaggio che si nasconde nel cellario di Remigio,

 il quale le fornisce del cibo in cambio di favori sessuali.

Per ringraziarlo dell'aiuto, la ragazza si concede

al novizio e i due consumano un rapporto sessuale;

Adso rimane turbato dalla cosa, vista la sua posizione

di religioso, ma viene consolato dal proprio maestro,

il quale gli dice che, sebbene la cosa non dovrà più

ripetersi, non ha provato nient'altro che un sentimento

umano e naturale.

 
 
 

Il nome della rosa, film, parte 3

Post n°3305 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

La vittima successiva è Berengario, un monaco

in sovrappeso, anch'esso bibliotecario e di

chiare tendenze omosessuali, che viene ritrovato

annegato nella sua vasca da bagno, anch'egli

con le dita e la lingua nere.

Guglielmo ritrova una nota sullo scrittoio, al quale

si trovava la notte prima Berengario, e vi legge

il numero di un libro, intuendo quindi cosa accadde:

Berengario aveva approfittato della passione

per i libri del giovane Adelmo per consegnargli

un volume, un libro proibito che lui desiderava

leggere da molto tempo, in cambio di rapporti illeciti.

Adelmo acconsentì, ma poi, preso dalla vergogna e

dal senso di colpa, vagò per l'abbazia la notte in

cui si svolse la tempesta e incontrò il traduttore

dal greco, al quale consegnò la nota, dopodiché si

gettò dalle mura dell'abbazia. Venanzio, volendo

vedere il libro che era stato causa della sua morte,

lo recuperò e si mise a leggerlo nella notte ma,

improvvisamente, ebbe un malore e il cadavere

venne ritrovato da Berengario che, per paura di

essere incolpato, trascinò il corpo e lo gettò nella

cisterna, dove fu ritrovato.

Il libro rimase sullo scrittoio del traduttore e

Berengario si mise a leggerlo, ma i malori

cominciarono a manifestarsi anche in lui; dopo

aver riportato il libro al suo posto, per paura di

essere scoperto, fece un bagno con delle foglie

di cedro per alleviare il dolore, ma tutto fu inutile

e morì annegato.

La conclusione, dunque, è che la causa delle

morti sia un libro che uccide o, per meglio dire,

per cui qualcuno è disposto ad uccidere; le dita

e la lingua nere possono essere, dunque, state

causate da un avvelenamento.

L'abate, tuttavia, non dà ascolto alle parole di

Guglielmo e rivela di aver richiamato l'inquisitore

Bernardo Gui a indagare.

Guglielmo ed Adso trovano un passaggio segreto

per la biblioteca, accessibile solo ai bibliotecari

e all'abate, e rimangono quasi imprigionati nel

complesso di stanze, dal quale escono grazie ad

Adso che, per non perdersi nel labirinto, aveva

ingegnosamente legato un filo della sua veste ad

un tavolo della stanza.

Dopo l'arrivo dell'inquisitore Bernardo, la situazione

in abbazia precipita: la ragazza del villaggio viene

ritrovata durante la notte, insieme a Salvatore, nel

fienile, con un galletto nero morto (che la ragazza

aveva preso per fame) e un gatto nero, e i due vengono

arrestati con l'accusa di aver praticato riti satanici in

quanto, per errore, il fienile prende fuoco e Bernardo

ritiene che la fanciulla sia il maligno.

Frate Salvatore viene poi torturato e interrogato e

confessa il suo passato di dolciniano, facendo anche

il nome del cellario Remigio.

Nel mentre, un altro frate, Severino l'erborista,

viene ucciso e la colpa ricade su Remigio, che

viene arrestato e accusato delle morti avvenute

nel monastero.

Durante il processo contro i tre (la ragazza, il

cellario e Salvatore), che culmina con la sentenza

della loro condanna a morte sul rogo, Guglielmo

dà la sua approvazione a eseguire il verdetto emesso

da Bernardo, ma afferma anche che le morti

nell'abbazia non si fermeranno.

L'inquisitore lo accusa di aver tentato di difendere la

ragazza e i due eretici e gli dice che, l'indomani, si

recherà ad Avignone insieme a lui per rispondere di

eresia di fronte al papa.

Adso, disperato per la sorte della fanciulla che ama,

è risentito verso Guglielmo, che sembra interessarsi

più ai libri che alle sorti della giovane.

Il giorno dopo, durante la messa, un altro frate,

fratello Malachia, che è solito accompagnare il

"venerabile Jorge", si sente male e muore, mostrando

anch'egli le dita e la lingua nere.

Bernardo, avendo assistito alla scena, ritiene che

l'assassino sia Guglielmo, basandosi sulla predizione da

lui fatta durante il processo, e ordina alle sue guardie

di catturarlo, ma il monaco riesce a fuggire di soppiatto

insieme ad Adso e i due si recano nella biblioteca.

Intanto la ragazza (considerata una strega), Salvatore

e Remigio vengono messi sulla pira, in attesa di essere

bruciati.

Guglielmo e Adso giungono all'entrata della biblioteca

attraverso una porta camuffata come uno specchio

e vi trovano Jorge, al quale Guglielmo chiede di

poter leggere il secondo libro della Poetica di Aristotele

che tratta della commedia, unica copia esistente

in tutto il mondo.

Jorge acconsente, ma Guglielmo si mette un

guanto, poiché sa che le pagine del libro sono avvelenate.

Il mistero è così chiarito: Jorge era il colpevole di

quelle morti ed è stato lui ad avvelenare le pagine

del libro, in modo che chiunque le leggesse trovasse

una morte certa.

Questi, capendo di essere stato scoperto, si dà alla

fuga, portando con sé il libro e venendo inseguito

dai due monaci.

