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Messaggi del 27/06/2020
Post n°3135 pubblicato il 27 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 23 GIUGNO 2019 PALEONTOLOGIA AnsaDna antichissimo nel cuore oscuro dei cromosomi Nel cuore più oscuro e misterioso dei cromosomi sono state trovate le tracce di Dna antichissimo, incluse sequenze risalenti agli uomini di Neanderthal. Decifrarlo potrebbe rivelare nuovi aspetti del comportamento dei cromosomi nel corso dell'evoluzione. Il risultato pubblicato sulla rivista eLife, si deve al gruppo dell'università della California a Davis coordinato da Charles Langley. I ricercatori si sono concentrati sulla parte centrale dei cromosomi, che contiene molte sequenze ripetitive di Dna, difficili da analizzare ma che i ricercatori hanno voluto esplorare convinti di trovarvi gruppi di geni che risalgono all'alba dell'evoluzione umana. Questo perché i geni della parte centrale dei cromosomi non si mescolano agli altri di generazione in generazione. I ricercatori hanno così esaminato le sequenze della regione centrale dei cromosomi analizzando il Dna umano contenuto nella banca dati pubblica del progetto internazionale 1000 Genomi. L'analisi ha mostrato che nel cromosoma 11 ci sono geni dei Neanderthal, vissuti tra 200.000 e 40.000 anni fa in quella che oggi è l'Europa. La funzione di questi geni va ancora esplorata, ma secondo i ricercatori alcuni di essi potrebbero influenzare il nostro senso dell'olfatto. Nella parte centrale dei cromosomi, infatti, si trovano 34 dei circa 400 geni collegati all'olfatto. Nel cromosoma X, invece, sono state trovate tracce di Dna risalente a mezzo milione di anni fa, prima che i Sapiens emigrassero dall'Africa in Europa, mentre nel 12 sono state individuate sequenze genetiche 'africane' ancora più arcaiche che sembrano derivare da un antenato sconosciuto. |
Post n°3134 pubblicato il 27 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 2 NOVEMBRE 2014 ARCHEOLOGIAilfattostorico.com CIMITERO DI ANFORE IN DUE NAVI ROMANE NELLE EOLIE Verrebbe quasi da definirlo un "cimitero subacqueo delle anfore", ad evocare l'imponenza di due relitti romani affondati oltre duemila anni fa. È la sorpresa che, a oltre 120 metri di profondità, nelle acque delle isole Eolie, tra Lipari e Panarea, gli archeologi subacquei si sono trovati di fronte. Nel mese di settembre l'équipe di tecnici della Soprintendenza del Mare, capitana da Sebastiano Tusa e Roberto La Rocca con l'ausilio di Salvo Emma, ha effettuato una serie sistematica di immersioni nei siti subacquei di Capistello, per indagare i relitti Panarea II e Panarea III già individuati negli ultimi quattro anni. Ma stavolta è stata la collaborazione con la Global Underwater Explorers (GUE) nell'ambito del progetto "Project Baseline", a dare una svolta alle ricerche, grazie a due sommergibili "Triton submersibles" biposto dotati di braccio meccanico e attrezzature di documentazione videofotografiche. L'area dei relitti, a 120 metri di profondità, è stata così indagata in modo più approfondito con importanti risultati. Del relitto Panarea II è stata scoperta una parte inedita del carico, scivolato più in profondità e quindi rimasto nascosto. Inoltre sono riemersi numerosi ceppi d'ancora in piombo (alcuni con le contromarre presenti). "La presenza di un numero consistente di ancore conferma la caratteristica del sito come luogo di sosta ed ancoraggio lungo le rotte antiche che interessavano l'arcipelago eoliano", racconta Sebastiano Tusa. Non solo, ma del relitto si è potuto constatare che conserva una porzione lignea della chiglia. Del relitto Panarea III si è esplorato l'intero carico per la prima volta. La maggior parte delle anfore sono del tipo greco-italico, comprese anfore puniche. Sono riemersi anche una macina (catillo), alcuni vasi cilindrici del tipo sombrero de copa (alcuni impilati uno dentro l'altro), alcuni piatti cosiddetti da pesce, altri piccoli piattelli e ciotole e un "thymiaterion" intero rotto in due parti con la base modanata recante un'iscrizione in greco costituita da tre lettere (ETH). "La giacitura del carico - riflette Tusa - ci porta ad ipotizzare una dinamica di affondamento che portò la nave a coricarsi sul suo lato sinistro. Ciò è desumibile dalla posizione delle anfore e dalla presenza degli oggetti di bordo (piatti, macina, thymiaterion), che dovevano trovarsi in stiva e sulla prua, ribaltati e quasi scaraventati fuori dall'areale di dispersione del carico". A Pantelleria, poi, sono state effettuate ricognizioni subacquee sui fondali di Cala Levante, Cala Tramontana e Cala Gadir fino a profondità di oltre 100 metri individuando