Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

norise1giuliosforzafantasma.ritrovatom12ps12patrizia112maxnegronichioooooannaschettini2007kunta.mbraffaele.maspericotichPoetessa9avv.Balzfamaggiore2dony686
 

Ultimi commenti

Non riesco a cancellare questo intruso faccendiere che...
Inviato da: Giulio Sforza
il 20/11/2023 alle 07:25
 
Forse nei sogni abbiamo una seconda vita
Inviato da: cassetta2
il 01/11/2023 alle 14:32
 
Ciao, sono una persona che offre prestiti internazionali. ...
Inviato da: Maël Loton
il 18/09/2023 alle 02:38
 
Ciao, sono una persona che offre prestiti internazionali. ...
Inviato da: Maël Loton
il 18/09/2023 alle 02:34
 
Ciao, sono una persona che offre prestiti internazionali. ...
Inviato da: Maël Loton
il 18/09/2023 alle 02:31
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Giulio Giorello, Luciano...Manon Lescaut. Juenger, ... »

pensieri sparsi ferragostani

Post n°1042 pubblicato il 18 Agosto 2020 da giuliosforza

961

   In un angolino della mia piccola libreria al Frainile, fra i volumi tristemente abbandonati e destinati alla solitudine annuale una volta finita la calura estiva, ritrovo un libricino della Feltrinelli, La vita fa rima con la morte (titolo originale HARUZEI HA’ CHAIM VE-HAMAVET) dello scrittore israeliano Amos Oz (nato Amos Klausner), nato nel ’39, morto nel 2018, ma vivo e vegeto quando acquistai il libro nel 2009: un bell’uomo alto e asciutto, ma robusto, col volto scavato dalla vita e una folta capigliatura, il tipo d’uomo che piace a me forse perché mi ricorda mio  padre. Leggo (rileggo?) le prime pagine per cercare di capire che ha da fare il titolo col contenuto, anche perché dalla solita presentazione di quarta di copertina non è facile evincerlo: “Ẻ una calda sera d’estate a Tel Aviv. Lo scrittore è seduto in veste di ospite d’onore a un incontro letterario. Ẻ assente. Le voci dei relatori gli arrivano opache, senza sostanza. Davanti a sé il pubblico. Lui spia volti, gesti, figure. Un timido e occhialuto adolescente. Un tipo malmostoso che sembra in totale disaccordo con l’oratore. E poco prima in un bar aveva messo a fuoco una cameriera dimessa ma provocante, due figure dall’aria losca, una vecchia signora con le gambe gonfie. Sono immagini captate, anzi rubate alla realtà. Sono immagini che diventano storie. Più tardi, mentre vaga da solo nel deserto della città, sente che i personaggi che ha evocato gli sono accanto. E a quel punto entra nelle loro vite, le invade e le trasforma. Le grandi storie da raccontare hanno bisogno solo di un dettaglio, sembra dire Amos Oz. Poi sono magicamente incontrollabili, come l’immaginazione. E ci vengono a svegliare”.

   Primissima impressione: mi par si tratti più di un lungo racconto che di un romanzo. Del romanzo non ha l’ampio respiro. Ma forse sbaglio. Abbandono le altre letture, abbandono l’Keats e il suo Endimione e mi dedico, al fresco del mio solito noce, a questa. Molte rondini volano basse, quasi a sfiorare le cime degli alberi le cui foglie la calura ammoscia e affloscia. Che finalmente piova?   

 *

   Angelo Lucio Rossi.

   Nel numero XXXII de L’Espresso del 2 agosto u. s., trovo un interessante articolo, recante la firma di Francesca Sironi, dal titolo “Per loro la scuola è già finita. Molti ragazzi abbandonano. Troppi non imparano anche se frequentano. Situazioni gravi che la chiusura per il Covid ha ancora peggiorato”.

   Tutto il lungo articolo è dedicato alle iniziative che un dirigente scolastico abruzzese, ora operante in Milano, Angelo Lucio Rossi appunto (nostro amico di rete ed ex allievo della nostra romana ‘fu’ Facoltà di Pedagogia) da anni ha intrapreso, coadiuvato da presidi, docenti, volontari, referenti di note istituzioni (Save the Children, fondazione Milan, Kia Motors, Naturasì, Banco alimentare ecc.,) per recuperare il tempo perduto, e cullando l’ardita (ardita sempre, ma soprattutto in epoca di ‘educazione di massa' – espressione che mi suona non poco una contradictio in terminis) utopia di una ‘scuola aperta’ che recuperi l’essenza radiosa della σχολή. Me, da sempre nostalgico delle primavere elleniche e delle loro solarità, la figura e l’opera di Angelo Lucio Rossi affascinano. Spero che nelle sue utopie qualche suggestione anche sopravviva delle mie esteticamente ‘dis-educative’ farneticazioni pedagogiche. Intanto si abbia i complimenti e gli auguri del Vegliardo.

