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Post n°1146 pubblicato il 14 Novembre 2022 da giuliosforza

 

1045 

   Oggi, coi post 1040, 1041, 1042, ho terminato la condivisione su questi spazi di 'Dis-Incanti Tre', che sarà pronto in volume entro Natale (fuori commercio, come i precedenti due volumi).

   La prossima primavera sarà la volta, a Dio piacendo, di 'Dis-Incanti' IV, del IV volume di versi neoclassici dal significativo titolo 'La Sera di Pan' (conclusione del ciclo 'Canti di Pan e ritmi del thiaso', L'Evità', 'Aqua nuntia, Aquae iuliae'); e dell'opuscoletto autobiografico 'Infanzia puerizia e prima adolescenza di Atem', un excerptum prosastico da 'Aqua Nuntia-Aquae iuliae'.

   Come si vede non ho proprio voglia di darmi pace e di smettere di divertirmi!

  *

   Resurrezione e dieta vegetariana secondo Voltaire (Romanzi e racconti, Biblioteca Mondadori 1981, traduzione di Riccardo Bacchelli, episodio La principessa di Babilonia).

   “La resurrezione, signora, le disse la fenice, è la più semplice cosa del mondo. Non è più stupefacente nascere due volte piuttosto che una. A questo mondo tutto è resurrezione. I bruchi resuscitano in farfalle, il nocciolo posto in terra risuscita in albero, tutti gli animali seppelliti in terra risuscitano in erbe, piante, nutrendo altri animali dei quali formano ben presto parte sostanziosa. Tutte le particelle che già componevano corpi sono mutate in esseri diversi. Veramente solo a me il potente Orosmade fa la grazia di risuscitare nella mia propria natura”.

   Siamo nel paese dei gangaridi dove la principessa Formasanta si è spinta alla ricerca del suo amato, il pastore Amazano fuggitivo.

   “Chiesero allora ai servitori se si potesse salutare la sua signora madre. Risposero esserle morto il marito avant’ieri, e che non riceveva nessuno. La fenice, che godeva credito in casa, riuscì per altro a far entrare la principessa di Babilonia in una sala dalle mura rivestite di legno d’arancio filettato d’avorio. I sottopastori e le sottopastore, i lunghi vestiti bianchi, cinte di guarnizioni color giallo aurora, le servirono in cento vassoi di semplice porcellana cento deliziose vivande, fra le quali non appariva nessun 'cadavere mascherato' (rilievo mio). ‘Ed erano: riso, sugo, semolino, vermicelli, maccheroni, frittate, uova nel latte, formaggi freschi, pasticcerie d’ogni sorta, legumi, frutti d’ogni profumo e d’ogni sapore di cui in altri climi non s’ha neanche l’idea. I liquori rinfrescanti, a profusione, erano migliori dei vini più buoni”.

   La ricchezza di questo menu vegetariano decisamente non fa rimpiangere le sontuose tavole imbandite dei carnivori divoratori di ‘cadaveri mascherati’.

*

   Sto rivedendo le ultime bozze del terzo volume di Dis-Incanti. Diànoie Metànoie Parànoie di un Vegliardo diarista virtuale' (ora Amor et Taedium Vitae sarei tentato di rititolarlo!) che mi regalerò e regalerò per fine anno. E trovo una pagina che amo riprodurre perché mi riporta ad un breve periodo particolarmente esaltante della mia giovinezza, quello in cui più mi cullavo in sogni di gloria destinati a rimanere tali. E mi ridona ai mei monti e alle mie valli e alle mie, con Jean-Jacques, Rêveries du promeneur solitaire.

   "Vent’anni, primi anni Cinquanta. Ho appena scalato, (faccio per dire, mi sono solo sgraziatamente arrampicato) la più bassa delle due cime del Gelas, il più alto delle Marittime dopo Argentera, Matto, Maledia, Marguareis, Mongioia (che in realtà è già delle Cozie ed è, del gruppo italo-francese che fa corona ad Entracque, coi suoi 3300 e passa la cima più alta). La prima delle due foto mi coglie aggrappato a spuntoni di roccia, quasi indistinguibile, camaleonticamente con essi mimetizzato, masso con masso; la seconda, ginocchioni su uno spiazzo della Sella del Gelas, a disegnar note su un quadernone di musica poggiato sull’erba ed aperto alla prima pagina, ove campeggia la scritta Missa Alpina ad quattuor voces organo comitante. Sì, perché fra le illusioni della mia giovanile ebbrezza fu anche quella di competere col Richard Strauss dell’Alpensymphonie, e di tradurre sacralmente il mio naturalismo panteistico, inconsciamente fin dall’infanzia vissuto, ma all’epoca non ancora problematizzato e …ufficializzato. Il quadernone è ancora qui, affastellato fra i manoscritti, ma dopo il ‘Gloria’ le pagine sono desolatamente bianche: ispirazione e sogni erano evidentemente presto svaniti!

