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Messaggi di Aprile 2019

Milioni di morti in più per l'inquinamento atmosferico

Post n°2172 pubblicato il 29 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

12 marzo 2019

Milioni di morti in più per l'inquinamento atmosferico

Nuove stime della mortalità mondiale

parlano di 8,8 milioni di decessi in più

all'anno dovuti all'inquinamento atmosferico.

In Europa, la stima è di 790.000 morti

all'anno, circa il doppio di quanto calcolato

in precedenti studi.

Ad aumentare è soprattutto il rischio di

malattie cardiovascolari e polmonari, e il

principale responsabile è il particolato fine

epidemiologiaatmosferaambiente

La salute umana è minacciata dall'aria che

respiriamo molto più di quanto ritenuto finora.

Secondo le stime di un nuovo studio pubblicato

sulla rivista "European Heart Journal" da un

gruppo internazionale di ricerca, infatti,

l'inquinamento atmosferico è responsabile

ogni anno di 120 decessi in più per 100.000

abitanti nel mondo, e di 133 e 129 decessi

in più ogni 100.000 abitanti in Europa e

nell'Unione Europea a 28 stati, rispettivamente.

In termini assoluti, in un anno come il 2015,

l'eccesso di inquinanti nell'aria ha causato 8,8

milioni di morti in più nel mondo, 790.000 in

Europa, e 659.000 nell'Unione Europea.

Per il nostro continente, questo significa il

doppio delle morti rispetto alle valutazioni

epidemiologiche precedenti.

Quando si parla di inquinamento atmosferico

si pensa immediatamente ai danni ai polmoni,

che in effetti risultano statisticamente aumentati.

Ma al primo posto delle classifiche ci sono le

patologie cardiovascolari, che rendono conto

del 40-80 per cento delle morti in eccesso,

cioè il doppio di quanto è attribuito alle patologie

polmonari.

Milioni di morti in più per l'inquinamento atmosferico

Smog a Milano, gennaio 2019 (Marco Bonfanti/iStock)

Se si considera in particolare l'Europa, lo studio

ha calcolato che il triste primato della patologia

più letale è la malattia ischemica (cioè sostanzial-

mente l'infarto cardiaco, con 40 per cento dei

decessi in più), seguita dall'ictus (8 per cento),

dalla polmonite (7 per cento), dal tumore del

polmone (7 per cento) dalla broncopneumopatia

cronica ostruttiva (6 per cento).

Eloquenti anche i dati disaggretati per nazione.

Guardando ai paesi paragonabili al nostro per

popolazione e livello di sviluppo socio-economico,

il primato negativo spetta alla Germania, con un

tasso di mortalità in eccesso dovuto

all'inquinamento atmosferico di 154 su 100.000,

corrispondenti a una riduzione di 2,4 anni

nell'aspettativa di vita.

L'Italia segue subito dopo, con 136 morti in

eccesso ogni 100.000 abitanti e una riduzione

dell'aspettativa di vita di 1,9 anni e, un po'

staccati, la Francia (105 morti in eccesso ogni

100.000 abitanti e riduzione dell'aspettativa

di vita di 1,6 anni) e il Regno Unito (98 morti in

eccesso ogni 100.00 0 abitanti e riduzione

dell'aspettativa di vita di 1,5 anni).

Esaminando ancora più in dettaglio i dati italiani, 

l'inquinamento atmosferico causa complessivamente

la morte di circa 81.000 persone all'anno,

29.000 (36 per cento) per malattie cardiovascolari

e 35.000 (43 per cento) per altre cause.

I tassi di mortalità in eccesso sono particolarmente

alti nei paesi dell'Europa orientale, come Bulgaria,

Croazia, Romania e Ucraina, con oltre 200 ogni

anno per 100.000 abitanti.

