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Messaggi del 15/07/2020

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Post n°3185 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: post riportato dall'Internet

La mia Itaca..in un giorno di pioggia...

Post n°4633 pubblicato il 17 Giugno 2020 da g1b9 Tag: C.Kavafisgiovanna

La mia Itacametafora del viaggio della vita

Come ogni giorno, dall'inizio di questo giugno

strambo,piove; nonostante fulmini e tuoni

come bombe, piove .

Piove come era la pioggerellina di marzo di un tempo,

gentile, argentina, quasi un canto di angeli su un

orchestra di demoni, che  si sforzano di terrorizzare.

Il cielo ha mille sfumature di grigio, le nuvole si rincorrono

aprendo spazi di un incredibile  blu-

Il tipico odore di temporale non c'è,ma il vento trasporta

i profumi di questa stagione,tiglio e gelsomini, estate che

somiglia per metà della giornata ad un incipit di autunno,

verdissimo.

Amo la pioggia, da sempre, ma ora vorrei tanto un po' di

sole a scaldare le mie ossa, ad accompagnarmi in una

passeggiata in giardino, a regalare al mio viso un tocco

lieve di abbronzatura.

Che fare? forse è il giorno adatto per un po' di introspezione,

di sintesi, il giorno  adatto per rileggermi ed imparare ancora

da questa stupenda poesia di Costantino Kavafis:

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

Come è stato il mio viaggio verso Itaca?

Migliaia di pensieri si accavallano ai ricordi e non

so da dove cominciare a raccontarmi, non so se

ridere, piangere, o solo osservare una vita che si

puo far scorrere come un vecchio film, un po' in

bianco e nero, un po' a colori sgargianti.

Itaca è là, da sempre ; attende i viandanti che

attracchino le  loro imbarcazioni,  Itaca è là, ma mi

piacerebbe che questo tratto di mare fosse come

la tela di  Penelope al contrario...ogni tanto si

allungasse un poco.  

Il mio corpo è stanco, dolente, ma la mente non

è sazia, il  cuore malandato ,  ma  può attendere

un altro po' prima che Argo gli lecchi dolcemente

le ferite-


 

 

 
 
 

Notizie dal mondo dei fossili....

Post n°3184 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

14 luglio 2020

L'antico pesce fossile che rivela l'origine dei denti

Illustrazione del possibile aspetto del pesce fossile

appartenente al gruppo degli acanthothoraci

(©Jan Sovak) L'origine di alcuni tratti caratteristici

della dentizione di molti degli attuali vertebrati, come

l'ancoraggio dei denti alle ossa, risale a circa 400 milioni

di anni fa: lo rivela un'analisi a raggi X dei resti fossili

di un pesce primordiale.

C'è voluta la più potente sorgente di raggi X del mondo

ma alla fine l'analisi dei resti di un pesce vissuto circa

400 milioni di anni fa ha rivelato le caratteristiche

sorprendentemente moderne della sua dentizione, alcune

delle quali sono condivise da decine di migliaia di specie

attuali di vertebrati dotati di mandibola, tra pesci ossei,

pesci cartilaginei, rettili e mammiferi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista "Science" da Per Ahlberg,

dell'Università di Uppsala e colleghi di una collaborazione

internazionale, permette di ricostruire particolari importanti

dell'origine e dell'evoluzione della dentizione, un quadro

abbastanza definito nei suoi contorni ma che manca ancora

di particolari importanti.

Si ritiene infatti che i denti ancestrali siano comparsi per la

prima volta tra 430 e 360 milioni di anni fa nei pesci

placodermi dell'ordine estinto degli artrodiri, dotati di potenti

mascelle e massicce placche ossee a protezione della testa e

della parte anteriore del tronco.

Negli artrodiri, l'anatomia e i meccanismi di formazione dei

denti erano differenti da quelle degli attuali vertebrati. 

Per capire le linee evolutive dei denti ancestrali, gli autori

hanno concentrato la loro attenzione su un piccolo gruppo

di placodermi, gli acanthothoraci, probabilmente più primitivi

degli artrodiri, e strettamente imparentati con i pesci ossei

attuali.

