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Messaggi del 14/03/2020

Sulla salute globale.

Post n°2578 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Oms 2019: virus e altri pericoli per la salute globale

Nella lista stilata dall'Organizzazione mondiale

della sanità: pericoli noti, come la resistenza dei

batteri agli antibiotici e l'inquinamento, e nuovi

temi, come la diffidenza verso i vaccini.

L'Organizzazione mondiale della Sanità ha appena

stilato un elenco delle minacce più gravi, per il futuro

imminente, alla salute degli abitanti del pianeta.

Fra pericoli noti e altri che, all'apparenza, non

sembrano riguardarci nel nostro angolo privilegiato

di mondo, c'è una new entry da tempo al centro

dell'attenzione anche da noi: l'esitazione verso le

vaccinazioni. Ecco una sintesi del documento dell'Oms.

Per l'Oms, l'inquinamento dell'aria che respiriamo è la

più grave minaccia ambientale alla salute.

Non a caso, se si considera un dato impressionante:

9 persone su 10 respirano ogni giorno aria con livelli

di inquinamento considerati critici.

Ormai è assodato che gli inquinanti microscopici,

penetrando nelle vie respiratorie e nel sistema

circolatorio, provocano danni diffusi all'organismo.

La stima è che 7 milioni di persone (e probabilmente

anche di più)

muoiano prematuramente ogni anno per malattie

causate dall'esposizione agli inquinanti atmosferici:

dal cancro all'infarto e all'ictus.

Nonostante la stragrande maggioranza di queste

morti sia nei Paesi in via di sviluppo, anche quelli

industrializzati non sono risparmiati.

In Europa, l'Italia ha il record negativo delle morti

stimate dovute all'inquinamento: circa novantamila l'anno.

L'Oms include anche i cambiamenti climatici tra i

pericoli per la salute provocati dall'inquinamento

dell'aria (in questo caso attraverso l'aumento dei

gas serra in atmosfera), con 250.000 morti in più

all'anno attesi tra il 2030 e il 2050 a causa di mal-

nutrizione, malaria, diarrea e ondate di calore.

Avvertimenti di cui, nonostante i dati incontrovertibili

sull'entità del fenomeno in atto, continuiamo a non

tenere conto, un po' come passeggeri che ballano

sul ponte del Titanic.

A provocare il "grosso delle morti" nel mondo sono

malattie non trasmissibili, come il diabete, il cancro

e le malattie di cuore, responsabili di oltre il 70 per

cento dei decessi: 41 milioni di persone, di cui 15

milioni di morti premature (tra 30 e 69 anni).

L'aumento di queste malattie è legato all'invecchiamento

della popolazione, in particolare nei Paesi industrializzati,

ma è anche dovuto in buona parte a fattori di rischio

evitabili: fumo, inattività fisica, eccesso di alcol, alimentazione

scorretta (e, ancora, inquinamento dell'aria).

L'obiettivo primario di prevenzione su cui l'Oms si

concentrerà nei prossimi anni è la riduzione della

sedentarietà.

PANDEMIA DI INFLUENZA.

Non sappiamo ancora quando colpirà, e quanto sarà

grave, ma abbiamo la certezza che prima o poi capiterà

di nuovo che il mondo debba fronteggiare una pandemia

di influenza.

Le autorità sanitarie monitorano costantemente la

circolazione dei virus influenzali e l'emergere di ceppi

potenzialmente più pericolosi del solito, proprio perché

è un evento atteso.

Come distinguere l'influenza vera e propria dai classici

malanni di stagione? Quali sono i sintomi, e quali le

conseguenze su chi ha pregressi problemi di salute?

Come abbiamo imparato a nostre spese, la prontezza

della reazione a un'ipotesi di pandemia è essenziale:

nel 2009, l'anno della famigerata influenza suina,

provocata da un virus del sottotipo H1N1 fino ad

allora presente solo nei maiali (e che ormai circola

regolarmente tra i normali virus influenzali), le

"morti in eccesso", ossia in più rispetto alla casistica

standard di una normale stagione influenzale, furono

300-400.000.

