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Messaggi del 13/03/2020
Post n°2570 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Mammut congelato per 12.400 anni, il suo corpo è rimasto intatto AMBIENTE Rinaldo Cilli 7:00 5 Aprile 2016 Considerando l'aumento globale delle temperature e lo scioglimento del permafrost che ricopre numerose e vaste zone della Siberia, diversi antichi oggetti nascosti stanno gradualmente emergendo. Cinque anni fa un gruppo di scienziati era alla ricerca di alcune zanne di Mammut Lanoso che, se vendute, possono portare ad un'ingente somma di denaro. Quello che è successo, però, ha dell'incredibile: gli esperti, infatti, hanno rinvenuto quello che è il muso di un cucciolo di mammut congelato nel ghiaccio del Pleistocene. Già nel 2015 venne scoperto un altro cucciolo proprio vicino a quello ritrovato in questi giorni e gli scienziati ritengono assai probabile che possano trattarsi di due fratelli. Quel che è importante, tuttavia, è che entrambi i corpi si sono conservati in questi anni in maniera davvero incredibile, ottimale. Recentemente, un team di scienziati riuniti nella regione della Yakutia ove sono stati rinvenuti i reperti, hanno scoperto che il corpo del piccolo cucciolo dimammut era ripiegato e ricoperto di fango; gli artigli spuntavano fuori dai piedi pelosi, mentre i denti ingialliti erano ancora racchiusi all'interno della bocca, che parzialmente ha perso la sua colorazione originale. Gli scienziati hanno rimosso il cervello del cucciolo che, come da loro stessi riferito, era intatto per il 70/80%. "E' rarissimo trovare un mammifero carnivoro intanto con la pelle , la pelliccia e gli organi interni e pochissime volte è accaduto nella storia" riferisce Sergei Fyodorov, capo del Museo Mammoth, nel nord-est della Yakutia. ARTICOLI CORRELATI
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Post n°2569 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Norvegia: lo scioglimento dei ghiacci rivela reperti dell'Età del Bronzo ATTUALITÀ Angelo Petrone 18:11 23 Giugno 2017 Tra i pochi effetti positivi del riscaldamento globale c'è sicuramente il ritorno alla luce di reperti nascosti da millenni nelle profondità dei ghiacci. E' quanto è accaduto nei giorni scorsi in Norvegia dove sono stati scoperti, al di sotto dei ghiacciai, oggetti di oltre 4.500 anni fa. Una scarpa, un bastone da passeggio, ma soprattutto delle antichissime iscrizioni runiche in grado di far luce sul mondo lontanissimo dell'Età del Bronzo. I ritrovamenti fanno luce sul passato delle regioni settentrionali della Scandinavia e precisamente dell'altopiano di Hardangervidda dimostrando come anche queste aree così remote fossero pienamente integrate sui processi di sviluppo che hanno caratterizzato il continente migliaia di anni prima di Cristo. Le tracce dimostrano come l'area fosse abitata da un tipo di insediamento stagionale, forse attivo solo dal mese di giugno ad ottobre sia nell'Età della Pietra (8.000-5.000 a.C.) che nell'Eta' del Bronzo (3500 a.C. al 1200 a.C.). Secondo gli esperti gli abitanti erano impegnati soprattutto nell'allevamento delle renne con la produzione di pettini, spille e vai attrezzo attraverso le corna mentre le pelli erano usate per il vestiario da utilizzare durante l'inverno. Un'attivtà economica che ha caratterizzato la Norvegia nei secoli a seguire. |
