Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale
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L’esoterico dovrebbe risultare ineffabile, alla lettera in-dicibile, e perciò incomunicabile. Eppure se ne è detto e se ne dice, se ne è scritto e se ne scrive, più di ogni altra cosa. Come di Dio, l’esoterico per antonomasia, l’in-effabile per principio, di cui dai teologi (per non dire di quei …mariuologi dei mariologi), secondo Borghes i più straordinari autori di letteratura fantastica, continua a dirsi a dirsi a dirsi, a scriversi a scriversi a scriversi, sicché a mettere un sopra l’altro i loro volumi si innalzerebbe una giovannea pila tale da colmare lo spazio fra la terra e la luna. Dell’arcano non si dice, l’arcano, nel silenzio sacro delle cose e degli uomini, al dì la dei frastuoni del tempo, nel trasporto mistico si “sperimenta” e si “partecipa”, luminoso numinoso contagio. Nell’oceano immenso dell’Arcano con l’Isotta wagneriana ci si inabissa come in un oceano d’Amore (ertrinken, versinken, unbewusst, höchste Lust!), come in un platonico sconfinato polý’ pelagos tou kaloù.
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Ascoltando Rossini
Concepito con la tabe romantica, fin dal mio primo aprirmi alla Musica, e poi per tutta la vita, nutrii per Rossini se non repulsione certo un qual leggero fastidio. Probabilmente fui condizionato da colui che fu il mio primo amore, il Titano di Bonn, che incontrando il Pesarese gli aveva con sufficienza consigliato di non tentare nemmeno i sentieri a lui vietati dell’opera seria e della sinfonia (ben diverso nei suoi confronti sarà l’atteggiamento di Wagner, suo grande ammiratore). Per me Rossini altri non era che il sommo rappresentante del genere buffo, e tanto mi bastava per non sentirmelo affine. Ora, riflettendo bene, rilevo che della quarantina di opere rossiniane oltre una trentina sono “serie”, e in buona parte ricche di inattese “profondità”, quelle che a me piace scavare.
Mi toccherà riparare, se non è troppo tardi.
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Gregorovius è uno scrittore di una compostezza ineccepibile. Nei suoi diari romani non mi è dato trovare nessun accenno a situazioni sue personali o a
eventi pubblici che non sia ponderato e discreto, anche se ricco qua e là di signorile ironia e raramente di feroce sarcasmo, tanto più feroce quanto meno, nello stile, volgare e sbracato. Le sue critiche più acerbe riguardano la cecità di coloro, tra i grandi personaggi del tempo, siano essi re imperatori o papi, politici letterati ed artisti, nei quali gli paia avvertire mediocrità, grettezza, oscurantismo, filisteismo, chiusura nei confronti dei progressi della Conoscenza. Vivendo egli per circa venti anni a Roma, intento a redigere, fra cento altre cose, la monumentale opera in otto volumi sulla Storia della Città nel Medioevo, egli è naturalmente molto attento agli accadimenti romani e a quanto riguarda la vicenda personale di Pio IX. Ma la storia del papato è in quegli anni particolarmente intrecciata con quella della Francia (la nazione che invia le sue truppe, tradendo il laicismo rivoluzionario, a puntellare il traballante trono del Papa Re), dell’Italia e della Germania impegnaste nella lotta per l’unità, Si ha, dalle pagine gregorovisiane, la visione di un mondo in fermento ed in movimento che papa Mastai ed il suo caotico entourage (manovrato dalle trame, dalle beghe, dalle mene gesuitiche) fanno ogni sforzo per frenare, anacronisticamente combattendo una battaglia in partenza perduta contro l’ineluttabilità del farsi dello Spirito nella Storia.