"L'elevato numero di morti in più causate

dall'inquinamento atmosferico in Europa è spiegato

dalla combinazione di scarsa qualità dell'aria e

dalla densità della popolazione, che porta a

un'esposizione tra le più alte del mondo: anche

se l'inquinamento atmosferico nell'Europa orientale

non è molto più elevato di quello dell'Europa

occidentale, il numero di morti in eccesso causato

è più alto", ha spiegato Jos Lelieveld, del Max-

Plank-Institut per la Chimica di Mainz, in Germania,

e del Cyprus Institute di Nicosia, Cipro, coautore

dell'articolo. "Bisogna poi tenere conto dell'assistenza

sanitaria più avanzata nell'Europa occidentale,

dove l'aspettativa di vita è generalmente più alta".

Per quanto riguarda l'analisi degli inquinanti,

gli autori mettono sotto accusa principalmente il

particolato più fine PM2,5 (particelle di diametro

inferiore a 2,5 micron). Attualmente, nell'Unione

Europea il limite medio annuo per il PM2,5 è di 25

microgrammi per metro cubo, un valore già 2,5

vote superiore alla soglia raccomandata

dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

E molti paesi europei supernao regolarmente anche

questa soglia più elevata.

Questi risultati, secondo i ricercatori, dovrebbero

spronare i governi nazionali e le agenzie

internazionali a intraprendere azioni urgenti per

ridurre l'inquinamento atmosferico, compresa una

nuova valutazione della legislazione sulla qualità

dell'aria e un abbassamento degli attuali limiti

dell'Unione Europea ai livelli medi annuali delle

Linee guida dell'OMS.(red)

 
 
 

La vita che fiorisce sul fondo degli oceani

Post n°2171 pubblicato il 29 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

09 marzo 2019

Le sorgenti calde sul fondo dell'oceano, ricche di vita

animale, sono state scoperte per la prima volta 40 anni fa.

Da allora, le conoscenze su come fa la vita a prosperare

in condizioni così estreme - e quindi forse anche su altri

pianeti -  si sono moltiplicate, ma c'è ancora molto da

scoprire. E all'orizzonte ci sono progetti di sfruttamento

commerciale delle risorse di quegli ecosistemidi Cindy Lee

Van Dove/Nature

biologiaambienteSono passati quattro decenni da quando

 Corliss e colleghi descrissero su "Science" i fluttuanti ammassi

di vermi tubo giganti, lunghi un metro, scoperti nei pressi delle

sorgenti calde sul fondo dell'oceano.

Fino a quel momento, il fondo oceanico era ritenuto più simile

a un deserto che a un'oasi.

Corliss e colleghi non scoprirono per caso le sorgenti calde

sottomarine; in effetti, stavano cercando verificare l'ipotesi

della loro esistenza.

Le teorie sui movimenti delle placche tettoniche avevano aperto

la strada a quella scoperta suggerendo che le catene di rilievi che

cingono il globo sul fondo dell'oceano, definite come centri di

espansione, fossero siti vulcanici ai margini delle placche tettoniche.

Un indizio cruciale dell'esistenza delle sorgenti termali sottomarine

era il flusso di calore conduttivo inaspettatamente basso nella

crosta oceanica.

Un flusso convettivo di calore attraverso le sorgenti calde poteva

risolvere l'enigma di questo calore mancante.

Le anomalie dell'acqua ad alta temperatura documentate sopra di

un centro di espansione chiamato dorsale delle Galapagos

guidarono Corliss e colleghi al sito in cui scoprirono le sorgenti

termali sottomarine (dette anche camini, o fumarole, idrotermali).

La vita che fiorisce sul fondo degli oceani

Mappa globale dei camini idrotermali oceanici

(Savant-fou/NOAA/Wikimedia Commons)Trovare queste sorgenti

termali fu già di per sé una scoperta incredibile.

Ma ciò che veramente sconvolse la scienza del mare profondo furono

le inaspettate oasi di vita bagnate da quelle acque tiepide.

Durante l'immersione nel sommergibile Alvin che portò alla scoperta,

il geologo Jack Corliss chiamò l'equipaggio della nave di appoggio

a 2,5 chilometri più in sù e chiese: "L'oceano profondo non

dovrebbe essere come un deserto?" "Sì", fu la risposta.