 

*

   Non vorrei essere frainteso. Quando nel mio precedente messaggio parlo di ardite utopie e di farneticazioni non dico di qualcosa di negativo e di risibile. Le fantasie, le utopie, le farneticazioni sono il mio mondo!

 

*

   Corre a me piangendo. un avanbraccio fasciato da un canovaccio da cucina, Jacopo: mentre giocava beatamente, così dice, in piazza a nascondino (qui da noi da sempre chiamato topa topa) con gli amichetti, una vespa l’ha punto. Maledetta! Per consolarlo gli racconto un episodio capitato a me alla sua stessa età (circa dieci anni), mentre solitario in un pomeriggio assolato come quello odierno  (uno degli ultimi, del resto, trascorsi al borgo: ad ottobre sarei partito per il remoto collegio piemontese che per anni avrebbe accolto le solitarie lacrime del preadolescente crudelmente esiliato dalle chiarità mediterranee alle brume, anche metaforiche, allobroghe) curiosavo tra un cespuglietto e l’altro di ginepri alle pendici basse del monte Croce, che sovrasta il nostro borgo: cercavo tracce di allodole (forse anche per questo Alouette, gentille alouette con quel che segue sarebbe stato il tormentone delle mie passeggiate da collegiale: una sorta di presentimento, di romantica Ahnung), che mi si diceva prediligessero quei cespugli  per nidificare. Attendevo pazientemente, contemplando l’altipiano del Cavaliere ed ammirando gli arabeschi disegnati nel cielo dai caccia che scortavano le formazioni di bombardieri angloamericani diretti al nord. Cessato il monotono terrificante rombo delle fortezze volanti, una lodoletta (quante lodolette sarebbero ricorse nelle mie incursioni nei campi fioriti delle musiche trobadoriche e madrigalesche!) ruotò attorno al luogo del presunto nido, così almeno a me parve, per poi, senza fermarsi, rivolare lontano. Frattanto un fortissimo ronzio, come di uno sciame intero, avvertii provenire da quella parte, e come uno stupido mi avvicinai a curiosare nel cespuglio. Non l’avessi mai fatto! Uno stuolo di centinaia, se non migliaia, di vespe, s’avventò furiosamente su ogni parte scoperta del mio corpicino, esile come quello di chi viene dalle parche mense dei tempi di guerra. Scattai per fuggire precipitosamente giù per l’erta scoscesa, ma inciampai, caddi, e ruzzolon ruzzoloni raggiunsi il sottostante sentiero della Croce delle Vigne; la magrezza m’aveva risparmiato ferite e slogature gravi, ma non l’effetto del veleno: ero gonfio in ogni parte del corpo e terribilmente dolorante. Correndo come una lepre raggiunsi casa urlante dalla sofferenza e attirando l’attenzione di tutti i villici appena levatisi dalla siesta pomeridiana. C’era anche un medico in villeggiatura che mi prestò le prime cure del caso, ma fu impossibile ricoverarmi: mancavano comode strade, soprattutto mancavano le automobili per raggiungere il più vicino ospedale, distante una cinquantina di km. Per fortuna non ce ne fu bisogno e le temute complicazioni allergiche (un mio fratello più grande aveva rischiato la vita per la puntura di un calabrone e s’era salvato dopo un lungo ricovero all’ospedale di Rieti) non sopraggiunsero. Ma quanta paura! Questo fu il secondo dei gravi incidenti occorsomi nell’infanzia e nella fanciullezza, di cui diffusamente ho narrato in una breve autobiografia e su queste stesse pagine. Di altri gravi a rischio di vita che mi sarebbero occorsi in seguito, soprattutto in giovinezza, non dico. Evidentemente avevo gli Dei, o il Fato, amici, se a quasi cent’anni sto ancora qui a narrarne.