L'occasione di un'analisi approfondita della loro dentizione

è stata offerta dai resti fossili di uno di questi pesci scoperto

circa un secolo fa nei pressi di Praga, e dalla potenza del

sicrotrone europeo ESRF, i cui raggi X possono essere utilizzati

per ricavare immagini tridimensionali ad alta definizione delle

parti interne dei campioni senza distruggerli.

I ricercatori hanno scoperto che i denti degli acanthothoraci,

come quelli degli  artrodiri, erano ancorati alle ossa, il che

indica che i pesci ossei e gli animali terrestri che derivano

da essi  conservano un tratto evolutivamente molto antico.

A denti stretti

di Peter S. Ungar
Ciò implica anche che i denti dei pesci cartilaginei come

gli squali, che sono ancorati al derma e non alla cartilagine

della mascella, sono un tratto più recente, e non ancestrale

come ritenuto finora.

Un'altra caratteristica invece segna la differenza degli

acanthothoraci rispetto agli artrodiri: i denti nuovi

sostituiscono quelli vecchi partendo dall'interno della bocca

e andando verso l'esterno, così come avviene nei pesci

cartilaginei e in quelli ossei.

"Queste scoperte cambiano tutta la nostra comprensione

dell'origine dei denti: anche se gli acanthothoraci sono tra i

più primitivi di tutti i vertebrati mandibolari, i loro denti

per certi versi sono molto più simili a quelli moderni che a

quelli degli artrodiri", ha spiegato Ahlberg.

"Le loro ossa mascellari assomigliano a quelle dei pesci ossei

e sembrano essere direttamente ancestrali alle nostre.

Quando al mattino si sorride allo specchio del bagno, i denti

di quel sorriso possono far risalire le loro origini ai primi

vertebrati dotati di mandibola". (red)

 
 
 

I mici per sempre....

Post n°3183 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Le riflessioni di Blogteca.....

Buongiorno,

nel post di seguito pubblicato c'è una notizia meritevole

di essere annunciata ai quattro venti: i cani ed i gatti sono

sempre stati presenti nella vita privata e nella sfera affettiva

dell'uomo dalla notte dei tempi, delle presenze continue

e per sempre, anche nell'aldilà, come celebravano gli antichi

egizi nelle onoranze funebri e con molta barbarie: non è

giusto uccidere gli animali vivi per seppellirli con i padroni

morti. Una usanza barbara che, a quanto pare, si vorrebbe

rimettere in auge in molte regioni italiane nel secondo secolo

dopo Cristo, per lo stesso motivo degli antichi egiziani, ap-

parentemente ma, si sospetta, per un aberrante motivo

economico: tagliare le spese dei canili e dei gattili, che poi sono

anche peggio, se vogliamo, per i poveri 4 zampe.

 
 
 

I mici sulla Via della Seta....

Post n°3182 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

10 luglio 2020

In compagnia dei gatti sulla Via della Seta di mille anni fa

 

©Maike Glöckner/MLU L'analisi dei resti di un gatto scoperti in

Kazakhstan e datati tra il 775 e il 940 d.C. rivela che era stato un

animale di compagnia, nutrito e curato con affetto dai suoi proprietari,

che facevano parte degli Oghuz, una tribù di pastori nomadi che

vivevano nella zona.

La scoperta testimonia un cambiamento culturale notevole, che si

riteneva avvenuto in Asia centrale molto più di tardi

Mille anni fa, sulla Via della Seta, i gatti facevano compagnia ai

pastori, che già all'epoca dedicavano loro cure e affetto.

È quanto ha concluso un gruppo internazionale di ricercatori della

Martin Luther University Halle-Wittenberg (MLU), della Korkyt-Ata

Kyzylorda State University in Kazakhstan, dell'Università di Tubinga

e della Scuola di studi economici superiori in Russia, che

 presenta su "Scientific Reports" una dettagliata ricostruzione del

rapporto tra esseri umani e gatti sulla base degli scavi condotti a

Dzhankent, un insediamento altomedievale nel sud dell'attuale

Kazakhstan.

Situato nella parte settentrionale della Via della Seta, che collegava

l'Asia centrale e orientale con i paesi del Mediterraneo, l'insediamento

è considerato la capitale degli Oghuz, una tribù di pastori nomadi.