"Beh, ci sono un sacco di animali quaggiù".

Quel breve scambio segnò quella che fu probabilmente la

più grande scoperta nell'oceanografia biologica fino a ora,

e che fu fatta da un gruppo di geologi e geochimici.

Nel loro articolo, gli autori sottolinearono profeticamente:

"Queste fragili comunità offrono un'opportunità unica per

una vasta gamma di studi zoologici, batteriologici, ecologici

e biochimici". Che cosa è scaturito da quegli studi?

Non ci volle molto prima che i biologi scoprissero quanto

si fossero adattati efficacemente al loro ambiente i vermi tubo giganti.

In quella profonda oscurità, generare energia cellulare con

la fotosintesi non è un'opzione valida.

E poiché il materiale organico prodotto sulla superficie dell'oceano

perde gran parte del suo valore nutrizionale quando raggiunge

il fondo del mare profondo, non fornisce una fonte di energia

adatta a sostenere dense popolazioni di grandi organismi.

Invece, gli abitanti delle sorgenti calde che vivono in acqua

ad alta temperatura arricchita di solfuro di idrogeno e altri

composti inorganici chimicamente ridotti (come il metano)

beneficiano di batteri simbiotici o liberi che generano energia

con la chemiosintesi, cioè l'ossidazione chimica di quei composti

ridotti.

Poco dopo le prime scoperte nel sito delle Galapagos, in un altro

sito oceanico fu scoperto un altro tipo di sorgente termale

chiamato camino nero, che emette fluidi idrotermali ricchi di metalli.

Gli ecosistemi delle sorgenti calde ora sono stati scoperti

nei centri di espansione del fondale marino in tutto il mondo.

Esistono circa mille o più oasi sottomarine, adagiate come

minuscole perle lungo i centri di espansione.

Per quanto numerosi, sono un habitat raro, se si calcola l'area

totale che occupano: tutti insieme, potrebbero stare nell'isola

di Manhattan, e rimarrebbe ancora dello spazio libero.

Sono anche habitat effimeri, che durano per anni o decenni, o

forse secoli, a seconda delle condizioni geologiche.

Questo solleva la questione di come si mantengono le popolazioni

di invertebrati e di quale sia la natura delle barriere biogeografiche

tra popolazioni nelle sorgenti termali.

I cicli vitali di quasi tutti gli invertebrati che vivono nelle sorgenti

termali sottomarine comprendono uno stadio larvale diffuso nella

colonna d'acqua.

L'ecologia larvale, la connettività di popolazione, nonché le

barriere oceanografiche e le rotte di trasporto sono temi chiave

della ricerca attuale.

Nelle sorgenti termali dei diversi centri di espansione si trovano

tipi differenti di specie.

E alcuni centri di espansione nell'emisfero australe e nell'Artide

sono ancora da esplorare, aumentando la possibilità che vi si

trovino tipi di rapporti e di adattamenti tra batteri e invertebrati

prima sconosciuti.

La vita che fiorisce sul fondo degli oceani

Riftia pachyptila, conosciuto anche come verme tubo gigante

(Credit: NOAA Okeanos Explorer Program, Galapagos Rift

Expedition 2011)Specie sorprendenti e strabilianti adattamenti

biologici continuano a venire alla luce.

I vermi di Pompei (Alvinella pompejana) vivono a temperature

fino a 42 °C. Queste sono tra le temperature più estremesopportate

da qualsiasi animale multicellulare sulla Terra.

I vermi ci sfidano a capire in che modo le proteine nell'organismo

degli animali siano protette dalla fusione.

I microrganismi chiamati Archaea possono vivere a 121 °C: sono

le condizioni di vita più calde conosciute sulla Terra.

I gamberetti "ciechi" (Rimicaris exoculata) mostrano "occhi"

altamente modificati che si ritiene possano rilevare variazioni

di luce fioca emessa dai fluidi a 350 °C dei camini neri, aiutandoli

a evitare di essere "cotti" dal calore. I granchi Yeti (Kiwa tyleri)

hanno artigli e zampe pelosi che consentono loro di "allevare"

i batteri di cui si nutrono. Le lumache della specie Chrysomallon

squamiferum strisciano su "piedi" protetti da scaglie metalliche

di un tipo che non si trova in altri molluschi viventi o fossili e

offrono ispirazione per la progettazione di materiali per le

armature.