vari areali con presenza di anfore di varia tipologia (principalmente greco-italiche e puniche). "Essere riuscito a raggiungere un relitto di una nave naufragata 2000 anni fa che si trova nel buio e nel silenzio di 130 metri di profondità mi dato un'emozione indescrivibile che non avevo mai provato - dice Tusa - Avere la possibilità, grazie al batiscafo messo a disposizione dalla GUE, di adagiarmi dolcemente sulla distesa di anfore ed osservarle una ad una per oltre tre ore, di "toccarle" con il braccio antropomorfo facile da usare come un gioco elettronico da Luna Park, è stata una delle esperienze più interessanti della mia vita che mi ha fatto toccare con mano quanto la tecnologia possa ormai aiutare la scienza". "Il risultato più eclatante è stata la scoperta di un reperto eccezionale - sottolinea Tusa - un altare in terracotta su colonnina con decorazione in rilievo ad onde marine. Avevo letto sia su saggi scientifici che sulle fonti storiche che a bordo si sacrificava agli dei dopo aver superato un passaggio difficile, prima di salpare o prima di arrivare al fine di trovare genti non ostili e ristoro alla navigazione. Mai avevo, però, scoperto un vero e proprio altare intuendone la diversità in mezzo a centinaia di anfore rotolate dal carico dopo il ribaltamento della sfortunata nave". |
Post n°3133 pubblicato il 27 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 30 NOVEMBRE 2014 ARCHEOLOGIA ilfattostorico.com UNO SCAVO ILLEGALE SCOPRE UN TEMPIO DI THUTMOSE III Sette uomini sono stati arrestati in Egitto dopo essere stati trovati a scavare un antico tempio sotto una casa a Giza, in Egitto. Lo scavo illegale ha rivelato i resti di un tempio del Nuovo Regno, probabilmente opera del faraone Thutmose III. Lo scavo ha portato alla luce dei grandi blocchi di pietra calcarea coperti da geroglifici: appartengono a un grande tempio, ha spiegato il ministro per le antichità Mamdouh El-Damaty. Sono state anche scavate due basi di colonne di granito, sette stele e una statua colossale in granito rosso, raffigurante una persona seduta, le cui braccia sono però rotte. I manufatti scoperti sono stati portati al vicino sito archeologico di Saqqara per il restauro e ulteriori studi. Il maggior generale Momtaz Fathi, direttore della Polizia turistica egiziana, ha detto che il ritrovamento risale a metà ottobre. Gli arresti sono stati compiuti grazie a delle soffiate. Al suo intervento, la polizia ha rinvenuto anche mute, maschere e bombole subacquee. L'area dello scavo, chiamata Hod Zeleikha, è stata dichiarata sito archeologico. El-Damaty ha riferito che verranno effettuati ulteriori scavi oltre al tempio. Thutmose III, noto come "il Napoleone dell'Antico Egitto" per via dei suoi successi militari, regnò dal 1479 al 1425 a.C |
Post n°3132 pubblicato il 27 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 1 NOVEMBRE 2014 ARCHEOLOGIAhttp://www.meteoweb.eu SCOPERTI VASI DI ARGILLA CRUDI A POMPEIFOTOGALLERY Decine di vasi in argilla cruda, pronti per essere infornati nella fornace della bottega di un vasaio e bloccati dall'eruzione del Vesuvio. Il ritrovamento negli scavi di Pompei, nel corso delle recenti indagini di studio condotte dalla Soprintendenza con la collaborazione del Centre Jean Bérard e dell'Ecole Française de Rome e dedicate all'"Artigianato e all'Economia a Pompei". Un vasto programma di ricerca, avviato da ormai 10 anni e che, negli ultimi tempi, ha interessato un'area nei pressi della necropoli Porta Ercolano, immediatamente fuori le mura della città, con studi specifici dedicati alla "Organizzazione, gestione e trasformazione di una zona suburbana: tra spazio funerario e spazio commerciale". Gli obiettivi di questa ricerca sono diretti a documentare l'attività artigianale dei ceramisti dell'epoca. Lo studio di una fornace già esplorata nel 1838 permette di approfondire la tipologia della produzione, la data di inizio dell'attività, oltre a identificare gli spazi di lavoro della bottega (tornio del vasaio, bacini di decantazione). A pochi metri dalla fornace è stato rilevato un livello di lapilli del 79 d.C. che rinchiudeva, proteggendoli, una decina di vasi non ancora cotti, prova diretta che la bottega era in piena attività in quel giorno. Si tratta di boccalini a parete sottile, usati per bere o contenere alimenti, decorati con piccole incisioni e ingobbiati; i cosidetti "pignattini" descritti dagli scavatori dell'800 nei giornali di scavo dell'epoca. Nello spazio adiacente alla fornace è stata identificata una sala di lavoro per la tornitura dei vasi con quattro torni di vasai, anfore contenenti resti di argilla cruda, vasi crudi caduti da una