Post n°2568 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Canada: scoperto il fossile di dinosauro meglio conservato di sempre ATTUALITÀ Angelo Petrone 16:55 4 Agosto 2017 E' il fossile di dinosauro meglio conservato di sempre quello portato alla luce dai Paleontologi del museo Royal Tyrrell del Canada. Si tratta del Borealopelta markmitchelli un genere di nodosauro , una particolare specie di dinosauro erbivoro, corazzato ed appartenente al gruppo degli anchilosauri. La scoperta risale al 21 marzo del 2011, quando un lavoratore di una miniera nella provincia di Alberta, in Canada, avvistò una strana formazione toccata da un escavatore. Dopo un duro lavoro di sei anni il dinosauro è stato estratt o interamente mostrando delle caratteristiche uniche nel suo genere. Una straordinaria conservazione caratterizza il fossile che mostra l'armatura in tutti i suoi dettagli come anche la pelle. Grazie alla scoperta di melanosomi, gli esperti sono stati in grado di risalire anche alla colorazionedell'animale tipicamente rossastra. Una serie di caratteristiche che hanno spinto gli esperti a definire il dinosauro appena scoperto come la "Monna Lisa dei fossili". IlBorealopelta markmitchelli, questo è il nome dato dagli esperti, visse circa 110 milioni di anni fa, nel Cretaceo, era caratterizzato da una lunghezza di 5,5 metri per un peso di 1,5 tonnellate. Per sfuggire ai predatori l'animale aveva assunto una particolare tonalità così da mimetizzarsi nell'ambiente circostante. |
Post n°2567 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Disco di Libarna: rivelata la funzione dell'antico oggetto ATTUALITÀ Angelo Petrone 11:17 9 Ottobre 2017 Un piccolo oggetto di forma circolare, portato alla luce in Piemonte, ha fatto discutere gli studiosi italiani e non sulla sua reale funzione. Si tratta del Disco di Libarna, uno strumento risalente al primo secolo avanti Cristo e, secondo le ricerche degli esperti, utilizzato per individuare il nord celeste e l'alternarsi delle fasi lunari. A rivelare la reale funzione del disco è Guido Cossard, docente di archeo-astronomia. L'obbiettivo degli esperti, nella costruzione delle città, era che fos- sero in armonia con lo spazio. Per raggiungere questo scopo, spiega l'esperto, era necessario che il cardo, ovvero la strada principale che determinava l'orientamento dell'insediamento, fosse in posizione con quello dello spazio. I cinesi effettuavano la determinazione del corretto orientamento della città attraverso un disco forato, chiamato Pi, già dal sesto secolo avanti Cristo. Un funzione molto simile al Disco di Libarna,scoperto dagli archeologi nella città che omonima localizzata a Serravalle, in Piemonte. Il disco misura pochi centimetri di diametro, si compone di due facce, una divisa in tredici lunette, l'altra in quattro settori di forma circolare ad indicare l'andamento delle stagioni legate alle tre lunazioni ed ai quattro anni solari. IlDisco di Libarna verrà presentato a Genova il 27 ottobre nell'ambito del Festival della Scienza. |
Post n°2566 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Ecco come hanno fatto i coccodrilli a sopravvivere alle estinzioni di massaHOMETOP NEWS 11 Marzo 2020 Top news, Zoologia Come hanno fatto i coccodrilli a restare in vita nonostante le varie estinzioni di massa occorse da quando hanno messo piede sulla Terra? È la domanda cui un team di ricercatori del Milner Center for Evolution dell'Università di Bath ha cercato di rispondere. I coccodrilli sono effetti uno dei lignaggi più antichi sopravvissuti fino ad oggi. Sono sopravvissuti in particolare a due estinzioni: quella del tardo cretaceo, ossia quella più nota che ha cancellato dal globo i dinosauri 66 milioni di anni fa, e un estinzione minore dell'eocene, avvenuta 33,9 milioni di anni fa, l'estinzione che comunque ha spazzato via tantissime specie acquatiche. Non è il primo studio che tenta di dare una risposta a questo enigma. Gli studi precedenti hanno suggerito che la dieta potrebbe aver aiutato questi animali a far fronte a queste condizioni difficili così come il loro comportamento semi acquatico (in sostanza non sono né animali marini e neanche animali terrestri). Un nuovo studio, apparso sul Biological Journal of the Linnean Society, suggerisce però