Guglielmo gli chiede perché abbia fatto tutto questo

e Jorge rivela di aver sempre avuto in odio il libro

di Aristotele, in quanto il riso, in esso trattato, uccide

la paura e senza la paura non può esserci fede in

Dio: se tutti, infatti, apprendessero dal libro che è

possibile ridere di tutto, anche di Dio, il mondo

precipiterebbe nel caos.

Preso, così, da fanatico fervore, Jorge ingoia le pagine

del libro, suicidandosi, ma prima di morire ha il tempo

di aggredire Adso, gettandogli la lampada che portava

e bruciando anche il resto dei libri proibiti nella

biblioteca.

Un grosso incendio inizia a divampare in biblioteca e,

intanto, Remigio e Salvatore vengono bruciati,

mentre la ragazza viene salvata dagli abitanti del

villaggio, che attaccano le guardie di Bernardo,

distratte dall'incendio alla biblioteca.

Mentre Guglielmo tenta disperatamente di salvare

quanti più libri possibile dalle fiamme, Adso, incitato

dal maestro e preoccupato per la ragazza, si precipita

fuori dall'abbazia.

Bernardo, in fuga con la sua carrozza, muore

precipitando in un dirupo e infine Guglielmo riesce ad

uscire incolume dall'incendio.

L'indomani, l'abbazia è completamente bruciata.

Guglielmo e Adso partono così da quel luogo ma, sulla

strada, il ragazzo viene raggiunto dalla fanciulla, che

lo prega di restare.

Adso si accorge che il suo maestro lo osserva da lontano,

perché vuole che sia lui a decidere liberamente chi

seguire e, dopo un toccante addio, i due innamorati si

lasciano per sempre.

Mentre Guglielmo e Adso si allontanano, la voce fuori

campo di quest'ultimo, nel terminare la narrazione,

afferma di non essersi mai pentito di aver fatto quella

scelta.

Il suo maestro, in segno di rispetto, gli regalò i suoi

occhiali e i due si lasciarono.

Adso non seppe mai che fine avesse fatto, ma è

comunque certo che Guglielmo sia morto, probabilmente

a causa dell'epidemia di peste scoppiata qualche

anno più tardi in Europa.

Egli, comunque, non si dimenticò mai del suo unico

amore terreno, del quale tuttavia non seppe mai

il nome.

 
 
 

Un bel romanzo di Ignazio Silone

Post n°3304 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Fontamara

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

«In Fontamara non siamo alle prese con le grandi

questioni: siamo in mezzo al fango e al sangue,

all'ingiustizia e all'ignominia del presente... è il più

toccante resoconto della barbarie fascista che

abbia letto finora»

(Graham GreeneThe Spectator, 2 novembre 1934
Fontamara
AutoreIgnazio Silone
1ª ed. originale1933
1ª ed. italiana1945
GenereRomanzo
Sottogeneresociale
Lingua originaleitaliano
Ambientazione

Fontamara (paese immaginario),

 Avezzano,Roma, durante l'estate del 1929

ProtagonistiBerardo Viola
Modifica dati su Wikidata · Manuale

Fontamara è il primo romanzo di Ignazio Silone,

pubblicato dapprima nel 1933 in lingua tedesca in 

Svizzera - dopo esser stato scritto nella Confederazione

elvetica tra il 1929 e il 1931 - al tempo in cui l'autore

era riparato all'estero per sfuggire alle persecuzioni del 

Regime fascista; nel novembre 1933 egli pubblica

un'edizione in lingua italiana a proprie spese, e nel 1934

l'opera fu tradotta in inglese.

Il successo del romanzo, che denunciava l'immoralità e

gli inganni del partito fascista di Mussolini e dei suoi

seguaci, fu straordinario, galvanizzando una parte

dell'opinione pubblica internazionale dell'epoca, che fece

di Fontamara un documento della propaganda antifascista

fuori dall'Italia e un simbolo della resistenza al totalitarismo

(Hitler era appena arrivato al potere in Germania).

Fontamara è un immaginario villaggio di montagna,

nell'Abruzzo marsicano, la cui comunità soffre sotto il

peso del fascismo e di sventure ataviche.

Spaccato sociale di un proletariato oppresso e sfruttato

sono i "cafoni", realisticamente descritti nella loro ingenuità,

e tenuti in ignoranza secolare da una classe dominante

sempre più rapace e parassitaria.

Trama

Il fontanile di Fontamara a Pescinache avrebbe ispirato l'autore

Il Fucino sullo sfondo di Pescina

Dal 1º giugno 1929 nel paese di Fontamara (nella Marsica,

vicino ad Avezzano) non arriva più l'elettricità, la cui fornitura

è stata interrotta perché gli abitanti del paese non pagavano le

bollette.

Sperando di rimediare a questa "fatalità", ogni contadino

analfabeta firma una misteriosa "carta bianca", portata da un

graduca della milizia (il cav. Pelino), la quale si scoprirà essere

in realtà l'autorizzazione a togliere l'acqua per l'irrigazione per

indirizzarla verso i possedimenti dell'Impresario, un imprenditore

legato al regime che ha ottenuto la carica di podestà.

Scoperto l'imbroglio, le donne fontamaresi si recano a casa

dell'Impresario per tentare di convincerlo a ridar loro l'acqua

indispensabile per i loro campi.

L'avvocato Don Circostanza si offre come mediatore di un

accordo che stabilisce che «tre quarti scorrano nel nuovo letto

del fiume, mentre i tre quarti del rimanente nel vecchio,

cosicché ognuno abbia tre quarti»; più avanti, di fronte alla

pretesa dell'Impresario di aver in usufrutto l'acqua per 50 anni,

l'avvocato suggerisce di «ridurre il termine a soli 10 lustri».

