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Messaggi di Dicembre 2019

Una 'favola bella'

Post n°1021 pubblicato il 16 Dicembre 2019 da giuliosforza

Post 942

   Una “favola bella”.

   Ci fu una volta un vegliardo chiamato Atem (Soffio, Alito, Respiro) che ogni anno, all’approssimarsi delle festività natalizie, per lui non incompatibili con quelle del Sole invitto, del Fuoco, di Mitra, allestiva un piccolo presepe personalizzato, per personalizzato intendendo arricchito di un accessorio ogni anno diverso e più o meno significativo. Un anno, non sapendo come collocare una snella  e alta cuspide, di quelle in cui culminano di norma gli alberi natalizi che si rispettino, che da anni giaceva abbandonata fra i rimasugli degli addobbi antichi (di quando le sue figlie erano piccine ed egli loro cantava ninne nanne sue, di Schubert, di Brahms, olandesi, toscane, abruzzesi, napoletane, siciliane, quelle che nella sua solitudine ancora ormai incanutito si canticchiava e sonicchiava all’organo) ebbe l’idea geniale di issarla su uno degli alberelli del suo presepe lillipuziano, sicché svettasse solitaria (con effetto nulla affatto sgradevole) sui tetti i monti le colline i prati i ruscelli della sua Betlemme minima come un grattacielo svetta in un deserto e una guglia di cattedrale gotica nel cielo di una grande città. Terminata che ebbe la sua opera e compiaciutosene raggiunse la sua camera da letto zeppa di cianfrusaglia raccolta nel corso della sua lunga vita, spostò i livres de chevet che ingombravano il vasto giaciglio già matrimoniale, e si coricò sperando di sognare un bel sogno, di quelli che bastano da soli a dare senso alle veglie di una intera vita. Fu accontentato. Ed ecco in sogno apparirgli schiere di angeli e di spiriti beati, tutti gli spiriti che egli aveva amato, di poeti musicisti filosofi, artisti di ogni arte e di ogni tendenza, tutti coloro che avevano per lui sforzato il mondo a esistere e ne avevano interpretato e celebrato il mistero. E al termine del corteo degli spiriti, raggiante su un carro di fuoco, immerso in una tersa luce primordiale e in un suono di musica cosmica che aveva la purezza dell’Urklang, solenne e radioso come un dio greco, ecco apparirgli Lui, l’Innominato, Innominabile se non come  Panpasapan, e parlagli con una voce solenne che si diffondeva per gli infiniti non-spazi e non-tempi e riecheggiava in ogni cosa in cui la sua Totalità aveva amato frammentarsi per in essa riconoscersi e celebrarsi. E una Voce, la Sua Voce, risuonare per gli infiniti silenzi di un Cosmo non ancora dai terrestri violato: “O Tu, che rinchiuso nella grotta della tua angusta coscienza individuale tenti di travalicare i limiti della tua finitudine, non hai ancora compreso il messaggio? Il puntale che per mia ispirazione hai applicato sulla cima dell’alberello presepiale non sta esso a rappresentarti l’antenna cosmica, dono mio, che ti consente di metterti in contatto diretto con me, senza intermediazioni di nessun genere, senza aruspicali sciamaniche sacerdotali prevaricanti presunzioni di monopolio, senza deformazioni e superfetazioni? Non odi il Grumo umano, giacente nella culla, in cui mi sono incarnato (Bambinello che i canti dei pastori e degli angeli cullano, e Maria e Giuseppe adorano, e il bue l’asinello riscaldano col loro fiato)  annunciare , e te stesso in Lui, e tutto quanto è, essere con me la stessa cosa? Non avverti “le strettoie della” tua “fosca tana”, ove giaci “nella triste obliquità che pensa”, in me Dio-Uomo Uomo-Dio dilatarsi?”. Atem udiva e uno stordimento lo possedeva. E vedeva Arturo Onofri, il poeta da Panpasapan evocato, alato come angeli giotteschi ordire con gli angeli arditi ornati sulla grande tela del cielo, disegnare arabeschi e tracciare scie luminose e policrome celebranti il Sole, il sacro Fuoco, Mitra; e udiva e vedeva sinestesicamente, paradisiaco zeugma, un risuonare di colori e un colorarsi di suoni, come in una fantasia cromatico-sonora scriabiniano-dannunziana. Fu troppo per Atem. E nell’estasi svenne. E nel vanimento sognò una trakliana foresta incantata ripopolata da ninfe, e i colli della sua terra da driadi e da satiri, e le valli da menadi ebbre al seguito del giocoso Diòniso, e la schiera dei musici e dei poeti, seguiti dalle Grazie e dalle Muse e da uno stuolo di fanciulle danzanti, corifeo Helios Apollo.  Una eternità durò il sogno e, destatosi, Atem scoprì non essersi trattato di un sogno bensì di una estatica risoluzione, di sé, e del tempo e dello spazio e di tutte le cose in essi contenute, in Eternità. Certo s’era trattato di un sogno complesso, ma quanto liberatorio! Tanto liberatorio che quando si riavvicinò al piccolo presepe trovò, coi pastorelli e i magi, tutti i personaggi del suo sogno in carne e ossa genuflessi o eretti a respirare tutti, come il bue e l’asino, come Maria e Giuseppe, i pastori gli agnelli le pecorelle, col Pargolo lo stesso Alito, lo stesso Atem divino. A questo punto Atem, intonò all’organo con Charles Adam (sì, quello del Giselle) Minuit chrétiens, c’est l’heure solennelle… e tutti si unirono a lui, e fu un coro veramente divino, il più bel coro della sua vita di coreuta, corifeo e melomane invasato.

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

   

 

 
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MicroMega a Scienze della Formazione (Roma Tre). Voltaire, Romanzi e racconti.

