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Messaggi del 07/11/2020
Post n°3307 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Il nome della rosa (film) parte 1 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il nome della rosa è un film del 1986 diretto da Scritto da Andrew Birkin, Gérard Brach, Howard Franklin e Alain Godard, è tratto dall'omonimo romanzo di Umberto Eco del 1980. Trama Tramite flash-back, l'anziano frate Adso da Melk racconta di quando, ancora semplice novizio, trascorse dei giorni in un'abbazia benedettina in Piemonteassieme al suo mentore , Guglielmo da Baskerville. Nel 1327 alcuni terribili omicidi sconvolgono un'abbazia benedettina sperduta tra le Alpi piemontesi. Nel monastero dovrà svolgersi un'importante disputa sulle tesi dell'Ordine francescano a cui è chiamato a partecipare il dotto frate inglese Guglielmo da Baskerville, che giunge all'abbazi a insieme al suo giovane novizio, Adso da Melk. L'abate, conoscendo il passato da inquisitore di Guglielmo, gli affida il delicato caso delle morti avvenute dentro il monastero, poiché molti sono convinti che siano state causate dalla mano del maligno e prova ne è che le vittime avevano le dita e la lingua di un intenso colore nero. Guglielmo non è però convinto da questo dettaglio, e ritiene che l'assassino si trovi, in realtà, all'interno dell'abbazia. |
Post n°3306 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
I due frati si ritrovano in un ambiente ostile, visti con sospetto da molti monaci. Il giovane Adso incontra brevemente una ragazza che abita in un povero villaggio ai piedi del monastero, dove gli abitanti vivono nella fame e nella miseria, costretti a rifornire di cibo l'abbazia in cambio della salvezza eterna. Le indagini iniziano subito, a partire dalla morte di un giovane monaco, Adelmo il miniatore, il cui cadavere è stato ritrovato ai piedi delle alte mura dell'abbazia dopo una tempesta; Guglielmo afferma fin da subito che si tratta di suicidio. Durante le loro indagini i due fanno la conoscenza di due frati, il bibliotecario Jorge da Burgos, vecchio e cieco, intollerante alla commedia allegra, alle risate e al secondo libro della Poetica di Aristotele, e il deforme Salvatore, un monaco che parla una lingua mista tra il volgare e il latino (con parole francesi , inglesi e spagnole), rivelatosi essere stato un dolciniano, una setta bollata come eretica dalla Chiesa cattolica. Le misteriose morti continuano e questa volta a perire è Venanzio, il traduttore dal greco dello scriptorium, il cui cadavere viene trovato immerso in un recipiente contenente sangue animale. Guglielmo crede che le due morti siano collegate tra loro e scopre che la vittima, che presenta le dita e la lingua nere, aveva un rapporto di amicizia con Adelmo. Una notte, Adso ritrova la giovane ragazza del villaggio che si nasconde nel cellario di Remigio, il quale le fornisce del cibo in cambio di favori sessuali. Per ringraziarlo dell'aiuto, la ragazza si concede al novizio e i due consumano un rapporto sessuale; Adso rimane turbato dalla cosa, vista la sua posizione di religioso, ma viene consolato dal proprio maestro, il quale gli dice che, sebbene la cosa non dovrà più ripetersi, non ha provato nient'altro che un sentimento umano e naturale. |
Post n°3305 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
La vittima successiva è Berengario, un monaco in sovrappeso, anch'esso bibliotecario e di chiare tendenze omosessuali, che viene ritrovato annegato nella sua vasca da bagno, anch'egli con le dita e la lingua nere. Guglielmo ritrova una nota sullo scrittoio, al quale si trovava la notte prima Berengario, e vi legge il numero di un libro, intuendo quindi cosa accadde: Berengario aveva approfittato della passione per i libri del giovane Adelmo per consegnargli un volume, un libro proibito che lui desiderava leggere da molto tempo, in cambio di rapporti illeciti. Adelmo acconsentì, ma poi, preso dalla vergogna e dal senso di colpa, vagò per l'abbazia la notte in cui si svolse la tempesta e incontrò il traduttore dal greco, al quale consegnò la nota, dopodiché si gettò dalle mura dell'abbazia. Venanzio, volendo vedere il libro che era stato causa della sua morte, lo recuperò e si mise a leggerlo nella notte ma, improvvisamente, ebbe un malore e il cadavere venne ritrovato da Berengario che, per paura di essere incolpato, trascinò il corpo e lo gettò nella cisterna, dove fu ritrovato. Il libro rimase sullo scrittoio del traduttore e Berengario si mise a leggerlo, ma i malori cominciarono a manifestarsi anche in lui; dopo aver riportato il libro al suo posto, per paura di essere scoperto, fece un bagno con delle foglie di cedro per alleviare il dolore, ma tutto fu inutile e morì annegato. La conclusione, dunque, è che la causa delle morti sia un libro che uccide o, per meglio dire, per cui qualcuno è disposto ad uccidere; le dita e la lingua nere possono essere, dunque, state causate