Oggi il vaccino per questo virus è compreso nei

vaccini per l'influenza stagionale.

Il fatto che abbiamo un Servizio sanitario nazionale

improntato a principi di universalità ed equità (e

di cui ricorrevano nel 2018 i 40 anni dall'istituzione)

può far dimenticare che questo è un privilegio

esistente in pochi Paesi del mondo.

Più di un miliardo di persone (il 22 per cento della

popolazione mondiale) vive in Paesi dove manca del

tutto l'accesso alle cure sanitarie di base.

E ci sono anche esempi disastrosi di come basti

poco per perdere il terreno guadagnato: secondo uno

studio appena pubblicato su Lancet Global Health,

la crisi umanitaria in Venezuela ha vanificato i

progressi ottenuti in vent'anni in termini di riduzione

della mortalità infantile, interrompendo un trend

positivo in corso da cinque decenni.

Gli antibiotici sono stati uno dei più grandi successi

della medicina: è soprattutto grazie a questi farmaci,

oltre che alle migliori condizioni di vita, se l'aspettativa

di vita è cresciuta nel Ventesimo secolo dopo essere

rimasta sostanzialmente stabile per gran parte della

storia dell'umanità.

Il pericolo più che concreto, oggi, è che gli antibiotici,

a causa dell'utilizzo sbagliato, smettano di essere

efficaci, minacciando di riportarci a un'epoca -

distante da noi pochi decenni - in cui la più banale

infezione poteva rivelarsi letale.

Oppure far diventare rischiosa una qualunque

operazione di routine in ospedale. È un tema caldo da anni.

Anche in questo caso l'Italia detiene un primato negativo:

è tra le nazioni europee dove si consumano più antibiotici

e con il più alto numero stimato di morti per infezioni

da batteri resistenti.

Nuove speranze nella guerra ai superbatteri

on air, qualità dell'aria, salute

Nuove ricerche: i geni dell'antibiotico-resistenza

sono diffusi anche nell'aria che respiriamo. |

RJN / SHUTTERSTOCK

Nel 2017 l'Oms ha redatto la lista delle famiglie

di batteri che rappresentano la minaccia più concreta,

sollecitando maggiori investimenti nella ricerca di

nuovi antibiotici.

Il gruppo più critico include batteri responsabili di

infezioni che si possono contrarre in ospedale, ormai

resistenti ad alcune classi di antibiotici una volta

considerati salvavita, come i carbapenemi.

Un altro aspetto del problema è la resistenza ai farmaci

contro la tubercolosi, di cui si ammalano ancora oggi

10 milioni di persone nel mondo.

Nel 2017 si sono avuti 600.000 casi di malattia resistente

alla rifampicina, considerato il farmaco di prima linea più efficace.

EBOLA & CO.

Dopo la grande paura provocata dall'epidemia scoppiata

nel 2013 in Africa Occidentale, dichiarata "conclusa" nel

2016, il virus Ebola è sparito dai radar globali

dell'informazione, ma non ha per questo smesso di

essere una minaccia incombente.

Nel 2018, nella Repubblica Democratica del Congo

sono scoppiate due diverse epidemie, ed entrambe

hanno raggiunto città molto popolose.

Per questo l'Oms invita a fare piani per essere

preparati a queste evenienze: se il virus colpisce in

ambienti urbani densamente popolati, il rischio di

una diffusione incontrollata della malattia è molto

elevato.

In aggiunta, oltre a Ebola, ci sono altri virus "sorvegliati

speciali", che potrebbero dar luogo a emergenze

sanitarie: virus di febbri emorragiche come Zika e Nipah,

il coronavirus MERS-CoV, che provoca la cosiddetta

sindrome respiratoria medio-orientale, il virus della SARS.

