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La Mentorella. La Genova di Fabbretti, Arpa, Siri, Baget Bozzo

Post n°998 pubblicato il 01 Febbraio 2019 da giuliosforza

Post 919

Tra i numerosi luoghi dell’anima che più ho amato ed amo è sicuramente il monte Guadagnolo, perla dei Prenestini, col suo borgo dall’omonimo nome che ne rappresenta il culmine, con la casa degli amici Perini-Salviati, incuneata fra i massi nel suo punto più alto ad offrire allo sguardo, quando la caligine sia dissipata, uno dei panorami più vasti che possano occhi ed anima contemplare; e col suo santuario della Mentorella incastrato come un nido d’aquila fra le rocce e gli aculei del versante est. Senza dubbio uno dei luoghi che ho più frequentato, da solo o in compagnia, in peccato e in stato di grazia, di giorno e di notte, sotto un sole a picco o al chiarore lunare, a piedi o in auto. E grande è il cumulo di ricordi che al suo pensiero in me esplode, consentendo a una turba  di fantasmi di erompere e danzare nel caleidoscopio della mia mente, Ho detto nido d’aquila, ma meglio avrei detto d’avvoltoio, ché una credibile etimologia ne fa discendere il nome da vultur vulturis, donde poi vulturella ed indi Mentorella: luogo pagano-cristiano di culti sacri e profani, in memoria di un  Cristo …animalista che sarebbe apparso  ad  un Eustachio cacciatore di cervi convertendolo e inducendolo a spezzare arco e frecce (novello Atteone), e di un Benedetto che in una delle sue anguste grotte a lungo si sarebbe ritirato prima di spostarsi al più vasto e più sacro speco sublacense. Non mi meraviglia saperlo essere un luogo preferito dagli ultimi papi, il polacco Wojtyla soprattutto, di cui porta il nome il sentiero che vi sale tra i boschi dalla piana di Ciciliano e Pisoniano, essendo il Santuario officiato da due secoli ormai dai padri Resurrezionisti polacchi che lo restituirono nell’Ottocento a nuova vita. Ma forse il motivo che lo rende a me più caro è che conserva, in una teca ai piedi dell’altare maggiore, il cuore di quella sorta di Leonardo che fu, in quanto a vastità e profondità d’ingegno, il gesuita tedesco Athanasius Kircher, filosofo teologo musico alchimista  naturalista e quant’altro mai, nel cui petto ad animarlo sopravvivevano e s’agitavano tutti i dèmoni del rinascimento, e che fu uno dei primi a valorizzare la Mentorella, suo rifugio preferito ove correva a  meditare e a ricaricarsi a tutto vantaggio dei suoi fortunati discepoli del Collegio Romano. Tornerò mai alla Mentorella a contemplare il ‘mio’ mondo da uno dei suoi apici con la schiera dei fantasmi che con me di sé, e con sé di me la popolarono, e, non a me solo visibili, la popolano?

 

*

 

Genova è superba non solo per la sua storia e per la sua urbanistica  che, partendo dal mare, la fa inerpicare fino al Righi e al Castelletto, quasi a consentirle anche dall’alto il dominio delle acque,  ma, nei tempi moderni, soprattutto per essere stata, ed in parte essere ancora, una sorta di capitale della cultura italiana. Genovesi furono molti importanti  poeti, a cominciare da Montale, genovesi molti registi, a cominciare da Germi e Montaldo , e innumerevoli gli artisti e i cantanti il cui nome è inutile ricordare tanto sono al gran pubblico noti. Ma nella mia gioventù cinque furono le persone che animavano a Genova i “salotti”  più progressisti che io ebbi modo di frequentare, tra le quali includo, un poco paradossalmente,  anche quel Giuseppe Siri per lunghissimi anni arcivescovo, dato per papabile alla morte di Pio XII, eminentissimo non solo per la porpora ma per la vasta cultura, il cui ‘conservatorismo’ (opposto alle note aperture del suo prof di seminario Giacomo Lercaro da lui poi consacrato arcivescovo di Bologna), proprio perché sorretto da una cultura sopraffina e da una apertura mentale notevole, era molto illuminato e ben disposto ad accogliere un nuovo che non rinnegasse troppo sfacciatamente i valori della dottrina e della tradizione cattoliche niceno-costantinopolitane, come egli riteneva facesse, e dal suo punto di vista non sbagliava, il cristismo cosmico di un altro immenso talento teologico filosofico e scientifico, il gesuita Tehilard de Chardin, a me carissimo per il suo non dichiarato panteismo, che egli, Siri, tentò di smontare punto per punto (senza per altro, per quel che mi riguarda, riuscirci) in una famosa serie di conferenze piene di dottrina e di brio. Quando mi recai da lui per chiedergli di pubblicare sul giornale di curia ‘Il nuovo Cittadino’ la mia risposta all’attacco di un collega del Doria che su ‘Il Lavoro nuovo’  m’aveva dato del ‘denigratore della Resistenza’, e chiedeva il mio bando dal Liceo dove insegnavo “quale corruttore di giovani la cui bava razzistica sta sporcando i ragazzi”(attacco ripreso dall’Espresso, che m’attirò molti insulti anche da parte di eminenti personaggi, primo fra tutti il musicista Antonio Pedrotti, in quel periodo direttore del Conservatorio di  Bolzano, su uno dei cui testi avevo studiato, che stimavo e col quale non fu difficile chiarirmi ) me lo ricordò e bonariamente me ne rimbrottò.  