Nel sito, gli autori hanno scoperto lo scheletro di un gatto molto ben

conservato, datato tra il 775 e il 940 d.C.

Si tratta di un ritrovamento piuttosto raro, perché l'animale aveva avuto

una sepoltura vera e propria, cosa non frequente nella documentazione

archeologica relativamente ai gatti (a differenza dei cani).

Di conseguenza, l'intero cranio, compresa la mascella inferiore, parti

della parte superiore del corpo, le gambe e quattro vertebre si sono

conservate molto bene, e hanno potuto essere esaminate approfondita-

mente, permettendo di trarre conclusioni sistematiche sulla vita

dell'animale.

Gli autori hanno acquisito  immagini tridimensionali e a raggi X delle

ossa, per poi procedere a un'analisi degli isotopi dei diversi elementi

contenuti, raccogliendo indicazioni importanti sulla dieta.

I dati hanno mostrato che il gatto non aveva avuto una vita facile.

"Aveva subìto molte fratture nel corso della vita" ha spiegato Ashleigh

Haruda, della MLU, e tuttavia è sopravvissuto oltre il primo anno, segno

che qualcuno si era preso cura di lui.

Gli isotopi hanno mostrato inoltre che aveva avuto un'alimentazione

molto ricca di proteine rispetto ad altri gatti dell'epoca e ai cani ritrovati

nello scavo.

"Deve essere stato nutrito dagli esseri umani perché nella parte finale

della sua esistenza aveva perso tutti i denti", ha aggiunto Haruda.

Importanti anche le indicazioni emerse dalle analisi genetiche:

il DNA dell'animale ha dimostrato che si trattava di un gatto domestico

della specie Felis catus L. e non di un gatto selvatico della steppa,

una specie strettamente imparentata. 

Secondo gli autori, i dati raccolti suggeriscono che già all'epoca ci

fossero gatti da compagnia, un fatto indicativo di un profondo mutamento

sociale.

"Gli Oghuz tenevano gli animali con sé solo quando erano essenziali

per la loro vita: cani, per esempio, possono vegliare sul gregge, ma

per i gatti è difficile immaginare un ruolo pratico a quell'epoca",

ha concluso Haruda.

"Il fatto che all'epoca le persone tenessero e curassero animali così

'esotici' indica un cambiamento culturale che si pensava fosse

avvenuto molto più tardi in Asia centrale", una regione ritenuta più

lenta rispetto all'introduzione di innovazioni nell'agricoltura e

nell'allevamento del bestiame. (red)

 
 
 

Il segreto dell'adattabilità....

Post n°3181 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

09 luglio 2020

Nei supergeni il segreto dell'adattabilità

Alcune specie di girasoli selvatici si sono

adattate a vivere sulle dune di sabbia

(© Nolan C. Kane/University of Colorado Boulder)

  Il ruolo dei grandi gruppi di geni che vengono

ereditati insieme è molto più importante di quanto

ritenuto finora, soprattutto per la capacità delle

specie di adattarsi ai diversi habitat.

Lo rivela un nuovo studio sui girasoli selvatici in cui

i tratti più vantaggiosi si devono a ben 37 di questi

supergeniDimensione dei semi, tempi di fioritura,

capacità di resistere agli stress come la siccità o la

limitata disponibilità di nutrienti: per le piante questi

sono tratti fondamentali per adattarsi all'ambiente

che possono associati ad alcuni massicci gruppi di

geni, chiamati supergeni, che vengono trasmessi

insieme. E nei girasoli selvatici ce ne sono ben 37,

secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista

"Nature" da  Marco Todesco genetista dell'Università

della British Columbia (UBC) e colleghi di una

collaborazione internazionale.

Per via della loro diversità e della loro capacità di

adattarsi anche ad habitat inospitali, i girasoli selvatici

sono diventati un sistema modello per gli studi evolutivi.

Todesco e colleghi hanno sequenziato i genomi di oltre

1500 piante di tre specie diverse: Helianthus annuus

 (il girasole comune), Helianthus petiolaris e Helianthus

argophyllus (detto anche girasole a foglie d'argento,

diffuso in Nord America).

Hanno poi esaminato le possibili associazioni delle varianti

genetiche riscontrate nei genomi con più di 80 tratti

manifestati dalle piante durante la crescita, con le

caratteristiche del suolo e con il clima delle loro popolazioni

di origine.