Il paese è oggetto di una violenta incursione delle squadracce

fasciste, inviate a Fontamara per segnalazione del cavalier

Pelino, che violenta le donne e scheda ogni singolo abitante,

chiedendogli brutalmente "chi evviva?" (ma nessuno tra i

fontamaresi, praticamente all'oscuro dell'avvento del fascismo,

"azzecca" la risposta giusta). Berardo Viola, l'uomo più forte

e robusto del paese, tenta di trovare maggior fortuna fuori

dal paese.

Il lavoro gli viene negato perché, in quanto fontamarese, è

considerato un rivoluzionario.

Muore intanto Elvira, la sua amata.

Di ritorno a Fontamara, alla stazione di Roma, incontra un

partigiano (l'Avezzanese), già conosciuto in Abruzzo.

I due vengono arrestati per un equivoco e, nel periodo in cui

sono costretti alla convivenza in cella, Berardo sviluppa una

notevole maturazione politica.

Questo suo nuovo impegno morale lo porta ad autoaccusarsi

di essere il "Solito Sconosciuto", ossia un sostenitore attivo

della resistenza.

Torturato, Berardo subisce un'atroce morte, che sarà fatta

passare per suicidio.

I fontamaresi fondano il "Che fare?", un giornale in cui

denunciano i soprusi subiti e l'ingiusta morte del loro compaesano.

Il regime però reprime tutto mandando una squadraccia della

Milizia a Fontamara, che fa strage di abitanti.

Alcuni fontamaresi si salvano e tra loro i tre narratori della

storia.

 
 
 

Fontamara, parte 2.

Post n°3303 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Fontamara (libro), parte 2.

Commento

Il narratore è interno, rappresentato da una famiglia di

"cafoni" i cui membri (gli zii di Elvira) sono Matalè, il

marito Giuvà e il loro figlio che hanno ormai raggiunto

in esilio l'autore e si alternano a raccontare, in un lungo

 flashback, ciascuno le proprie esperienze.

I personaggi

I "cafoni" sono i miseri poverelli contadini meridionali

proprietari al massimo di un asino o di un mulo, non hanno

mezzi per difendersi e vivono in una perpetua ignoranza di

cui approfitta persino colui che è considerato "l'amico del

popolo", Don Circostanza, che rappresenta insieme la difesa

e la rovina dei fontamaresi; la loro vita si ripete uguale di

generazione in generazione segnata dal lavoro e dalla fatica.

Essi sono consapevoli della disperata condizione in cui

vivono, come spiegano ad un forestiero... nel brano ci

sono dei personaggi insoliti.

«In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito.»

(da "Fontamara")

Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di

sventure e sofferenze, inventato appunto dall'autore per

rispecchiare meglio la realtà del paese.

Quasi tutti i nomi dei personaggi del romanzo non sono

casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle diverse

situazioni tenendo prima la parte dei contadini, quindi

quella degli agiati cittadini, cercando sempre un tornaconto

personale; Don Abbacchio il prete, richiama il verbo

"abbacchiare" infatti egli non farà altro che deprimere i

poveri abitanti della Marsica, ignorando persino il suicidio

di Teofilo, sacrestano della chiesa di Fontamara;

Don Carlo Magna è il ricco proprietario terriero;

l'Impresario, il podestà abile a speculare su alcuni terreni

acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui quali farà

deviare l'acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla

miseria i cafoni; Innocenzo La Legge, il messo incaricato

di portare i nuovi ordinamenti dalla città.

Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l'eroe

del paese, violento ma altruista è il primo a sacrificarsi

tra i cafoni per il bene della collettività: i cafoni infatti

erano stati raggirati di continuo ed ogni appello ai notabili

del paese risultava inutile poiché questi difendevano sempre

gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano così sempre più

poveri ma ognuno non aveva pensato che al proprio

appezzamento di terra, a sé stesso.

Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il

bisogno che qualcuno muova all'azione, ponga fine alla total

e indifferenza dei "cafoni", sempre più sfruttati e tenuti

nell'ignoranza dal nuovo regime che li induce lavorare in

modo duro ed estenuante.

I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia

per i gerarchi della potente città, da cui erano sempre stati

osteggiati grazie alla cultura ed all'ingegno ma, nel momento

in cui provano anche questi ad avvicinarsi al mondo scritto,

sentiti come una forte minaccia vengono rapidamente fatti

scomparire.

Lo stile

Si noti che Silone scrive in maniera molto leggibile, narrando

l'azione in maniera umile, questo perché, come teorizza

 Dante Alighieri, lo stile deve adattarsi all'argomento, e se si

parla del mondo agricolo, allora anche la forma sarà umile.

Sul piano linguistico prevale una costruzione paratattica 

del periodo con un linguaggio piuttosto semplice e colloquiale

che rispecchia l'ignoranza in cui vivono i contadini, mentre

i cittadini più istruiti ed importanti si esprimono in una forma

più ricercata e arricchita anche da citazioni e vocaboli latini.

Una sottile ironia diffusa attenua, talvolta, la tragicità di

alcuni momenti.

Ciò avviene ad esempio quando si riportano le riflessioni dei

Fontamaresi, gli scherzi, gli abusi, che evidenziano l'ingenuità

dei protagonisti.

Rispetto a Il segreto di Luca la denuncia nei confronti

dell'ingiustizia diventa più ampia, da un singolo individuo

ad un intero paese, alle ingiustizie che i suoi abitanti sono

costretti a subire.

Vicende editoriali

A causa del contenuto sgradito al regime fascista, Fontamara 

non fu pubblicato in Italia fino al 1945.

