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D'Annunzio e Scriabin. Marco Enrico Bossi.

Post n°994 pubblicato il 23 Ottobre 2018 da giuliosforza

Post 915

Da preadolescente, all’epoca della mia iniziazione musicale, mi esercitavo anche con brani per pianoforte e harmonium di Marco Enrico Bossi, un grande organista e compositore di Salò, ove era nato nel 1861 (sarebbe morto per un colpo apoplettico nel 1925 sul transatlantico francese De Grosse in pieno Atlantico). La sua vicenda musicale fu singolare e rientrava in quelle non rare capitate a grandi musicisti (Verdi compreso) che, per la pochezza e l’incomprensione dei loro maestri  di conservatorio, erano stati obbligati a perfezionarsi privatamente o all’estero. Bossi divenne ben presto famoso, diresse molti conservatori, tra i quali, per sette od otto anni, quello di Santa Cecilia, ma non lo vedo attualmente molto frequentato. Dovrò chiederne ragione  al mio ex allievo di università,  organista di fama internazionale, Marco Lo Muscio. Eppure io trovo la sua musica, sia sacra (ricordo in particolare una suite da camera dedicata alla vita di Santa Caterina da Siena) che profana, piacevolissima. Classica nella struttura (il che significa grammaticalmente e sintatticamente ineccepibile), non è sorda ai richiami ed alle suggestioni delle più moderne sonorità, siano esse tedesche , russe o francesi, Per me ascoltarlo e, per quel poco che ne son capace, eseguirlo, è stato ed è un grande piacere. Proprio in questi giorni di ubriacatura musicale (queste note di diario ne sono una minima testimonianza) mi è ricapitata sotto gli occhi una “Cantilena pastorale” dedicata all’amico editore Marcello Capra che merita me la rigusti in questo clima dentro di me già natalizio (e mitraico).

*

Riascolto Scriabin, e naturalmente m’estasio. Lo conobbi dalle pagine del Notturno dannunziano, e non me ne disamorai più. Lo riascolto nel concerto per piano e orchestra che Boulez sul podio e Ugorski alla tastiera eseguono in modo esemplare (Deutsche Grammophon, 1 Cd, 459 647). Come al solito D’Annunzio (che fu il primo ad aprire le nostre vietatissime, non agli eserciti, Alpi all’Europa ed al mondo) fu anche il primo da noi ad interessarsi all’’incontinente romanticismo’, come qualcuno tra noi ancora s’ostina a dire, del Russo, che dello slavo ha tutte le virtù, compreso il grande misticismo da lui elevato a ennesima potenza, e nessuno, o pochi,  dei vizi. Leggo in un ritaglio di una rivista d’epoca  di cui non saprei indicare il titolo, che ritrovo come segnalibro nella mia copia del Notturno (Oscar Mondadori, I edizione 1975): “Scriabin morì nel 1915, sull’orlo del tramonto definitivo del romanticismo. Al di là delle connotazioni nazionali, non c’era in lui di russo se non un gusto per l’eccesso, per la dilatazione delle forme che il simbolismo letterario, intellettuale dei circoli di Pietroburgo e Mosca coltivavano. Ma l’eccesso di Scriabin ha di suo una incontinenza persino viziosa: Non gli basta il pentagramma, non gli basta il pianoforte, non gli bastano l’orchestra e il coro: mette in partitura profumi, luci, colori. Niente più strutture armoniche: ondate strumentali si rovesciano sull’ascoltatore inebriato, come marosi impazziti. Ma nella musica di Scriabin si incontrano laghi di bellezza stupefacente”. Laghi? Mari, direi, oceani. Dell’anonimo segnalatore condivido tutti gli apprezzamenti, nessuna delle riserve. Di chi amo tutto amo, anche il misticismo esasperato (ma può darsi un misticismo che non sia estremo?). Adoro gli echi antroposofici steineriani e teosofici blavatskyani che in lui avverto, mi esalto all’olismo panteistico implicito che dalla sua ‘opera d’arte totale’, di discendenza wagneriana, traspira. Chiaramente sono anche in questo contagiato dall’Arcangelo coclite, che su alcune delle migliaia di cartigli (quelli che a lui orbato porge uno per uno  Renata-Cicciuccia-Sirenetta, guidandogli nel contempo la mano, così consentendogli di vergare, una riga per ogni cartiglio, nella sua inimitabile calligrafia, i pensieri e i ricordi che  costituiranno il Notturno) scrive:

«Nell’insonnio il preludio di Alessandro Scriàbine mi passa e ripassa su la fronte che mi sembra leggera e trasparente come una visiera di vetro in un elmo di ferro. Tutto il capo mi pesa profondato nel guanciale. Ho quell’armatura del capo che i fanti chiamavano cervelliera. Ma la fronte è di vetro, piena di incrinature e di bolle, calda come una coppa soffiata di recente dal vetraio. E’ la sola parte lievemente luminosa del mio corpo insonne, di sopra la benda. Il preludio di Scriàbine è di colore cupo, violaceo, simile a una stoffa marezzata che si divincoli al vento della sera. Mi ricorda il velo funebre che ondeggiava nel mio occhio perduto e che non mi lasciava vedere nello specchio se non la sommità pallida della fronte calva. Le ore passano. La musica è come il sogno del silenzio. Non dormo, eppure la vita si abbassa in me a poco a poco come la marea. Il polso è fievole. La mano sul petto non sente il cuore. La musica si allontana e poi ritorna cangiando di colore come un flutto sotto un crepuscolo mutevole. Il verde il violetto e l’azzurro cupo sono i colori di questa notte. A un tratto vedo le stelle, le stelle dell’Equinozio larghe come i loro riflessi nell’acqua ».

Ed io rivedo nel ricordo un grande manifesto di un festival lucernese  ove la musica era rappresentata da sette stelle filanti carnevalesche di sette diversi colori intrecciantisi e ondeggianti su un compatto  sfondo azzurrissimo. La musica come la vedeva Lui, l’Arcangelo coclite, sul letto del suo delirante martirio.                                                                                                                                                                                                                                            

 *

I Vespri siciliani di Verdi su Rai5 nella versione italiana senza il lungo  balletto da Grand Opéra dell’originaria versione francese. Peccato. Rispetto senza eccessivo trasporto I Vespri  e sopporto quel tanto di patriottismo che Verdi in ogni suo opera vuole ad ogni costo infilare. Ma qui la patria c’entra ben poco, la vicenda fa solo da sfondo al solito dramma amoroso in cui il Bussetano è maestro. E nemmeno li si può intendere, come qualcuno vorrebbe,  rivendicazione  di una identità etnica. Quale identità? Ne ha forse mai  avuto una la Sicilia?. Da quando si è affacciata sul proscenio della storia io la ricordo sempre occupata: fenici cartaginesi romani arabi normanni svevi angioini aragonesi borboni…piemontesi (di tutti i peggiori: gli altri popoli almeno lasciarono splendide civiltà, costoro seppero solo distruggerle). Se mai l’identità siciliana è quella d’aver fatto da crogiuolo a cento altre identità, e a nutrirsene parassitariamente, non sempre ritenendone il meglio. Con questo la musica dei Vespri che ha a che fare? Avrebbe potuto averne, se anch’essa risultasse assimilazione delle nuove tendenze, soprattutto tedesche, a Verdi contemporanee. Ma ciò non è.  Sono ancora lontani i tempi dell’Otello e del Falstaff.

*

Girovagando in internet alla ricerca di un evento che mi riguarda, mi imbatto nel sito che qui sotto allego. Leggo e strabilio. Uno dei miei volumi di poesia neoclassica, L'Evità, viene messo in vendita a 20 euro: da notare che i miei tre volumi di poesie li ho stampati in proprio per farne dono agli amici (‘Metanoesi’, che ne risulta editrice, è solo il nome del mio Gruppo vocale interno al Circolo culturale di Varia Umanità e Musica ‘Vivarium’ ) e non sono stati mai in vendita! Un ’amico’ evidentemente ha trovato bene disfarsene guadagnandoci su. A parte l'aspetto legale, di cui sinceramente m’infischio’,  è quello umano che mi sconvolge. Begli amici  mi ritrovo! Quasi quasi ricompro io il mio volumetto, così, trattandosi di un libro autografato, ritrovo l'’amico’ e potrò pubblicamente complimentarmi con lui. Che ne dite? Mi raccomando, non compratelo!

("poesia autografo sforza giulio l'evitá altre liriche neoclassiche - eBay
https://www.ebay.it › ... › Letteratura e narrativa › Altro letteratura e narrativa
20,00 € - ‎Disponibile)

________________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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