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Messaggi del 02/04/2020
Post n°2706 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet FOTORicostruzione artistica della foresta pluviale esistente in Antartide 90 milioni di anni fa (fonte: Alfred-Wegener-Institut/James McKay) - RIPRODUZIONE RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE Scoperti in Antartide i resti fossili di una foresta pluviale di 90 milioni di anni fa: è l'indicazione che durante il Cretaceo il clima al Polo Sud era eccezionalmente caldo, con temperature medie annuali di 12 gradi centigradi. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è coordinato dal Centro Helmholtz per la ricerca polare e marina dell'Istituto tedesco Alfred Wegener, con Johann Klages, con l'Imperial College di Londra. L'analisi è stata condotta sui sedimenti raccolti nel 2017 nel mare di Amundsen, nella regione occidentale dell'Antartide, a una trentina di metri al di sotto del fondale oceanico, grazie all'impiego della nave rompighiaccio tedesca Polarstern. Le analisi condotte da allora, come complesse Tac ai raggi X, hanno a sorpresa riportato alla luce i resti incontaminati del suolo di una foresta del Cretaceo, con tracce di pollini, spore vegetali e radici. E' stato così possibile ricostruire un paesaggio palustre simile a quello delle odierne foreste pluviali in Nuova Zelanda. "L'insolita colorazione dei sedimenti, diversa da quella degli strati superiori, ha subito catturato la nostra attenzione", ha detto Klages. "I campioni erano così ben conservati da poterci consentire di distinguere le singole strutture cellulari". Secondo gli autori dello studio, a rendere in passato le temperature così miti, un'anomalia per il Polo Sud, era l'elevata concentrazione dei livelli atmosferici di anidride carbonica. Il periodo del medio Cretaceo, all'incirca tra 115 e 80 milioni di anni fa, è considerato dagli studiosi il più caldo degli ultimi 140 milioni di anni, con temperature superficiali dei mari ai Tropici di circa 35 gradi e un livello delle acque più elevato di 170 metri rispetto a quello attuale. La scoperta, spiegano gli esperti, potrà aiutare a ricostruire la storia climatica della Terra, a partire dalle cause che han portato in Antartide al passaggio da un clima temperato a quello rigido attuale. |
Post n°2705 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Cranio umano di 5300 anni nella grotta 'Marcel Loubens 'Scoperta e recupero 21 giugno 2018 Rinvenimento di un cranio umano nella Grotta Marcel Loubens (S. Lazzaro di Savena, Bo) Testo di Monica Miari (archeologa) e Maria Giovanna Belcastro (antropologa) Dall'800 ad oggi le grotte emiliano-romagnole sono state oggetto di esplorazioni speleologiche e archeologiche che hanno portato alla luce una grande quantità di resti umani, insieme a materiale archeologico databile all'età del Rame e all'antica età del Bronzo. Fra il terzo e gli inizi del secondo millennio a.C. le cavità naturali venivano infatti sfruttate come luogo di sepoltura collettiva, secondo un costume tipico sia in area appenninica che in area alpina. In Emilia-Romagna le grotte che hanno restituito una quantità significativa di resti umani risalenti alla tarda età del Rame e al Bronzo Antico sono la Grotta del Re Tiberio, la Tanaccia di Brisighella, la Grotta dei Banditi nell'area dei Gessi romagnoli, il riparo sottoroccia del Farneto nel bolognese e la Tana della Mussina nel reggiano. A questi dati si aggiunge ora il recente rinvenimento di un cranio nella Grotta Marcel Loubens a San Lazzaro di Savena (BO). La grotta si apre sul lato sud della Dolina dell'Inferno e dista dal Farneto meno di 600 metri in linea d'aria. cranio umano lungo la risalita di un alto camino: il reperto si trovava a strapiombo a 11 metri d'altezza dal fondo, incluso in un ammasso detritico franoso e poco stabile che ha reso necessario e urgente il suo recupero. La delicata operazione è stata eseguita dal Gruppo Speleologico Bolognese nell'estate 2017. Il cranio è stato subito trasportato presso il Laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'Università di Bologna al fine di iniziarne lo studio. In fase preliminare si è realizzata una tomografia (TAC) del reperto pe r valutarne lo stato di conservazione e il tipo di sedimenti che riempivano la cavità cranica mentre le datazioni al radiocarbonio effettuate sul secondo molare sinistro dal CEDAD, Centro di Datazione e Diagnostica dell'Università del Salento , hanno collocato il reperto tra il 3.300 e il 3.600 a.C., consentendo di posizionarlo nell'ambito di quanto già noto nelle altre cavità naturali. Le indagini nella grotta sono ancora a uno stadio