La prima pubblicazione avvenne in Svizzera in lingua tedesca,

tradotto da Nettie Sutro, nel 1933.

 La prima edizione in italiano apparve nel 1934, pubblicata

a spese dell'autore a Parigi, sotto la sigla fittizia di N.E.I.

(Nuove edizioni italiane, Zurigo-Parigi).

Sempre nel 1934 venne pubblicata la prima versione in inglese.

Nel 1935 Fontamara fu pubblicato in Unione Sovietica nella

traduzione in russo di E. A. Chanevskoj per la casa editrice

statale Chudožestvennaja Literatura (Letteratura d'Arte).

Nel 1945 il romanzo fu pubblicato dapprima a puntate, con

parecchi errori e refusi, su una rivista italiana, dove Silone

operò ingenti modifiche e correzioni.

Nel 1947 uscì, con altre importanti modifiche, la prima edizione

in volume, dall'Editore Faro di Roma.

Ancora una volta insoddisfatto del testo, Silone si rivolse a

Mondadori, che stampò il libro con ulteriori modifiche, e che

da allora divenne il suo editore storico.

Avvenne quindi che il testo di Fontamara approntato per i lettori

italiani fu sensibilmente differente rispetto al testo diffuso

negli anni Trenta. L'edizione in esperanto venne pubblicata

nel 1939 nei Paesi Bassi.

Trasposizioni

La torre di Aielli (AQ)

Cinema

Dal romanzo è stato tratto il film omonimo del 1980

con la regia di Carlo Lizzani.

Televisione

Su Raiuno, dal 23 al 26 febbraio 1983, l'opera di Lizzani

venne trasmessa nella versione televisiva, sceneggiata in

quattro puntate.

Arte

Ad Aielli (AQ), l'opera è stata trascritta integralmente

sul muro di un edificio situato a ridosso della torre medievale

 del borgo marsicano.

 

 

 
 
 

Ecco un famoso bel film.

Post n°3302 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Fontamara (film)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Fontamara
Titolo originaleFontamara
Paese di produzioneItalia
Anno1980
Durata139 min
  • 205 min (versione estesa RAI)
Generedrammatico
RegiaCarlo Lizzani
SoggettoIgnazio Silone
SceneggiaturaCarlo LizzaniLucio De Caro
Casa di produzioneRAI Radio televisione italiana
FotografiaMario Vulpiani
MontaggioFranco Fraticelli
MusicheRoberto De Simone
ScenografiaLuigi Scaccianoce
CostumiLuciano Calosso
Interpreti e personaggi

Fontamara è un film del 1980 diretto dal regista

 Carlo Lizzani, basato sull'omonimo romanzo di Ignazio Silone,

ed interpretato da Michele Placido nel ruolo di Berardo Viola

 e da Ida Di Benedetto che per questa interpretazione ricevette

il nastro d'argento nel 1981 come migliore attrice non

protagonista.

Per i dialoghi, che si svolgono in gran parte in dialetto marsicano,

Lizzani si è avvalso della collaborazione di Guido Celano e di

 Luigi Silori.

Produzione

Area di via Vallone ad Aielli dove furono girate

alcune scene del film

Il film è stato interamente girato nella Marsica e in

parte nella Valle Peligna e aRoma.

 Le riprese sono state girate a Pescina, patria di Silone,

ad Avezzano(presso la Chiesa di San Giovanni e il

 Castello Orsini-Colonna) e nei borghi diAielli Alto e

 Gioia Vecchio (in evidenza la chiesa di San Vincenzo).

Alcune scene dei campi, oltre che nel Fucino, sono

state girate nei pressi diRoccacasale.

Il regista preparò per la TV una versione estesa del

film che dura 205 minuti.

Trama

Nel paese di Pescina, nell'Abruzzo marsicano, i cafoni 

senza un soldo sono vittime dei soprusi del governo fascista.

Tutto inizia con la deviazione del fiume cosicché i contadini

non possono più irrigare i campi, perché non hanno giurato

fedeltà al nuovo governo di Avezzano.

Il giovane Berardo appoggia gli ideali comunisti, ma è anche

un anarchico e dunque deve fuggire da Pescina, scappando a

 Roma; lì Berardo si forma culturalmente e conosce un

coetaneo della Marsica che gli comunica che la vita al paese

è insostenibile.

Berardo tuttavia intende combattere ma i fascisti recano

violenza alla sua famiglia, alla sua amata e alla fine lo

torturano a morte.

Puntata 1

Fontamara è un piccolo paese della Valle del Giovenco, nella 

Marsica orientale, oltre il Fucino.

La vita scorre sempre uguale, oltretutto ci sono stati gravi

danni a causa del terremoto del 1915, e molti giovani non sono

più tornati, in quanto arruolati nel regio esercito per

combattere la prima guerra mondiale.

Berardo Viola è uno dei giovanotti proletari di Fontamara, che

subisce le vessazioni del podestà di Avezzano, incominciando

dall'episodio in cui i paesani chiedono alla città un parroco per

la chiesa, e la Curia risponde inviando un asino, che Berardo fa

sfilare in trionfo per Fontamara, volendosi burlare e sfidare il

podestà.

Maria Rosa, una ragazza del paese segretamente innamorata di

Berardo, cerca di dissuaderlo da questa fida che è più grande

delle suo possibilità di semplice "cafone", ma Berardo non

demorderà.

La madre anche vorrebbe che Berardo la smettesse con gli slanci

dell'ideale comunitario, per sposarsi e mettere su famiglia, dato

che il padre è morto ladrone e brigante in Brasile.