Virus Ebola

Ebola, le ricadute che non conosciamo: il caso di

un'infermiera scozzese nuovamente malata dopo

un'apparente guarigione riaccende il dibattito sugli

effetti a lungo termine del virus, ancora poco conosciuti.

La generale incertezza delle autorità sanitarie globali

è infine rappresentata dal virus X, una fantomatica

minaccia presa a modello per sottolineare la necessità

di prepararsi alla comparsa di nuovi agenti patogeni

capaci di diffondersi velocemente e trasformarsi in

epidemie e pandemie.

7 lezioni amare che abbiamo imparato da Ebola

L'esitazione verso i vaccini, la riluttanza, quando non

addirittura il rifiuto a vaccinare o farsi vaccinare,

nonostante la disponibilità di vaccini sicuri e di provata

efficacia, non è un fenomeno nostrano, come a volte

sembrerebbe a giudicare dalle cronache.

È invece un problema globale, diffuso in maniera

trasversale e più o meno preoccupante in diversi Paesi

industrializzati, dagli Stati Uniti all'Australia, passando

per l'Europa.

È un paradosso difficilmente comprensibile: l'aspettativa

di vita è cresciuta in molte parti del mondo anche grazie

ai vaccini; malattie una volta molto diffuse, come la

poliomelite (che nel 2016, nel mondo, ha fatto 6 milioni

di morti in meno rispetto al 1990), sono state circoscritte

e quasi del tutto debellate proprio grazie ai vaccini;

in generale, si stima che i vaccini, oggi, siano in grado

di evitare 2-3 milioni di morti l'anno. Eppure c'è chi li rifiuta.

2018: il ritorno della polio in Papua Nuova Guinea

Quello della cosiddetta esitanza vaccinale è un fenomeno

complesso, cui contribuiscono fattori diversi. Studi e

agenzie sanitarie internazionali, tra cui la stessa Oms,

attribuiscono alla perdita di fiducia nelle istituzioni in

generale, e in quelle sanitarie in particolare, i motivi

del calo delle coperture vaccinali. Al contrario di ciò

che spesso si sente dire, il rifiuto non è invece

correlato in modo significativo a una scarsa competenza

scientifica né a una supposta, "crescente ignoranza":

del resto, spesso gli antivax appartengono alle classi

con più alta scolarizzazione e reddito.

Vaccini: il seme della discordia e la guerra sotterranea

delle Grandi Potenze

Questi farmaci sembrano invece essere vittime del

loro successo.

Debellando malattie come la poliomielite o la difterite,

hanno fatto "dimenticare" quanto fossero temibili,

e allontanato la percezione delle conseguenze che un

loro ritorno potrebbe provocare.

Su come superare il problema non sono delineate

grandi strategie: gli esperti suggeriscono di studiare

i contesti specifici in cui l'esitazione o il timore verso

i vaccini si sviluppa, e preparare di conseguenza le

istituzioni e gli operatori sanitari ad affrontare i dubbi

e le incertezze delle famiglie.

 
 
 

Un posto mortale sul nostro pianeta.

Post n°2577 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Africa: scoperto il luogo più inospitale del pianeta

AMBIENTE Angelo Petrone 19:45 4 Novembre 2019

Nel Deserto della Dancalia le condizioni sono inospitali

per qualsiasi tipo di forma vivente.

Sebbene sia noto come la vita microbica sul nostro pianeta

si sia adattata a condizioni estreme, un nuovo studio ha rivelato

come nessun tipo di vita sarebbe in grado di prosperare in uno

degli ambienti più pericolosi e inospitali della Terra, situato nel

deserto della Dancalia, in Etiopia.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, ha analizzato il complesso

geotermico di Dallol, luogo conosciuto per i suoi colori vivaci, ma

estremamente pericoloso, per le nuvole di gas tossico che vengono

emanate da un vulcano che si trova sotto la superficie.