che la risposta è da ricercare nella loro particolare biologia riproduttiva. Il sesso di piccoli di coccodrillo, infatti, è determinato dalla temperatura alla quale vengono incubati dato che questi animali non hanno cromosomi sessuali. Più alta è la temperatura durante la fase dell'incubazione, più è probabile che nascano maschi. È un po' il discorso delle tartarughe solo che per quest'ultime è vero il contrario. Proprio per questo i cambiamenti climatici, che stanno vedendo un riscalda- mento globale in corso, stanno in parte cominciando ad influenzare anche le biologia riproduttiva di questa tipologia di animali. Ad esempio in alcune popolazioni di tartarughe l'80% nasce femmina, qualcosa che potrebbe portare a conseguenze devastanti per questi animali nel prossimo futuro. Ritornando ai coccodrilli, gli scienziati hanno analizzato 20 specie diverse, provenienti da ogni parte del mondo, scoprendo che le specie più piccole tendono a vivere più vicino all'equatore mentre le specie più grandi tendono a vivere a latitudini più elevate e in climi più temperati. Hanno inoltre scoperto che le temperature di incubazione non sono correlate alla latitudine. Questo significa che i coccodrilli potrebbero non essere minacciati in futuro, così come lo sono invece le tartarughe, dai cambiamenti climatici in relazione ai livelli di natalità. Inoltre c'è da aggiungere che gli stessi coccodrilli, a differenza delle tartarughe, si prendono cura dei piccoli (le tartarughe depongono le uova sulle spiagge e lasciano poi i piccoli da soli). Ed è proprio questo approccio più pratico alla genitorialità che ha evidente- mente permesso ai coccodrilli di sopravvivere alle succitate estinzioni di massa. Ciò non vuol dire che coccodrilli non siano globalmente minacciati: ci sono attività umane che, per questi animali, potrebbero essere considerate un fattore più minaccioso di un'estinzione di massa. |
Post n°2565 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
I coralli si stanno preparando ad una nuova estinzione di massa 5 Marzo 2020 Top news, Zoologia Un interessante studio pubblicato su Scientific Reports mostra che i coralli pietrosi, specie di coralli molto importanti perché forniscono alimenti e ripari a moltissime specie marine oceaniche, si stanno santamente preparando ad un importante evento di estinzione. I ricercatori hanno infatti scoperto che questi coralli stanno cominciando a mostrare una serie di caratteristiche, in relazione ai tentativi di sopravvivere, che corrispondono alle stesse carat- teristiche che sembrano essere occorse poco prima della loro ultima grande estinzione di massa, avvenuta 66 milioni di anni fa. I ricercatori hanno rintracciato queste caratteristiche antiche grazie alle analisi dei fossili che questi coralli hanno lasciato nei mari. Confrontando questi fossili con i dati inseriti nella lista rossa della International Union for Conservation of Nature (IUCN), un database con diverse informazioni sullo stato di conservazione di diverse specie animali, compresi i coralli, i ricercatori hanno trovato risposte inquietanti. David Gruber, biologo marino di Graduate Center, CUNY e Baruch College, afferma chiaramente che sembra che i coralli si stiano preparando ad evitare una nuova estinzione di massa. L'ultima estinzione avviene 66 milioni di anni fa, nel periodo che seguì all'impatto dell'asteroide e della scomparsa, tra gli altri, anche di dinosauri. I coralli sembrano oggi, così come in quel periodo, affrontare una diminuzione del 18% delle colonie, una diminuzione del 18% nella fotosimbiosi e una riduzione del12% nell'occupazione degli habitat poco profondi. Inoltre hanno notato che i coralli stanno crescendo più lentamente, il che è una selezione evolutiva che aumenta le possibilità di sopravvivenza. Tutte caratteristiche simili a