   In gioventù e poi nel resto della vita fino agli ottanta ho amato assai camminare, in pianura in collina in montagna, solo dopo gli ottanta gradualmente cedendo e solo ora, alle soglie dei novanta, con dolore arrendendomi. È camminando (quasi sempre solo, poche le volte, ma esaltanti, in compagnia) che ho pensato le mie cose più belle, ho esercitato corpo e anima alla gioiosa fatica dell’ascendere, dello stare contemplando, del ridiscendere e anche, talvolta, del precipitare (pur esso gioioso, anche solo nel ricordo: m’ebbero precipite ghiacciai, morene petrose, forre folte di triboli e spine, ma sempre, fortunosamente, se pur variamente dolorante, indenne), del sostare a meditare, in una valletta amena o su un poggio, a poetare, a musicare, a variamente filosofare. Le due foto ben documentano due dei momenti in cui il Giulio fenomenico, ma non solo, s’accenna: ché per chi ha occhi penetranti da forare il fenomeno (l’epidermide), anche il noumeno, kantianamente intuibile se non (sentore di paradosso!) conoscibile, si s-vela in due degli aspetti più significativi della sua essenza profonda.

*

   Ho impiegato circa 90 anni per accorgermi che la parola acme (greco akme'), una delle parole da me piu' usate, è femminile! Donna come vertice.

*

   Per Raffaella Canovi, alla quale vanno tutti i miei complimenti per i suoi successi editoriali:

Anchora imparo, con l'h dopo la c, anchora', non ancora; e inparo, non imparo, come nell'incisione giuntalodiana a cui lo stesso D'Annunzio rimanda.

*

   Stamane faccio il voyeur. Mi colgo compiaciuto a spiare il mattinale congiungimento di Giove-Osiride con una in vereconda, completamente nudata, Selene-Luna.

*

   Per la prima volta ieri, rigodendomi una storica 'Bohème', quella del Festival Puccini di Torre del Lago del 2014 con la mai abbastanza rimpianta Daniela Dessì e il suo compagno d'arte e di vita Fabio Armiliano, mi sono accorto di un fatto assai curioso di enorme, almeno per me, rilevanza: dei quattro protagonisti maschili del dramma che si svolge in una gelida soffitta e nelle strade adiacenti del 1° Arrondissement, vicino al Café Momus (famoso luogo di ritrovo di artisti e letterati), uno, col poeta Rodolphe il pittore Marcel e il musicista Schaunard, è, udite udite, un filosofo, Colline. Ve lo sareste mai aspettato, voi, un filosofo bohémien? Ebbene io sì, se Bruno Nolano e Fritz di Röcken, due bohémiens che più bohémiens non si può, furono i miei pensatori prediletti e compagni fedeli dei miei intellettuali pellegrinari. Il tedesco soprattutto, non solo annunciatore della ‘morte di Dio’ e del 'Crepuscolo degli idoli', ma teorizzatore di un 'pensiero danzante sulle cose', che se di una Ragione è pur figlio, non certo di una Ragione ‘oggettivante’, cui sfuggono le riposte vie del Mistero e dell’Essenza, ma di una Ragione ‘partecipativa’ che sa, meglio avverte, per l’Arte sua figlia, le vie del Profondo (reminiscenze marceliane).

   Ci voleva un musicista, Puccini, coadiuvato da due bravi librettisti, Giacosa ed Illica, per inventarsi un filosofo bohémien e recuperare Sophia al Parnaso e alle Muse danzanti attorno alla sorgente pegasea.

Puccini, je t’aime!

*

   Ho rischiato la morte per un libro, o di libro. Sarebbe stato un degno crepare.

Nel tentativo di prendere dallo scaffale più alto di una delle mie biblioteche, quella chiusa, il volume (due kg e mezzo) 'Polonia', ricordo di uno dei miei viaggi periodici a Lodz per gli incontri coi colleghi interessati alla mia dis-educazione estetica, il volume, che era in posizione precaria, malamente appoggiato a un Pascoli bonaccione e sornione, dono degli amici di Parma, appena aperto lo sportello mi precipitava di spigolo sulla testa, procurandomi, oltre al dolore e a un bozzetto che farà per un po' compagnia a una preesistente vistosa keratosi, un leggero intontimento durato vari secondi. Una commozione cerebrale da libro! Quale altra più degna commozione?

   Oltre che dalla mia imprudenza, l'evento, che avrebbe potuto esser nefasto per un centenario come me, con ogni probabilità mi è stato procurato da Zvani' e da Gabri, in primo piano nella foto, gelosi della mia discendenza (!?) da Bona Sforza che, in qualita' di moglie di re Alessandro Jagellone, portò a Cracovia il Rinascimento.

   Sarò pure un povero vecchio, einsam nicht allein (Goethe), ma chi più invidiato e invidiabile di me?