mensola e una serie di attrezzi. Elementi finora mai documentati e fondamentali per la conoscenza della lavorazione della ceramica e delle tecniche usate degli antichi nell'ars figulina (della ceramica) durante il I sec d.C. In una seconda bottega sono state ritrovate altre due fornaci, anche esse utilizzate per la produzione di ceramica a pareti sottili. Una di più piccola dimensione, di cui rimangono soprattutto i livelli inferiori della camera di combustione e dove tra le cenere sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica scoperti. L'altra, e dunque la terza nel quartiere, sembra essere leggermente più antica e anche qui vi si cuocevano boccalini e ciotoline a pareti sottili. Lo scavo di ricerca è stato condotto sotto la direzione di Laëtitia Cavassa (Cnrs, Centre Camille Jullian di Aix-en-Provence, Umr 7299 e il Centre Jean Bérard di Napoli, Usr 3133) con la collaborazione di Bastien Lemaire ed è stato finanziato dal Ministero degli Affari Esteri francese tramite il Centre Jean Bérard di Napoli, con il finanziamento di mecenati francesi privati (Cmd2 e Neptunia). |
Post n°3131 pubblicato il 27 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 30 NOVEMBRE 2014 MISTEROhttp://www.ilnavigatorecurioso.it IL GIGANTE DI ATACAMA: UN ALTRO GEOGLIFO CHE SFIDA LA NOSTRA COMPRENSIONE DEL PASSATOFOTOGALLERY I geoglifi più conosciuti al mondo sono senza dubbio le Linee di Nazca, in Perù. Eppure, nel deserto di Atacama in Cile, c'è un altro gruppo di geoglifi altrettanto notevole e impressionante. Tra di essi, l'enigmatico Gigante di Atacama. Il Deserto di Atacama è situato nel Cile settentrionale, nella regione di Antofagasta e la parte settentrionale della regione di Atacama. È un paesaggio aspro e brullo, noto come il deserto più arido del mondo. Qui si trova un notevole gruppo di geoglifi al quale i ricercatori cercano di dare risposta da anni. Anche se i geoglifi di Atacama sono meno noti di quelli del pianoro di Nazca, essi sono molto più numerosi, più vari nello stile e coprono un'area molto più grande. Si tratta di una collezione di oltre 5 mila figure geometriche, zoomorfe e antropomorfe. Secondo le ipotesi più accreditate, i geoglifi di Atacama sono stati tracciati tra il 600 e il 1500 d.C., ma altri pensano che possano essere più antichi. È sempre problematica la datazione dei geoglifi, dato che non è possibile eseguire datazioni al radiocarbonio. Comunemente, si ritiene che la produzione dei geoglifi di Atacama sia da attribuire a diverse culture che si sono succedute nella regione, tra cui quella Tiahuanaco e quella Inca. I geoglifi sono stati tracciati utilizzando tre tecniche differenti: estrattiva, additiva e mista. La tecnica estrattiva prevede la rimozione dello strato superiore del terreno, in modo da creare l'immagine desiderata. Questa è la tecnica più comune riscontrata. La tecnica additiva, invece, comporta la raccolta di materiale, quali pietre o ghiaia, che poi viene accumulato sulla superficie del terreno per formare il contorno della figura desiderata. Infine, la tecnica mista prevede l'impiego di entrambe le tecniche. Fortunatamente, i geoglifi sono sopravvissuti al passare del tempo e all'esposizione agli agenti atmosferici. Uno dei geoglifi più intriganti e controversi è il cosiddetto Gigante di Atacama, il cui vero significato e interpretazione continua ad essere oggetto di dibattito tra gli scienziati. Si tratta di una figura antropomorfa situata su una collina conosciuta come la "Cerro Unitas". Misura 119 metri di altezza ed è il più grande geoglifo conosciuto in tutto il mondo. È caratterizzato da una grande testa quadrata e da lunghe gambe altamente stilizzate. Da ogni lato della testa del gigante è possibile notare l'uscita di quattro linee, simile a raggi luminosi. Ad oggi, non esiste nessuna spiegazione o teoria che sveli il mistero delle strane caratteristiche di questo enorme geoglifo. Secondo l'interpretazione di alcuni ricercatori, potrebbe essere una sorta di calendario astronomico che misurava il movimento della Luna. Un altra ipotesi propone che sia l'icona di una divinità sconosciuta venerata dalla popolazione locale. Altre teorie suggeriscono che possa trattarsi della marcatura di un percorso sacri di iniziazione, l'indicazione di un antico linguaggio o la celebrazione di un paleocontatto alieno. Accanto al gigante è possibile osservare immagini di lama, lucertole, gatti, uccelli e pesci. In altri casi, si notano sconcertanti figure geometriche che non fanno altro che infittire l'enigma sull'interpretazione e il motivo di una tale sconcertante collezione di figure. |
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