iniziale e al momento non sono disponibili altre informazioni circa la natura del deposito anche se, sulla base di quanto riferito dagli scopritori, parrebbe che il reperto si trovasse in giacitura secondaria. Occorre comunque ricordare che nell'età del Rame molte sepolture presentano pratiche funebri di manipolazione, spostamento e rimozione dello scheletro che rivelano un forte simbolismo legato alle credenze sacre e al culto degli antenati. I crani, in special modo, dovevano rivestire un forte valore simbolico: la loro asportazione quasi sistematica dal luogo di giacitura potrebbe suggerirne un utilizzo in ambienti diversi da quello strettamente funerario. I primi dati sono stati pubblicati dagli scopritori negli atti del convegno "La frequentazione delle grotte in Emilia-Romagna tra archeologia, storia e speleologia" tenutosi a Brisighella (Ra) dal 6 al 7 ottobre 2017 ed editi a gennaio 2018 da questa Soprintendenza. Informazioni: Tel. (+39) 051.223773 |
Post n°2704 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Aosta, ritrovati due sarcofagi in piombo di epoca romana Foto tratta da aostasera.it Due sarcofagi in piombo in perfetto stato di conservazione, probabilmente di epoca romana, sono stati ritrovati durante i lavori in corso per l'ampliamento dell'ospedale Parini di Aosta. I due sarcofagi fanno parte di un più ampio contesto sepolcrale, databile a partire dal I sec. d.C., sorto lungo la strada che in uscita dalla città di Augusta Praetoria (antico nome di Aosta) portava verso il colle del Gran San Bernardo. Si legge nella nota diffusa: "Spiccano, alcune tombe più monumentali, tra le quali due in cassa di piombo, una in cassa di lastre di bardiglio con ricco corredo vitreo e una struttura quadrata in lastre di travertino, oltre a tre grandi basamenti in muratura destinati verosimilmente a sostenere dei sarcofagi" Il ritrovamento delle casse in piombo, fa sapere l'assessorato all'Istruzione e cultura, costituisce una novità nel panorama archeologico della Valle d'Aosta. La notizia diffusa il 03/12 da LaStampa.it è stata ripresa da alcune testate locali. Una news che volevamo condividere con Voi! La redazione, Siti Archeologici d'Italia |
Post n°2703 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Venere paleoliticaSorpresa ad Amiens
9 dicembre 2019 Il sito preistorico francese di Renancourt, nei pressi di Amiens, è una delle realtà archeologiche più note del Paese attestando, prove alla mano, la presenza umana durante il Paleolitico superiore (35.000 - 15.000 anni fa) nel Nord della Francia. Scoperto durante alcuni sondaggi condotti dall'Inrap (l'Istituto di prevenzione archeologica francese), il sito denominato "Amiens- Renancourt 1" è stato oggetto di una prima campagna archeologica conclusasi nel 2014. Poi, alla ripresa degli scavi, nel 2019, proprio quando si credeva di aver già scoperto tutto, è riemerso qualcosa di straordinario: una "Venere" di 23.000 anni fa. Laddove c'erano i cacciatori ... Sappiamo che il sito era frequentato già durante l'ultima glacia- zione, tra i 40.000 e i 10.000 anni fa. Ciò che gli archeologi hanno rinvenuto quattro metri sotto l'attuale livello del terreno è un deposito di manufatti molto ben conservati e datati col Carbonio 14 a circa 23.000 anni fa ovvero durante l'ultima fase della cultura Gravettiana (presente in Europa tra i 28.000 e i 22.000 anni fa). Il sito di Amiens- Renancourt è oggi uno dei rarissimi che attestano la presenza dell'uomo moderno (Homo sapiens) nel nord della Francia durante il Paleolitico superiore. L'abbondanza di manufatti rivela l'esistenza delle diverse attività che si praticavano nell'ambito degli accampamenti di caccia frequentati per lo più nel periodo estivo. Tra i reperti più numerosi vi sono punte di arma da lancio in selce, coltelli e raschetti; tra gli ornamenti personali degni di nota sono invece alcuni dischi in argilla perforati. Abbondanti resti ossei di cavallo documentano un consumo abituale di carne equina. Venere da...collezione La "Venere" rinvenuta nel 2019, chiude, almeno per ora, la serie di quindici statuette gravettiane scoperte dal 2014 a oggi in questo sito. Scolpita in argilla e alta quattro centimetri, si tratta di una figura femminile steatopigica come si desume dal volume adiposo del sedere, delle cosce e dei seni. Le braccia invece sono appena accennate e il volto è raffigurato senza dettagli fisiognomici. Senza dubbio aderisce perfettamente ai canoni estetici della tradizione stilistica gravettiana come confermato dalla somiglianza con la Venere di Lespugue (Haute-Garonne), con quella di Willendorf (Austria) o con il basso rilievo della Venere di Laussel (Dordogne).