L'importanza della chemiosintesi microbica nei pressi delle

sorgenti termali ci spinge anche a ripensare le nostre idee sulle

condizioni estreme a cui può adattarsi la vita, sul'origine della

vita su questo pianeta e anche sul potenziale della vita altrove

nell'universo.

Le missioni della NASA verso Marte degli anni Settanta erano

alla ricerca di prove della presenza di vita basata sull'energia della

luce solare; ora le missioni planetarie prendono in considerazione

anche la possibilità di una vita alimentata dall'energia chimica.

Gli astrobiologi studiano le sorgenti calde sottomarine per gettare

uno sguardo a condizioni che potrebbero essere simili a quelle

della Terra primordiale e considerano le sorgenti calde oceaniche

dei possibili analoghi di ambienti sottomarini alieni su mondi

oceanici al di là del nostro pianeta.

Gli incentivi scientifici dell'esplorazione delle sorgenti termali

vanno di pari passo con gli incentivi ingegneristici a progettare

e costruire veicoli sempre più capaci di raggiungere il fondo

marino in modo preciso e affidabile.

Prima sono arrivati i veicoli comandati a distanza, e seguiti ben

presto da veicoli subacquei autonomi, preprogrammati per

scivolare sul fondo del mare come droni, con un carico di strumenti

che mappano il fondale marino e rilevano le proprietà dell'acqua.

Lo sviluppo di cavi che trasmettono dati video consente di

trasmettere queste immagini in tempo reale in tutto il mondo su

siti Web accessibili gratuitamente (comeNautilusLive e

 Ocean Networks Canada).

La vita che fiorisce sul fondo degli oceani

Camini idrotermali sul fondo oceanico nella zona delle Isole

Marianne, nell'Oceano Pacifico (Credit: NOAA Expedition &

Research)L'ultima generazione di veicoli per le profondità marine

in fase di sviluppo sta sta trasformando l'uso per la scoperta e la

ricerca scientifica in un ruolo commerciale.

Sono stati progettati, costruiti e testati mole, frese e campionatori

di dimensioni gigantesche per l'estrazione di depositi di solfuro

sul fondo marino prodotti dall'attività idrotermale.

Una società canadese si è assicurata le concessioni per effettuare

estrazioni di di rame, oro e argento nelle sorgenti calde del Mare di

Bismarck, anche se finora non ci sono attività di estrazione

commerciale di giacimenti di solfuro dai depositi marini.

Molte nazioni hanno messo sotto protezione gli ecosistemi delle

sorgenti calde nei loro territori, ma il destino degli ecosistemi che

si trovano in aree al di fuori dei confini nazionali è nelle mani

dell'International Seabed Authority, che attualmente sta rivedendo

il proprio codice minerario.

L'attenzione potrebbe spostarsi dall'estrazione presso le sorgenti

termali attive, che rischia di distruggere le specie associate, allo

sfruttamento dei solfuri in luoghi senza segni visibili di flusso

di fluido idrotermale o organismi dipendenti dai camini, ma

questa conclusione non è ancora garantita.

Le azioni che saranno intraprese nel prossimo futuro

determineranno se la frontiera della scoperta a sorgenti termali

aperta da Corliss e colleghi 40 anni fa passerà dall'esplorazione

allo sfruttamento.

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature

il 4 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

La presa giusta per una collaborazione uomini-robot

Post n°2170 pubblicato il 29 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

La presa giusta per una collaborazione uomini-robot

Afferrare un oggetto per passarlo a

un'altra persona è un gesto semplice

per gli esseri umani ma non per i robot,

che hanno parecchi problemi a eseguirlo.