da un avvelenamento. L'abate, tuttavia, non dà ascolto alle parole di Guglielmo e rivela di aver richiamato l'inquisitore Bernardo Gui a indagare. Guglielmo ed Adso trovano un passaggio segreto per la biblioteca, accessibile solo ai bibliotecari e all'abate, e rimangono quasi imprigionati nel complesso di stanze, dal quale escono grazie ad Adso che, per non perdersi nel labirinto, aveva ingegnosamente legato un filo della sua veste ad un tavolo della stanza. Dopo l'arrivo dell'inquisitore Bernardo, la situazione in abbazia precipita: la ragazza del villaggio viene ritrovata durante la notte, insieme a Salvatore, nel fienile, con un galletto nero morto (che la ragazza aveva preso per fame) e un gatto nero, e i due vengono arrestati con l'accusa di aver praticato riti satanici in quanto, per errore, il fienile prende fuoco e Bernardo ritiene che la fanciulla sia il maligno. Frate Salvatore viene poi torturato e interrogato e confessa il suo passato di dolciniano, facendo anche il nome del cellario Remigio. Nel mentre, un altro frate, Severino l'erborista, viene ucciso e la colpa ricade su Remigio, che viene arrestato e accusato delle morti avvenute nel monastero. Durante il processo contro i tre (la ragazza, il cellario e Salvatore), che culmina con la sentenza della loro condanna a morte sul rogo, Guglielmo dà la sua approvazione a eseguire il verdetto emesso da Bernardo, ma afferma anche che le morti nell'abbazia non si fermeranno. L'inquisitore lo accusa di aver tentato di difendere la ragazza e i due eretici e gli dice che, l'indomani, si recherà ad Avignone insieme a lui per rispondere di eresia di fronte al papa. Adso, disperato per la sorte della fanciulla che ama, è risentito verso Guglielmo, che sembra interessarsi più ai libri che alle sorti della giovane. Il giorno dopo, durante la messa, un altro frate, fratello Malachia, che è solito accompagnare il "venerabile Jorge", si sente male e muore, mostrando anch'egli le dita e la lingua nere. Bernardo, avendo assistito alla scena, ritiene che l'assassino sia Guglielmo, basandosi sulla predizione da lui fatta durante il processo, e ordina alle sue guardie di catturarlo, ma il monaco riesce a fuggire di soppiatto insieme ad Adso e i due si recano nella biblioteca. Intanto la ragazza (considerata una strega), Salvatore e Remigio vengono messi sulla pira, in attesa di essere bruciati. Guglielmo e Adso giungono all'entrata della biblioteca attraverso una porta camuffata come uno specchio e vi trovano Jorge, al quale Guglielmo chiede di poter leggere il secondo libro della Poetica di Aristotele che tratta della commedia, unica copia esistente in tutto il mondo. Jorge acconsente, ma Guglielmo si mette un guanto, poiché sa che le pagine del libro sono avvelenate. Il mistero è così chiarito: Jorge era il colpevole di quelle morti ed è stato lui ad avvelenare le pagine del libro, in modo che chiunque le leggesse trovasse una morte certa. Questi, capendo di essere stato scoperto, si dà alla fuga, portando con sé il libro e venendo inseguito dai due monaci. Guglielmo gli chiede perché abbia fatto tutto questo e Jorge rivela di aver sempre avuto in odio il libro di Aristotele, in quanto il riso, in esso trattato, uccide la paura e senza la paura non può esserci fede in Dio: se tutti, infatti, apprendessero dal libro che è possibile ridere di tutto, anche di Dio, il mondo precipiterebbe nel caos. Preso, così, da fanatico fervore, Jorge ingoia le pagine del libro, suicidandosi, ma prima di morire ha il tempo di aggredire Adso, gettandogli la lampada che portava e bruciando anche il resto dei libri proibiti nella biblioteca. Un grosso incendio inizia a divampare in biblioteca e, intanto, Remigio e Salvatore vengono bruciati, mentre la ragazza viene salvata dagli abitanti del villaggio, che attaccano le guardie di Bernardo, distratte dall'incendio alla biblioteca. Mentre Guglielmo tenta disperatamente di salvare quanti più libri possibile dalle fiamme, Adso, incitato dal maestro e preoccupato per la ragazza, si precipita fuori dall'abbazia. Bernardo, in fuga con la sua carrozza, muore precipitando in un dirupo e infine Guglielmo riesce ad uscire incolume dall'incendio. L'indomani, l'abbazia è completamente bruciata. Guglielmo e Adso partono così da quel luogo ma, sulla strada, il ragazzo viene raggiunto dalla fanciulla, che lo prega di restare. Adso si accorge che il suo maestro lo osserva da lontano, perché vuole che sia lui a decidere liberamente chi seguire e, dopo un toccante addio, i due innamorati si lasciano per sempre. Mentre Guglielmo e Adso si allontanano, la voce fuori campo di quest'ultimo, nel terminare la narrazione, afferma di non essersi mai pentito di aver fatto quella scelta. Il suo maestro, in segno di rispetto, gli regalò i suoi occhiali e i due si lasciarono. Adso non seppe mai che fine avesse fatto, ma è comunque certo che Guglielmo sia morto, probabilmente a causa dell'epidemia di peste scoppiata qualche anno più tardi in Europa. Egli, comunque, non si dimenticò mai del suo unico amore terreno, del quale tuttavia non seppe mai il nome. |