*

   Terminata la lettura di Dictator. L’ombra di Cesare, di Andrea Frediani, e resto confermato nell’idea che ogni guerra è sterminio efferato programmato, dai vincitori celebrato come una impresa di civiltà, e che non esistono guerre giuste e guerre ingiuste, e che le stesse guerre di difesa sono una ipocrisia come gli organi politici ad esse preposte.

   Non sono proprio questi gli intenti che Andrea Frediani si propone offrendoci la sua versione romanzata del De bello gallico e del De bello civili; egli assimila lo stile asciutto e scattante di Cesare e con freddezza e determinazione ci narra gli  eccidi e gli stermini a cui le guerre si riducono, e non ha tesi politiche o ideologiche da dimostrare: e dentro gli eccidi e gli stermini trova posto la tragica cronaca di un’amicizia e di un amore, i due sentimenti che anche nel mezzo delle efferatezze belliche sembrano salvarsi e sopravvivere, seppur nel loro fatale destino di fallimento.

   Si legge nel risvolto di copertina: “Gaio Giulio Cesare è poco più di un bambino quando nell’88 avanti Cristo incontra per la prima volta Tito Labieno: i due si salvano la vita a vicenda, suggellando così un’amicizia destinata a durare nel tempo. Anche quando la carriera militare del grande condottiero prende avvio dapprima in Spagna poi in Gallia, Labieno è al suo fianco come principale comandante subalterno, i due elaborano strategie e compiono gesta straordinarie, agiscono in totale sintonia e sono, di fatto, invincibili. Ma mentre la Gallia, anno dopo anno, finisce sotto il tallone di Roma, nell’Urbe cresce la fazione anticesariana, che opera per separare i due indissolubili amici, e anche nello stesso esercito di Cesare c’è chi agisce per screditare Labieno e prenderne il posto.  I loro destini si intrecciano con quelli di Quinto, ambizioso figlio di Labieno, e di due germani: Ortwin, fedele guardia del corpo di Cesare, e Veleda, ragazza di sangue reale finita nelle mani dei romani. Quando il futuro dittatore si dimostra pronto a tutto per difendere quelli che ritiene i propri diritti, Labieno sarà costretto a decidere da quale parte stare. L’ombra di Cesare è il primo capitolo di una avvincente trilogia che ha come protagonista il più grande condottiero di Roma antica”.

   Non so voi, io al ginnasio, da adolescente introverso e solitario, parteggiavo per i vincenti (essi pure destinati alla solitudine): figure come quelle di Alessandro, Cesare e Napoleone (i veri Achilli fuor di leggenda) furono i miei eroi e li consideravo, come essi stessi si consideravano, destinati dagli dei a portare nel mondo progresso e civiltà. Crescendo ho cambiato non poco i miei gusti: sono per lo più dalla parte dei perdenti, fino a che almeno essi stessi non si rivelino col tempo i veri vincenti (si pensi al dopo Waterloo, al dopo prima e seconda guerra mondiale: i tradizionali imperialismi dei vincitori, dominanti in Europa, ne uscirono, vincenti sulla carta, sgominati nella realtà) e dei vincenti vestano a loro volta elmo e lorica e impugnino pugnale e giavellotto. Non credo più nella guerra come igiene del mondo. Non credo più nel progresso che dalle guerre   scaturirebbe.  Cosa è il progresso se non un semplice prolungamento dei cinque sensi esterni? E in quanto a civiltà …mio Dio! i problemi veri dell’uomo, quelli che hanno da fare con le sue ansie, i suoi tormenti, i suoi turbamenti, sono quelli di sempre, se non aumentati, e nulla è stato chiarito sul suo senso e i suoi destini, sul mistero dell’esserci e del non esserci, del tempo e dell’eternità, della vita e della morte. Il ‘divino’ Macedone, Cesare, Napoleone mutarono sì le sorti del mondo, ma il loro scettro di che lagrime grondò e di che sangue! E la semente LEF (Liberté Ẻgalité Fraternité) a larghe mani sparsa da Napoleone nell’universo terracqueo, dopo Waterloo iniziò a germinare e a creare una umanità nuova certo, ma nuova di quale novità?

   Sono portato a non credere più nelle magnifiche sorti e progressive. Antileopardiano per costituzione, in vecchiaia sono spinto a ricredermi. E a ripellegrinare contrito al Recanatese.   

*

__________________

  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano).

   

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/disincanti/trackback.php?msg=15074594

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
Nessun Trackback
 
Commenti al Post:
Nessun Commento
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963