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Messaggi del 09/03/2021

Gli antichi usi e costuni dei Neanderthal.

Post n°3375 pubblicato il 09 Marzo 2021 da blogtecaolivelli

Anche i Neandertal seppellivano i loro morti

Fonte: Università di Bologna

Ricostruzione del sito di La Ferrassie (Credit E. Roudier) 

I risultati di un ampio studio multidisciplinare hanno

permesso di ricostruire, nel sito neandertaliano di La Ferrassie,

in Francia, la presenza di una sepoltura scavata in uno strato

sedimentario, nella quale 41.000 anni fa venne depositato il corpo

di un bambino di due anni.

Si tratta dei più recenti resti di Neandertal datati in modo diretto.

Una fossa scavata in uno spazio preparato per l'occasione

e il corpo di un bambino di due anni adagiato al suo interno:

un Neandertal vissuto 41.000 anni fa.

È lo scenario ricostruito da un gruppo internazionale di ricerca

a La Ferrassie, in Francia: uno dei più famosi siti neandertaliani.

I risultati - pubblicati su Scientific Reports - documentano

per la prima volta che i Neandertal seppellivano i loro defunti.

Non solo: i resti fossili esaminati appartengono al più recente

Neandertal fino ad oggi datato in modo diretto.

Lo studio è stato realizzato da una squadra di 14 ricercatori

provenienti da cinque paesi, guidata da Antoine Balzeau del CNRS

e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi (Francia)

insieme ad Asier Gómez-Olivencia dell'Università dei Paesi

Baschi (Spagna).

Unica italiana del gruppo è la professoressa Sahra Talamo

direttrice del nuovo laboratorio di radiocarbonio BRAVHO

(Bologna Radiocarbon laboratory devoted to Human Evolution)

presso l'Università di Bologna e dell'Istituto Max Planck di

Antropologia Evolutiva (Germania), che ha realizzato le datazioni

al radiocarbonio dei reperti, fondamentali per ricostruire il

contesto temporale del ritrovamento.

"Si tratta di risultati sorprendenti, che aggiungono un nuovo

importante tassello al puzzle per comprendere lo sviluppo di

comportamenti complessi nei Neandertaliani", dice Talamo.

"Questo lavoro dimostra ancora una volta l'importanza della

datazione diretta dei resti umani, che in questo caso è caduta

anche nella parte della nuova curva di calibrazione IntCal20

che ha migliorato la risoluzione delle analisi al radiocarbonio".

L'ipotesi che i Neandertal seppellissero i loro morti - con tutte

le implicazioni simboliche e comportamentali che sono associate

a questa pratica - è da tempo oggetto di un ampio dibattito.

Molti ricercatori sostengono che solo l'Homo Sapiens praticasse

attività funerarie.

Ma questo è forse dovuto anche al fatto che molti dei resti di

Neandertal meglio conservati sono stati ritrovati più di un

secolo fa, quando le tecniche di scavo erano molto meno rigorose

degli standard attuali: un elemento che ha reso a lungo impossibile

convalidare le potenziali sepolture con criteri scientifici moderni.

Per questo il gruppo di ricerca è tornato sul famoso sito

neandertaliano di La Ferrassie: un rifugio roccioso che si trova

vicino ad una collina calcarea nel comune di Savignac de Miremont,

nella regione francese della Dordogna.

Qui all'inizio del secolo scorso vennero infatti ritrovati diversi

scheletri di Neandertaliani adulti. E tra il 1970 e il 1973 emersero

anche i resti di un bambino, identificato come La Ferrassie 8.

Gli studiosi hanno quindi messo in campo un'indagine

multidisciplinare per documentare il contesto archeologico di

La Ferrassie 8, svolgendo ricerche direttamente sul sito archeologico

ma anche nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Les

Eyzies e del Museo Nazionale di Storia Naturale a Parigi, oltre

che negli archivi del Musée de l'Homme e dell'Institut de

Paléontologie Humaine, sempre a Parigi.

