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Valéry e la danza. Ninna Nanna di Brahms

Post n°789 pubblicato il 02 Settembre 2014 da giuliosforza

 

Post 745

 

La danza: vittoria sulla forza di gravità (Nietzsche).

 

Qualche post fa mi interessai di Paul Valery e di alcune suo opinioni su Nietzsche. Ora torno a dire di lui perché scopro essere uscito presso Mimesis Edizioni di Sesto San Giovanni, nella collana “Eterotopie”, un suo volumetto, L’anima e la danza, a cura di Aurelia Delfino, del quale leggo la recensione di Chiara Pasetti sul Sole 24 Ore di domenica 24 agosto. Non ho ancora fra le mani il libro e la mia impressione non può essere perciò che  approssimativa, ma mi meraviglia che  fra le definizioni della danza messe in bocca dal Francese ai commensali del suo Simposio (ché sul modello del dialogo platonico si muove il suo racconto),  non ricorra, almeno stando al recensore, quella nicciana, che sicuramente è la concezione  più ricca di rimandi simbolici che dell’arte di Tersicore sia dato rinvenire: la danza come vittoria sulla forza di gravità, il grande demone, il più duro da dominare. Nell’atto del danzare il ballerino non tocca terra, vola; quando fugacemente egli  poggia il piede al suolo è solo per riprendere slancio e rilibrarsi nell’aria.

Come invito alla lettura del volumetto, riporto qui di seguito la recensione della Pasetti (che sembra non conoscere -lei o la Delfino o tutte e due?, il Simposio platonico, ritenendolo un banchetto di nozze e non la celebrazione della vittoria del poeta Agatone alle Dionisie), che a buon diritto centra la sua recensione intorno all’asserto valéryano che “è al cuore di tutto lo scritto”: “la vita è una donna che danza”.

 

Scrive dunque Pasetti:

 

“Paul Valéry è stato un poeta sublime, un saggista raffinatissimo, un filosofo, un critico d’arte, un uomo di mondo, e un intellettuale poliedrico fra i più stimati del suo tempo.. Certamente non è mai stato un danzatore, ma questo non gli ha impedito di interrogarsi a più riprese sulla danza, l’arte che più di tutte ebbe un’influenza sulla sua opera. Le riconobbe una specificità di produzione artistica tanto per la sua dimensione fisica quanto per il suo atto creativo, e nell’atto del danzare, nel corpo danzante, vide l’incarnazione della produzione intellettuale. Il primo scritto in cui Valéry si occupa della danza è L’Ấme et la danse, del 1923, seguito da La Philosophie de la dance, del 1936, contenuto in Variété, e da Degas. Dance et Dessin del 1937, testo scritto in onore del suo incontro con il pittore delle ballerine. Ed è proprio il primo testo, appena pubblicato da Mimesis, (L’anima e la danza) con una dotta prefazione di Aurelia Delfino, a meritare un’attenzione particolare. Nato come “scritto di circostanza” dietro l’invito di redigere una riflessione sulla danza, si presenta sotto forma di dialogo-pastiche di Platone, il filosofo con cui Valéry sentì la più profonda affinità. I personaggi del dialogo sono Socrate, il medico Erissimaco, saggio conoscitore delle leggi che regolano il corpo, il giovane, sensibile e appassionato Fedro. La situazione ricalca il Simposio platonico, ma qui si passa da un banchetto nuziale (che è lo spunto per alcune considerazioni socratiche sull’uomo che mangia, definito da Socrate come ‘il più giusto fra gli uomini’) a un balletto, a cui i tre protagonisti assistono incantati senza riuscire tuttavia  a privarsi del piacere di dialogare e commentare. Al Socrate valéryano è affidato il compito di chiedere cosa è la danza, intesa nella sua essenza. Ma la domanda “amici miei che cosa è veramente la danza?, tì estì, giunge alcune pagine dopo la definizione (che allo stesso modo di tutto il dialogo, come sottolinea Delfino nella prefazione, “non sazia, non pretende di fermare  pensiero, movimento e vita”, e infatti apre ai tentativi di risposta degli altri due spettatori) che il filosofo ha già fornito, e che è al cuore di tutto lo scritto: “La vita è una donna che danza”. Davanti ad Athikté “la palpitante”, che guida il balletto, e alle altre danzatrici, il giovane Fedro sembra il più coinvolto, e la contemplazione della danza, nella quale vede una mimesis del mare, e dell’amore, una metafora di tutto ciò che è movimento e vita, gli genera intensi sogni erotici.