quelle riscontrate nei fossili di quel periodo. Gli scienziati credono che il tempo di recupero, a seguito di un'estinzione, dei coralli sarà di 2-10 milioni di anni. Tuttavia i coralli che sopravviveranno non saranno come quelli che conosciamo oggi: non potranno "costruire" scogliere come quelle delle barriere coralline ma saranno piccoli, vivranno in colonie piccole e a crescita lenta e vivranno più in profondità, come spiega Gal Dishon, biologo marino dell'Università della California e primo autore dello studio. "I coralli sono un gruppo così sensibile di creature marine, sono essenzialmente il canarino nella miniera di carbone", dichiara Gruber. |
Post n°2564 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Scoperto nuovo senso dei cani: rilevano calore tramite il naso 2 Marzo 2020 Top news, ZoologiaTermografia di cane a temperatura ambiente: si può notare la punta del naso molto più fredda dell'area circostante perché più umida (credito: Doi: 10.1038/s41598-020-60439-y | È una sorta di "nuovo senso" quello scoperto nei nasi dei cani da un team di ricerca dell'Università del Colorado a Boulder. Si tratta di una "scoperta affascinante", come la descrive l'etologo Marc Bekoff, un esperto di fiuto canino non coinvolto nello studio. Secondo i ricercatori, infatti, i cani con i loro nasi possono non solo fiutare ma anche percepire i livelli di calore corporeo dei mammiferi senza un tocco diretto e quindi ad una certa distanza. Non si tratta di una capacità unica in assoluto: quella di percepire il calore radiante da parte degli esseri viventi è una caratteristica presente anche in alcuni coleotteri, in alcune specie di serpenti e in una specie di mammifero, il pipistrello vampiro. I ricercatori hanno infatti scoperto che la rinaria dei cani, l a zona nuda e liscia sulla punta del naso intorno alle narici, è umida, più fredda della temperatura ambiente ed è molto ricca di nervi. Proprio in base a queste caratteristiche, i ricercatori hanno subito pensato che il naso dei cani potesse essere capace non solo di rilevare l'olfatto ma anche il calore. Per ottenere una conferma hanno eseguito esperimenti su tre cani da compagnia i quali dovevano scegliere un particolare oggetto caldo e uno a temperatura ambiente. I ricercatori posizionavano gli oggetti a 1,6 metri di distanza. Tutti e tre i cani rilevavano con un certo livello di successo gli oggetti che emettevano una radiazione termica. A questo punto i ricercatori hanno scansionato il cervello di altri cani di varie razze tramite risonanza magnetica funzionale nel momento in cui presentavano ai cani degli oggetti che emettevano radiazioni termiche oppure oggetti che non le emettevano. I cani si mostravano molto più sensibili allo stimolo termico caldo rispetto a quegli oggetti neutri che non emettevano alcuna reazione. Questi esperimenti confermano dunque che i cani possono percepire il calore tramite il naso, qualcosa che innesca probabilmente una particolare regione del cervello . Probabilmente gli stessi cani hanno ereditato questa abilità dal loro antenato diretto, il lupo grigio, il quale può fiutare i corpi caldi durante la caccia. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports. |
Post n°2563 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