Il risultato è la più grande e completa dimostrazione

ottenuta finora del fatto che i riarrangiamenti della

struttura cromosomica che sono in gran parte responsabili

della creazione dei supergeni hanno un ruolo fondamentale

nell'adattamento all'ambiente e nella nascita di nuove specie.

"Siamo rimasti abbastanza sorpresi: casi in cui i singoli

supergeni controllavano i tratti adattativi erano già stati

segnalati in precedenza, ma non era chiaro se questa

fosse la regola o riguardasse solo un piccolo numero

di bizzarre eccezioni", ha spiegato Todesco.

"Abbiamo scoperto che i supergeni hanno un ruolo

pervasivo nell'adattamento, e possono essere veramente

massicci".

A stupire sono anche le dimensioni dei supergeni: il più

grande tra quelli identificati nello studio è infatti più

grande di molti cromosomi umani: è composto da 1819

geni e da più di 100 milioni di coppie di basi (le lettere

che compongono l'alfabeto dell'ereditarietà genetica).

Un esempio di adattamento particolarmente significativo

è quello avvenuto nella zona costiera del Texas tra i diversi

habitat della pianura, delle dune di sabbia e delle isole

antistanti: un supergene di 30 milioni di coppie di base

controlla una differenza nel tempo di fioritura di oltre due

mesi e mezzo tra i girasoli delle isole e quelli della pianura.

Gli autori sottolineano infine che in alcuni casi la specie

donatrice del supergene potrebbe essere estinta.

"Ipotizziamo che una specie arrivata in un nuovo habitat

possa 'rubare' i supergeni adattativi da una specie locale

affine, per poi sostituirla", dice Todesco.

"Potremmo chiamare 'supergene fantasma', questo

contributo persistente di una specie che non esiste più". (red)

 
 
 

Buone nuove per gli studenti...

Post n°3180 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Le riflessioni di Blogteca....

Buongiorno,

per gli studenti ci sono buone nuove in arrivo: 

finalmente, dopo millenni, la formula matematica

di Archimede va in soffitta. Nel post di seguito la lieta novella,

ovviamente, la cosa darà un grande dispiacere

ai docenti di matematica che, conservatori come 

sono, vivranno la cosa come un affronto ad un grande

del passato e della Grecia classica ed alla loro materia,

in aggiunta.

Si sa che i secoli ed i millenni passano e gli avveni-

menti mandano in soffitta anche le cariatidi dei templi

famosi ed Archimede è ed è rimasto, per secoli, una 

cariatide del sacro tempio della matematica e delle 

scienze.

Per fortuna, nel secondo millennio D.C., il nostro

sta facendo le valigie per sbaraccare dalla vetusta

scuola italiana, ma ci vorrà ancora qualche secoletto

prima che al Miur prendano atto dell'avvenuta partenza

e decidano di comportarsi di conseguenza, visto che 

nella formazione del governo c'è anche il Ministro della

semplificazione e l'auspicato provvedimento sarebbe assai

gradito agli amati studenti del Ministro Azzolina che li ha

veramente presi a cuore. Una scoperta ed un provvedimento

meritevoli di essere annunciati in tutto il mondo.

Speriamo in bene, che la cosa avvenga presto......

 
 
 

La formula matematica di Archimede va in soffitta...

Post n°3179 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Home » Scienza

Il liceale di Monfalcone che ha creato una

formula matematica in grado di superare

Archimede

Di Giovanni Macchi

InstagramFrancesco Bulli è un liceale di

Monfalcone che è riuscito a scoprire una

formula matematica che permette di risolvere

determinati problemi in maniera più veloce

rispetto al teorema di Archimede.

Il sedicenne ha spiegato al Corriere della Sera

la sua intuizione: "Archimede dice che l'area

di un segmento di parabola equivale ai 4/3

dell'area del triangolo iscritto a esso, cioè ai 2/3

dell'area del parallelogramma circoscritto, ma

per trovarla il procedimento era lunghissimo.

Così sono partito dall'unico dato noto che avevo,

i coefficienti della parabola e della retta, e ho

ottenuto il risultato con una formula algebrica

applicabile direttamente a tutti i problemi dello

stesso tipo".

