Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Ottobre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

medea.mcgiuliosforzaDismixiatittililliCarmillaKfamaggiore2gryllo73pino.poglianidiogene_svtPisciulittofrancesco_ceriniper_letteranorise1fantasma.ritrovato
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« le nostre celebrazioni b...Milosz ed Holderlin. All... »

Tristan und Isolde. Brunello. Madre Teresa di Calcutta

Post n°544 pubblicato il 31 Gennaio 2012 da giuliosforza

Post 521

 

Nessuno meglio di Wagner nello struggente finale del Tristan und Isolde  ha saputo trascrivere in versi e in suoni (ivi parola e musica si dissolvono, l’una dell’altra sostanziandosi, in uno scambio di ruoli), e così perfettamente rendere il senso dell’affogamento mistico dell’individuo nel pelago dell’Assoluto, del dissolversi del sentimento dell’io nel sentimento del Tutto, che solo l’amore rende possibile. Bruno ne impazzirebbe.

In dem wogenden Schwall/

In dem tönenden Schall/

in dem Weltatems/

wehenden All/

ertrinken

versinken/

unbewusst/

höchste Lust:

Nella corrente fluttuante,/ nella risonanza armoniosa,/ nello spirante Tutto / del respiro del mondo/ perdersi/ annegare/ senza coscienza/ suprema voluttà.

Pur perdendo il testo nella traduzione quasi tutta la sua musicalità, è ancora possibile cogliere l’affanno del respiro dell’anima individuale (affanno percepibile nel libero versificare, quasi asmatico, di Wagner, anche in ciò un antesignano) che s’appresta a “mancare” nello svenimento dell’estasi, e ad accogliere in sé il respiro dell’anima universale.

*

Sono tentato di riprendere a sorseggiare (non dico a forsennatamente tracannare, come per tanti anni, seppur solo convivialmente, feci) dopo anni di astinenza, del buon vino( i miei gusti si sono nel frattempo affinati, son diventati ricercati: o dell’ottimo Brunello o niente), che l’antico adagio dice latte dei vecchi. Privandomene mi par di star privando il mio tramonto di  una della sue ancora possibili consolazioni. Mi sovviene dei versi del Divan:

Für Sorgen sorgt das liebe Leben

Und Sorgenbrecher sind die Reben

 

A crearci preoccupazioni ci pensa la diletta vita

a scacciarle ci pensano le viti.

 

*

Sì, mi son dato alla lettura della vita (quella interiore) di Madre Teresa di Calcutta, ricostruita attraverso le lettere ai suoi direttori spirituali ed alle autorità religiose. Autore ne è un canadese che appartiene ad uno dei rami, quello maschile, della congregazione fondata dalla santa albanese, Missionarie e Missionari della Carità. Ho trovato il libro su una bancarella di un indiano che espone vicino al supermercato dove mi rifornisco delle mie, poche, carni bianche, e delle mie tonnellate di verdure. Come spinto da una strana forza, e vincendo il senso di schifo che i libri troppo rimaneggiati mi fanno (ma non olet la rimaneggiatissima pecunia, debbono olere i libri?), l’ho infine comprato e stamane l’ho iniziato a leggere. Da tempo immemore non frequento i santi e i mistici cristiani. Solo con Teresa la grande, quella d’Avila dell’estasi berniniana, e con l’altra, la “piccola” di Lisieux, quella della Storia di un’anima, delle Poesie, e della pioggia di rose  (la rosa: il mio fiore prediletto, il più amato e  cantato, chiedo perdono per il “blasfemo” raffronto, dal mio misticissimo purissimo e santissimo Gabri)  sul mondo (fu Teresina, più volte l’ho scritto, nella mia turbata adolescenza il mio primo amore e con essa, in una notte d’estasi amorosa, mi procurai  una vera e propria emottisi per condividerne il mal sottile), solo con costoro, dicevo, ho mantenuto una certa frequentazione. Nelle sue lettere Madre Teresa parla delle sue continue “notti oscure” dell’anima, quelle così ben descritte da Juan de la Cruz, delle sue ricorrenti perplessità, delle sue tribolazioni interiori, dell’amore, quasi carnale, per il suo Gesù troppo spesso avvertito come latitante, da difendere e giornalmente riconquistare nella quotidiana lotta col demone del Dubbio. Sembrerebbe la storia di un normale amore, quello tormentato che abbella e fa contemporaneamente spesso affannose, invivibili e tragiche,  le nostre vite. Eppure dentro qualcosa vi spira che non si rinviene nell’amore fra umani, come se davvero un elemento ineffabile lo sublimasse, senza per altro nulla togliergli in intensità e, oserei, in sensualità. Anche i suoi sensi ha, immillati e infinitamente potenziati, il Gesù-Dio, personale e impersonale, finito e infinito, terrestre e cosmico, immanente e trascendente, dell’umile Eroina di Skopje.

 

Kàirete Dàimones!    

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963