Post n°3304 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fontamara Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Fontamara è il primo romanzo di Ignazio Silone, pubblicato dapprima nel 1933 in lingua tedesca in Svizzera - dopo esser stato scritto nella Confederazione elvetica tra il 1929 e il 1931 - al tempo in cui l'autore era riparato all'estero per sfuggire alle persecuzioni del Regime fascista; nel novembre 1933 egli pubblica un'edizione in lingua italiana a proprie spese, e nel 1934 l'opera fu tradotta in inglese. Il successo del romanzo, che denunciava l'immoralità e gli inganni del partito fascista di Mussolini e dei suoi seguaci, fu straordinario, galvanizzando una parte dell'opinione pubblica internazionale dell'epoca, che fece di Fontamara un documento della propaganda antifascista fuori dall'Italia e un simbolo della resistenza al totalitarismo (Hitler era appena arrivato al potere in Germania). Fontamara è un immaginario villaggio di montagna, nell'Abruzzo marsicano, la cui comunità soffre sotto il peso del fascismo e di sventure ataviche. Spaccato sociale di un proletariato oppresso e sfruttato sono i "cafoni", realisticamente descritti nella loro ingenuità, e tenuti in ignoranza secolare da una classe dominante sempre più rapace e parassitaria. Trama Il fontanile di Fontamara a Pescinache avrebbe ispirato l'autore Il Fucino sullo sfondo di Pescina Dal 1º giugno 1929 nel paese di Fontamara (nella Marsica, vicino ad Avezzano) non arriva più l'elettricità, la cui fornitura è stata interrotta perché gli abitanti del paese non pagavano le bollette. Sperando di rimediare a questa "fatalità", ogni contadino analfabeta firma una misteriosa "carta bianca", portata da un graduca della milizia (il cav. Pelino), la quale si scoprirà essere in realtà l'autorizzazione a togliere l'acqua per l'irrigazione per indirizzarla verso i possedimenti dell'Impresario, un imprenditore legato al regime che ha ottenuto la carica di podestà. Scoperto l'imbroglio, le donne fontamaresi si recano a casa dell'Impresario per tentare di convincerlo a ridar loro l'acqua indispensabile per i loro campi. L'avvocato Don Circostanza si offre come mediatore di un accordo che stabilisce che «tre quarti scorrano nel nuovo letto del fiume, mentre i tre quarti del rimanente nel vecchio, cosicché ognuno abbia tre quarti»; più avanti, di fronte alla pretesa dell'Impresario di aver in usufrutto l'acqua per 50 anni, l'avvocato suggerisce di «ridurre il termine a soli 10 lustri». Il paese è oggetto di una violenta incursione delle squadracce fasciste, inviate a Fontamara per segnalazione del cavalier Pelino, che violenta le donne e scheda ogni singolo abitante, chiedendogli brutalmente "chi evviva?" (ma nessuno tra i fontamaresi, praticamente all'oscuro dell'avvento del fascismo, "azzecca" la risposta giusta). Berardo Viola, l'uomo più forte e robusto del paese, tenta di trovare maggior fortuna fuori dal paese. Il lavoro gli viene negato perché, in quanto fontamarese, è considerato un rivoluzionario. Muore intanto Elvira, la sua amata. Di ritorno a Fontamara, alla stazione di Roma, incontra un partigiano (l'Avezzanese), già conosciuto in Abruzzo. I due vengono arrestati per un equivoco e, nel periodo in cui sono costretti alla convivenza in cella, Berardo sviluppa una notevole maturazione politica. Questo suo nuovo impegno morale lo porta ad autoaccusarsi di essere il "Solito Sconosciuto", ossia un sostenitore attivo della resistenza. Torturato, Berardo subisce un'atroce morte, che sarà fatta passare per suicidio. I fontamaresi fondano il "Che fare?", un giornale in cui denunciano i soprusi subiti e l'ingiusta morte del loro compaesano. Il regime però reprime tutto mandando una squadraccia della Milizia a Fontamara, che fa strage di abitanti. Alcuni fontamaresi si salvano e tra loro i tre narratori della storia. |
Post n°3303 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fontamara (libro), parte 2. Commento Il narratore è interno, rappresentato da una famiglia di "cafoni" i cui membri (gli zii di Elvira) sono Matalè, il marito Giuvà e il loro figlio che hanno ormai raggiunto in esilio l'autore e si alternano a raccontare, in un lungo flashback, ciascuno le proprie esperienze. I personaggi I "cafoni" sono i miseri poverelli contadini meridionali proprietari al massimo di un asino o di un mulo, non hanno mezzi per difendersi e vivono in una perpetua ignoranza di cui approfitta persino colui che è considerato "l'amico del popolo", Don Circostanza, che rappresenta insieme la difesa e la rovina dei fontamaresi; la loro vita si ripete uguale di generazione in generazione segnata dal lavoro e dalla fatica. Essi sono consapevoli della disperata condizione in cui vivono, come spiegano ad un forestiero... nel brano ci sono dei personaggi insoliti.
Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di sventure e sofferenze, inventato appunto dall'autore per rispecchiare meglio la realtà del paese. Quasi tutti i nomi dei personaggi del romanzo non sono casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle diverse situazioni tenendo prima la parte dei contadini, quindi quella degli agiati cittadini, cercando sempre un tornaconto personale; Don Abbacchio il prete, richiama il verbo "abbacchiare" infatti egli non farà altro che deprimere i poveri abitanti della Marsica, ignorando persino il suicidio di Teofilo, sacrestano della chiesa di Fontamara; Don Carlo Magna è il ricco proprietario terriero; l'Impresario, il podestà abile a speculare su alcuni terreni acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui quali farà deviare l'acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla miseria i cafoni; Innocenzo La Legge, il messo incaricato di portare i nuovi ordinamenti dalla città. Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l'eroe del paese, violento ma altruista è il primo a sacrificarsi tra i cafoni per il bene della collettività: i cafoni infatti erano stati raggirati di continuo ed ogni appello ai notabili del paese risultava inutile poiché questi difendevano sempre gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano così sempre più poveri ma ognuno non aveva pensato che al proprio appezzamento di terra, a sé stesso. Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il bisogno che qualcuno muova all'azione, ponga fine alla total e indifferenza dei "cafoni", sempre più sfruttati e tenuti nell'ignoranza dal nuovo regime che li induce lavorare in modo duro ed estenuante. I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia per i gerarchi della potente città, da cui erano sempre stati osteggiati grazie alla cultura ed all'ingegno ma, nel momento in cui provano anche questi ad avvicinarsi al mondo scritto, sentiti come una forte minaccia vengono rapidamente fatti scomparire. Lo stile Si noti che Silone scrive in maniera molto leggibile, narrando l'azione in maniera umile, questo perché, come teorizza Dante Alighieri, lo stile deve adattarsi all'argomento, e se si parla del mondo agricolo, allora anche la forma sarà umile. Sul piano linguistico prevale una costruzione paratattica del periodo con un linguaggio piuttosto semplice e colloquiale che rispecchia l'ignoranza in cui vivono i contadini, mentre i cittadini più istruiti ed importanti si esprimono in una forma più ricercata e arricchita anche da citazioni e vocaboli latini. Una sottile ironia diffusa attenua, talvolta, la tragicità di alcuni momenti. Ciò avviene ad esempio quando si riportano le riflessioni dei Fontamaresi, gli scherzi, gli abusi, che evidenziano l'ingenuità dei protagonisti. Rispetto a Il segreto di Luca la denuncia nei confronti dell'ingiustizia diventa più ampia, da un singolo individuo ad un intero paese, alle ingiustizie che i suoi abitanti sono costretti a subire. Vicende editoriali A causa del contenuto sgradito al regime fascista, Fontamara non fu pubblicato in Italia fino al 1945. La prima pubblicazione avvenne in Svizzera in lingua tedesca, tradotto da Nettie Sutro, nel 1933. La prima edizione in italiano apparve nel 1934, pubblicata a spese dell'autore a Parigi, sotto la sigla fittizia di N.E.I. (Nuove edizioni italiane, Zurigo-Parigi). Sempre nel 1934 venne pubblicata la prima versione in inglese. Nel 1935 Fontamara fu pubblicato in Unione Sovietica nella traduzione in russo di E. A. Chanevskoj per la casa editrice statale Chudoestvennaja Literatura (Letteratura d'Arte). Nel 1945 il romanzo fu pubblicato dapprima a puntate, con parecchi errori e refusi, su una rivista italiana, dove Silone operò ingenti modifiche e correzioni. Nel 1947 uscì, con altre importanti modifiche, la prima edizione in volume, dall'Editore Faro di Roma. Ancora una volta insoddisfatto del testo, Silone si rivolse a Mondadori, che stampò il libro con ulteriori modifiche, e che da allora divenne il suo editore storico. Avvenne quindi che il testo di Fontamara approntato per i lettori italiani fu sensibilmente differente rispetto al testo diffuso negli anni Trenta. L'edizione in esperanto venne pubblicata nel 1939 nei Paesi Bassi. Trasposizioni La torre di Aielli (AQ) Cinema Dal romanzo è stato tratto il film omonimo del 1980 con la regia di Carlo Lizzani. Televisione Su Raiuno, dal 23 al 26 febbraio 1983, l'opera di Lizzani venne trasmessa nella versione televisiva, sceneggiata in quattro puntate. Arte Ad Aielli (AQ), l'opera è stata trascritta integralmente sul muro di un edificio situato a ridosso della torre medievale del borgo marsicano.
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Post n°3302 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fontamara (film) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Fontamara è un film del 1980 diretto dal regista Carlo Lizzani, basato sull'omonimo romanzo di Ignazio Silone, ed interpretato da Michele Placido nel ruolo di Berardo Viola e da Ida Di Benedetto che per questa interpretazione ricevette il nastro d'argento nel 1981 come migliore attrice non protagonista. Per i dialoghi, che si svolgono in gran parte in dialetto marsicano, Lizzani si è avvalso della collaborazione di Guido Celano e di Produzione Area di via Vallone ad Aielli dove furono girate alcune scene del film Il film è stato interamente girato nella Marsica e in parte nella Valle Peligna e aRoma. Le riprese sono state girate a Pescina, patria di Silone, ad Avezzano(presso la Chiesa di San Giovanni e il Castello