Il liceale, che gioca a calcio nelle giovanili della

Triestina e suona il violino con ottimi risultati,

ha scoperto una formula matematica sconosciuta

e capace di competere con Archimede.

La sua professoressa, Caterina Vicentini, l'ha infatti

segnalata a due delle più importanti riviste del settore.

Al Corriere Michel Roelens, editore di Uitwiskeling -

una delle due riviste - ha spiegato: "Per gli allievi

più grandi l'area del segmento parabolico è un

problema da risolvere con l'uso degli integrali ma

Francesco, in terza, ancora non li conosce.

La sua è una formula originale.

È eccezionale che a scoprirla sia stato un ragazzo

così giovane e in maniera spontanea.

Al Corriere parla anche l'insegnante che spiega come

Francesco domini la materia in modo intuitivo e

spiega come all'interno del compito:

"Di errori non ce n'erano. Ho verificato io stessa.

Dava sempre il risultato corretto. Il primo brivido

per la schiena l'ho avuto allora". 

 
 
 

Altra bufala sulle borracce di acciaio...

Post n°3178 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo ripportato dall'Internet

Home » Scienza

Le borracce di acciaio e alluminio rilasciano

metalli pericolosi nell'acqua:

lo studio

Di Giulia AngelettiPubblicato il 6 Giu. 2020 

Uno studio condotto dal Dipartimento di

Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell'Università

 La Sapienza di Roma, promosso da Fondazione

Acqua, dimostra che le borracce di acciaio e alluminio

rilasciano quantità di metalli ai limiti di legge nell'acqua.

La ricerca, condotta su 20 tipologie di borracce

comuni di diversi materiali che sono state riempite

e svuotate di acqua per quattro settimane, ha infatti

rilevato che su 40 elementi metallici, semimetallici

e non metallici "tutte le borracce analizzate ne hanno

rilasciati un po' ma con risultati molto variabili da

borraccia a borraccia e spesso caratterizzati da cessioni

multielemento anche di alluminio, cromo, piombo,

nichel, manganese, rame, cobalto".

A spiegare i risultati del nuovo studio, che arriva in un

momento storico in cui l'utilizzo di questo tipo di

borracce ha visto un grande incremento per via delle

battaglie condotte per ridurre e disincentivare

l'utilizzo della plastica, il professor Matteo Vitali al

 Corriere.

Le sostanze sarebbero rilasciate "in maggior quantità

da borracce metalliche e in maniera molto più ridotta

da quelle di plastica".

"Per quest'ultime - spiega Vitali

- abbiamo anche cercato gli ftalati e il bifenolo A,

composti chimici usati come eccipienti dei materiali

plastici normalmente ricercati perché hanno un profilo

di tossicità.

Dalla nostra ricerca, che ha permesso di ottenere più

di 24.000 risultati analitici, non ne abbiamo trovato

traccia".

L'acqua utilizzata ai fini della ricerca è stata

opportunamente demineralizzata, in modo tale da

permettere agli studiosi di intercettare il rilascio di

sostanze; la quantità di metalli rilasciati, comunque,

non andrebbe a superare "i parametri imposti per

legge".

Il problema, però, è che "queste cessioni si sommano

ai metalli spesso presenti nell'acqua potabile di rubinetto

con il rischio, per chi usa abitualmente le borracce, di

oltrepassare facilmente le soglie considerate sicure

per la salute".

La quantità di elementi chimici rilasciati, secondo lo studio,

è comunque "da attribuire sia alla qualità del materiale

di fabbricazione che alle modalità di lavorazione".

Se acquistiamo una borraccia di acciaio o alluminio,

dunque, dobbiamo fare attenzione nel controllare se

questa "è identificata con il marchio Ce o il simbolo per

uso alimentare", oltre che verificarne la rintracciabilità

"e quindi vedere se ha il numero di lotto che consente

di risalire a chi l'ha prodotta". "L'interno di una borraccia

- spiega sempre il professore - dovrebbe essere liscio

e il più possibile privo di saldature.

Io consiglio anche di annusarle, alcune hanno un odore

terribile. Vietatissimo, poi, l'uso di acqua gassata e di

bibite".

 
 
 

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