Il padre di Maria Rosa è in fin di vita per la vecchiaia, e la ragazza

viene avvicinata dalla madre di Berardo, che le propone di sposarsi

il figlio per garantire la stabilità economica.

Infatti la famiglia Viola non ha un pezzetto di terra, rubatogli con

l'inganno dal parroco don Circostanza di Avezzano, ma la sua qualità

è una grande forza fisica, oltre che all'intelligenza, mal vista in paese,

dove arriva un nuovo ordine dal Prefetto di Avezzano, nell'osteria

principale di Fontamara diventa proibito per i "cafoni" parlare di politica.

L'incaricato dal prefetto don Innocenzo viene con astuzia deriso da

Berardo, che rievoca anche il prosciugamento del Fucino da parte

del Principe Torlonia, ricordano come i paesani di Fontamara non

abbiano tratto alcun beneficio nel coltivare le terre. Insieme ad altre

velate minacce, il vice prefetto se ne va ad Avezzano, dopo che è

stato sottoposto a una questione di "ragionamento" da parte dello

stesso Berardo, che in poche parola ha smascherato l'inutilità di quel

decreto, mostrando come sia soltanto velleitario, offensivo e

proibitivo da parte dei potenti, verso i poveri ignoranti.

A Berardo la gente propone di sposare Elvira, la proprietaria

dell'osteria, rimasta vedova col marito caduto sotto le armi, e

beneficiaria di una pensione statale, ma Berardo rifiuta.

Nel frattempo un imprenditore don Carlo "Magna" di Avezzano,

compie l'ennesimo sgarro a Fontamara, ossia drena la sorgente

del fiume Giovenco per costringere i paesani a comprarla in città.

Le donne fontamaresi si infuriano e decidono di recarsi al

Municipio di Avezzano, dove vengono insultate e derise, mentre

vengono a sapere che don Circostanza non è più il sindaco della

città, che tra l'altro non rendeva migliore la situazione al paese,

ma è il podestà, un forestiero di Roma, soprannominato

"L'Impresario".

Nel frattempo Berardo ha provato a trasferirsi in un'altra provincia

per lavorare come bracciante, ma alla stazione siccome non è

iscritto al partito fascista, viene rimandato a casa.

Le fontamaresi si recano nella lussuosa villa di don Carlo Magna,

lo storico feudatario di Fontamara, per avere spiegazioni, ma

non può fare niente, in quanto le terre del paese sono state

vendute proprio a codesto Impresario

Puntata 2

Viene presenta ala figura dell'Impresario, un cafone vero romano,

rozzo e volgare, che sta pranzando nella villa di don Carlo Magna.

Le donne di Fontamara lo incontrano, esponendogli il loro

problema.

Don Circostanza ne approfitta, con iperboli equivoche del

vocabolario italiano, per tranquillizzare la folla inferocita e

promettere il ripristino della sorgente del paese, e prepara le carte

dal notaio.

Sopraggiunge anche Berardo che minaccia don Circostanza per

una vecchia cambiale firmata per avere una terra in cambio della

sua, una terra però infruttuosa.

Don Circostanza promette di aiutarlo scrivendo a colleghi di

Roma, e infatti pare che la promessa si risolva, perché quella

sera all'osteria, si parla del fatto che lo Stato ha espropriato le

terre del Fucino al vecchio Principe Torlonia, per ridistribuirle

alle varie municipalità locale.

Fontamara si prepara a festa, e scende al Fucino, portando

anche il gonfalone civico.

Arrivati ad Avezzano però (Largo Castello), vengono tenuti

bloccati, e non possono recarsi in piazza per la distribuzione

ufficiale.

Li raggiunse don Circostanza, mentre ormai i poveracci

capiscono di essere stati ingannati, il quale però li tranquillizza,

dicendo di aver parlato per loro tramite.

Don Circostanza, ancora con le su iperboli dell'italiano, spiega

che secondo la legge ministeriale il Fucino andrà "a chi lo coltiva",

ossia a chi ha capitali, parlando immediatamente dopo che "per

il Fucino ci sarà lavoro per tutti per chi ha forza", ossia per i F

ontamaresi, relegati al misero ruolo di braccianti per coloro che

coltivano il Fucino, essendoselo spartito in lotti.

Tornando verso il paese, Berardo viene avvicinato da un sovversivo,

che gli propone di accordarsi con lui per compiere un attentato

contro don Circostanza, ma lui rifiuta, anche se la notte stessa,

all'osteria, progetta di fare delle ritorsioni pesanti contro l'ex sindaco

di Avezzano, nonché contro l'Impresario.

Tuttavia il tempo passa, la vita pare tornare normale in paese,

normale nel senso di un'atavica rassegnazione e adattamento ai

fatti che accadono, e l'Impresario ne approfitta per completare

l'opera di drenaggio delle acque.

Berardo allora con un gruppidi forti contadini attacca l'opera, e

distrugge i macchinari.

Il parroco di Avezzano giunge a Fontamara per placare gli animi,

invitando i popolani a rassegnarsi alle loro condizioni in quanto

cafoni, ma Berardo non si lascia convincere dalle lusinghe

del prete, soprattutto quanto l'uomo sciorina le massime di

saggezza dai Vangeli, cui Berardo contrappone le verità della

dura realtà terrena.

Il giorno dopo le donne fontamaresi si si incontrano con la

milizia di Avezzano presso il fiume, e si teme uno scontro,

cominciano a fare il malocchio contro don Circostanza, l'unica

cosa che possono fare, in quanto vengono disperse dalla

cavalleria.

Berardo intanto prova a trovare il metodo di ripartire per Roma, e

prima di farlo quella notte stessa, con un prestito di un amico, si

reca ad incendiare la stalla dell'Impresario.

