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Augusto. Wagner e D'Annunzio. Ovidio. Horia. Tor Tre Teste. Tor Sapienza

Post n°756 pubblicato il 26 Marzo 2014 da giuliosforza

Post 716

Pensieri in libertà

 

*

Non vorrei essere accusato di antisemitismo. Ma, uscito per una passeggiata (invitante la radiosa giornata primaverile) al Portico d’Ottavia (per i non romani: la zona del Ghetto, della Sinagoga e di numerosi resti archeologici), appena giunto devo fuggirne, tali il degrado, la sporcizia ed il lezzo misto di cucine e di fogne.

Meglio tornare agli olezzi degli horti conclusi e dei fontes signati del Cantico di Salomone. 

*

Pax romana et bellum christianum

Il 19 agosto di quest’anno ricorrerà (col mio compleanno) il secondo millennio della morte, a Nola, di Cesare Augusto, colui che “pacifica” il mondo perché Uno, dicono, possa venirvi a portare la guerra, ad appiccarvi il fuoco (ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur?).

Davvero misterioso il modo di agire della Provvidenza, o dell’Astuzia della Ragione!

*

Sono abruzzesi i due più grandi “Imaginifici” che la storia letteraria ricordi, peligno l’antico, marrucino il moderno.

Ambedue, sacerdoti e vittime sacrificali insieme  sull’altare dell’arte,  finiscono i loro giorni lontani dall’amatissima patria (“ Porto il limo della terra d’Abruzzi, porto il fango della mia foce alle suole delle mie scarpe, al tacco dei miei stivali”), l’uno nell’esilio di Tomi  di Tracia, l’altro in quello dorato di Gardone.

Chi dei due abbia la sorte migliore, gli dei solo lo sanno.

Ma forse lo sappiamo anche noi.

Nel romanzo Dio è nato in esilio Vintila Horia fa tenere ad Ovidio un diario nel quale egli giorno dopo giorno appare innamorarsi della maschia virtù dei “barbari” e sempre meno rimpiangere la Roma corrotta e slombata. Rileggere per credere. Io lo farò, finalmente nella  redazione originaria, che è in francese, quella che fece vincere all’Esule romeno il contestato premio Goncourt nel 1960.  

*

Nulla dies sine ictu.

 

Di tutti i motti del Vate è questo il meno citato. Eppure è, di tutti, il più d’annunziano.

In ogni senso, letterale metaforico ironico e persino mistico ed esoterico.

 

*

 

Nella zona periferica di Roma in cui abito, molte località portano il nome di Torre.

Le torri, di cui, più o meno diroccate, ancora se ne vedon parecchie, svolgevano, immagino, situate come erano in piena campagna, funzione di contenitori  di cereali e non certo di avvistamento o di difesa. Si hanno così’ Tor Cervara, Tor Sapienza, Tor Tre Teste, Torre Spaccata, Tor Bella Monaca, Torre Maura, Tor Vergata (dove ora ha sede la Terza Università di Roma) Torre Angela, Tor de’ Cenci (che credo faccia riferimenti agli stracci e non alla nobile famiglia di Beatrice, e forse non a caso ora vi si trova una discarica dell’AMA) ecc.

La località in cui dopo le mie vicende matrimoniali fui confinato, un edificio dell’Ente Nazionale Assistenza Medici, in seguito ad  una raccomandazione di Sbardella, malignamente detto l “Squalo” (di lui prima o poi narrerò alcuni sapidi episodi),  è Tor Tre Teste, il più recente e più vivibile degli insediamenti, dotato come è di un grande parco archeologico e della Chiesa meieriana del Millennio, che dicono capolavoro dell’architettura sacra contemporanea, visitatissima da ogni parte del mondo. Tor Tre Teste è davvero un bel toponimo. Accanto poi alla contigua Tor Sapienza, fa un binomio assai significativo. Peccato che una delle due parrocchie sia dedicata a Tommaso D’Aquino, il prototipo e il protettore degli intellettuali integrati: si sarebbe potuto farne terra di confino, o ghetto, degli intellettuali non appigionati.

Tor Sapienza m’è cara per altri motivi, due così così ed uno molto interessante: vi sono gli studi medici diventati ormai la mia seconda casa, un istituto tecnico industriale dove si diplomò ed apprese  la lingua italiana quel raffinatissimo personaggio che ha nome Di Pietro (tanto nomini nullum par elogium), ed una delle sue stradine è intitolata a Francesco Paolo Michetti, il pittore che del “conventino” di Francavilla fece il cenacolo artistico che sappiamo, e che accolse a lungo e ripetutamente il giovane Gabriele consentendogli di scrivere i suoi primi capolavori. E’ una piccola strada senza uscita, chiusa dalle mura di una caserma. Ma coi vialoni dedicati nei pressi a Morandi e a de Chirico basta a nobilitare l’intero quartiere.

*

Dedicato ai miei amici enofili:

Lo dolce ber che mai non m’avria sazio” (Purg., XXIII, 128)

*

D’Annunzio e Wagner fratelli gemelli?

Ho detto e scritto sovente di “Bruno e Nietzsche fratelli gemelli”, e di “Nietzsche e D’Annunzio, e per legge transitiva Bruno, fratelli gemelli”. Ora che intendo, per riposarmi un poco, dedicare con le parole di Quirino Principe, il principe degli storici e critici musicali, i due prossimi post al più grande poema d’amore di tutti i tempi, vale a dire al Tristan und Isolde, e che mi ripasso perciò un po’ di note biografiche del Lipsiense, a cominciare dal Mein Leben, trovo parecchi somiglianze, oltre che nel genio, naturalmente, tra lui ed il Vate nostro, tra colui che primo fu musicista sommo e poeta sommo (i meschinetti rancorosi alla Hanslick che non riescono a capacitarsi di come le due cose possano convivere sono da compiangere) e fecondissimo saggista (i suoi saggi, filosofici, politici, musicali, sono più numerosi delle suo Opere e nell’editio princeps constano di ben dieci tomi) e colui che seppe della sua vita fare un’opera d’arte totale e l’arte seppe tradurre nella vita e la vita nell’arte, il pensiero nell’azione, l’azione nel pensiero. Rivoluzionario nell’arte e nella vita l’uno, bandito per anni da tutti gli stati tedeschi, rivoluzionario nell’arte e nella vita il secondo, che seppe aprire alla poetica italica nuovi orizzonti, e, dopo anni di eroico impegno guerresco, tentare in Fiume la creazione del primo modello di stato estetico.

Amanti ambedue del lusso e dello sfarzo, dispregiatori, perciò dilapidatori, del denaro, in perenne affanno economico sempre inseguiti dai creditori; esuli ambedue, donnaioli indefessi ambedue, ed ambedue amati e venerati da due superdonne, la Wesendonck rispettivamente e la Duse, autentiche muse ispiratrici e ninfe egerie; ambedue, infine, salvati dall’affanno economico dall’intervento di due discussi mecenati, Ludwig di Baviera e Benito di Predappio, che all’uno innalzano, rispettivamente, il monumentum aere perennius di Bayreuth, all’altro garantiscono la prigione dorata del Vittoriale.

D’Annunzio celebrò, nel Fuoco, Wagner nel degnissimo modo che sappiamo, facendone, con la Duse, il protagonista. Richard, ne son certo, ne   avesse avuto modo, l’avrebbe contraccambiato dedicandogli un altro grande poema d’amore: Gabriel und Eleonore, naturalmente.

 

 

 
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