E’ soprattutto il 1870, anno positivamente critico nella storia d’Europa, ad attirare l’attenzione del Prussiano. Il lavoro indefesso svolto da certosino negli archivi di Roma e d’Italia per far luce, con distacco obiettività profondità da tutti riconosciutagli, tranne che dell’invidioso Momsen, sui “secoli bui”, non gli impedisce di seguire appassionatamente le vicende della contemporaneità e di cogliere e di denunciare le anomalie della cieca chiusura e delle resistenze papali, dei suoi insensati tentativi di fermare o frenare il corso della storia e di opporsi al cammino della Conoscenza, col Sillabo prima e con la “folle” iniziativa della proclamazione del dogma dell’infallibilità poi, imposta, non senza grandi controversie e resistenze da parte dello stesso composito mondo dei padri conciliari., proprio in quell’anno. Da intellettuale illuminato segue preoccupato l’attentato che la dichiarazione del dogma dell’infallibilità rappresenta non solo per una mente laica ma per tutti quegli spiriti religiosi, cattolici compresi, che non si rassegnano a vedere tanto umiliato il sentimento del divino, la cui interpretazione il dogma vorrebbe monopolio del pontefice romano, seppur solo nelle sue legiferazioni ex cathedra su materie di fede.
Scrive G. il 7 gennaio ’70: “...Roma insisterà sul Sillabo, proclamerà possibilmente anche l’infallibilità e gli oppositori si butteranno immediatamente a terra come laudabiliter subiecti” … Il 30 gennaio: “Dicono che i loro (dei gesuiti) intrighi non conoscano limiti. Si agisce con corruzione, con adulazione,, con terrorismo, con benefici e con la prospettiva del cappello cardinalizio”. Il 10 marzo: “Il Papa è convintissimo di essere stato predestinato da Dio a porre il dogma (della sua infallibilità) come una corona sull’edificio della gerarchia. Egli si considera uno strumento divino nell’ordine cosmico turbato, come il portavoce dello Spirito Santo”. Il 27 marzo: “Pasquino ha composto il seguente epigramma sull’infallibilità:
-Quando Eva morse, e morder fece il pomo,
Gesù per salvar l’uom si fece uomo;
Ma il Vicario di Cristo, il Nono Pio,
Per render schiavo l’uom, si vuol far Dio-“
Oltre settanta sono le pagine deì Diari dedicate al tema e alla attenta descrizione delle varie fasi del dibattito, e interessante sarebbe riportarle tutte. Ma per concludere mi contenterò di altre due testimonianze. Alla data del 5 Maggio leggo: “ I gesuiti porteranno quand même a termine il loro progetto e così eleveranno a dogma nel mondo la più colossale di tutte le bugie. Da questa bugia nascerà un imprevedibile intreccio di altre bugie e di altre ipocrisie. Così allo spirito tedesco spetterà ancora il compito di liberare il mondo dall’inganno romano”. Il 19 giugno è descritto, tra il serio e il faceto, un ameno episodio: “Poco tempo fa il Papa ha voluto provare la sua infallibilità come i francesi provano i loro nuovi chassepots: durante una passeggiata ha detto ad un paralitico: ‘Alzati e cammina. Il povero diavolo ha provato ed è crollato. Questo ha messo il vicedio di buon umore. L’aneddoto viene già discusso nei giornali. Credo veramente che sia pazzo”. Al 19 giugno leggo: “Il fanatismo è senza limiti. Abbiamo perso il senso della sicurezza e dopo 18 anni della mia vita a Roma mi sento qui più estraneo che il primo giorno. L’aria è moralmente avvelenata: sono disgustato alla vista di questa idolatria, di questi idoli vecchi e nuovi e di questo perenne stato di bugia, di ipocrisia e di stridente superstizione. Potrei disperare dell’umanità non a causa dei preti, che debbono continuare a fare il loro mestiere, ma per i loro servi”
Per principio il dogma è dogma e non può essere rivisto e abolito. Ne siamo proprio certi? Nel comportamento e nelle dichiarazioni del gesuita (Provvidenza o List der Vernunft!) papa Francesco, il dogma della infallibilità è stato di fatto e più di una volta messo in dubbio (“chi sono io per…” , e mille espressioni consimili). Immaginate che rivoluzionario evento se toccasse proprio ad un gesuita riparare al danno ed all’oltraggio fatto dai suoi confratelli, or sono cento quarantaquattro anni, al buon senso e alla ragione di credenti e non credenti? Immaginate se con atto solenne abolisse il dogma…ex cathedra, ricorrendo per l’ultima volta alla sua…infallibilità? Mezzo mondo ne esulterebbe. Me, voltairiano impenitente (mascherina, ti conosco!), la cosa lascerebbe indifferente.
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Chàirete Dàimones!
Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)
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