Per la nuova ricerca, gli esperti hanno raccolto un gran numero di

campioni in quattro diverse aree del complesso geotermico tra il

2016 e il 2018.


Africa: scoperto il luogo più inospitale del pianeta

"Grazie a questo studio - spiegano gli esperti - siamo riusciti

ad identificare due principali barriere fisico-chimiche che

impediscono alla vita di prosperare inpresenza di acqua liquida

sulla Terra e, potenzialmente, in altri luoghi".

La scoperta implica come l'esistenza di acqua liquida sulla superficie

di un pianeta non necessariamente sia sinonimo di abitabilità;

un aspetto da tenere presente anche per la ricerca spaziale.

A rendere il luogo inospitale è un alto livello dimagnesio, una

sostanza in grado di distruggere qualsiasi tipo di formazione cellulare

attraverso un fenomeno noto come attività caotropica, oltre ad una

combinazione mortale di iperacidità e ipersalinità.

Finora, gli studi nel complesso termale hanno rivelato la presenza

di microfossili e nessun tipo di forma di vita.

Finché i nuove ricerche non dimostreranno il contrario, questo

luogo rimarrà uno dei pochi a non poter di ospitare la vita.

 
 
 

Cosa succede a Chernobyl.

Post n°2576 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Chernobyl: i misteriosi funghi
neri che crescono nel reattore 4

AMBIENTE Angelo Petrone 18:45 7 Febbraio 2020

Nelle stanze della centrale nucleare funghi neri che si

alimentano delle radiazioni.

Che i funghi siano in grado di assorbire le radiazioni è risaputo

, ma che possano addirittura "nutrirsene" in un reattore nucleare

è davvero una novità.

E' quello che accade a Chernobyl, la centrale nucleare che nel

1986 fu oggetto del più grave disastro nucleare della storia.

Nelle inquietanti stanze del reattore numero quattro, i funghi stanno

prosperando.

Secondo nuovi studi funghi di colore scuro stanno praticamente

distruggendo la grafite che ricopre l'interno della centrale.

In pratica sembra che i funghi stiano sviluppandosi alimentandosi

delleradiazioni. Fu Ekaterina Dadachova, docente dell'Università

di Saskatchewan a studiare per prima le caratteristiche dei

Cladosporium sphaerospermum, Cryptococcus neoformans e

Wangiella dermatitidis, le tre specie di funghi che crescono nel

reattore, rilevandone la maggiore capacità di crescere in ambienti

ricchi di radiazioni rispetto ad altre tipi di funghi.

Chernobyl: i misteriosi funghi neri che crescono nel reattore 4

Le specie di funghi avevano in comune il fatto di avere notevoli

 quantità di melanina, un pigmento che si trova anche nella nostra

pelle e che la protegge dalle radiazioni del Sole. Ma la melanina è

celebre anche per la capacità di assorbire la luce e dissipare le

adiazioni ultraviolette.

Gli studiosi hanno, così, scoperto come la melanina nei funghi sia in

grado di assorbire le radiazioni nucleari convertendole in energia

chimica utile alla loro crescita, attraverso un meccanismo simile alle

piante, che attraverso la clorofilla, ottengono energia nella fotosintesi.

Ma i funghi di Chernobyl non sono gli unici ad essere attirati dalle

radiazioni nucleari: questa capacità è stata rilevata in tutte le specie

con un'alta concentrazione di melanina scoperte nei depositi del cretaceo.

Per comprendere meglio le caratteristiche del processo, gli esperti

del Jet Propulsion Laboratoryhanno inviato otto specie di funghi

provenienti dalla zona di Chernobyl, per osservarne il comportamento.

L'ISS è un ambiente che espone gli uomini a radiazioni superiori

alla media terrestre tra le 40 e le 80 volte.

L'obbiettivo degli studiosi è ottenere dai funghi, molecole utili da

somministrare agli astronauti per proteggere i loro corpi dalle

radiazioni.