Laboratorio artistico della cultura gravettiana Al momento, il sito di Amiens-Renancourt ha restituito da solo la metà di tutti i manufatti "artistici" di età gravettiana finora conosciuti in Francia. Tra gli archeologi si fa strada l'ipotesi che questo luogo potesse essere una sorta di laboratorio. L'eccezionalità degli scarti in argilla tornati alla luce sarebbe una conferma in tal senso. Sulla funzione e il significato della "Venere" invece nessuna risposta. |
Post n°2702 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
archeologia viva L'Appia antica rinascecon un grande progetto 5 marzo 2020 Il MiBACT ci crede e stanzia 20 milioni È stato uno degli argomenti di cui si è parlato a tourismA 2020 a proposito dello slow tourism in Italia. Ora è stato presentato ufficialmente. Si tratta del progetto "Appia Regina Viarum" finalizzato al recupero dell'antico tracciato della strada consolare romana. Fortemente voluta dal Ministro per i beni e per le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini e finanziata con 20 milioni di euro all'interno del Piano Cultura e Turismo varato nel 2016, l'iniziativa entra una nuova fase clou con l'aggiudicazione del bando per l'elaborazione del progetto esecutivo. 600 chilometri di laicità La "Regina di tutte le strade", conterà 29 tappe lungo i 600 chilometri in diagonale da Roma a Brindisi attraversando ben quattro regioni: Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. Per ripristinare il primo cammino laico a matrice culturale tuttavia le difficoltà non mancano. Spiegano dal Mibact che ad esempio, si può serenamente cam- minare su quattro chilometri di basolato romano, mentre lungo la fettuccia di Terracina, l'Appia è letteralmente "inghiottita" dal traffico veicolare e si dovrà trovare una soluzione alternativa. Una prima ricognizione aerea ha già dato la panoramica delle principali criticità, sulle quali ora i progettisti andranno a lavorare. Dei 20 milioni di euro, 9 milioni 150mila sono destinati ai lavori in loco, come la cartellonistica, l'installazione dei cippi miliari, le colonnine di inizio e fine tappa. «Il nostro viaggio ha cambiato la realtà - ha detto il giornalista Paolo Rumiz nel corso della presentazione - facendo nascere articoli, film, libri e sprigionando una potente energia civica, che sarà un grande elemento di unità di questa operazione di democrazia diretta che permetterà di vivificare un percorso straordinario, fatto di storia, civiltà, cultura e archeologia». Un po' di storia... La Via Appia fu la prima delle grandi strade romane a prendere il nome non dalla funzione o dal luogo a cui era diretta, ma dal magistrato che l'aveva costruita. Nel 312 a.C. il censore Appio Claudio Cieco provvide alla realiz- zazione di un nuovo asse viario che collegava Roma a Capua al fine di permettere il movimento veloce delle truppe romane verso il meridione in occasione della seconda guerra sannitica (326-304 a.C.). Successivamente il tracciato fu prolungato fino al porto di Brindisi, che fornì a Roma un collegamento diretto con la Grecia, l'Oriente e l'Egitto, fondamentale per le spedizioni militari, i viaggi e i commerci. Tale intervento elevò l'Appia a strada più importante del mondo romano, la "regina delle strade" (regina viarum), come la definì il poeta Stazio nel I secolo d.C. Da Roma a Brindisi tra paludi e canali navigabili La Regina di tutte le strade aveva inizio a Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo, e proseguiva fino a destinazione secondo un tracciato lineare e agevole. Il percorso era interrotto solo nei pressi di Terracina, dove era necessario attraversare un canale navigabile che fiancheggiava la via: chiamato decennovium perché era lungo 19 miglia, vi si procedeva tramite chiatte trainate da animali da tiro. Ne offre una testimonianza illustre il poeta Orazio, che in una delle sue satire descrive il viaggio da lui intrapreso per Brindisi sulla Via Appia, lamentandosi delle zanzare che infestavano allora le paludi Pontine. Solo sotto Traiano si provvide a bonificare la zona e a lastricare anche questo tratto di strada. Come un'autostrada (ma piena di monumenti) Il tracciato della Via Appia aveva le caratteristiche poi divenute fondamentali per tutta la rete stradale romana: largo circa 4,10 m, una misura che permetteva agevole circolazione nei due sensi, era affiancato da marciapiedi laterali generalmente larghi 3,10 m