Un nuovo studio, effettuato alla Scuola

Superiore Sant'Anna di Pisa in collaborazione

con ricercatori australiani, ha ora definito i

principi che guidano la presa giusta per

compiere il gesto, aprendo la strada a una

collaborazione migliore tra uomo e macchina

(red)

 

fonte: Le Scienze

I principi guida che regolano il modo

in cui si afferra un oggetto per passarlo

a un altro sono stati definiti da ricercatori

dell'Istituto di biorobotica della Scuola

Superiore Sant'Anna di Pisa, con la

collaborazione del centro per la visione

robotica del Politecnico del Queensland a

Brisbane, che li illustrano in un articolo su

"Science Robotics". Il risultato permetterà

di ottenere una migliore cooperazione tra

gli esseri umani e i robot, sempre più

presenti nella nostra vita quotidiana


La presa giusta per una collaborazione uomini-robot

© Scuola Superiore Sant'AnnaUno dei punti

più delicati dell'interazione fra robot è il

passaggio di oggetti.

Lungi dall'essere un compito semplice, l'atto

coinvolge pesantemente e in contemporanea

sia i sistemi di controllo sensoriale che quelli

motori, ed è influenzato da molti fattori relativi

all'oggetto  (forma, dimensione e funzione),

al compito (entità dello spostamento), ai

vincoli della presa (dimensioni della mano

umana o della pinza, forza della presa) e a

vincoli casuali (la posizione iniziale dell'oggetto).

"Quando per esempio passiamo un cacciavite

a qualcuno che lo deve usare - spiega

Francesca Cini, prima firmataria dell'articolo

- lasciamo libero il manico per facilitare la

presa e l'uso dell'oggetto.

Lo scopo della nostra ricerca è trasferire

tutti questi principi guida a un sistema robotico."

Per identificare il modo in cui viene selezionata

e attuata la presa, i ricercatori hanno chiesto

ad alcune coppie di persone di afferrare e

passarsi una serie di oggetti - per esempio

una penna chiusa e una aperta, una chiave,

un cacciavite, un bicchiere pieno e uno vuoto,

un oggetto leggero come un foglio e uno

pesante - che hanno  ripreso con delle

telecamere per poi analizzare fotogramma

per fotogramma i movimenti e la direzione

degli sguardi.

Questa analisi ha permesso di identificare

una serie di parametri, per esempio le

condizioni che inducono a preferire una

presa di precisione o una di potenza

(caratterizzate da differenti posizioni delle

falangi), e di notare che nel passaggio

dell'oggetto da una persona all'altra era

sistematicamente preferita la presa di precisione,

che lascia al ricevente abbastanza spazio

per afferrare comodamente l'oggetto.

"Abbiamo bisogno di una nuova generazione

di robot progettati per interagire con gli esseri

umani in modo naturale", ha concluso Marco

Controzzi, coautore dello studio.

"Questi risultati ci permetteranno di istruire

il robot a manipolare gli oggetti attraverso

l'introduzione di semplici regole."

 
 
 

Nasce il primo viticcio artificiale in grado di arrampicarsi

Post n°2169 pubblicato il 29 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

24 gennaio 2019

Nasce il primo viticcio artificiale

in grado di arrampicarsi

Nasce il primo viticcio artificiale in grado di arrampicarsi

Comunicato stampa -

E' un robot soffice ispirato alle piante

rampicanti, realizzato dal gruppo di

ricerca coordinato da Barbara Mazzolai.

Il lavoro pubblicato su Nature

CommunicationsIIT-Istituto Italiano di Tecnologia:

robotica

24 gennaio 2019, Pontedera (Pisa) -

Ottenuto in Italia il primo robot che imita il

comportamento dei viticci, arrotolandosi a

spirale intorno a un supporto: è un robot

soffice che si muove sfruttando lo stesso

principio fisico che fa muovere l'acqua nei

tessuti delle piante rampicanti ed è stato

realizzato dai ricercatori del Centro di

Micro-BioRobotica dell'IIT-Istituto Italiano

di Tecnologia a Pontedera (Pisa), guidati

da Barbara Mazzolai. Il lavoro è stato

descritto nella rivista Nature Communications,

e in futuro potrebbe essere d'ispirazione per

lo sviluppo di dispositivi indossabili, come tutori,

in grado di cambiare forma.