Studiati denti e diete dei primi canidi nati dall'addomesticamento dei lupi 22 Febbraio 2020 PaleontologiaI ricercatori hanno analizzato denti fossili dei primi canidi risalenti a 28.500 anni fa (credito: Università dell'Arkansas, Journal of Archaeological Science) Nuove analisi di denti ritrovati in un sito della Repubblica Ceca risalenti a 28.500 anni fa forniscono prove che già allora erano in atto tentativi di addomestica- mento precoce dei lupi. I ricercatori hanno eseguito analisi dei denti di quelli che possono essere considerati come i primi canidi, chiamati anche "protocani", scoprendo due diete diverse, una carat- terizzato da cibi duri e fragili, e una caratterizzata principal- mente da carne, proveniente probabilmente dai mammut. Il fatto che questi primi canidi consumassero cibi più duri testimonia il fatto che essi probabilmente consumavano ossa e altri scarti di cibo nelle aree degli insediamenti umani e fornisce una prova del fatto che in questi siti umani esistevano almeno due tipologie di canidi, ognuno con la sua dieta distinta, cosa che dimostra sua volta le prime prove di addomesticamento dei lupi. Questo studio potrà essere utile per cercare di risolvere il dibattito scientifico relativo all'addomesticamento dei lupi e quando questi animali, tramite l'addomesticamento, si siano poi trasformati in cani, qualcosa che dovrebbe essere avvenuto tra 15.000 e 40.000 anni fa. |
Post n°2562 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
HOMEMEDICINA E SALUTESCIENZA DELLA NUTRIZIONE Mangiare di meno allunga la vita e contrasta invecchiamento nei topi 29 Febbraio 2020 Scienza della nutrizione Abstract grafico dello studio (credito: DOI: 10.1016/j.cell.2020.02.008 - Cell) del corpo e in generale vivere più a lungo: è questa, in sostanza, la conclusione di un un nuovo studio apparso su Cell. La ricerca parla chiaramente di "restrizioni caloriche" in termini di benefici per il corpo a seguito di esperimenti fatti sui topi sottoposti a diete ipocaloriche. Non è la prima ricerca che mostra che mangiare di meno allunga sostanzialmente la vita ma si tratta del primo studio che mostra che le restrizioni caloriche hanno influenze a livello di singola cellula e singoli tessuti, come spiega Juan Carlos Izpisua Belmonte, autore senior dello studio. Queste informazioni potrebbero essere utilizzate per sintetizzare nuovi farmaci onde trattare tutte quelle malattie legate all'invecchiamento. Nel corso degli esperimenti i ricercatori hanno confrontato le reazion dei ratti che consumavano il 30% in meno di calorie rispetto ai tratti di un altro gruppo. Ai ratti del primo gruppo venivano imposte restrizioni caloriche dall'età di 18 mesi fino a 27 mesi (un'età paragonabile a quella dai 50 ai 70 anni per gli esseri umani). Isolando 40 tipi di cellule nei ratti degli esperimenti, cellule provenienti da varie parti del corpo come tessuti adiposi, reni, pelle, fegato, midollo osseo, cervello, eccetera, e sequenziando geneticamente le cellule, i ricercatori notavano cambiamenti che si verificavano, a seguito dell'invecchiamento, nei ratti che seguivano una dieta normale. Nei ratti sottoposti a restrizione calorica, questi cambiamenti non si verificavano e molti tessuti e cellule continuavano ad assomigliare a quelli dei ratti giovani. In generale, il 57% dei cambiamenti legati all'età nella composizione delle cellule osservati nei tessuti dei ratti che seguivano una dieta normale non avvenivano nei ratti sottoposti a restrizione calorica. Le cellule e i geni maggiormente influenzati dalla restrizione calorica erano quelli correlati all'immunità, alle infiammazioni e al metabolismo lipidico. Nei ratti che mangiavano di meno, il numero delle cellule immunitarie non veniva influenzato dall'invecchiamento. Ad esempio nel tessuto adiposo bruno, la restrizione calorica ripristinava i livelli di espressione di molti geni antiinfiammatori. Secondo Jing Qu, un autore dello studio nonché professore dell'Accademia Cinese delle Scienze, il risultato principale dietro questo studio sta nel fatto che la risposta infiammatoria legata al sopraggiungere dell'invecchiamento potrebbe essere repressa, anche negli esseri umani, dalla restrizione calorica. |
Post n°2561 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
COMMERCIO ILLEGALE DI SPECIE SELVATICHE Coronavirus, come si è trasmesso all'uomo?