In questo modo è stato possibile tracciare la distribuzione spaziale

dei resti umani e degli oggetti archeologici ritrovati sia durante gli

scavi effettuati nel 1968 e nel 1973 che nel corso di nuovi scavi

realizzati nel 2014.

Sono emersi così quasi cinquanta nuovi frammenti di fossili umani.

Sono stati inoltre raccolti dati geocronologici grazie alla datazione al

Carbonio 14 e alla datazione con luminescenza (OSL).

E sono state effettuate analisi del DNA proteomico e antico, un'analisi

tafonomica completa di tutti i resti ossei umani e della fauna associata,

e analisi sul contesto geologico e stratigrafico del sito.

Collegando tutti i dati raccolti, i ricercatori hanno così dimostrato

la presenza di una sepoltura scavata in uno strato sedimentario

sterile, privo di altri oggetti archeologici, nella quale è stato depositato

il corpo di un bambino di due anni.

All'interno, un frammento di osso umano è stato identificato con una

tecnica di spettrometria di massa chiamata ZooMS ed è stato associato

ai Neandertal attraverso lo studio del suo DNA mitocondriale.

Dopo essere stato datato con il metodo del radiocarbonio, gli è stata

assegnata un'età compresa tra i 41.700 e i 40.800 anni fa.

"Si tratta di una datazione non solo più recente rispetto ai resti

faunistici trovati nel livello archeologico soprastante, ma anche

più recente dell'età ottenuta con il metodo della luminescenza per

lo strato sedimentario che circonda il bambino", commenta Antoine

Balzeau. "È la prima volta in Europa che una simile quantità di

dati scientifici permette di dimostrare che i Neandertal hanno

effettivamente seppellito volontariamente uno dei loro defunti".

L'età ottenuta per questo Neandertal è coerente con l'età dello

strato archeologico da cui è emerso che nel sito di Ferrassie era

presente l'industria del periodo Châtelperroniano, ed è coerente

anche con altri fossili di Neandertaliani associati a questa cultura

in altre parti dell'Europa occidentale.

Inoltre, si tratta della datazione più recente ottenuta direttamente

su un Neandertal utilizzando rigorose tecniche di pretrattamento

con il radiocarbonio.

"Questi risultati mostrano quanto l'approccio multidisciplinare

con cui è stata realizzata questa ricerca sia essenziale per far

progredire la nostra comprensione del comportamento di Neandertal,

comprese le pratiche funerarie", dice in conclusione

Asier Gómez-Olivencia.

Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports - rivista del

gruppo Nature - con il titolo "Pluridisciplinary evidence for burial

for the La Ferrassie 8 Neanderthal child".

A coordinare la ricerca sono stati Antoine Balzeau del CNRS e del

Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi (Francia) e

Asier Gómez-Olivencia dell'Università dei Paesi Baschi (Spagna).

Per l'Università di Bologna ha partecipato la professoressa Sahra

Talamo, docente al Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician", d

irettrice del nuovo laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna

Radiocarbon laboratory devoted to Human Evolution) e Principal

Investigator del progetto di ricerca europeo RESOLUTION

(ERC Starting Grant N. 803147).

Il progetto è pensato per sviluppare set di dati di calibrazione

al radiocarbonio ad alta risoluzione che permettano di ottenere

datazioni in grado di fare luce sui periodi chiave della preistoria europea.

 
 
 

Un pò di storia antica

Post n°3374 pubblicato il 09 Marzo 2021 da blogtecaolivelli

Fonte: Libere risorse online
24 giugno 2020
L'eruzione che ha messo fine alla Repubblica romana

Veduta aerea della caldera del vulcano

Okmok, in Alaska (©Kerry Key/Columbia

University)

 Nel 43 a.C. un'enorme eruzione vulcanica

in Alaska ha portato a un clima freddo e umido

in tutta l'area del Mediterraneo, i cui effetti potreb-

bero aver contribuito all'instabilità politica e

sociale, e infine al declino della Repubblica

dell'antica Roma

Il 44 a.C. è la data della morte di Giulio Cesare,

a cui seguì una sanguinosa guerra civile che

portò infine alla nascita, nel 27 a.C. dell'Impero

Romano.