Il gruppo di ricerca guidato da Mazzolai, include

i ricercatori Edoardo Sinibaldi e Indrek Must,

tutti con una formazione e competenze complementari:

Must è un tecnologo dei materiali con un

dottorato in ingegneria e tecnologia, Sinibaldi un

ingegnere aerospaziale con un dottorato in matematica

applicata, Mazzolai una biologa con un dottorato in

ingegneria dei microsistemi.

Mazzolai è stata tra le 25 donne geniali della robotica

nel 2015 secondo RoboHub, ed è autrice del primo

robot pianta al mondo, il Plantoide.

I ricercatori hanno tratto ispirazione dal comporta-

mento delle piante, le quali non sono affatto

esseri immobili.

Per esempio, le radici crescono bilanciando la

ricerca di nutrienti con la necessità di evitare

ostacoli e sostanze dannose.

Inoltre, non potendo scappare - diversamente

dagli animali, le piante quando si muovono, in

realtà "crescono", si allungano, adattando continua-

mente la loro morfologia all'ambiente esterno.

Tale "crescita" è quello che accade nei viticci delle

piante rampicanti, che sono in grado di arrotolarsi

e srotolarsi attorno a supporti esterni per favorire

il benessere della pianta stessa.

In questo lavoro, i ricercatori hanno studiato i

meccanismi naturali grazieai quali le piante

sfruttano il trasporto dell'acqua al loro interno

per muoversi e li hanno replicati in un robot soffice.

Il principio idraulico in questione si chiama "osmosi"

e si basa sulla presenza di piccole particelle presenti

nel liquido (citosol) contenuto all'interno delle cellule

della pianta. L'osmosi determina il movimento dei

viticci.

Il robot soffice è stato creato partendo da un

modello matematico, che ha determinato le

dimensioni del robot affinché i movimenti guidati

dall'osmosi non fossero troppo lenti.

Il robot ha quindi acquisito la forma di un piccolo

viticcio, in grado di compiere movimenti reversibili

- arrotolamento e srolotamento - come fanno

anche le piante.

Il corpo del viticcio artificiale è stato realizzato

con un tubo flessibile di PET (un comune polimero

spesso usato anche per contenere alimenti),

all'interno del quale è presente un liquido con ioni.

Sfruttando una batteria da 1.3 Volt, gli ioni vengono

attirati e immobilizzati sulla superficie di elettrodi

flessibili alla base del viticcio, dando vita a un

processo osmotico e causando, così, il movimento

del liquido stesso, da cui lo srotolamento del viticcio

artificiale.

L'arrotolamento si ottiene rimuovendo l'effetto della

batteria, sfruttando il circuito elettrico in cui essa

è inserita.

È la prima volta che si mostra la possibilità di

sfruttare l'osmosi per azionare movimenti reversibili.

Il fatto di esserci riusciti usando una comune batteria

e dei tessuti flessibili suggerisce la possibilità di creare

robot soffici facilmente adattabili all'ambiente

circostante, senza creare danni a oggetti o esseri viventi.

Le possibili applicazioni potranno spaziare dalle

tecnologie indossabili allo sviluppo di braccia

robotiche flessibili per esplorazione.

La sfida nell'imitare le capacità delle piante di

muoversi in ambienti mutevoli e non strutturati

è appena iniziata.

In questo contesto, Mazzolai e il suo gruppo

sono coinvolti in nuovo progetto, il progetto

GrowBot, finanziato dalla Commissione Europea

nell'ambito del programma FET Proactive che

prevede lo sviluppo di un robot che, non solo

sia in grado di riconoscere le superfici a cui

attaccarsi o i supporti a cui ancorarsi, ma riesca

a farlo mentre cresce e si adatta all'ambiente

circostante.

Proprio come fanno in natura le vere piante

rampicanti.