Alcuni scienziati cinesi sospettano che il Coronavirus 2019-nCoV si sia trasmesso all'uomo attraverso i pangolini, piccoli mammiferi ricoperti di scaglie, fortemente a rischio estinzione a causa di un drammatico commercio illegale in Asia e Africa. Dai pipistrelli ai pangolini mammifero con le squame. © WWF-Malaysia Stephen Hogg.jpg Secondo i ricercatori cinesi della South China Agricultural University, a facilitare la diffusione del coronavirus potrebbe essere stato il pangolino, un genere di piccoli mammiferi a rischio di estinzione (8 le specie conosciute), ma intensamente commerciati illegalmente soprattutto per le scaglie che ne ricoprono il corpo. Il genoma del virus rinvenuto nei pangolini, che si suppone essersi sviluppato originariamente nei pipistrelli , è quasi identico (al 99%) al Coronavirus 2019-nCoV rinvenuto nelle persone infette. L'ipotesi non è ancora ufficiale Sebbene i risultati di questo studio non siano ancora stati pubblicati, è noto tuttavia che il commercio illegale di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo è veicolo per vecchie e nuove zoonosi, aumentando il rischio di pandemie che potrebbero avere grandissimi impatti sanitari, sociali ed economici su tutte le comunità coinvolte. Non è la prima volta, infatti, che si sospetta che l'ospite intermedio di una malattia infettiva sia un animale vivo venduto in un mercato cinese: circa 17 anni fa, la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), è comparsa in un mercato cinese che vendeva civette delle palme (dei piccoli mammiferi viverridi). Altre famose pandemie come l'Aids ed Ebola sono state ricollegate ad un passaggio tra animali selvatici (come scimpanzé e gorilla probabilmente bracconati in foresta) e l'ospite umano. Commercio illegale Il commercio del pangolino è illegale dal 2016, quando una risoluzione della CITES (la Convenzione Internazionale che regola il commercio delle specie animali e vegetali minacciate di estinzione) ha bandito qualsiasi tipo di commercio di parti o derivati delle specie di pangolino esistenti. Sono proprio le scaglie, la sua "corazza", che lo rendono ambito dal commercio illegale: fatte di cheratina, come le unghie, secondo diverse superstizioni sarebbero una panacea per molti mali e vengono utilizzate dalla medicina orientale. A questo si aggiunge il fatto che la carne di pangolino viene considerata da alcune comunità asiatiche e africane una vera e propria prelibatezza: ecco perché oggi il mite pangolino è divenuto l'animale più contrab- bandato al mondo. La sottospecie cinese è declinata del 90% dal 1960, proprio a causa del commercio illegale. «La crisi sanitaria legata alla diffusione del coronavirus conferma di come il commercio e l'uso insostenibile degli animali in via di estinzione e delle loro parti, sia per il consumo di cibo che per le credenze su un mai provato valore curativo, non solo rappresenti un danno enorme per la natura ma anche un pericolo sempre più grande per la salute del genere umano. Gli animali selvatici e gli ecosistemi che li ospitano devono essere protetti e rispettati perché le conseguenze delle nostre azioni miopi hanno effetti su tutta l'umanità in tanti sensi, compreso la distruzione di equilibri delicati che sono alla base della nostra salute» dice Isabella Pratesi, Direttore conservazione del WWF Italia. Il WWF, attraverso TRAFFIC (programma internazionale dedicato al contrasto di commercio illegale di fauna e flora selvatici) lavora per la conservazione della biodiversità e lo sviluppo sostenibile in tutto il mondo. |
Post n°2560 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
GEOLOGIALa ricarica magmatica dei Colli Albani, il vulcano a sud di Roma ANDREA DI PIAZZA2 AGO 2018
Circa due anni fa, la pubblicazione di uno studio sul sistema vulcanico dei Colli Albani fece crescere nell'opinione pubblica il timore - probabilmente amplificato dai media e dalla concomitanza con lo sciame sismico nell'Italia Centrale - di una possibile imminente ripresa dell'attività eruttiva del vulcano a sud di Roma. Le conclusioni a cui è giunto questo studio, pubblicato sul Geophysical Research Letters, ovvero che il sistema magmatico sia in fase di ricarica, vengono oggi confermate da un nuovo lavoro a firma di ricercatori dell'Ingv di Roma, in collaborazione con la Facoltà di Scienze Ambientali dell'Università Babes-Bolyai di Cluj-Napoca (Romania), l'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria - CNR IGAG di Roma, l'Ohio State University, l'Università degli Studi della Campania e il CNR di Napoli.