   Vaneggiamenti di un pomeriggio afosissimo di una già quasi matura Vergine.

*

   Tra le cose che rendono più ripugnante e antipatico un vecchio, sono  la vanesieria, la gigioneria, la civetteria, belle qualità di cui mi ritrovo abbondantemente dotato.

   Stamane mi sono recato in uno studio radiologico agghindato come un dandy, tutto bianco, tranne il basco Borsalino bicolore di seta bianca e pelle avana (bel cimelio, ora che anche il famoso marchio ha chiuso) e la fanciulla angelica dello sportello mi ha sussurrato, immagino per non farsi sentire e un poco approssimandosi alla mia guancia quasi poggiando la sua sul vetro (maledetto vetro!) divisorio: lei è bellissimo. Incredulo, non dirò imbarazzato, ho reagito col più bel sorriso di cui sono ancora capace, ma il Fritz che oggi mi inanella il prezioso foulard (già, perché il venerdì è il suo giorno, come il lunedì è quello di Ludwig, il Martedì di Richard, il Mercoledì di Gabri, il Giovedì del Satiro del Cicala arso al Campo, il Sabato di Pan, la domenica della mia principessa Paolina - mia perché moglie infedelissima di Camillo Borghese, principe del mio borgo e del relativo castello - ritratta in un bel cammeo di finto avorio) è scoppiato in un riso beffardo. Invidioso, evidentemente: ancora gli scottano i dinieghi di quella civetta di Lou.

   Mi dispiace per Fritz. Ma io mi porterò a lungo nel cuore e negli occhi lo sguardo e le parole sussurratemi dalle labbra dolcissime della fanciulla incomparabile dello sportello del Laboratorio Gilar di Via delle Vigne Nuove.

*

   'Musica Salvatrix'

   Tristissimo per il ritorno dalla Terra ove profondissime affondano le mie radici, 'où ma mère' non 'm’infligea', come a Réné, 'la vie' (Chateaubriand), ma la vita mi chiamò a celebrare come ‘dono grande e terribile del Dio’ (D’annunzio), ancora una volta Frau Musika mi è venuta, fedelissima amante, in soccorso.    Tutta una lunga vita passai (oltre che, nei miei modestissimi limiti, a farla) a riflettere, parlare, scrivere di Colei senza la quale la 'vita sarebbe un errore' (Nietzsche, 'ohne Musik ist das Leben ein Fehler'); di Lei che 'creuse', scava,  le ciel (Baudelaire), che è 'avant toute chose' (Verlaine), è tristaniana 'unbewusst, hӧchste Lust' (un 'in dem wogenden Schwall, / in dem tӧnenden Schall, / in des Weltatems wehendem All – ertrinken, / versinken, - / unbewusst -, / hӧchste Lust', un 'affogare, sprofondare, senza coscienza, suprema Voluttà, nel flusso ondeggiante, nell’armonia risonante, nello spirante universo del respiro del mondo!' - Wagner); di Lei che 'sa le strade riposte dell’Essenza', che ‘è lo stesso io profondo’, che sola 'dit vrai' ('La Musique dit vrai, la Musique seule' Marcel); oggi dunque puntuale la mia fedelissima amante mi è venuta in soccorso con un fantasmagorico 'Zauberflӧte' in un allestimento della Scala del 1994, sul podio un Muti nel pieno del suo vigore interpretativo, un Robero De Simone in regia al culmine della sua fantasia inventiva, e un cast tutto tedesco in grado di estasiare con la doppia melodia del canto e della lingua. E al termine del lungo percorso che Sarastro impone a Tamino per ritrovare, con l’ausilio dei suoni del magico flauto e del birichino campanellino variamente tintinnante, la sua Pamina, i due innamorati si abbracciano e intonano, accompagnati dagli armigeri, il canto della vittoria 'sulla morte attraverso la musica': "Wir wandeln durch des Tones Macht / Froh durch des Todes düstre Nacht", 'grazie alla potenza della musica avanziamo lieti attraverso la notte tetra della morte'.

   Il 'Flauto magico' ha fugato la mia tristezza e l’angoscia di morte che ormai è compagna inseparabile dei miei giorni. Esso non è solo il capolavoro, in apparenza di una levità celestiale e qua e là non poco sbarazzina, in realtà di una profondità ed esotericità pressoché inaccesibili ai non iniziati, del genio di Salisburgo; è anche il più bell’inno elevato alla potenza letificante e salvifica di Frau Musika.

La quale sia dunque ancora una volta, sempre e ovunque, benedetta.

*

   Il kumquat semiseccato dalla calura ma in via di ripresa (i nuovi mandarinetti già fanno capolino fra le foglie ancora sofferenti). Secondo la donatrice è un simbolo beneaugurante anche per Colui che ricevette il dono! Come anche per lui ritiene valere i versi di Hikmet che il dono accompagnarono!

   E sia, generosissima N.!

____________

Chàirete Daimones

 
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