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Robin Willliams. Alessandrini. Proposte oscene. Vacone e Livenza

Post n°786 pubblicato il 14 Agosto 2014 da giuliosforza

Post 742

Autocompiacimento (in tutta semplicità di cuore) e rimpianto.

 Un pomeriggio del 1989, al termine della lezione, mi si avvicina una studentessa e mi dice carinamente:  ha visto prof il film L’attimo fuggente con Robin Williams? Vada a vederlo, racconta di lei nella persona del protagonista.

L’avevo visto, in anteprima, nella Commissione di revisione cinematografica di cui facevo parte (nella quale mi impegnavo  a salvare dalle forbici censorie le opere più discusse secondo la morale corrente che respirassero genialità, ed a vietare ai minori le imbecilli, anche se “moralmente” innocue). Tranne che nel titolo, secondo il vezzo gaglioffo tutto italiano mutato in quello riduttivo de L’attimo fuggente (infinitamente volte migliore l’originale, Dead Poets Society, mantenuto in tutte le altre lingue), naturalmente mi era piaciuto da morire, e non solo per l’istrionismo, a me medesimo tante volte rinfacciato, del protagonista, ma perché vi avevo riscontrato  passione dell’attore e passione dell’uomo una volta tanto fondersi in uno di quei ruoli che anche il migliore artista non può interpretare se in esso non si riconosce totalmente come persona. Da allora amai tutto di Williams, e fu l’attore che più seguii nella mia vita. E’ per questo che la sua morte per un istante mi sconvolge: lo ritenevo immortale, come una categoria dello spirito. Ma egli categoria dello spirito permane, pur se il suo io empirico è dissolto nelle cose. I media continuano banalmente a definirlo, secondo il ricorrente luogo comune,  grande comico dall’anima triste. In realtà egli era una grande tragico dall’animo ilare. Solo in questa chiave  può essere autenticamente compreso. Come tale lo rimpiangiamo.

 *

Ancora a proposito  di Pescara, città non più d’annunziana per decisione del suo sindaco.

Pensavo: se l’iniziativa dell’Alessandrini fosse  una rozza ma scaltra trovata, l'unica alla sua mancanza di fantasia  consentita, per riportare l'attenzione su una città sfruttando il nome del suo più grande Figlio? Sarebbe una trovata ingegnosa, della cui ispirazione dovrebbe essere grato all'Arcangelo coclite, recandosi in pio pellegrinaggio, con giunta e consiglio al completo, nella stanza di Corso Manthoné in cui fu concepito per accendergli un cero. Che Gabri fosse un maestro nel far parlare di sé non c'è bisogno di dire: non s'era inventata già appena adolescente la sua morte, perché si parlasse del “promettente poeta di Primo vere? Non ne sapeva, quel grande Satiro giocherellone, quell'amabilissimo birbone, una più del diavolo per épater les bourgeois e farsi gioco anche dei suoi peggiori nemici? Non si sta facendo beffe anche di Alessandrini, servendosi di lui per prolungare le feste del suo 150°? Io che sono stato cattivo col Pennese (pennano?) meneghino, adesso lo ringrazio, e mi congratulo: la sua iniziativa, che pareva improvvida, sta meravigliosamente giovando alla causa del d'annunzianesimo. Spero di campare ancora abbastanza per assistere alle straordinarie manifestazioni d'annunziane che egli saprà sicuramente promuovere per dimostrare all'Italia e al mondo di non essere un oscurantista e un ingrato. Diversamente farà la figuraccia del piffero di montagna.