 
 
 

Le ultime notizie sui robot.

Post n°2574 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

L'intelligenza artificiale diventa più sostenibile

Con nuovi circuiti più veloci e con minore consumo 

Redazione ANSA  13 febbraio 202017:00

Rappresentazione grafica della matrice alla base delle nuove memorie (fonte: Politecnico di Milano) © AnsaRappresentazione grafica della matrice alla base delle nuove

memorie (fonte: Politecnico di Milano) - RIPRODUZIONE

RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE

L'intelligenza artificiale diventa più sostenibile, grazie a nuovi

circuiti di calcolo che permettono di svolgere operazioni complesse

in modo più veloce e con minore consumo di energia.

Il nuovo circuito è stato sviluppato dal Politecnico di Milano ed è

pubblicato sulla rivista Science Advances.

I nuovi circuiti, spiegano gli autori della ricerca, "mappano più

fedelmente la struttura delle cosiddette reti neurali e le caratteristiche

delle sinapsi biologiche, su cui si basano i sistemi di intelligenza artificiale.

Uno dei modi è elaborare i dati direttamente all'interno della memoria,

esattamente come nel cervello umano".

Grazie alle reti neurali, gli attuali sistemi di intelligenza artificiale,

come quelli di un comune smartphone, sono in grado di riconoscere

un volto o un oggetto e di interpretare correttamente una parola

o un brano musicale. Al costo, però, di un elevato consumo energetico.

"Le reti neurali - precisano i ricercatori del Politecnico di Milano -

hanno, infatti, bisogno di un opportuno addestramento, così

energeticamente oneroso che - concludono - la loro impronta

ecologica può eguagliare quella di cinque automobili in tutto il

loro arco vitale".

L'obiettivo dei nuovi circuiti è ridurre questa impronta ambientale,

eseguendo calcoli complessi in una sola operazione.

I circuiti riescono ad eseguire in una sola operazione una funzione

cognitiva nota come regressione, utilizzando una memoria resistiva,

choiamata memristore, che riesce a memorizzare un dato qualsiasi

nel valore della sua resistenza.

Gli elementi di memoria sono stati quindi organizzati in una matrice

delle dimensioni di pochi milionesimi di metro e il primo test è stato

determinare la retta che meglio descrive una sequenza di dati,

permettendo ad esempio di prevedere l'andamento della borsa sulla

base di un semplice modello lineare

È stata infine  dimostrata la regressione logistica, che permette di

classificare un dato all'interno di una banca dati.

Questa funzione è fondamentale nei cosiddetti sistemi di raccomandazione,

che sono uno strumento di marketing fondamentale per gli

acquisti sul web.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

 
 
 

Le ultime novità sulla polimerasi.

Post n°2573 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Virus, la prima mappa atomica

di un loro enzima

Per capire e combattere influenza, morbillo e parotite

Struttura atomica dell'enzima chiamato polimerasi (fonte: Northwestern University) © AnsaStruttura atomica dell'enzima chiamato polimerasi

(fonte: Northwestern University) - RIPRODUZIONE RISERVATA

+CLICCA PER INGRANDIRE

Ottenuta la mappa della struttura atomica di un enzima present

e nel virus dell'influenza e in molti altri virus, come quelli di

morbillo e parotite: pubblicata sulla rivista dell'Accademia

Nazionale delle Scienze americana (Pnas), promette diventare il

bersaglio di futuri farmaci antivirali e potrebbe essere utile anche

nella ricerca sul nuovo coronavirus SarsCoV2.

La struttura è stata ottenuta dal gruppo dell'americana Northwestern

University guidato da Robert Lamb e Yuan He. 

L'enzima è una polimerasi, una molecola fondamentale per la

replicazione e l'assemblaggio di molti virus della famiglia dei cosiddetti

Paramyxovirus, la cui informazione genetica è formata da Rna, il

cugino del Dna.