Questo è quello che raccontano le cronache

dell'epoca, ma c'è una parte degli storici che

sottolinea come l'instabilità politica dell'epoca

fu determinata anche da un lungo periodo di

cattivi raccolti agricoli, carestie e malattie

causate dall'arrivo di un clima freddo su tutta

l'area del Mediterraneo.

Uno studio pubblicato sui "Proceedings of the

National Academy of Sciences" da Joe McConnell,

del Desert Research Institute in Reno, negli Stati

Uniti, indica che quell'evento climatico estremo

fu causato da una massiccia eruzione del vulcano

Okmok, in Alaska, cioè quasi dalla parte opposta

del globo.

Le ceneri proiettate nell'atmosfera, come successo

molte volte nella storia della Terra, determinarono

una maggiore riflessione della radiazione solare

e quindi un raffreddamento notevole della

superficie terrestre.

Trova così riscontro sperimentale l'ipotesi formulata

da molti anni da alcuni studiosi secondo cui dietro

il raffreddamento climatico del Mediterraneo

dell'epoca vi fosse proprio un'eruzione.

Per arrivare a questa conclusione, McConnell e

colleghi hanno effettuato un'analisi geochimica

della tefra, cioè l'insieme dei materiali piroclastici

prodotti nel corso di un'eruzione.

La tefra dell'eruzione dell'Okmok è rimasta intrappolata

nelle carote di ghiaccio dell'Artide, scavate negli

anni novanta in Groenlandia e in Russia e conservate

in vari istituti statunitensi, danesi e tedeschi.

Le nuove misurazioni, unite a quelle dell'epoca,

hanno permesso di stabilire le date di due distinte

eruzioni del vulcano, la prima intensa ma di breve

durata, si è verificata intorno al 45 a.C.

La seconda, di ben più vasta portata, si è verificata

nel 43 a.C., e ha prodotto ceneri che sono sparse

sui territori circostanti per altri due anni.

A conferma del fatto che fu proprio questo evento

a cambiare il clima dall'altra parte del globo, gli autori

hanno analizzato gli anelli di crescita di alberi in

Scandinavia, Austria e California, nonché gli

speleotemi della cava di Shihua, in Cina, concrezioni

geologiche che rappresentano registrazioni naturali

di diverse variabili climatiche della storia.

Infine,hanno usato modelli del pianeta per indagare

l'entità dei fenomeni vulcanici dell'epoca e il loro

influsso sul clima.

Secondo i dati raccolti, i due anni seguenti alla

seconda eruzione dell'Okmok furono tra i più freddi

dell'emisfero boreale degli ultimi 2500 anni, e il

decennio successivo fu il quarto più freddo.

I modelli climatici indicano che le medie stagionali

delle temperature furono di 7 °C al di sotto del

normale durante l'estate e l'autunno che seguirono

l'eruzione del 43 a.C., con precipitazioni estive tra

il 50 e il 120 per centro oltre il normale in tutta

l'Europa meridionale, mentre le precipitazioni

autunnali arrivarono al 400 per cento del normale.

"Nella regione del Mediterraneo, queste

condizioni estremamente fredde e umide

probabilmente ridussero la resa dei raccolti e

aggravarono i problemi di approvvigionamento

durante i continui sconvolgimenti politici del

periodo", ha spiegato l'archeologo Andrew Wilson,

dell'Università di Oxford.

"Queste scoperte danno credibilità alle segnalazioni

di freddo, carestia, carenza di cibo e malattie

descritte dalle antiche fonti scritte". (red)

 
 
 

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