 
 
 

Ecco un famoso bel film.

Post n°3301 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Puntata 3 (parte 2)

Alcuni uomini di Fontamara si fanno comprare dell'Impresario per

lavorare la terra del Fucino, un altro manipolo di uomini della milizia

di Avezzano si reca verso Fontamara, con il compiuto di vendicare

l'offesa di Berardo.

Alcuni uomini trovano donna Elvira e la violentano.

Anche Berardo e i suoi compagni sono arrestati, condotti nella chiesa,

e processati dai militi, nella famosa scena, tratta anche dal romanzo,

del "chi evviva?".

I Fontamaresi sono troppo ignoranti per comprendere di onorare il

Duce, e lodano varie cose, venendo schedati come deficienti,

sovversivi, insolenti, sino a che non giunge a Berardo; in quel momento

delle donne urlano che delle ragazze sono state violentate e scoppia

una scaramuccia, gli uomini ricacciano la milizia fuori dal paese, e

Berardo soccorre e consola la povera Elvira.

Berardo viene riconvocato ancora ad Avezzano per volere di don

Circostanza, che dichiara di farlo partire per Roma, con la promessa

di un lavoro.

In realtà sarà un modo per allontanarlo dalla Marsica, affinché con le

sue idee sovversive, non possa aizzare i fontamaresi contro la città.

Il sacrestano, uomo mite e tranquillo, non riesce più a sopportare la

condizione misera generale del suo paese, anche perché suo figlio

giovane decide di abbandonare Fontamara insieme a Berardo e quella

notte decide di farla finita impiccandosi alla campana maggiore.

Berardo e il ragazzo giungono a Roma, commentando come nella

città ci sia così lusso sfrenato, iniziando dalle fontane monumentali,

mentre loro a Fontamara non possono avere nemmeno il torrente.

Il giorno seguente si reca all'ufficio di collocamento con la

raccomandata di don Circostanza, che lo indirizza all'ufficio

dell'Aquila, senza che Berardo lo sappia perché non sa leggere.

Viene deriso e deve tornare alla pensione dove alloggia

sconsolato.

Puntata 4

Maria Rosa sente di aver commesso un grande peccato, stando

con Berardo, e decide di compiere un pellegrinaggio di penitenza.

Per Berardo giungono brutte notizie, dall'avvocato che li ospita a

Roma, giunge il certificato redatto qualche settimana prima

dalla milizia venuta a Fontamara, che notifica la "condotta pessima

dal punto di vista Nazionale", ossia che con tale fedina penale non

potrà mai avere un lavoro.

Il giorno seguente viene avvicinato da un ragazzo, che perla di

un "solito sconosciuto" che aizza la popolazione contro il regime

fascista, e pensa possa essere proprio Berardo.

Sopraggiunge la milizia che arresta tutti e tre. Mentre Elvira e Maria

Rosa raggiungono l'eremo di montagna e iniziano l'adorazione,

Berardo si trova in carcere, e riflette sulle condizioni di differenza tra

libertà di stampa, cittadini e cafoni di paese, dicendo di voler soltanto

giustizia per i popolani di poter lavorare liberamente la terra senza

problemi, rifiutando gli ideali di comunismo, degli interessi della

collettività, e dell'orgoglio dell'amor patrio.

Alla fine però Berardo si convince, volendo trovare riscatto e pace

con sé stesso, e quando viene interrogato dal questore, sostiene di

essere lui il "solito sconosciuto" che pubblica tra Roma e Abruzzo

dei pamphlet contro il Duce, che incitano alla rivolta popolare, per

questo viene picchiato selvaggiamente e torturato per avere altre

confessioni più specifiche, tuttavia non avranno niente, in quanto

Berardo non sa nulla di questo figuro.

In Fontamara nel frattempo, all'osteria la gente propone di fondare,

con la collaborazione di un anziano tipografo, un "Quotidiano dei

Cafoni" per far sentire la loro voce sui vari soprusi da parte della

città.

Dopo altre torture subite, Berardo diventa famoso tra i circol

i sovversivi comunisti, e il giornale Che fare? pubblica in prima

pagina il suo nome, incitando alla lotta, che da una parte affranca

lo stesso Berardo, dall'altra convince ancora di più il questore

della pericolosità e sovversivismo dello stesso.

Poche ore dopo, Berardo morirà per le ferite interne delle percosse

subite, alla questura comunicano di diffondere la notizia che il

carcerato si è ucciso per la sua causa contro il regime, lo stesso

ragazzo fontamarese suo amico, è costretto a scrivere il comunicato

notarile, e promette di non dire mai la verità una volta tornato in

Abruzzo

Riconoscimenti

1981 - David di Donatello

Nomination Migliore attore protagonista a Michele Placido

Nomination Migliore scenografia a Luigi Scaccianoce

Nomination Migliori costumi a Luciano Calosso

1981 - Nastro d'argento

Migliore attrice non protagonista a Ida Di Benedetto

Nomination Regista del miglior film a Carlo Lizzani

Nomination Migliore attore protagonista a

 Michele Placido

 

 

 
 
 

Un altro bel romanzo di I.Silone

Post n°3300 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

L'avventura d'un povero cristiano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'avventura d'un povero cristiano
Locandina Silone.JPGLocandina dell'omonima opera teatrale
AutoreIgnazio Silone
1ª ed. originale1968
Genereromanzo / dramma
Lingua originaleitaliano
Modifica dati su Wikidata · Manuale

L'avventura d'un povero cristiano è l'ultima opera letteraria

di Ignazio Silone, pubblicata per la prima volta nel 1968.