Erissimaco invece vede la danza come corpo: La danza è incarnata dal corpo della ballerina, e la ballerina è la danza stessa. Ma soprattutto la danza è evasione dal corpo, è superamento della natura stessa, è fuga dal reale, possibile solo attraverso questa arte, che è fatta di ordine, simmetrie, “suono e senso”, numero, allo stesso modo dell’arte poetica (interessante a questo proposito, è il valore del numero nella ricerca estetica di Valéry e più in generale dell’Ottocento e del Novecento, indagata nel bel volume La Poesia e i numeri a cura di Luca Pietromarchi, dove si parla anche di Baudelaire,Mallarmé, Blake, Novalis, Marinetti ed altri). Socrate ha così avuto le sue risposte alla domanda iniziale sull’essenza della danza: un sogno per Fedro, con tutte le metafore generate dal movimento del corpo danzante, un al di là della natura attraverso la natura stessa per Erissimaco. Ovviamente però il maestro non è del tutto soddisfatto, e riassumendo il discorso di entrambi in una mirabile immagine, paragona la ballerina a una fiamma, “cosa viva e divina”, che come colei che danza rende visibile l’attimo e lo trascende. Se dunque all’inizio Socrate aveva affermato che la vita è una donna che danza, alla fine torna a dire che la danza è vita, è “une femme flamme”, che oltrepassa ogni contingenza spazio-temporale. Come l’arte, come la poesia, la danza è poesia e creazione, fiamma vivente, fiamma umana in cui intelligenza e sensibilità non sono mai disgiunte. E alla fine del dialogo, in rispetto e in onore della donna e della danza, Valéry sceglie di far chiudere il dialogo proprio a una donna, ad Athikté, che al termine della sua esibizione,al culmine dei palpiti  e di un deliquio dei sensi che la fanno sembrare quasi morta, ribadisce in fondo ciò che tutti e tre i protagonisti del dialogo cercavano di esprimere. Alla domanda di Socrate “Da dove torni?”, lei risponde: “Asilo, asilo, o mio asilo, o vortice! In te mi trovavo, o movimento, fuori delle cose del mondo”. Sogno, irrealtà, fuoco. Danza”.

 

Se la traduzione che leggerò dovesse essere come la recensione (sciattina anzi che no sia per la grafica che per lo stile, per la proprietà di linguaggio, per la chiarezza, per l’approssimazione dell’elaborazione concettuale), onde  aver idee chiare e correttamente riferirne mi toccherebbe attendere la lettura dell’originale che, se ho ben capito, non è riportato a fronte, cosa che sarebbe corretto fosse potendosi considerare ormai Valéry alla stregua di un classico.

 

*

 

Primo di settembre. Sui miei monti è’ tempo di migrazioni, ma io persisto incurante degli uragani e dei venti ululanti fra le gole e le forre della mia terra. Accendo il fuoco, leggo Gregorovius, gioco con Pan-ino-ino-ino che resiste di me più imperterrito, poi mi canto e gli canto la Ninna Nanna di Brahms.

 

Guten Abend, gut' Nacht, mit Rosen bedacht,
Mit Näglein besteckt, schlupf unter die Deck!'
Morgen früh, wenn Gott will, wirst du wieder geweckt
Morgen früh, wenn Gott will, wirst du wieder geweckt

Guten Abend, gut' Nacht, von Englein bewacht,
Die zeigen im Traum dir Christkindleins Baum
Schlaf nun selig und süß, schau im Traum 's Paradies
Schlaf nun selig und süß, schau im Traum 's Paradies

 

Io non sognerò il Paradiso, ma per lui gli angeli son già tutti in procinto di scendere.

 
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