contornati da numerosi monumenti funerari che i passanti potevano ammirare nella noia della monotonia del viaggio. La campagna circostante era caratterizzata da villaggi contadini, che già negli ultimi secoli della Repubblica avevano cominciato a scomparire per essere sostituiti dalle grandi ville dei ricchi romani desiderosi di riposare in dimore di lusso lontane dal caos della città. Stazioni di posta, alberghi, osterie, piccoli impianti termali e servizi per i viaggiatori scandivano il tracciato, ottimamente organizzato e gestito da curatores preposti a garantire la continuità dei collegamenti fra Roma e le province. L'Appia "regina" anche della storia A questa strada furono riservate sempre particolari attenzioni in epoca antica, tanto che ancora nel VI sec. d.C. Procopio di Cesarea, durante le Guerre Gotiche, era ammirato per il perfetto stato di conservazione del basolato. Nel corso della storia romana, l'Appia è ricordata come protagonista di numerose guerre e famose vicende, una fra tutte l'epilogo della rivolta di Spartaco, in cui 6000 ribelli vennero catturati e crocefissi lungo la strada da Roma fino a Pompei. |
Post n°2701 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Antica NomentanaNuova campagna di scavo 5 febbraio 2020 Nuova luce sul passato Un tratto di strada romana e il relativo sepolcreto riemergono dall'area archeologica della via Nomentum-Eretum. Siamo in località Tor Mancina, nel comune di Monterotondo (Rm), dove dai primi anni Duemila si stanno svolgendo importanti ricerche archeologiche su concessione del MiBACT e sotto la direzione della Soprintendenza. La trasformazione del sito in una vera e propria area archeologica si deve anche al decisivo intervento della sede Mentana-Monterotondo dell'Archeoclub d'Italia. Collegamento indispensabile (e alternativo) Il lungo tratto di strada romana, realizzata in basoli di calcare, era la prosecuzione della via Nomentana, la quale, dopo aver oltrepassato il centro urbano di Nomentum (oggi Mentana), si ricongiungeva con la via Salaria presso Eretum. Gli ultimi tre chilometri di tale tratto, che correvano parallela- mente alla via Salaria, costituivano un'alternativa a quest'ultima, soprattutto in quei periodi dell'anno in cui la Piana Tiberina era colpita dalle esondazioni del Tevere. L'area sepolcrale Su entrambi i lati del basolato è stata individuata un'area sepolcrale, il cui utilizzo si colloca tra il I sec. a.C. - I sec. d.C. e il II-III sec. d.C. e si articola in due fasi caratterizzate dalla presenza di sepolture diversificate per tipologia e orientamento spaziale. Rientrano nella prima fase sei sepolcri, tutti edificati con una grande accuratezza costruttiva e dislocati su un'area ben visibile sul fronte strada; due di questi in particolare, sono ubicati all'interno di un recinto sepolcrale privato. Sono pertinenti al secondo momento, invece, trenta deposizioni a fossa, che sembrano aver occupato gli spazi lasciati liberi dai sepolcri di prima fase, e distribuiti soprattutto all'interno del recinto sepolcrale. Dalla villa alla tomba L'analisi delle tipologie delle sepolture suggerisce l'appartenenza dei sepolcri di prima fase a personaggi di rango sociale medio-alto, probabilmente i proprie tari delle vicine villae rusticae, di cui il territorio era costellato, mentre gli individui delle tombe a fossa erano probabilmente gli schiavi occupati presso le stesse. Sempre lungo l'arteria stradale, sono stati individuati i resti di una struttura a carattere residenziale risalente ad un periodo compreso tra il I sec. a.C. e il V sec. d.C. e della quale sono stati riportati in luce due ambienti. Una tomba anche per il cane Tra i rinvenimenti, degno di nota quello relativo a una tomba a incinerazione di cui sono stati eccezionalmente trovati i resti combusti della pira di legno dove è avvenuta la cremazione e la sepoltura intenzionale di un cane. Nuovi scavi: aperte le iscrizioni La prossima campagna di ricerca archeologica prevista dal 16 marzo al 3 aprile 2020, si propone di approfondire la conoscenza dell'area archeologica in modo da comprenderne meglio il quadro storico che si presenta estremamente articolato. Le attività sul campo saranno alternate a lezioni frontali di ceramica, antropologia e restauro. Le attività di indagine sono aperte ad archeologi, studenti di archeologia e semplici appassionati. Ciascun partecipante sarà inserito nel team di lavoro a seconda delle proprie competenze specifiche e professionalità. Per partecipare Inviare una mail di richiesta: archeoclubmm@hotmail.com Info: 380.5218112 338.385573 www.archeoclubmentanamonterotondo.com |