La ricarica magmatica dei Colli Albani La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Geochemistry Geophysics Geosystems ad aprile di quest'anno, mostra come il sistema magmatico del vulcano a sud di Roma stia 'ringiovanendo'. Come confermato dai dati satellitari InSAR, con cui si monitora la deformazione del suolo, negli ultimi 20 anni si è osservato un significativo rigonfiamento del settore occidentale e meridionale del vulcano e contemporaneamente una generale subsidenza del suo settore centrale. Questi dati, combinati con la tettonica dell'area e con le misure di importanti parametri geochimici, hanno permesso di sviluppare un modello di deformazione che si spiega con la cristallizzazione ed il raffreddamento di un corpo magmatico al di sotto dell'area centrale del vulcano (contrazione e dunque subsidenza), e con due zone di lento accumulo di magma al di sotto del settore occidentale e meridionale del vulcano (iniezione di magma e dunque rigonfiamento). Il Vulcano Laziale L'attività vulcanica dei Colli Albani - o Vulcano Laziale - è iniziata circa 600mila anni fa e si è conclusa circa 36mila anni fa. Ad oggi il complesso vulcanico si considera in fase 'quiescente', ovvero in una condizione caratterizzata da manifestazioni di vulcanismo secondario (es. fumarole, mofete, acque calde) senza eruzione di nuovo magma. La composizione geochimica dei fluidi emessi dal vulcano del resto conferma la presenza di una sorgente magmatica profonda ancora attiva. Tra il 1989 ed il 1990, la zona è stata interessata da un importante sciame sismico con oltre 3000 eventi di magnitudo compresa tra 1.5 e 4.0 ed accompagnato dal rilascio di grandi quantità di fluidi ricchi in CO2. Le grandi faglie che tagliano questo settore di crosta terrestre, infatti, agiscono da via preferenziale per la risalita di fluidi e di magma. Tutti questi indizi fanno capire come il sistema magmatico dei Colli Albani si stia lentamente ricaricando, fattore che deve incoraggiare lo sviluppo di una fitta rete di monitoraggio di tutti i parametri geofisici e geochimici con il fine di controllare ogni minimo sussulto del vulcano. Le deformazioni del suolo misurate, inoltre, potrebbero portare a futuri episodi di instabilità dei versanti: questo pone un ulteriore rischio a breve termine per la presenza dei numerosi centri abitati, di importanti infrastrutture e per la vicinanza con la grande area metropolitana di Roma. © RIPRODUZIONE RISERVATA |
Post n°2559 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
PROGETTO ITALIANOL'orto spaziale per coltivare le verdure su Marte MARTA FRIGERIO27 DIC 2017
C'è anche il dipartimento di Fisica dell'Università Statale di Milano tra i partecipanti all'esperimento di biologia HortExtreme, selezionato per la missione Amadee-18 e realizzato in sinergia con l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Il progetto è stato selezionato perché in grado di sviluppare ecosistemi chiusi per la produzione in situ delle risorse necessarie alle missioni umane di esplora- zione del Sistema Solare. I ricercatori del dipartimento di Fisica dell'Università Statale di Milano sono impegnati da anni a realizzare esperimenti in Antartide, sulle Alpi e nello Spazio. «Grazie all'esperienza maturata svolgendo esperimenti scientifici in ambienti estremi e ostili e alla necessità di sistemi di sopravvivenza sia degli umani che della strumentazione, forniremo il contributo necessario all'installazione dei sistemi di coltivazione idroponica - hanno spiegato Francesco Cavaliere e Marco Potenza del dipartimento di Fisica dell'ateneo lombardo -. Questo è il naturale proseguimento dello sviluppo di moduli abitativi resistenti fino a -80°C e a venti oltre i 100 km/h, che porterà allo sviluppo di serre gonfiabili dotate di una rete di sensoristica avanzata per tutti i parametri indispensabili alla vita umana e vegetale su Marte».
