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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Tristan und Isolde. Wie herrzlich... Maggio risveglia i nidi....

Post n°759 pubblicato il 03 Aprile 2014 da giuliosforza

Post 718

 

E’ Aprile, ma è come se fosse Maggio. Nel parco è un tripudio di fiori e di suoni, son ricomparse le tortore, Taube è tornata a tubare sul mio verone, Aedòn allieta nuovamente le mie notti insonni, i merli in amore si rincorrono tra i pini  chioccolando e fischiando, fiori da ogni ramo, mille voci da ogni cespuglio.  Nel mio roseto mille bocci tra il verde intenso, una rosellina per nulla timida già da molti giorni, solitaria, fa capolino tra il fitto fogliame. Wie herrzlich leuchtet  mir di Natur! Wie glänzt die Sonne, wie lacht di Flur…”! Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori…Ma al Francofortese e al Maremmano preferisco oggi il Turingio. Il fiume di suoni dell’ ineguagliato ed ineguagliabile poema dell’Amore tragico ricolmerà oggi le mie stanze e mi sommergerà, con me l’Ombra della mia Suleika,  nei suoi gorghi.

Pubblico qui di seguito la promessa seconda parte della riflessione dedicata nel 2004 da Quirino Principe al Tristan und Isolde partenopeo. V’è dell’intellettualismo, tanto intellettualismo; ma noi non ce ne cureremo, e ci abbandoneremo con “romantica” Sehnsucht all’incessante flusso, lasciandocene travolgere.

Mistica notte novalisiana.

 

 

ISOLDE, EROINA D’OCCIDENTE

Di Quirino Principe

 

Il mare, la notte, la morte sono le forme simboliche in cui si condensano gli archetipi di Tristan und Isolde. Non è possibile toccare, nemmeno con la punta di un dito, l’essenza interiore di quest’opera, senza aver letto le Hymnen an die Nacht di Novalis, soprattutto gli ultimo versi del n. 5: «Ma indecifrata restò l’eterna notte / severo segno di remota forza»; non lo è, senza che si siano assorbiti i romances di Chrétien de Troyes e il poema “mittelhochdeutsch” di Gottfried von Strassburg; ed è necessario leggere anche Il mare amoroso, con il riferimento ai due amanti, né deve mai cancellarsi dalla memoria il verso di Dante (Inferno, V, 67): «Vedi Paris, Tristano…», la cui fuggevole sostanza tristaniana, un solo nome subito svanito, è compensata dalla vibrante eloquenza tragica della scena d’insieme. I due amanti e i loro amici o persecutori sono ormai fuori dalla storicità. Anche la musica di Tristan und Isolde , il cui accordo iniziale, o Tristan-Akkord segna la cesura tra l’Antico e il Nuovo Testamento della musica d’Occidente, la musica di Wagner e l’intera concezione drammaturgico-musicale di quel compositore sono autosufficienti. Non hanno bisogno della storia, ma, a nostro fallibile parere, non hanno neppure bisogno del mondo, del cosiddetto esistente. Sono, in sé, il mondo, anzi, il mondo. Chi non sia d’accordo su questo punto, è consigliabile che non ascolti Wagner, e si tenga alla larga dalle esecuzioni delle sue opere. Speriamo che il 1° dicembre al Teatro San Carlo il direttoree Gary Bertini, il registra Lluis Pasqual, lo scenografo Ezio Frigerio, la costumista Franca Squarciapino, gli interpreti Thomas Moser e Richard Decker (Tristan) , Jeanne-Michelle Carbonnet e Brigitte Wohlfart (Isolde), Albert Dohmen (Kurneval), Lioba Braun (Brangäne), siano consapevoli, anche solo visceralmente, di ciò che stiamo dicendo. ( E qui ci sia permesso un grido di dolore. Una caterva di cantanti tedeschi, romeni, bulgari, turchi, americani, ispanici,cinesi, coreani, nipponici, canta in opere italiane. E’ possibile che mai un cantante italiano abbia sufficienti requisiti vocali, culturali, linguistici, ortoepici, estetici, sanitari, politici, morali, religiosi, di casellario giudiziale, sì da poter essere impiegato in un’opera tedesca, magari in Wagner? Fine del grido di dolore).