Post n°2700 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Santa Vittoria di Serri. Luce sul santuario nuragicoNuova campagna di scavi 29 ottobre 2019 Dal 1 ottobre 2019 la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Cagliari ha dato avvio a una nuova campagna di scavi archeologici e lavori di consolidamento e restauro nel santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri. Localizzato sul margine orientale della Giara di Serri, altopiano basaltico al confine tra la Trexenta e il Sarcidano, il santuario di Santa Vittoria è uno dei siti più importanti della Sardegna per la ricostruzione della protostoria dell'isola nell'età del Bronzo e del Ferro e per la conoscenza delle pratiche religiose delle popolazioni nuragiche. L'area conosce inoltre una continuità di frequentazione che perdura fino all'età altomedievale. La scoperta oltre un secolo fa Il rinvenimento del santuario risale al 1909, quando Antonio Taramelli dette inizio agli scavi archeologici nel sito che proseguirono a più riprese fino al 1931, portando alla luce la maggior parte delle strutture e degli edifici oggi noti e visibili, oltre a importanti reperti archeologici, molti dei quali attualmente esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Ulteriori interventi di scavo e restauro vennero condotti a partire dagli anni '60 dalla Soprintendenza Archeologica per le province di Sassari e Nuoro di Sassari, da Ercole Contu, Fulvia Lo Schiavo e Maria Ausilia Fadda, a cui si sono aggiunti negli ultimi anni gli scavi realizzati dal Comune di Serri con la direzione di Giacomo Paglietti. Dritti al "cuore" del Santuario Le indagini in corso interessano in particolare il cosiddetto recinto delle feste, una vasta area situata nel cuore del santuario nuragico costituita da un muro di recinzione ellit- tico a cui si addossano vari ambienti a pianta circolare, un settore verosimilmente porticato e altre strutture ancora di non chiara definizione. Interpretato da Giovanni Lilliu come luogo di incontro delle genti nuragiche in occasione dello svolgimento delle cerimonie religiose, il complesso necessita indubbiamente di ulteriori ap- profondimenti d'indagine, considerando in particolare che tutta la zona centrale risulta sostanzialmente non ancora scavata e di non facile lettura. Alla ricerca della verità archeologica L'obiettivo dei lavori in corso è infatti quello di verificare l'articolazione di questi spazi e di indagare, anche alla luce del progresso degli studi in ambito nuragico, la funzione di questo settore centrale nella topografia complessiva del santuario, evidenziando anche eventuali fasi di rioccupazione e frequenta- zione in età punica, romana e altomedievale. Per tutta la durata dei lavori, il cantiere di scavo archeologico sarà visibile al pubblico che visiterà l'area archeologica di Santa Vittoria. |
Post n°2699 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 30 marzo 2020 Menù di mare per il pasto dei Neanderthal Frammenti fossili di chele di granchio trovati nella grotta di Figueira Brava (©Zilhao et al. Science 2020) I nostri antichi cugini che vivevano vicino alle coste seguivano un dieta ricca di alimenti diversi, tra cui molti pesci, molluschi, crostacei e mammiferi marini. Lo rivela un'analisi dei resti di cibo scoperti nella grotta di Figueira Brava, in Portogallo, dimostrando che i neanderthaliani avevano comportamenti e stili di vita molto simili agli Homo sapiens della stessa epoca Una dieta variata, ricca di prodotti del mare. È quella che seguiva l'uomo di Neanderthal, secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Science" dall'archeologo portoghese João Zilhão, insieme a Diego E. Angelucci dell'Università di Trento e ad altri colleghi di una collaborazione internazionale. La scoperta arriva dall'analisi dei resti trovati nella grotta di Figueira Brava, a picco sul mare a sud di Lisbona, frequentata dai neanderthaliani durante l'ultimo periodo interglaciale, tra 106.000 e 86.000 anni fa circa. oltre a foche e delfini. Non mancavano però animali di terra, come cervi, stambecchi e cavalli, oltre a tartarughe e cibi di origine vegetale, come i pinoli. Ciò depone a favore dell'ipotesi che