*

Proposta oscena della ministra della pubblica istruzione: insegnare alcune discipline, nelle classi superiori degli scuole di ogni ordine, in inglese. Io le faccio una controproposta, più oscena; perché  non farlo in greco o in latino, lingue di cui tutta la nostra cultura, anzi la cultura sic et simpliciter, trasuda anche nella terminologia? Soggiacere supinamente all’imperialismo linguistico anglo-americano, è questo di un altro dei segnali di pecorismo al quale ci siamo ridotti. Amo le lingue moderne, ed un poco anche ne conosco. Amo la grande letteratura dei  paesi di tutto il mondo, e mi piace leggere Shakespeare Cervantes Racine Goethe, per citarne solo quattro dei mille, in originale, e facendolo mi pare di udirne la voce, e ne godo quasi fisicamente. Ma niente imperialismi linguistici, di grazia. Consiglio alla signora ministra un romanzo di Ardengo Soffici (sicuramente un carneade per la signora ministra), il  Lemmonio Boreo (Le moine bourreau e bourru insieme), dove tra l’altro si spiega, per bocca di un popolano fiorentino, come si tratta  un turista inglese supponente e altezzoso  che si altera perché non gli si risponde in inglese alla domanda di informazioni.  E poi l’inglese, la lingua più contaminata snaturata e degradata che esista. Ma mi faccia il piacere, signora ministra! E faccia il piacere all’Inglese, rendendogli il suo carattere aristocratico (le lingue più nobili son quelle meno parlate, meno blaterate, meno biascicate nei lupanari nelle stazioni ferroviarie negli incontri occasionali in tutto il mondo: a che ora parte il treno? vuoi cenare con me? Facciamo l’amore? Poco di più insegna l’inglese scolastico).

C’è nella mia lunga vita un simpatico aneddoto.

Nell’intervallo tra una relazione e l’altra di un convegno pedagogico presso la Fondazione Cini all’Isola di San Giorgio, uscito per prendere un caffè mi imbattei in un distinto signore cinese che mi si rivolse in inglese per chiedermi non ricordo cosa. Risposi che scarsissima era la mia conoscenza dell’idioma albionico ed a mia volta gli domandai se parlasse francese o tedesco. E dello stesso tono della mia fu la sua risposta . Rinunciare a comunicare, dunque? Ebbi una improvvisa ispirazione e me ne uscii con un bel loquerisne latine? E lui, entusiasticamente:  Ita, ita!  E così avvenne che un cinese e un italiano in Venezia s’intesero in una lingua mai come in quella occasione  tanto viva.

 *

Due paesi, uno nel reatino l’altro in provincia di Roma,  si contendono nel Lazio il privilegio di possedere i ruderi di una presunta villa di Orazio e la Fons Bandusia candidior vitro, dulci digna mero non sine floribus. Si tratta di Vacone, che ama far derivare il suo nome da Vacuna, la dea della contemplazione, e di Licenza, ambedue individuabili in alcuni passi delle Satire del Venosivo. Non ho visitato, uno di questi giorni lo farò, Vacone, ma conosco molto bene Licenza, che è poco distante dal ben più nominato Tibur, situata  nel cuore della riserva naturale dei monti Lucretili. Ogni anno vi si celebra la giornata oraziana con tanto di relazione accademica da parte di qualche sofo della Sapiena romana. Nel 1975  il relatore ufficiale destinato era  Ettore Paratore, il grande latinista che ebbe il coraggio, solo ed impavido, di sfottere il movimento studentesco sessantottino imperversante alla Sapienza. Ma Paratore diede forfait, non so per quale motivo, ed allora  il segretario comunale del mio paese d’origine, presidente della proloco licentina, ebbe l’idea di invitar me, innamorato del latino, ma non certo latinista, e mi diede per tema “Orazio educatore”, titolo al quale io, teorico della dis-educazione estetica, aggiunsi un dis. C’era un gradevolissimo fresco sotto la folta vegetazione, e la cascatella della fonte cantava allegramente. Non ricordo cosa potei inventarmi, oltre al solito abusatissimo Carpe diem, ma di sicuro diedi una bella spolverata ai passi salienti e oiù spiritosi dell’opera oraziana attinenti più o meno al tema, che m’ero scrupolosamente ripassata nella sua integrità sulla bella edizione tascabile SEI con testo e note solo in latino, curata da Onorato Tescari. Un effetto quell’evento su me sortì, non so quanto sui miei ascoltatori: mi riconciliai con Orazio, al quale, autoproclamatosi spiritosamente Epicuri de grege porcus,  io malato di idealismi e di romanticismi, avevo sempre preferito il “mitico” ed erotico Ovidio e i melensi e crepuscolari neoteroi Properzio,  Catullo, Tibullo.

 

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Chàirete Dàimones!

 
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