Orsini-Colonna) e nei borghi diAielli Alto e Gioia Vecchio (in evidenza la chiesa di San Vincenzo). Alcune scene dei campi, oltre che nel Fucino, sono state girate nei pressi diRoccacasale. Il regista preparò per la TV una versione estesa del film che dura 205 minuti. Trama Nel paese di Pescina, nell'Abruzzo marsicano, i cafoni senza un soldo sono vittime dei soprusi del governo fascista. Tutto inizia con la deviazione del fiume cosicché i contadini non possono più irrigare i campi, perché non hanno giurato fedeltà al nuovo governo di Avezzano. Il giovane Berardo appoggia gli ideali comunisti, ma è anche un anarchico e dunque deve fuggire da Pescina, scappando a Roma; lì Berardo si forma culturalmente e conosce un coetaneo della Marsica che gli comunica che la vita al paese è insostenibile. Berardo tuttavia intende combattere ma i fascisti recano violenza alla sua famiglia, alla sua amata e alla fine lo torturano a morte. Puntata 1 Fontamara è un piccolo paese della Valle del Giovenco, nella Marsica orientale, oltre il Fucino. La vita scorre sempre uguale, oltretutto ci sono stati gravi danni a causa del terremoto del 1915, e molti giovani non sono più tornati, in quanto arruolati nel regio esercito per combattere la prima guerra mondiale. Berardo Viola è uno dei giovanotti proletari di Fontamara, che subisce le vessazioni del podestà di Avezzano, incominciando dall'episodio in cui i paesani chiedono alla città un parroco per la chiesa, e la Curia risponde inviando un asino, che Berardo fa sfilare in trionfo per Fontamara, volendosi burlare e sfidare il podestà. Maria Rosa, una ragazza del paese segretamente innamorata di Berardo, cerca di dissuaderlo da questa fida che è più grande delle suo possibilità di semplice "cafone", ma Berardo non demorderà. La madre anche vorrebbe che Berardo la smettesse con gli slanci dell'ideale comunitario, per sposarsi e mettere su famiglia, dato che il padre è morto ladrone e brigante in Brasile. Il padre di Maria Rosa è in fin di vita per la vecchiaia, e la ragazza viene avvicinata dalla madre di Berardo, che le propone di sposarsi il figlio per garantire la stabilità economica. Infatti la famiglia Viola non ha un pezzetto di terra, rubatogli con l'inganno dal parroco don Circostanza di Avezzano, ma la sua qualità è una grande forza fisica, oltre che all'intelligenza, mal vista in paese, dove arriva un nuovo ordine dal Prefetto di Avezzano, nell'osteria principale di Fontamara diventa proibito per i "cafoni" parlare di politica. L'incaricato dal prefetto don Innocenzo viene con astuzia deriso da Berardo, che rievoca anche il prosciugamento del Fucino da parte del Principe Torlonia, ricordano come i paesani di Fontamara non abbiano tratto alcun beneficio nel coltivare le terre. Insieme ad altre velate minacce, il vice prefetto se ne va ad Avezzano, dopo che è stato sottoposto a una questione di "ragionamento" da parte dello stesso Berardo, che in poche parola ha smascherato l'inutilità di quel decreto, mostrando come sia soltanto velleitario, offensivo e proibitivo da parte dei potenti, verso i poveri ignoranti. A Berardo la gente propone di sposare Elvira, la proprietaria dell'osteria, rimasta vedova col marito caduto sotto le armi, e beneficiaria di una pensione statale, ma Berardo rifiuta. Nel frattempo un imprenditore don Carlo "Magna" di Avezzano, compie l'ennesimo sgarro a Fontamara, ossia drena la sorgente del fiume Giovenco per costringere i paesani a comprarla in città. Le donne fontamaresi si infuriano e decidono di recarsi al Municipio di Avezzano, dove vengono insultate e derise, mentre vengono a sapere che don Circostanza non è più il sindaco della città, che tra l'altro non rendeva migliore la situazione al paese, ma è il podestà, un forestiero di Roma, soprannominato "L'Impresario". Nel frattempo Berardo ha provato a trasferirsi in un'altra provincia per lavorare come bracciante, ma alla stazione siccome non è iscritto al partito fascista, viene rimandato a casa. Le fontamaresi si recano nella lussuosa villa di don Carlo Magna, lo storico feudatario di Fontamara, per avere spiegazioni, ma non può fare niente, in quanto le terre del paese sono state vendute proprio a codesto Impresario Puntata 2 Viene presenta ala figura dell'Impresario, un cafone vero romano, rozzo e volgare, che sta pranzando nella villa di don Carlo Magna. Le donne di Fontamara lo incontrano, esponendogli il loro problema. Don Circostanza ne approfitta, con iperboli equivoche del vocabolario italiano, per tranquillizzare la folla inferocita e promettere il ripristino della sorgente del paese, e prepara le carte dal notaio. Sopraggiunge anche Berardo che minaccia don Circostanza per una vecchia cambiale firmata per avere una terra in cambio della sua, una terra però infruttuosa. Don Circostanza promette di aiutarlo scrivendo a colleghi di Roma, e infatti pare che la promessa si risolva, perché quella sera all'osteria, si parla del fatto che lo Stato ha espropriato le terre del Fucino al vecchio Principe Torlonia, per ridistribuirle alle varie municipalità locale. Fontamara si prepara a festa, e scende al Fucino, portando anche il gonfalone civico. Arrivati ad Avezzano però (Largo Castello), vengono tenuti bloccati, e non possono recarsi in piazza per la distribuzione ufficiale. Li raggiunse don Circostanza, mentre ormai i poveracci capiscono di essere stati ingannati, il quale però li tranquillizza, dicendo di aver parlato per loro tramite. Don Circostanza, ancora con le su iperboli dell'italiano, spiega che secondo la legge ministeriale il Fucino andrà "a chi