Il testo, scritto in forma teatrale, riprende e conclude

idealmente il percorso narrativo di Silone: in esso si ritrova

il tema fondamentale del rapporto fra l'individuo e la Chiesa,

che si esplica nella figura emblematica di Papa Celestino V.

Il testo vuole quindi fornire una reinterpretazione attualizzata

della burrascosa vicenda di Papa Celestino V che, dopo un

certo periodo di pontificato, rinunciò alla carica per tornare

alla Santa vita da Eremita.

Con questo romanzo Silone vinse il Premio Campiello

 nel 1968.

Struttura dell'opera

L'opera di Silone si può idealmente dividere in diverse

macrosequenze narrative.

La prima di queste, che occupa il primo dei sei capitoli di

cui si compone il testo, si occupa di introdurre il personaggio

di Pietro (il futuro Papa Celestino) e alcuni suoi compagni di

predicazione, evidenziando gli aspetti salienti della

personalità di ognuno; la seconda macrosequenza, che occupa

i capitoli secondo e terzo, tratta dell'elezione a Papa di

Celestino e delle varie peripezie che lo porteranno infine a

rinunciare alla carica suprema;

la terza ed ultima macrosequenza, infine, conclude la vicenda

con la descrizione dell'ultimo anno di vita di Celestino e dei

suoi inutili tentativi di sfuggire al successore Bonifazio VIII -

si tratta dei capitoli dal quarto al sesto.

Analisi

Le indicazioni temporali e spaziali sono abbastanza precise:

il racconto copre un arco di circa un anno, dal maggio del

 1294allo stesso mese del '95 o poco oltre, e si svolge fra i

paesi natali dei frati amici di Papa Celestino, il palazzo papale

Napolie il Gargano, ove Pietro si rifugerà per cercare di

trovare scampo da Bonifacio VIII.

Lo spazio, nel romanzo, non ha un particolare valore simbolico;

va riconosciuto però in generale che gli spazi aperti sono il luogo

della discussione con gli amici e della libertà (il Gargano,

l'Umbria), mentre negli spazi chiusi si assiste all'ipocrisia e

all'imprigionamento morale di Pietro nelle consuetudini corrotte

della Chiesa duecentesca.

Fra i personaggi distinguiamo infine fra Pietro (protagonista), il

cardinale Caetani che diventerà in seguito Papa Bonifazio VIII

(egli svolge il ruolo di antagonista insieme alla corruzione generale

della Chiesa), i monaci e i fraticelli con cui si instaura un buon

dialogo (aiutanti o comparse); ancora, svolgono il ruolo di comparse

il Cerbicca, una bizzarra figura ricorrente del romanzo; l'aiutante

militare del re 

Carlo II di Napoli; il segretario papale; il tessitore Matteo da

Pratola e la figlia Concetta (aiutante); don Costantino (parroco

di Sulmona).

Per via della natura teatrale del racconto tutti i personaggi si

presentano da sé, ed è compito del lettore delinearne un ritratto

caratteriale in base ai loro comportamenti; raramente la loro

presentazione è affidata ad altri personaggi.

 
 
 

Rivalutando un famoso scrittore italiano.

Post n°3299 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Il segreto di Luca

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Il segreto di Luca
AutoreIgnazio Silone
1ª ed. originale1956
GenereRomanzo
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneCisterna dei Marsi (AQ),anni cinquanta
ProtagonistiLuca Sabatini
CoprotagonistiAndrea Cipriani
Altri personaggiDon Serafino, Ortensia
Modifica dati su Wikidata · Manuale

Il segreto di Luca è un romanzo di Ignazio Silone,

pubblicato nel 1956.

Nel 1969 il regista televisivo Ottavio Spadaro ne curò

una riduzione insceneggiato in 4 puntate per la RAI,

con Turi FerroGiuseppe AnatrelliLydia Alfonsi,

 Ferruccio De CeresaRiccardo Cucciolla, Fulvio Gelato.

Le scene erano dello scenografo Giuliano Tullio che

inserì elementi tipici delle architetture rurali dell'Abruzzo.

Trama

Luca Sabatini, un abitante di Cisterna dei Marsi, è il

protagonista della storia.

Egli ritorna al suo paese dopo 40 anni di carcere, graziato

perché il vero autore del delitto di cui era stato accusato, in

punto di morte, confessò di essere colpevole.

La notizia del suo ritorno è accolta con paura dai compaesani,

che lo ritenevano ancora colpevole.

Il ritorno di Luca coincide con l'arrivo in città di un uomo

 politico, Andrea Cipriani, il cui padre era grande amico di Luca.

Dal momento in cui Andrea incontra Luca, abbandona i suoi

impegni politici per occuparsi del caso dell'ergastolano che

, pur essendo innocente, aveva preferito non difendersi al 

processo.

Andrea, da quel momento, cerca di saperne di più sul caso di

Luca interrogando Don Serafino, l'ex-parroco di Cisterna,

Ludovico, il mugnaio del paese, e sua moglie Agnese.

Poi si reca a Perticara, il paese vicino, dove chiede informazioni a

Gelsomina, la sorella di Lauretta (al tempo fidanzata di Luca).

Grazie all'aiuto di Don Serafino, Andrea scopre l'esistenza di

una relazione di Luca con una donna sposata, Ortensia, di cui

ritrova anche un diario.

Rimane comunque irrisolto il mistero di dove Luca Sabatini

avesse trascorso la notte del delitto.

Lo stesso Luca rivelerà il proprio segreto ad Andrea, pe

r ringraziarlo del suo interessamento e per avergli consegnato il

diario di Ortensia.

Luca la sera del delitto era stato a casa di Ortensia, la quale gli

aveva dichiarato il suo amore.

Successivamente si era recato presso Lauretta, con la quale

avrebbe dovuto stabilire il giorno delle nozze, e le aveva

rivelato di amare un'altra donna.

