Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Il Giardino dei canti. Son forse un poeta?

Post n°813 pubblicato il 06 Dicembre 2014 da giuliosforza

Post 763

 

Il paradiso dei Mazdeisti è detto da Zarathustra,  profeta di Ahura Mazda, il Giardino dei Canti. Tanto basta per farmi sperare che un posticino in esso sia riservato anche a me, che consumai  la mia vita cantando e facendo cantare. Si tratta dell’unico Paradiso che mi si addica, avendo già per il canto e il suono alleviato di almeno della metà il peso del tempo, sperimentando la verità del detto tirolese: Arbeitest du bei Sang und Klang wird die Zeit dir halb so lang.

 

*

Ho sognato di leggere in Tv i miei versi neoclassici Canti di Pa, e ritmi del Thiaso, L’Evità, Aqua nuntia Aquae iuliae e di riscuotere un enorme successo, quello che ho sempre dentro di me bramato, ma nulla facendo per procurarmelo: ho evitato di fatti ogni pubblicizzazione ed ogni agone letterario, ho stampato a mie spese le mie liriche per farne dono agli amici, e le ho confidate ad una editrice immaginaria, ‘Metanoesi’, la stessa della mia Associazione culturale di Varia Umanità e Musica “Vivarium”, pur affidandone la stampa ad una prestigiosa tipografia della Valle dell’Aniene, la Fabreschi di Subiaco.

Ho sempre pensato di essere, prima che un filosofo dell’educazione estetica e musicale, attività che ho svolto per mestiere, soprattutto un poeta. Ma anche ne ho sempre dubìtato, come recito nella lirica che qui pubblico, e che conclude la prima parte (Zarathustras Kinderreime, filastrocche di Zarathustra) dei Canti di Pan. Nelle quattordici quartine di novenari a rime alternate (per lo più amo esprimermi in endecasillabi sciolti, meno vincolanti ai fini della fluidità espressiva del pensiero poetante e della poesia pensante) mi interrogo e mi rispondo con semplicità e insieme con complessità, difficile risultandomi riassumere ritmicamente ed esaurientemente i dubbi e le ragioni sul mio essere o non essere poeta. E il risultato non mi dispiace, e per questo lo pubblico ad usum Delphini, come dire dei  miei figlioli spirituali prediletti che non hanno disdegnato  di entrare con me nel thiaso dionisio, nella sfrenata danza bacchica. L’abolizione quasi totale della punteggiatura, soprattutto delle virgole, è una scelta stilistica discutibile ma sicuramente efficace ai fini della resa della vorticosa  rtmicità di essa danza. Il ‘divino’ dell’undicesimo verso, che rima con l’aggettivo ‘divino’, è naturalmente voce del verbo ‘divinare’.

 

Io forse non sono un poeta.

Eppure con mano gentile

Forgiare da un’umile creta

Prototipi so ed un gentile

 

Velame d’essenza trapunto

Ad Iside fingo ed il canto

Sorreggo col mio contrappunto

 delle umili cose e l’incanto

 

dell’essere vivo e il divino

del mondo il perenne suo simbolo

in suo permanenza divino.

E so del suo arcano ed il bandolo

 

Donarono a me i sempiterni

Dell’aspra matassa del vero

E sciolgo in lirismi gli interni

Miei grumi e non v’ha cuore altero

 

Che a me le sue stanze non schiuda.

Oh bella vita oh ventura

Oh come materia sua cruda

 Si scioglie e sua cupa frattura

 

Si colma! Se vado ramingo

Romanticamente se chiedo

Parole ai silenzi se stringo

Col demone patto se vedo

 

D’iddii popolata la terra

Son forse davvero un poeta?

Se lacero il velo che serra

Ai grossi e agli ignavi segreta

 

Bellezza se traggo da duro

Diamante sospiri se sangue

Trasfondo alle pietre se puro

 Di mente alla plebe che langue

 

Traduco in parabole il verbo

Di vita se fondo nel vacuo

Se irrigo il deserto se nerbo

Comunico al verbo se innocuo

 

So rendere il mare se morte

Dileggio se batto le vie

Tortuose di redole attorte

Se violano mie fantasie

 

Riserve e divieti se a Giove

 contendo la folgore a Ermete i

talari ad Apollo e alle nove

castalidi il plettro se sete

 

disseto alla fonte Aretusa

se agli inferi al pari di Orfeo

discendo se Saffo ed Alceo

san l’ode mia bella se fusa

 

nel verso ho la vita, Fanciulla

che bevi con avidi sorsi

mia vita  fra il tutto ed il nulla

sospesa, Fanciulla che i morsi

 

disfecero miei, che la meta

m’additi dell’estasi, Filli

che allieti i miei giorni di trilli,

Fanciulla son forse un poeta.

 

Torno a ripetere che questi versi non mi dispiacciono e spero non dispiacciano nemmeno ai miei cinque lettori. I quali se vorranno accusarmi di peccato d’orgoglio, decisamente non errano e io non gliene voglio. L’autostima da una parte e l’autoironia dall’altra son le due cose che  meno mi fanno difetto.

 

______________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

  

 

 
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