 
 
 

Una terra rara per le memorie quantistiche

Post n°2168 pubblicato il 29 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

30 luglio 2018

Una terra rara per le memorie quantistiche  (Cortesia: Unige) 

L'itterbio, un elemento delle cosiddette

terre rare, è l'ideale per realizzare memorie

quantistiche in grado di intrappolare e

sincronizzare ad alta frequenza i fotoni che

garantiscono una crittografia delle

comunicazioni digitali(red)

computer sciencemateriali

Una rete di computer che basano il loro

funzionamento sulla meccanica quantistica,

con una capacità di calcolo inarrivabile per

le macchine attuali basate sull'elettronica.

E anche impossibili da violare senza distruggere

l'informazione stessa.

È uno degli obiettivi della computer science, e

da oggi sembra più vicino, grazie al risultato 

descritto su "Nature Materials" da ricercatori

dell'Università di Ginevra in collaborazione con

il CNRS francese.

Cuore del risultato è una memoria quantistica

a base dell'elemento chimico itterbio, che soddisfa

importanti richieste tecniche che erano fuori portata.

La crittografia quantistica oggi usa fibre ottiche

lunghe centinaia di chilometri, protette da un

elevato grado di sicurezza.

Chi volesse infatti copiare o intercettare l'informa-

zione che trasmettono determinerebbe la

scomparsa dell'informazione stessa.

La volatilità dell'informazione veicolata da

questi sistemi rende tuttavia anche impossibile

amplificare il segnale e propagarlo su distanze

ancora più lunghe.

Una terra rara per le memorie quantistiche

Particolare del dispositivo che ha testato la

nuova memoria a base di itterbio.

(Cortesia: Unige) Per aggirare il problema, i 

ricercatori stanno lavorando su memorie quantistiche

in grado di catturare i fotoni che viaggiano attraverso

le fibre ottiche e di sincronizzarli in modo da poterli

diffondere su distanze sempre più grandi.

Ma finora è mancato un materiale giusto per

questo scopo.

"La difficoltà era trovare un materiale in grado

di isolare dai disturbi ambientali l'informazione

quantistica veicolata dai fotoni, in modo da tenerli

fermi per un secondo circa e poterli sincronizzare",

ha commentato Mikael Afzelius, coautore dello

studio.

"Inoltre, bisogna considerare che i fotoni

viaggiano a quasi 300.000 chilometri al secondo".

In altre parole, il materiale dovrebbe essere

assai ben isolato dal contesto e in grado di

immagazzinare ripetutamente fotoni con

un'altissima frequenza. E queste due richieste

sono in contrasto tra loro.

L'idea dei ricercatori che si occupano di questo

campo d'indagine è usare qualche membro delle

cosiddette terre rare, un gruppo di 17 elementi.

Alcuni test effettuati in passato con elementi

come europio e praseodimio però avevano dato

risultati negativi.

"Così ci siamo rivolti a un elemento che finora

aveva ricevuto scarsa attenzione: l'itterbio, che

ha numero atomico 70", ha spiegato Nicolas Gisin.

Collocando l'itterbio in un campo magnetico con

caratteristiche opportune gli autori hanno osservato

che l'atomo di questo elemento diventa insensibile

ai disturbi ambientali.

Ciò lo rende la soluzione ideale per intrappolare

i fotoni e sincronizzarli.

Gli autori hanno trovato in sostanza un 'punto

magico' variando l'ampiezza e la direzione del

campo magnetico: in corrispondenza di questo

punto, il tempo di coerenza dell'itterbio, cioè il

tempo medio dopo il quale l'atomo viene disturbato

dall'ambiente circostante, aumenta di oltre 1000

volte, pur lavorando ad alte frequenze.

Raggiunto questo risultato, la prospettiva è 

realizzare memorie e reti quantistiche a base

d'itterbio.

"Questo materiale apre la strada alla possibilità

di ottenere un network quantistico globale: è da

sottolineare quanto sia importante in questo tipo

di studi portare avanti la ricerca fondamentale

parallelamente a quella applicativa", hanno

concluso i ricercatori.

 
 
 

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