Per il dolore così recato a Lauretta, aveva deciso di togliersi

la vita proprio la sera in cui fu catturato dai carabinieri: si

spiega in tal modo la decisione di non difendersi nel processo,

per non offendere il sentimento di Ortensia e metterne a

repentaglio l'onorabilità di donna sposata.

I personaggi

Luca è il protagonista. La sua psicologia è molto complessa:

egli mostra anche grande sensibilità nel preferire la pena di 40

anni di carcere per rispetto verso i teneri sentimenti d'Ortensia.

Andrea Cipriani è un importante uomo politico il cui padre

era stato grande amico di Luca.

Egli rinuncia ai suoi impegni politici per saperne di più sul caso

dell'ex-ergastolano.

Egli confida di aver aiutato la madre di Luca a scrivere le lettere

per il figlio durante gli anni di carcere.

Giovane, alto e snello, con un berretto basco come copricapo, in

maniche di camicia e calzoncini corti, e tutto polveroso per via

della motocicletta.

Don Serafino è l'ex parroco del paese.

Ha un ruolo importante nella storia poiché è uno dei pochi

testimoni ancora in vita della vicenda che coinvolse il protagonista.

Il suo ruolo durante le indagini di Andrea è fondamentale dato

che è lui a rivelare la relazione con Ortensia.

Don Franco è il parroco in attività di Cisterna che però non ha

un ruolo di grande importanza nella vicenda.

Viene descritto da Silone come un uomo attento più ai bisogni

materiali che a quelli spirituali.

La madre di Luca(Teresa) è citata spesso nella storia ma non

ha un ruolo attivo: ella muore prima del ritorno del figlio a

Cisterna.

Il sindaco di Cisterna è citato all'inizio del racconto, per il

"rinnovo" (con l'aiuto di Andrea) di Cisterna.

Toni è un bambino povero che gironzola attorno alla casa di

don Serafino, e quindi vive la vicenda del ritorno di Luca da

vicino. Egli è la prima persona che entra in contatto

con Luca al suo rientro a Cisterna.

Gelsomina sorella di Lauretta che aiuterà Andrea nella sua

indagine.

Lei è molto legata alla sorella e al partito, e per questo molte

sue decisioni verranno o furono prese in base alle convenienze

del partito.

Ludovico è un vecchio contadino, uno strano ex mugnaio da

quando aveva dovuto fermare la mola del suo mulino ad acqua

per concorrenza di quello elettrico.

È uno dei pochi a conoscere Luca e a saperne la storia e i

motivi del suo silenzio.

I luoghi

L'intera vicenda si svolge a Cisterna dei Marsi e a Perticara

due paesini immaginari della Marsica, la parrocchia di Cisterna

era retta dal giovane Don Franco, che aveva sostituito

l'oramai pensionato Don Serafino.

Durante l'assenza di Luca, Cisterna viene sconvolta da 2

guerre e un terremoto cosicché appare totalmente cambiata

agli occhi di Luca al momento del ritorno.

L'ambientazione è all'incirca negli anni cinquanta.

 
 
 

Una importante scoperta..

Post n°3298 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Il vino esisteva già 3500 anni

fa: la scoperta in Italia

Scoperte in provincia di Ferrara le più antiche tracce di

vino della storia: sono state rilevate in contenitori risalenti

a 3500 anni fa.

4 Novembre 2020

Fonte: 123RF

Il vino è convivialità, ma soprattutto tradizione.

Mai però avremmo pensato di ritrovare le sue origini

in tempi così lontani e, soprattutto, nel nostro paese.

Invece, proprio in questi giorni, a Bondeno - in provincia

di Ferrara - è stata fatta una sorprendente scoperta.

Negli scavi di Bondeno sono state trovatetracce di vino

in contenitori e tazze risalenti a circa 3500 anni fa.

Si tratta dei resti più antichi legati al vino più antichi

mai scoperti sinora.

I risultati degli scavi sono stati raccontati nell'ultimo

numero del Journal of Archaeological Science, come

riporta GreenMe.

Per l'esattezza ci troviamo nel sito archeologico della 

Terramara di Pilastri (risalente al 1600-1300 a.C.), i cui

scavi sono a capo del Dipartimento dei Beni Culturali

dell'Università di Padova.

"L'analisi dei residui organici condotta mediante gas

cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa - si

legge nell'articolo - ha consentito l'identificazione dell'acido

tartarico in 20 campioni su 31 recuperati da diversi recipienti

in ceramica (come bicchieri, pentole grossolane, presunti

recipienti di stoccaggio).

Sulla base di studi integrati, suggeriamo che i derivati ​​del succo

d'uva (incluso vino o aceto) fossero probabilmente consumati

nei siti.

Questa è la prima prova diretta del consumo di derivati ​​dell'uva

in questa area.

Combinati con le prove botaniche, questi risultati contribuiscono

alla nostra comprensione dell'emergere del consumo di vino nel

Mediterraneo occidentale".

"Le analisi gas-cromatografiche effettuate da Alessandra Pecci

(Università di Barcellona) - spiega Massimo Vidale, direttore

del Dipartimento - dimostrano che circa più di un terzo dei

frammenti di vasi di Pilastri sinora esaminati contengono

tracce dei bio-markers del vino, ossia acidi tartarico, succinico

e maleico, e che in alcuni casi il contenuto aveva tracce di zolfo

e di resina di pino.

Lo zolfo potrebbe essere stato aggiunto come antifermentativo

della bevanda, oppure essere stato usato per sterilizzare i contenitori;

la resina, per impermeabilizzare le parti interne dei vasi".

 
 
 

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