i neanderthaliani avessero accesso al mare, anche se all'epoca si trovava a una distanza compresa tra 750 metri e due chilometri, e quindi consumassero anche alimenti di origine marina. resti archeologici relativi all'occupazione della grotta da parte dei neanderthaliani: strumenti in pietra scheggiata, di selce o quarzo, oltre a resti di pasto, residui dell'uso del fuoco, come carboni e cenere", ha spiegato Angelucci. "Tra i resti di pasto, la sorpresa è rappresentata dall'utilizzo sistematico di risorse di origine marina". popolazioni di Homo sapiens vissute nello stesso periodo lungo le coste del Sudafrica, per le quali il ricorso alle risorse marine è ben documentato, insieme a prove di una loro evoluta cultura materiale e simbolica, testimoniata dal ritrovamento di resti di decorazioni per il corpo e di oggetti di adorno personale. il contenuto di omega 3 e acidi grassi degli alimenti di origine marina a favorire lo sviluppo del cervello di H. sapiens, e quindi tutte le caratteristiche tipiche degli esseri umani moderni, come il pensiero astratto, il linguaggio o un'organizzazione sociale complessa. Quando il mare salvò l'umanità di Curtis W. MareanGrazie a scoperte come quelle nella grotta portoghese, però, le differenze rimarcate finora dai paleoantropologi tra i sapiens e le altre specie di Homo euroasiatiche come i neanderthaliani e i denisoviani tendono a ridursi. dibattito in corso e alla rivalutazione del modo di vita dei neandertaliani: se è vero che il consumo abituale di alimenti di origine marina ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo delle capacità cognitive dei nostri antenati, bisogna quindi riconoscere che questo processo avrà riguardato l'intera umanità e non esclusivamente una popolazione limitata dell'Africa australe che si è poi espansa fuori dal continente africano", ha concluso Angelucci.
pur 'arcaici' nei loro tratti fisici, possedevano comportamenti del tutto simili ai cosiddetti 'moderni' del continente africano - le persone con cui entreranno in contatto al momento dell'espansione dei sapiens in Europa, intorno a 40.000 anni fa". (red) |
Post n°2698 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli
Nuovi indizi sulla materia oscura dalla radiografia della Via Lattea Esclusa l'emissione di un segnale ai raggi X Rappresentazione grafica dell'ipotetico alone di raggi X associato, secondo alcuni modelli, alla materia oscura, (fonte: Christopher Dessert, Nicholas L. Rodd, Benjamin R. Safdi, Zosia, Rostomian, Berkeley Lab) - RIPRODUZIONE RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE Dalla radiografia della Via Lattea emergono nuovi indizi sulla materia oscura, la materia ancora misteriosa e invisibile che occupa circa il 25% dell'universo: non c'è traccia di un debole segnale ai raggi X osservato in galassie vicine e attribuito da alcuni modelli teorici al decadimento delle particelle di materia oscura, la cui natura resta, quindi, ignota. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Science dal gruppo dell'Università americana del Michigan, coordinato da Christopher Dessert e Benjamin Safdi, insieme ai colleghi dell'Università della California a Berkeley. Lo studio è basato su 20 anni di osservazioni della Via Lattea ai raggi X con il telescopio orbitante dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), Xmm-Newton. La materia oscura, secondo le attuali teorie cosmologiche, forma circa un quarto dell'universo. Ma finora non è stato possibile osservarla direttamente, perché non assorbe, riflette, né emette luce. Fa sentire la propria presenza solo attraverso l'attrazione gravitazionale che esercita sul resto della materia e che, secondo gli esperti, tiene insieme le galassie. Anche la natura delle particelle di cui è formata la materia oscura è ancora inafferrabile. Secondo alcuni modelli, una di queste ipotetiche particelle, il cosiddetto neutrino sterile, potrebbe lasciare un'impronta sotto forma di un debole segnale ai raggi X. Ma le nuove osservazioni della Via Lattea con il telescopio Xmm Newton non hanno trovato traccia di questo segnale. Per Safdi, "lo studio non esclude che la materia oscura possa essere formata da particelle come il neutrino sterile, ma mostra che al momento non ci sono prove sperimentali della loro esistenza". RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANS |
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