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Italiani, sazi da morire

Post n°97 pubblicato il 09 Marzo 2016 da mcalise
 

Il programma Presa Diretta ha trasmesso l’illuminante inchiesta “Sazi da morire” (RAI3 il 6-3-2016). Mi ha particolarmente colpito il problema dell’obesità, che nel nostro paese è triplicata negli ultimi 30 anni. Sembra che il benessere, con una dieta “ricca” e il consumo eccessivo di proteine animali e di alimenti confezionati, faccia male. La nostra società, in un tempo storicamente breve, è passata dalla fame alle diete. Dalla visione del programma e dal suo titolo, ho preso lo spunto per alcune riflessioni. Siamo la “società opulenta” che ha perso la voglia e il coraggio di intraprendere, rischiare, sacrificarsi?

So che, fra i miei pochi lettori, qualcuno balzerà, indignato, sulla sedia. Ma come, aumentano le disuguaglianze, le famiglie povere e si parla di società opulenta? Lo so, ci sono individui, famiglie che tirano la carretta e fanno fatica ad arrivare a fine mese. Cerco di spiegarmi perché le generalizzazioni sono sempre pericolose ma, a volte, sono necessarie per intendersi.

Siamo un paese in declino, e non solo dal punto di vista economico. Un enorme debito pubblico, l’economia che arranca, il nostro PIL cresce di pochi decimi e comunque meno dei nostri partner europei, la disoccupazione è insostenibile. Ma i problemi non sono solo economici. Leggiamo poco, ai libri preferiamo i telefoni cellulari, abbiamo una scarsissima fiducia nelle nostre istituzioni e quasi nessuna nella classe politica. Tutte cose che hanno una loro spiegazione, come non comprendere, ad esempio, la sfiducia nei confronti dei politici? Ma la classe politica, la “casta” se preferite, è l’immagine della società civile; l’idea che vi sia una società civile buona e una casta cattiva è fuorviante, tende a deresponsabilizzare ciascuno di noi. E ciò non solo perché la casta la eleggiamo noi ma perché essa interpreta, in periferia più che altrove, i nostri desideri, la nostra pancia.

Lo so, le eccezioni sono numerosissime e rimangono tali, eccezioni appunto.

Tutto ciò ha una molteplicità di cause vecchie e nuove. Credo che alla base ci sia un senso debole di identità nazionale. Mentre si pone la necessità di una aggregazione sovranazionale noi, in ritardo con la storia, fatichiamo a divenire nazione. Un paese arlecchino con tante tessere che formano un insieme di originale bellezza che esiste solo a patto che le tessere stiano insieme, un mosaico appunto. Di ciò non vi è sufficiente consapevolezza. E non penso solo alla Lega Nord, ma anche a tanti localismi che premiano una politica di corto respiro, temporale e spaziale, la difesa del pozzo, del cortile di casa. L'Italia è una creazione recente, ha un passato di frazionamento continuo. Il novecento è stato il primo ed unico secolo che l'Italia ha vissuto come stato unitario.

Di tutto ciò manca una consapevolezza diffusa. La classe politica, in particolare i renziani, sfoderano un ottimismo di facciata che amplifica i successi e nasconde le difficoltà.

Ma dobbiamo essere onesti; se lo stesso governo invece di sfoderare ottimismo ci proponesse un piano di medio-lungo periodo di riforme socio-economiche strutturali, un piano “lacrime e sangue”, vedrebbe aumentare o calare il suo consenso?

La società civile di fronte alla complessità e alle contraddizioni del momento presente è presa dalla tentazione di ritirarsi, di abbandonare ogni tentativo di comprensione, ogni iniziativa. Diviene forte la tendenza a rifugiarsi in atteggiamenti sterili, in proteste parolaie, nel vittimismo, in difese individualistiche e/o localistiche abbandonando la strada di una difficoltosa partecipazione civica organizzata oggi, più che mai, necessaria e rifugiandosi in sogni gratificanti e irrealizzabili. Purtroppo, si sa, “molta gente preferisce essere illusa piuttosto che illuminata” (MilanKundera “Il libro del riso e dell’oblio”). Insomma siamo da tempo, per usare un’immagine di Guido Crainz, in una “ruota dello scoiattolo”, in un circolo vizioso.

Conclusione, gli italiani sono “sazi da morire”? Credo di si e, per fermare il declino, dovremmo recuperare quella “fame”, quello spirito cosi presente nell’immediato nel dopoguerra. Partecipi alla costruzione di una società più giusta; coscienti che un sano individualismo diviene cieco egoismo se non ci si fa anche carico dei problemi collettivi. Dobbiamo essere italiani tutti i giorni e, parafrasando John Donne, non dovremmo mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per ciascuno di noi. 

 
 
 
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