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« Ugo e le femmineDiario per due »

Il giorno della Psic.

Post n°203 pubblicato il 01 Ottobre 2007 da clodclod
 
Foto di clodclod

..

.

Era il giorno della psic.

E Ugo, questo pensiero, se l’era sentito addosso tutto il giorno: come un odore amarognolo, o un sudore invisibile, o come un tic tac perpetuo - al polso e nel cervello.

. 

Finito il lavoro, si era chiuso nella sua tana, immobile. C’era tempo, per l’appuntamento.

Prima dell’immobilità catatonica,  aveva  mangiato con voracità  spuntini, stuzzichini, dessert, porcate varie, fino a traboccare.

Il bisogno di cibo sembrava non estinguersi mai: era un maleficio, una fattura? Era l’ormone impazzito della fame? O era un problema di testa?

Stava male, intanto.

.

E poi venne, questa benedetta  ora.

Segnata in rosso sul calendario delle ‘Telerie Ragno’.

Ugo non aveva nessuna voglia di andare.

Non aveva niente di nuovo da portarle, a Frau Doktor.

Cioè nessuna conquista.

Nessuna scelta importante.

Nessun segno di cambiamento

Nessun sogno da interpretare.

Solo la sconfitta della tela. E quella della frase sibilante, che tutti avevano sentito.

La ferita, ancora aperta dopo tanto tempo, era lì.

Non se la sentiva di andare.

Ma doveva.

.

Uscì.

Il cielo era già scuro. Non era tardi, ma le   nuvole di un temporale stavano anticipando la sera.

In giro, nessuno. Meglio così. Tutte le volte temeva di incontrare – in ‘zona psic’ - un ficcanaso  qualsiasi, con   sguardi curiosi e domande pettegole,  capaci di sgretolare  la sua privacy e di sbandierare i suoi problemi….

Girato l’angolo, poteva dirsi al sicuro. Lo studio di Frau Doktor era subito lì. E adesso, che stava per scoccare l’ora,  l’anima di Ugo sembrava rappacificata,  o rassegnata, chissà…

Ecco l’insegna dello studio, nel palazzo rosa. E ,di fronte, il bar che imitava ‘Le due Margot’, anche nei tavolini all’aperto.. Ugo aveva tempo per l’aroma di un caffè, e per una brevissima sosta  che gli facesse da camera di decompressone…

.

Stava raccogliendo mentalmente le  poche cose da dire, e qualche insincerità che poteva tornargli utile;  era  dunque così, cioè  meditabondo, con la testa incassata nel torace, quando ad un tratto i suoi occhi si fecero di pietra…. Dal portone del palazzo di Frau Doktor stava uscendo…Penelope!

.

Incredulo, basito, non gli venne nemmeno l’istinto di nascondersi dietro un giornale, come le spie dei film. Per fortuna Penelope gli voltava le spalle, lontana, con altro per la testa.

Era salvo.

Ma subito gli venne un pensiero di supercritica rabbiosa: come poteva, la psic, come poteva rischiare che loro due, lui e la lurida, si incontrassero? come poteva fissare appuntamenti a vanvera ? Alla faccia della professionalità…

E un secondo pensiero, tremendo e tagliente come una lama, gli si insinuò dentro il petto: si sentì tradito a morte. La sensazione che provò non gli era nuova: era come se  un miele amaro o  un malto d’orzo  gli riempissero lo stomaco e anche un po’ l’esofago.. E si sentiva ondeggiare  instabile come quando aveva i cervicali.

La psic aiutava il nemico. L’aiutava a usare meglio le sue armi. E chissà quante volte avevano parlato di lui… Orrore…

L’orrore lo travolse, fino a trasformarsi in un senso di vomito.

E poi. E poi non si riprese da questo stato Anzi: mentre scivolava in un vortice di  sconforto nauseabondo, sopraggiunsero altri pensieri aggravanti: cos’aveva mai da dire, alla psic, quella selvaggia senza cervello? Perché … quando mai aveva saputo pensare….? E come aveva potuto, Frau D., tradirlo con una nullità simile?

Mentre il vortice continuava a ingoiarlo, Ugo riuscì a prendere, pur se con lentezza, il cellulare, chiamò la psic e disse che non poteva andare da lei.

Riattaccò subito. Senza spiegazioni.

Come per punirla.

Lei si sarebbe chiesta il perché. Chissà se avrebbe capito…

E Ugo pensava, in quel momento, che non ci sarebbe andato mai più. Lo Psicovenal forse era meglio e finora non lo aveva tradito. Suo unico amico.

.

Penelope, impermeabile di plastica rossa e lucida, andava verso casa camminando rasente al muro. Andava  più in fretta che poteva: non pioveva ancora, ma le seccava  rovinarsi la piega per una folata di vento o un improvviso schiaffo di pioggia…

Il parrucchiere era bravo. Ma un po’ troppo distante e anche troppo caro, in quel bel palazzo rosa.

Questa volta, comunque, ne era valsa la pena di spendere tutti quei soldi.

Negli ultimi tempi era stata respinta e per di più anche punita. Aveva anche litigato con la sua amica..

Dunque, per tirarsi su, occorreva qualcosa di nuovo, qualcosa di rosso, qualcosa di vivo: così le aveva insegnato sua nonna. Senza spiegarle il perché. Ma il rimedio funzionava.

E nuovo nuovissimo era il taglio dei capelli, rosso l’impermeabile più simpatico che c’era nell’armadio,  vivo era il ciclamino tutto fiorito che aveva comprato nella serra quella mattina.

Uno anche per Clessidra.

 
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