Garantire una dieta equilibrata anche nello spazio L'obiettivo dell'orto maziano è quello di garantire un corretto apporto nutrizionale ai membri dell'equipaggio, assicurando un'alimentazione di alta qualità grazie a un sistema di coltivazione idroponica e senza l'uso di pesticidi e agrofarmaci. Per la missione sono state scelte piantine di cavolo rosso e radicchio, verdure che completano il loro ciclo vitale in sole due settimane.
Dal deserto allo spazio Il prototipo dell'orto spaziale sarà spedito il prossimo 15 gennaio da Innsbruck al campo base allestito in Oman, dove a partire dal mese di febbraio e per quattro settimane, l'astronauta Claudia Kobald, insieme ad altri quattro colleghi, porterà avanti la sua missione di simulazione coltivando le verdure. L'orto marziano sarà posizionato nel deserto del Dhofar, scelto come sito per la missione per via di alcune caratteristiche che lo accomunano al Pianeta Rosso Tra queste ci sono le strutture sedimentarie risalenti al Paleocene e all'Eocene, le cupole saline del South Oman Salt Basin e le antiche aiuole fluviali, le superfici sabbiose e rocciose con grande variabilità nell'inclina- zione e un clima tropicale-desertico, con temperature previste a febbraio che variano tipicamente tra 16 e 27 °C. Le precipitazioni sono scarse e in quel periodo raggiungono i 10 mm.
Gli scopi della missione Amadee-18
La missione Amadee-18, che è giunta alla sua dodicesima edizione, punta a studiare e validare gli equipaggiamenti che potranno essere impiegati nel corso delle future missioni umane su Marte; inoltre, si occupa di fornire piattaforme per tecniche di geofisica e per l'identificazione di tracce di vita, nonché valutare la mobilità di rover su un terreno analogo a quello marziano e in una condizione di supporto del team da remoto. © RIPRODUZIONE RISERVATA |
Post n°2558 pubblicato il 13 Marzo 2020 da blogtecaolivelli
STUDIO DEL ROYAL BOTANIC GARDENSCi sono 28mila piante che hanno proprietà medicinali ma che sono ancora poco conosciute MARTA FRIGERIO24 MAG 2017
Il segreto per sconfiggere alcune tra le più gravi malattie del nostro tempo è nelle piante. Secondo uno studio del Royal Botanic Gardens di Kew, infatti, sarebbero ben 28mila le piante con importanti proprietà medicinali. Un tesoro immenso e importantissimo che, se da un lato è ancora tutto da scoprire, dall'altro rischia di scomparire. E, nonostante il loro immenso potenziale, solo il 16% di queste piante è preso in considerazione dal mondo scientifico.
Cure per Parkinson e malaria Il report evidenzia come due piante - Cinchona calisaya e Artemisia annua - siano particolarmente efficaci nel trattamento della malaria, malattia che ogni anno causa la morte di migliaia di persone. Dalle piante potrebbe arrivare anche la cura per il morbo di Parkinson. I ricercatori del Royal Botanic Gardens, infatti, hanno annunciato che ci sono nove differenti specie di rampicanti recentemente scoperte che potrebbero essere usate con successo nel trattamento di questa malattia. Scoperte nuove specie Per censire le piante hanno collaborato 128 studiosi provenienti da 12 Paesi. Grazie anche alle immagini satellitari raccolte è stato possibile classificare per la prima volta 1.730 nuove specie. Tra queste ci sono cinque nuove piante del genere Manihot scoperte in Brasile, sette nuove varietà della famiglia Fabaceae trovate in Sud Africa e che venivano utilizzate per produrre la celebre bevanda rooibos, ma anche una nuova varierà di pastinaca, scoperta in Turchia. Lo studio ha però evidenziato come questo ricco tesoro sia fragile e minacciato. Ogni anno, infatti, 340 milioni di ettari di vegetazione vanno perduti a causa del disboscamento, degli incendi e della crescente urbanizzazione e non senza danni anche economici. Le stime, infatti, parlano di danni per 500 miliardi di euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA |
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