Non c’è grande poesia nata nell’estate o nell’autunno del medioevo in cui non si incontri in questa o in quella sembianza il sire di Leonnois. Una folla di fantasmi poetici emerge dal tempo, dai poemi eleganti e malinconici, fiabeschi e fragili che l’era cavalleresca, la migliore nella storia d’Europa e d’Occidente, ha lasciato in eredità a eredi indegni. Naturalmente, da Chrétien de Troyes a Gottfried von Strassburg, daThomas a Eilhart von Oberge, da Ulrich von Türheim a Heinrich von Freiberg, filtra a noi uno stillicidio di varianti narratologiche. Nel Lai de l’ombre di Jean Renart (principio del secolo XIII), Tristan è assunto come unità di misura della folie: «Onques Tristan, qui fu a force /tondus comme fois por Iseut…». Tristano, maestro della triste arte d’amore, si rade i capelli per sembrare pazzo agli occhi di Isolda. Secondo Thomas e Eilhart, la morte di Tristano è causata dal falso annuncio di sua moglie, Isolda dalle bianche mani (da non confondere con la vera amata, Isolda la bionda): una nave con vele nere, anziché – com’è verità – la nave con vele  bianche, segnale convenuto della presenza di Isolda la bionda, sul vascello. Il germanista Wolfgang Golther e forse lo stesso Wagner (come appare da due lettere a Franz Listz del 16 dicembre 1854 e del 20 luglio 1856) videro affinità con il notissimo mito di Teseo, che per punizione degli dei in seguito all’abbandono di Arianna dimentica di issare una vela bianca, sicché suo padre Egeo, vedendo la vela nera, si uccide per disperazione.

Uno dei più acuti intelletti del secolo XX, lo svizzero Denis de Rougemont (1906-1985), collocò l’analisi della fiaba di Tristan e Isolde (che egli i nterpreta come mito, piuttosto che come fiaba) al principio del suo celebre libro L’amour e l’Occident. Rougemont indica ciò che per lui è l’essenza manifesta del mito tristaniano: se la concezione medievale, cristiana e trovadorica dell’amore è sostanza dell’Occidente, se essa è una delle glorie inimitabili della nostra civiltà, anzi, se di questa nostra civiltà l’amore cavalleresco e trovadorico è il contrassegno di maggior rilievo, allora il romanzo tristaniano, compendio dell’amore occidentale, mostra come l’esito del connubio amore-civiltà sia l’estinzione, la più raffinata delle morti. Se accettiamo la civiltà ( e come potremmo rifiutarla?), se accettiamo l’Occidente (e dobbiamo rivendicarlo e difenderlo con tutte le nostre forze contro altre culture a noi ostili), siamo costretti da una ananke culturale ad accettare il destino tragico. Soltanto la civiltà sa estinguersi, soltanto chi sa che la cosiddetta realtà è nulla intende l’essenza della civiltà d’Occidente. Le ultime parole pronunciate da Isolde nel dramma wagneriano, «ertrinken, versinken… unbewusst…höchste Lust» («naufragare, affondare, senza averne coscienza…suprema gioia», coinvolgono e rappresentano tutti noi, purché siamo fedeli all’Occidente. Il momento dell’estinzione avviene, canta Isolde poco prima, «in dem wogenden Schwall, in dem tönendem Schall», («nell’ondeggiante oceano, nell’armonia echeggiante di suoni»): nel mare che è musica. Facendosi musica muore l’Occidente, una suprema verità.

Di questo nuovo vangelo è supremo tramite la musica wagneriana, inventata per Tristan und Isolde affiché il suo destino coinvolgesse tutto il futuro del nostro linguaggio musicale. Potremmo spingere l’analisi al grado più spinto di oggettività, potremmo renderci avvocati del diavolo rispetto a ciò che abbiamo affermato, ma in ogni battuta della partitura troveremmo la conferma delle nostre definizioni. La troviamo in due sezioni in cui Wagner utilizzò un paio di Lieder scritti pochi mesi prima su poesie di Mathilde Wesendonck: Im Treibhaus (“ Nerra serra”), divenuto fonte per il preludio dell’atto III, e Träume ( “Sogni”), la cui materia musicale sostiene il duetto notturno nell’atto II (essere una cosa sola, abolire la congiunzione “und”, per cui Isolde esclama: «Io Tristan!», e Trista eclama: «Io Isolde!». Troviamo quella conferma nel morire e svanire di due melodie assolutamente monodiche e “non accompagnate”, il canto beffardo del marinaio dopo il preludio dell’atto I, e la tristissima melopea suonata dal pastore di vedetta dopo il preludio all’atto III. La riconosciamo nel fascinoso allontanarsi dei corni da caccia all’inizio dell’atto II, là dove Grangäne  avverte Isolde: «Non si sono ancora allontanati quanto basta, per garantire alla sua signora una tranquilla notte d’amore.. La ritroviamo nel desolato canto del re Marke, alla fine dell’atto II, dopo che gli amanti sono stati sorpresi in flagrante adulterio: «Tristan, come hai potuto farmi questo?». E la risposta: «Non potresti capirlo».

Wagner scrisse il testo di Tristan und Isolde  a Zurigo, tra il 20 agosto e il 18 settembre 1857. La musica fu composta a Zurigo, Venezia (a Palazzo Giustinian, quasi tutto il II atto), Lucerna e Parigi. La prima assoluta ebbe luogo al Teatro Reale Nazionale di Monaco di Baviera sabato 10 giugno 1865, sotto la direzione di Hans von Bülow. Ludwig Schnorr von Carolsfeld fu il primo Tristan della storia, sua moglie Malwina Garrigues la prima Isolde.    

 
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