lo coltiva", ossia a chi ha capitali, parlando immediatamente dopo che "per il Fucino ci sarà lavoro per tutti per chi ha forza", ossia per i F ontamaresi, relegati al misero ruolo di braccianti per coloro che coltivano il Fucino, essendoselo spartito in lotti. Tornando verso il paese, Berardo viene avvicinato da un sovversivo, che gli propone di accordarsi con lui per compiere un attentato contro don Circostanza, ma lui rifiuta, anche se la notte stessa, all'osteria, progetta di fare delle ritorsioni pesanti contro l'ex sindaco di Avezzano, nonché contro l'Impresario. Tuttavia il tempo passa, la vita pare tornare normale in paese, normale nel senso di un'atavica rassegnazione e adattamento ai fatti che accadono, e l'Impresario ne approfitta per completare l'opera di drenaggio delle acque. Berardo allora con un gruppidi forti contadini attacca l'opera, e distrugge i macchinari. Il parroco di Avezzano giunge a Fontamara per placare gli animi, invitando i popolani a rassegnarsi alle loro condizioni in quanto cafoni, ma Berardo non si lascia convincere dalle lusinghe del prete, soprattutto quanto l'uomo sciorina le massime di saggezza dai Vangeli, cui Berardo contrappone le verità della dura realtà terrena. Il giorno dopo le donne fontamaresi si si incontrano con la milizia di Avezzano presso il fiume, e si teme uno scontro, cominciano a fare il malocchio contro don Circostanza, l'unica cosa che possono fare, in quanto vengono disperse dalla cavalleria. Berardo intanto prova a trovare il metodo di ripartire per Roma, e prima di farlo quella notte stessa, con un prestito di un amico, si reca ad incendiare la stalla dell'Impresario. |
Post n°3301 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Puntata 3 (parte 2) Alcuni uomini di Fontamara si fanno comprare dell'Impresario per lavorare la terra del Fucino, un altro manipolo di uomini della milizia di Avezzano si reca verso Fontamara, con il compiuto di vendicare l'offesa di Berardo. Alcuni uomini trovano donna Elvira e la violentano. Anche Berardo e i suoi compagni sono arrestati, condotti nella chiesa, e processati dai militi, nella famosa scena, tratta anche dal romanzo, del "chi evviva?". I Fontamaresi sono troppo ignoranti per comprendere di onorare il Duce, e lodano varie cose, venendo schedati come deficienti, sovversivi, insolenti, sino a che non giunge a Berardo; in quel momento delle donne urlano che delle ragazze sono state violentate e scoppia una scaramuccia, gli uomini ricacciano la milizia fuori dal paese, e Berardo soccorre e consola la povera Elvira. Berardo viene riconvocato ancora ad Avezzano per volere di don Circostanza, che dichiara di farlo partire per Roma, con la promessa di un lavoro. In realtà sarà un modo per allontanarlo dalla Marsica, affinché con le sue idee sovversive, non possa aizzare i fontamaresi contro la città. Il sacrestano, uomo mite e tranquillo, non riesce più a sopportare la condizione misera generale del suo paese, anche perché suo figlio giovane decide di abbandonare Fontamara insieme a Berardo e quella notte decide di farla finita impiccandosi alla campana maggiore. Berardo e il ragazzo giungono a Roma, commentando come nella città ci sia così lusso sfrenato, iniziando dalle fontane monumentali, mentre loro a Fontamara non possono avere nemmeno il torrente. Il giorno seguente si reca all'ufficio di collocamento con la raccomandata di don Circostanza, che lo indirizza all'ufficio dell'Aquila, senza che Berardo lo sappia perché non sa leggere. Viene deriso e deve tornare alla pensione dove alloggia sconsolato. Puntata 4 Maria Rosa sente di aver commesso un grande peccato, stando con Berardo, e decide di compiere un pellegrinaggio di penitenza. Per Berardo giungono brutte notizie, dall'avvocato che li ospita a Roma, giunge il certificato redatto qualche settimana prima dalla milizia venuta a Fontamara, che notifica la "condotta pessima dal punto di vista Nazionale", ossia che con tale fedina penale non potrà mai avere un lavoro. Il giorno seguente viene avvicinato da un ragazzo, che perla di un "solito sconosciuto" che aizza la popolazione contro il regime fascista, e pensa possa essere proprio Berardo. Sopraggiunge la milizia che arresta tutti e tre. Mentre Elvira e Maria Rosa raggiungono l'eremo di montagna e iniziano l'adorazione, Berardo si trova in carcere, e riflette sulle condizioni di differenza tra libertà di stampa, cittadini e cafoni di paese, dicendo di voler soltanto giustizia per i popolani di poter lavorare liberamente la terra senza problemi, rifiutando gli ideali di comunismo, degli interessi della collettività, e dell'orgoglio dell'amor patrio. Alla fine però Berardo si convince, volendo trovare riscatto e pace con sé stesso, e quando viene interrogato dal questore, sostiene di essere lui il "solito sconosciuto" che pubblica tra Roma e Abruzzo dei pamphlet contro il Duce, che incitano alla rivolta popolare, per questo viene picchiato selvaggiamente e torturato per avere altre confessioni più specifiche, tuttavia non avranno niente, in quanto Berardo non sa nulla di questo figuro. In Fontamara nel frattempo, all'osteria la gente propone di fondare, con la collaborazione di un anziano tipografo, un "Quotidiano dei Cafoni" per far sentire la loro voce sui vari soprusi da parte della città. Dopo altre torture subite, Berardo diventa famoso tra i circol i sovversivi comunisti, e il giornale Che fare? pubblica in prima pagina il suo nome, incitando alla lotta, che da una parte affranca lo stesso Berardo, dall'altra convince ancora di più il questore della pericolosità e sovversivismo dello stesso. Poche ore dopo, Berardo morirà per le ferite interne delle percosse subite, alla questura comunicano di diffondere la notizia che il carcerato si è ucciso per la sua causa contro il regime, lo stesso ragazzo fontamarese suo amico, è costretto a scrivere il comunicato notarile, e promette di non dire mai la verità una volta tornato in Abruzzo Riconoscimenti Nomination Migliore attore protagonista a Michele Placido Nomination Migliore scenografia a Luigi Scaccianoce Nomination Migliori costumi a Luciano Calosso Migliore attrice non protagonista a Ida Di Benedetto Nomination Regista del miglior film a Carlo Lizzani Nomination Migliore attore protagonista a