È stato ricostruito in 3D mettendo insieme con specifici programmi

al computer le immagini ottenute con una innovativa tecnica di

microscopia a bassissime temperature, la criomicroscopia elettronica,

i cui ideatori, Jacques Dubochet, Joachim Frank e Richard Henderson,

sono stati premiati con il Nobel per la chimica 2017. 

L'immagine risultante mostra una struttura rotondeggiante con una

piccola coda: l'enzima è costituito da cinque proteine diverse, per un

totale di più di 2.000 amminoacidi, i mattoni di base delle proteine.

"Una parte di questa struttura è stata per noi una sorpresa assoluta",

ha spiegato Lamb. "Due delle cinque proteine che compongono

l'enzima - ha concluso - sono, infatti, nuove: non erano mai state

viste prima".

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

 
 
 

Straordinarie novità sulle neoplasie.

Post n°2572 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Ascoltata la voce dei tumori, apre a cure su misura

Spiega la resistenza ai farmaci e le recidive

Cellule del tumore della prostata (fonte: National Institutes of Health) © AnsaCellule del tumore della prostata (fonte: National Institutes of Health) -

RIPRODUZIONE RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE

Sembrava un chiacchiericcio confuso e indistinto, ma in

realtà le 'voci' delle cellule tumorali sanno mandare messaggi

forti e chiari, che favoriscono la crescita incontrollata.

Li hanno decifrati per la prima volta i ricercatori dell'University

College di Londra, grazie a un super 'orecchio': si tratta di una

nuova tecnica di analisi che ha permesso di intercettare singole

'parole' scambiate fra milioni di cellule all'interno di organoidi

, mini tumori coltivati in provetta a partire dalle cel-

lule dei pazienti. 

Il risultato è pubblicato sulla rivista Nature Methods e potrà

aiutare a capire come i tumori sfuggono ai controlli del sistema

immunitario e come diventano resistenti alle terapie, in modo da

sviluppare cure sempre più efficaci e su misura. 

"Gli organoidi stanno già rivoluzionando la ricerca sul cancro

permettendoci di sperimentare nuovi farmaci e capire se sono

efficaci", spiega il coordinatore dello studio Chris Tape.

Ora l'applicazione di "questa nuova tecnica ci aiuta a capire

perché un trattamento funziona o no, rivelando con un dettaglio

senza precedenti come le cellule parlano fra loro". 

Ascoltarle tutte insieme non serve a molto: per questo i ricercatori

hanno separato le singole cellule che formano l'organoide e le

hanno mescolate a specifici anticorpi che permettono di catturare

le molecole segnale più importanti.

Gli anticorpi, a loro volta, erano stati precedentemente legati ad

atomi di metalli pesanti, per poterli separare applicando un campo

magnetico una volta che il mix di cellule e anticorpi viene nebulizzato.

Una sorta di spettrometria di massa, però in versione rivisitata. 

La procedura è stata testata per analizzare organoidi 'avatar' di

tumori del colon e ha permesso di individuare in un colpo solo 28

molecole segnale scambiate da sei tipologie di cellule, su un totale

di oltre un milione di cellule. Il risultato dimostra che le cellule

tumorali (così come le cellule immunitarie e quelle connettivali

presenti nell'organoide) alterano la normale rete di segnali molecolari

nel tessuto, favorendo la crescita incontrollata del tumore. 

"Le mutazioni nelle cellule tumorali mimano i segnali di crescita

che normalmente arrivano alle cellule dall'ambiente tissutale

circostante", aggiunge Tape. 

"Nei tessuti sani, i segnali ambientali sono strettamente controllati

in modo che le cellule non crescano troppo in fretta.

Nel cancro, purtroppo, le mutazioni che mimano questi segnali ambientali

sono sempre accese e favoriscono una crescita incontrollata".