All’avanguardia della cultura genovese erano, alla fine degli anni cinquanta e seguenti, due religiosi, un francescano e un gesuita, rispettivamente  Nazareno Fabbretti e Angelo Arpa. Il primo, una sorta di moderno Lacordaire (l’avvocato che, fattosi prete e ricostituito il soppresso ordine domenicano in Francia, nel concitato periodo fra i moti del ’30 e del ’48 aveva rappresentato, con La Mennais e Montalambert, il cattolicesimo liberale le cui tesi sostenevano dalle colonne dell’avanguardista ‘Avenir’  da loro fondato; e oratore forbitissimo, dal pulpito di Nôtre Dame  con le sue straordinarie omelie teologico-filosofico-letterarie, al paragone delle quali le prediche di Bossuet impallidivano, riempiva il tempio fin sopra i confessionali; e che, ironia della sorte, fu colpito da  ictus proprio mentre predicava, perse parola e memoria e, aiutato a scendere dal pubblico con lo sguardo nel vuoto, non vi sarebbe mai più risalito) teneva nella Chiesa dell’Annunziata i suoi applauditissimi sermoni e nella attigua sede del convento animava un salotto letterario , la ‘Sala Frate Sole’, ove settimanalmente si tenevano  dibattiti ai quali venivano  invitati intellettuali , uomini politici artisti e poeti per lo più progressisti (Sbarbaro, La Pira, Balducci. Biagi e molti altri); fu lì che nel primo incontro al quale partecipai ascoltai con sommo piacere l’attrice notissima, e simpaticissima nella sua quasi obesità,  Ave Ninchi leggere Dialoghi delle Carmelitane’ di Georges Bernanos. Le idee di Fabbretti non piacevano molto a Siri, che intorno al ’63 lo fece trasferire. A Fabbretti tantissimo deve la mia formazione soprattutto letteraria. Ben presto molti suoi autori furono i miei, fu lui a introdurmi ai maledetti-benedetti toscani, a farmi  conoscere ed amare i Papini, i Prezzolini, i Giuliotti, i Bargellini, i Lisi, i Fucini e tutti gli altri della vivace scuola di cui voracemente la mia inquieta giovinezza si sarebbe nutrita.

Il secondo personaggio fu a suo modo anch’egli un avanguardista, il gesuita trevigiano Angelo Arpa, pioniere dei cineforum, dei quali il suo frequentatissimo  si teneva nell’aula magna dell’Istituto Arecco in piazza Corvetto. Amicissimo di Fellini, ne difese strenuamente al suo apparire La dolce vita, che tante polemiche stava suscitando nel mondo culturale religioso ed artistico. Alla proiezione e al dibattito sul capolavoro felliniano e su molti altri ebbi la fortuna di assistere e di partecipare.  Ma ben presto anche ad Arpa toccò la sorte di Fabbretti. ‘Confinato’ a Palermo proseguì indefesso nella sua attività di divulgazione finché non lo colse la morte alla bella età di 94 anni.

 

Diversa e più complessa la vicenda dell’altro personaggio che animava Genova negli anni della mia gioventù, Gianni Baget Bozzo, un animale essenzialmente politico che, diventato anche lui sacerdote tardivo della cerchia di Siri, di cui fu segretario,  entrò con lui in contrasto allorché fu tentato dal demone della politica attiva, iniziò a scrivere sull’Avanti e su altri giornali di tendenza ed accettò la candidatura e l’elezione al parlamento nel partito socialista. Fu a causa di questa sua ultima scelta che fu sospeso dal Siri a divinis, tranne poi ad essere riammesso a mandato scaduto. Uomo posato e tranquillo, Baget Bozzo oscillò nella sua vita politica da posizioni di destra moderata a posizioni di sinistra moderata. Critico come Pacciardi della partitocrazia, ebbe in simpatia ‘Nuova Repubblica’, il movimento fondato dal politico grossetano di cui anch’io facevo parte, anche se non molto attiva, e in più di un incontro nella sede di via dell’Anima, presso Piazza Navona, poi in quella di piazza di Pietra (non ricordo bene se in uno dei locali del palazzo della Borsa, già Tempio di Adriano) ebbi modo di ammirarne la preparazione politica e umana. Lo persi di vista allorché io mi ritirai nella mia solitaria, beata anarchia, dicendo addio a ogni velleità di carriera entro un mondo che non sentivo mio: la politica non è fatta per i sognatori, è sempre Realpolitk, o non è.

 

Precipitano gli anni e Genova continua a mancarmi, la Genova dei Carugi e la Genova di via Roma, di via Assarotti, di via XX Settembre, del teatro Margherita, del Carlo Felice, di Albaro, di Sturla, di Nervi, di Quarto. Ma Anche la Genova di Piazza Caricamento, di Villa Serra di Manesseno, della Madonna della Guardia…  Ma se ghe pensu…Forse è troppo per un quasi abruzzese.

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Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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