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Post n°3300 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
L'avventura d'un povero cristiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
L'avventura d'un povero cristiano è l'ultima opera letteraria di Ignazio Silone, pubblicata per la prima volta nel 1968. Il testo, scritto in forma teatrale, riprende e conclude idealmente il percorso narrativo di Silone: in esso si ritrova il tema fondamentale del rapporto fra l'individuo e la Chiesa, che si esplica nella figura emblematica di Papa Celestino V. Il testo vuole quindi fornire una reinterpretazione attualizzata della burrascosa vicenda di Papa Celestino V che, dopo un certo periodo di pontificato, rinunciò alla carica per tornare alla Santa vita da Eremita. Con questo romanzo Silone vinse il Premio Campiello nel 1968. Struttura dell'opera L'opera di Silone si può idealmente dividere in diverse macrosequenze narrative. La prima di queste, che occupa il primo dei sei capitoli di cui si compone il testo, si occupa di introdurre il personaggio di Pietro (il futuro Papa Celestino) e alcuni suoi compagni di predicazione, evidenziando gli aspetti salienti della personalità di ognuno; la seconda macrosequenza, che occupa i capitoli secondo e terzo, tratta dell'elezione a Papa di Celestino e delle varie peripezie che lo porteranno infine a rinunciare alla carica suprema; la terza ed ultima macrosequenza, infine, conclude la vicenda con la descrizione dell'ultimo anno di vita di Celestino e dei suoi inutili tentativi di sfuggire al successore Bonifazio VIII - si tratta dei capitoli dal quarto al sesto. Analisi Le indicazioni temporali e spaziali sono abbastanza precise: il racconto copre un arco di circa un anno, dal maggio del 1294allo stesso mese del '95 o poco oltre, e si svolge fra i paesi natali dei frati amici di Papa Celestino, il palazzo papale a Napolie il Gargano, ove Pietro si rifugerà per cercare di trovare scampo da Bonifacio VIII. Lo spazio, nel romanzo, non ha un particolare valore simbolico; va riconosciuto però in generale che gli spazi aperti sono il luogo della discussione con gli amici e della libertà (il Gargano, l'Umbria), mentre negli spazi chiusi si assiste all'ipocrisia e all'imprigionamento morale di Pietro nelle consuetudini corrotte della Chiesa duecentesca. Fra i personaggi distinguiamo infine fra Pietro (protagonista), il cardinale Caetani che diventerà in seguito Papa Bonifazio VIII (egli svolge il ruolo di antagonista insieme alla corruzione generale della Chiesa), i monaci e i fraticelli con cui si instaura un buon dialogo (aiutanti o comparse); ancora, svolgono il ruolo di comparse il Cerbicca, una bizzarra figura ricorrente del romanzo; l'aiutante militare del re Carlo II di Napoli; il segretario papale; il tessitore Matteo da Pratola e la figlia Concetta (aiutante); don Costantino (parroco di Sulmona). Per via della natura teatrale del racconto tutti i personaggi si presentano da sé, ed è compito del lettore delinearne un ritratto caratteriale in base ai loro comportamenti; raramente la loro presentazione è affidata ad altri personaggi. |
Post n°3299 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Il segreto di Luca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il segreto di Luca è un romanzo di Ignazio Silone, pubblicato nel 1956. Nel 1969 il regista televisivo Ottavio Spadaro ne curò una riduzione insceneggiato in 4 puntate per la RAI, con Turi Ferro, Giuseppe Anatrelli, Lydia Alfonsi, Ferruccio De Ceresa, Riccardo Cucciolla, Fulvio Gelato. Le scene erano dello scenografo Giuliano Tullio che inserì elementi tipici delle architetture rurali dell'Abruzzo. Trama Luca Sabatini, un abitante di Cisterna dei Marsi, è il protagonista della storia. Egli ritorna al suo paese dopo 40 anni di carcere, graziato perché il vero autore del delitto di cui era stato accusato, in punto di morte, confessò di essere colpevole. La notizia del suo ritorno è accolta con paura dai compaesani, che lo ritenevano ancora colpevole. Il ritorno di Luca coincide con l'arrivo in città di un uomo politico, Andrea Cipriani, il cui padre era grande amico di Luca. Dal momento in cui Andrea incontra Luca, abbandona i suoi impegni politici per occuparsi del caso dell'ergastolano che , pur essendo innocente, aveva preferito non difendersi al Andrea, da quel momento, cerca di saperne di più sul caso di Luca interrogando Don Serafino, l'ex-parroco di Cisterna, Ludovico, il mugnaio del paese, e sua moglie Agnese. Poi si reca a Perticara, il paese vicino, dove chiede informazioni a Gelsomina, la sorella di Lauretta (al tempo fidanzata di Luca). Grazie all'aiuto di Don Serafino, Andrea scopre l'esistenza di una relazione di Luca con una donna sposata, Ortensia, di cui ritrova anche un diario. Rimane comunque irrisolto il mistero di dove Luca Sabatini avesse trascorso la notte del delitto. Lo