Il prossimo obiettivo sarà usare il 'super orecchio' per scoprire come

bloccare le comunicazioni che consentono alle cellule malate di resistere

alle terapie nei singoli pazienti. Un passo cruciale verso cure sempre

più personalizzate.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA 

 
 
 

Dagli oceani antichi

Post n°2571 pubblicato il 14 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Notizie scientifiche.it

HOMEBIOLOGIAPALEONTOLOGIA

Scoperti strani filamenti che collegavano prime forme di

vita complesse negli oceani

9 Marzo 2020 PaleontologiaTop newsI fossili analizzati dai ricercatori mostrano chiaramente filamenti

che collegano i singoli rangeomorfi (credito: Doi: 10.1016/j.cub.2020.01.052 - Current Biology)

Le prime forme di vita complesse sulla Terra potrebbero essere

state collegate da reti di filamenti forse utilizzate per l'alimentazione,

la riproduzione o addirittura la comunicazione.

È l'interessantissimo risultato raggiunto da un team di scienziati

dell'Università di Cambridge e di quella di Oxford che hanno

analizzato alcune tracce fossili di rangeomorfi (Rangeomorpha),

forme di vita apparentemente simili a delle foglie vissute più di

550 milioni di anni fa negli oceani.

Nell'analizzare le tracce fossili i ricercatori hanno infatti scoperto

tracce di reti di filamenti in 40 diversi siti nell'area di Terranova,

in Canada. I risultati della ricerca sono stati pubblicati

su Current Biology.

Cos'erano i rangeomorfi

I rangeomorfi erano forme di vita un po' più complesse rispetto

a quelle di tipo batterico esistite fino ad allora. Simili a delle felci,

potevano crescere fino a due metri di altezza e potevano colonizzare

vaste regioni del fondo del mare.

Sono considerati tra i primi animali anche se la loro stessa anatomia

è molto diversa da qualunque animale che conosciamo oggi.

Non avevano praticamente organi, arti o bocca e forse assumevano

i nutrienti prelevandoli direttamente dall'acqua che li circondava

attraverso la loro superficie.

Colonizzavano vaste aree dei fondali

La facilità con cui questi organismi colonizzavano in maniera rapida

grosse aree del fondo del mare ha sconcertato da sempre gli scienziati

e questa scoperta potrebbe spiegare questa particolare caratteristica,

come lascia intendere Alex Liu del Dipartimento di Scienze della

Terra di Cambridge, primo autore della ricerca.

Collegati l'uno all'altro da sottili filamenti

I filamenti erano lunghi da due a 40 cm, solo pochi erano lunghi fino

a quattro metri.

Le tracce mostrano che erano fili sottili. Probabilmente non sono mai

stati individuati prima, nelle analisi di altri fossili di rangeomorfi,

proprio per la loro sottigliezza e per il fatto che probabilmente i loro

fossili si sono potuti conservare solo in condizioni eccezionalmente buone.

Secondo i ricercatori questi filamenti potrebbero essere stati utilizzati

dai rangeomorfi per attuare una sorta di riproduzione clonale.

Inoltre avrebbero potuto fornire una sorta di stabilità a queste forme

di vita contro le forti correnti marine.
Infine questi stessi filamenti avrebbero potuto permettere a queste

forme di vita di condividere importanti nutrienti, un po' come avviene

per le reti di radici osservate in diverse specie di alberi.

"Abbiamo sempre considerato questi organismi come individui, ma

ora abbiamo scoperto che diversi singoli membri della stessa specie

possono essere collegati da questi filamenti, come una rete sociale

nella vita reale", spiega Liu.

"Ora potremmo aver bisogno di rivalutare studi precedenti su come

questi organismi hanno interagito, e in particolare su come hanno

gareggiato per lo spazio e le risorse sul fondo dell'oceano

. La cosa più inaspettata per me è la consapevolezza che queste cose

sono collegate. Li guardo da oltre un decennio e questa è stata una

vera sorpresa".

 
 
 

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