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Perla Suez. Frida Kahlo. Szymborska. Matthison e Tivoli. Gaspara Stampa

Post n°794 pubblicato il 18 Settembre 2014 da giuliosforza

Post 748

 

'Más que aprendidos, hemos sido impregnados, hemos sido pensados por el lenguaje fílmico' dice Roa Bastos.

Imperdible captura de una gran mesa redonda con Cortázar, Roa Bastos, Saer y Sarquís.

 

Così su fb l’amica Perla Suez, scrittrice argentina di letteratura (impropriamente detta) per l’infanzia, internazionalmente nota.

E che dire, Perla, di tutti gli altri linguaggi?

 

*

 

Tra le cose che in questa estate mi son perse, e me ne dispiace, è la mostra di Frida Kahlo alle Scuderie del Quirinale, la pittrice messicana moglie di quel bisonte di Diego  María de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez, da cui era incomprensibilmente, dal mio settario punto di vista, pazzamente presa, che la fece atrocemente soffrire e  che si conquistò la fama di pittore rivoluzionario impiastricciando di murali ogni spazio libero di città e campagne messicane. Che Diego Rivera non mi sia molto simpatico par chiaro. E i motivi son tanti, non solo quello di essere stato con ogni probabilità fra coloro che cospirarono contro la vita di Lev Trozskij finito atrocemente arpionato da un sicario stalinista. Ma la mia antipatia nei suoi confronti è inversamente proporzionale alla simpatia e all’ammirazione che nutro per lei, la donna fisicamente in apparenza fragilissima, alla lettera “frantumata” nelle ossa, che trentadue interventi tentarono di tenere insieme, da un destino tragico. Mi chiedo come abbia fatto, nelle sue condizioni, ad esprimere tanta volontà di vivere la Vita nella sua pienezza, in  ogni sua direzione, di viverla così intensamente da non trovar paragone nemmeno tra i più celebrati e fortunati vitalisti della storia dello spirito. Certo fu l’arte a darle tanta forza, ma non solo essa: doveva evidentemente possedere una immensa riserva interiore, avere entro sé rappresa, nella parvenza empirica  d’un essere fragilissimo, tutta la potenza primigenia dell’essere universale.

Se esistesse un martirologio laico ella vi occuperebbe i primissimi posti.

Avrei dovuto tentare di ritrovare nella sua arte tutti i segni di cotanta fragilità e di cotanta forza. Ecco perché essermi persa la sua mostra al Quirinale è stata la iattura peggiore di questa per molti aspetti maledetta estate.

 

*

Una citazione su fb del mio amico Maurizio Cara, finissimo matematico umanista  (Numero e  Parola per lui convertuntur, come Numero e Nota  nella leibniziana concezione della musica quale exercitium metaphycises occultum nescientis se numerare animi) mi ricorda Wislawa Szymborska, la poetessa polacca scomparsa nel 2012, nella quale la prima volta mi imbattei nel ’96, anno del suo Nobel, e mi tornano alla mente la sua piacevolissima ironia, il suo disincanto, la sua essenzialità. Saperla poi vissuta e morta a Cracovia, la città polacca che particolarmente amo, sede di una delle più antiche università, quella jagellonica, assurta ai suoi  fastigi negli anni del Rinascimento, dopo che Bona Sforza vi giunse sposa di Sigismondo I col suo seguito di studiosi ed artisti (grandiosa la politica europeista ed interculturale inaugurata dal fondatore della stirpe il cui nome mi onoro di portare e che troppo presto, per le beghe interne tra i principi italiani, papa in testa, i quali per l’ennesima volta spalancarono le porte della “serva Italia” al più o meno barbaro straniero, miseramente abortì) me la rende ancor più vicina. Concordo appieno con l’opinione di Marcel Reich-Ranicki (il “maestro di color che sanno” tra i critici tedeschi di cui ho avuto modo di occuparmi su  questo blog) che  ha scritto di lei esser “la poetessa più rappresentativa della sua nazione, la cui poesia lirica, ironica e profonda, tende verso la poesia lirica filosofica». E’ proprio questo carattere di lirica filosofica (inaugurata da Bruno, perfezionata da Nietzsche, da Heidegger teorizzata come denkende Dichtung, poesia pensante) a farmela amare. Di lei  posseggo La gioia di scrivere (Tutte le poesie), nelle edizioni Adelphi del 2009. E’ tempo di riapprofondirla.

(Consiglio la lettura della Polacca a tutti i patiti di Alda Merini, per un doveroso, opportuno, proficuo, anche se per essi deludente confronto).

 

*

Ho tra le mani due volumetti, uno più interessante dell’altro. Italien. Eine Reise in Gedichten, il primo, Quelqu’un plus tard se souviendra de vous il secondo. Si tratta di due raccolte, rispettivamente di poesie di autori tedeschi di ogni tempo ispirate a luoghi italiani, e di liriche di quindici grandi poetesse, da Saffo  a Kiki Dimoula, di ogni tempo e di ogni luogo. La scelta dei testi è naturalmente assai discutibile, soprattutto quella del volumetto francese, ma comprensibilmente qui discutibile, per l’ovvio motivo della scarsità di poeti al femminile. Due cose in particolare subito rilevo: la presenza nel primo di un componimento niente male  di Friedrich von Matthison (un quasi, ai più. sconosciuto, se non fosse per Adelaide, un breve lied che ebbe l’onore di essere musicato, ed immortalato, dal giovane Beethoven) ove in versi squisitamente classici viene celebrata Tivoli coi suoi monumenti antichi (Symposium in Tivoli); e la presenza, nel secondo, per l’Italia, della sola Gaspara Stampa, la mia amata Cortigiana padovano-veneziana di cui non cesserò mai di tessere le lodi.  

La Merini e la Spaziani se ne avranno sicuramente a male.

 

________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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