stesso Luca rivelerà il proprio segreto ad Andrea, pe r ringraziarlo del suo interessamento e per avergli consegnato il diario di Ortensia. Luca la sera del delitto era stato a casa di Ortensia, la quale gli aveva dichiarato il suo amore. Successivamente si era recato presso Lauretta, con la quale avrebbe dovuto stabilire il giorno delle nozze, e le aveva rivelato di amare un'altra donna. Per il dolore così recato a Lauretta, aveva deciso di togliersi la vita proprio la sera in cui fu catturato dai carabinieri: si spiega in tal modo la decisione di non difendersi nel processo, per non offendere il sentimento di Ortensia e metterne a repentaglio l'onorabilità di donna sposata. I personaggi Luca è il protagonista. La sua psicologia è molto complessa: egli mostra anche grande sensibilità nel preferire la pena di 40 anni di carcere per rispetto verso i teneri sentimenti d'Ortensia. Andrea Cipriani è un importante uomo politico il cui padre era stato grande amico di Luca. Egli rinuncia ai suoi impegni politici per saperne di più sul caso dell'ex-ergastolano. Egli confida di aver aiutato la madre di Luca a scrivere le lettere per il figlio durante gli anni di carcere. Giovane, alto e snello, con un berretto basco come copricapo, in maniche di camicia e calzoncini corti, e tutto polveroso per via della motocicletta. Don Serafino è l'ex parroco del paese. Ha un ruolo importante nella storia poiché è uno dei pochi testimoni ancora in vita della vicenda che coinvolse il protagonista. Il suo ruolo durante le indagini di Andrea è fondamentale dato che è lui a rivelare la relazione con Ortensia. Don Franco è il parroco in attività di Cisterna che però non ha un ruolo di grande importanza nella vicenda. Viene descritto da Silone come un uomo attento più ai bisogni materiali che a quelli spirituali. La madre di Luca(Teresa) è citata spesso nella storia ma non ha un ruolo attivo: ella muore prima del ritorno del figlio a Cisterna. Il sindaco di Cisterna è citato all'inizio del racconto, per il "rinnovo" (con l'aiuto di Andrea) di Cisterna. Toni è un bambino povero che gironzola attorno alla casa di don Serafino, e quindi vive la vicenda del ritorno di Luca da vicino. Egli è la prima persona che entra in contatto con Luca al suo rientro a Cisterna. Gelsomina sorella di Lauretta che aiuterà Andrea nella sua indagine. Lei è molto legata alla sorella e al partito, e per questo molte sue decisioni verranno o furono prese in base alle convenienze del partito. Ludovico è un vecchio contadino, uno strano ex mugnaio da quando aveva dovuto fermare la mola del suo mulino ad acqua per concorrenza di quello elettrico. È uno dei pochi a conoscere Luca e a saperne la storia e i motivi del suo silenzio. I luoghi L'intera vicenda si svolge a Cisterna dei Marsi e a Perticara due paesini immaginari della Marsica, la parrocchia di Cisterna era retta dal giovane Don Franco, che aveva sostituito l'oramai pensionato Don Serafino. Durante l'assenza di Luca, Cisterna viene sconvolta da 2 guerre e un terremoto cosicché appare totalmente cambiata agli occhi di Luca al momento del ritorno. L'ambientazione è all'incirca negli anni cinquanta. |
Post n°3298 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il vino esisteva già 3500 anni fa: la scoperta in Italia Scoperte in provincia di Ferrara le più antiche tracce di vino della storia: sono state rilevate in contenitori risalenti a 3500 anni fa. 4 Novembre 2020 Fonte: 123RF Il vino è convivialità, ma soprattutto tradizione. Mai però avremmo pensato di ritrovare le sue origini in tempi così lontani e, soprattutto, nel nostro paese. Invece, proprio in questi giorni, a Bondeno - in provincia di Ferrara - è stata fatta una sorprendente scoperta. Negli scavi di Bondeno sono state trovatetracce di vino in contenitori e tazze risalenti a circa 3500 anni fa. Si tratta dei resti più antichi legati al vino più antichi mai scoperti sinora. I risultati degli scavi sono stati raccontati nell'ultimo numero del Journal of Archaeological Science, come riporta GreenMe. Per l'esattezza ci troviamo nel sito archeologico della Terramara di Pilastri (risalente al 1600-1300 a.C.), i cui scavi sono a capo del Dipartimento dei Beni Culturali dell'Università di Padova. "L'analisi dei residui organici condotta mediante gas cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa - si legge nell'articolo - ha consentito l'identificazione dell'acido tartarico in 20 campioni su 31 recuperati da diversi recipienti in ceramica (come bicchieri, pentole grossolane, presunti recipienti di stoccaggio). Sulla base di studi integrati, suggeriamo che i derivati del succo d'uva (incluso vino o aceto) fossero probabilmente consumati nei siti. Questa è la prima prova diretta del consumo di derivati dell'uva in questa area. Combinati con le prove botaniche, questi risultati contribuiscono alla nostra comprensione dell'emergere del consumo di vino nel Mediterraneo occidentale". "Le analisi gas-cromatografiche effettuate da Alessandra Pecci (Università di Barcellona) - spiega Massimo Vidale, direttore del Dipartimento - dimostrano che circa più di un terzo dei frammenti di vasi di Pilastri sinora esaminati contengono tracce dei bio-markers del vino, ossia acidi tartarico, succinico e maleico, e che in alcuni casi il contenuto aveva tracce di zolfo e di resina di pino. Lo zolfo potrebbe essere stato aggiunto come antifermentativo della bevanda, oppure essere stato usato per sterilizzare i contenitori; la resina, per impermeabilizzare le parti interne dei vasi". |
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