Post n°1020 pubblicato il 01 Dicembre 2019 da giuliosforza

Post 941

  

   Povera e nuda vai Pedagogia…

   L’Aretino-Arquatense scrive Filosofia. Ma per un cultore, non necessariamente pedissequo, dell’Attualismo, non fa differenza.

   Leggo perciò con piacere di un interessante evento creato dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione di Roma Tre (che ne va lodato) previsto per il 9  Dicembre nella sede di via del Castro Pretorio 20, e dalla nota rivista “MicroMega. Per una Sinistra illuminista” (espressione che mi suona tautologica, come se sinistra, pensiero critico e pensiero divergente non dovessero esser sinonimi - al qual riguardo mi permetto di rimandare al mio e di Ettore Laurenzano Educazione e Sinistra tra conformismo e liberazione, Bulzoni 1977 -) che presenterà per l’occasione il suo Almanacco della scuola: un pomeriggio dedicato al tema della  scuola qual è e quale in futuro dovrebbe essere: un argomento il più delle volte, sicuramente non questa, abusato se non vano, consunto e frusto (aggettivo che, se avvicinato all’avverbio latino frustra dal quale, sia ben chiaro, non discende, acquisterebbe un significato ancora più realistico) al quale ci si dedica forse per affrancarsi dalla fatica del pensare attuosamente (in  senso gentiliano dico) il presente, fuor del quale nulla è, e de nihilo, è risaputo,  nulla quaestio. Insomma  si ama consolarsi dei guai del presente fantasticando, ‘utopizzando’ (il verbo non esiste, ma  è in questo caso efficace) su quel nulla cui si dà il nome di futuro. A disquisire, sicuramente questa volta non invano, di scuola oggi e soprattutto domani al Castro Pretorio son chiamati eminenti intellettuali del momento, principi del ‘foro’ mediatico come Paolo Flores D’Arcais, Ernesto Galli della Loggia, Tomaso Montanari, che si confronteranno con gli interni Covato Bocci Corsini  e con l’urbinate Baldacci. Moderatori saranno Russo Spena e Cinzia Sciuto di MicroMega. Ad inaugurare e introdurre l’evento il rettore di Roma Tre Luca Pietromarchi e il direttore del Dipartimento Massimiliano Fiorucci. Invitato anche il ministro della pubblica istruzione.

   Se questo pazzo tempo meteorologico, così ben adeguato a quello storico, mi consentirà di portare a spasso il mio consistente mucchio di ossa antiche, mi voglio concedere il piacere di partecipare. Che il pensiero (la Pedagogia come, soprattutto – fremano le genti - scienza filosofica), fugato dagli attacchi talvolta feroci del neopositivismo scientista, stia per rialzare il capo e rivarcare le vietate soglie del Castrum? Nelle Pedagogia filosofica è posto per ogni sapere. Nei singoli saperi troppo spesso non è posto per essa. Micromega mi dovrebbe rassicurare, la rivista …per una sinistra illuminista!

 

*

   Due pensieri lugubri novembrini.

   I vivi non servono ai morti. I morti servono assai bene ai vivi e al loro mammona d’iniquità. Soprattutto se Santi ed Eroi conclamati.

   Davvero da invidiare il credente verace e coerente, di ogni fede, che esorcizza il timore e l’angoscia della morte con la speranza-certezza, (in quanto paolino-dantesca sostanza, parola forte, di cose sperate ed argomento, altra parola forte, delle non parventi – sperandarum substantia rerum et argumentum non apparentium) d’una vita imperitura post mortem. D’una vita personale, naturalmente, e non di quella impersonale, ridissolvimento nell’energia cosmica che tutte le cose sono. Ho pensato questi pensieri alle esequie di un amico, una di quelle persone ostinatamente credenti, ma che ebbero la ventura  di vivere in continuo turbamento di fronte a quel naturalissimo evento che è la morte, in totale incoerenza coi loro conclamati principi.

 

*

   Micromega  mi riconduce alla lettura di  Voltaire al quale, se non con minore maturità, certo con minor critico disincanto, avevo dedicato, come agli altri due illuministi così simili, così diversi, Rousseau e Diderot, molto tempo della mia giovinezza. I pregiudizi della mia formazione  e lo spirito meschinamente calunniatore, diffamatore e pettegolo  che fu ed è dei cronachisti - non oso dire storici - appigionati (un recente esempio ce lo offre Lucio Villari col suo libello su D’Annunzio e l’impresa fiumana, di cui per fortuna ben altre voci han celebrato in questo anniversario l’unicità e l’originalità) che ebbi a disposizione, avevano creato in me visioni distorte che dovetti in seguito molto faticare a raddrizzare, soprattutto nei confronti di monsieur Arouet de Voltaire. L’occasione d’un approfondimento, se non di una palinodia, si presentò quando nel 1988 dalla nuova Armando, la casa editrice succeduta, dopo la morte del suo creatore, alla gloriosa Armando Armando di via della Gensola, fui chiamato a introdurre e commentare per la scuole un Candido non tradotto da me, nel quale, pur  essendosi nel frattempo la mia visione allargata, qualcuno di quei pregiudizi sopravvive, minimi per la verità, soprattutto nei confronti della questione leibniziana (si Deus non est unde bonum, si Deus est unde malum?) e di altre opinioni degli scritti filosofici e storici, ai quali mi ero quasi esclusivamente in gioventù dedicato. Ora ho invece deciso di …sollazzarmi coi Romanzi e i racconti,  ove in progressione ironia, satira, sarcasmo, cachinno, caratteristiche voltairiane, sono essenziali al godimento sì, ma soprattutto all’approfondimento del pensiero di Colui del quale da Roland Barthes è stato felicemente  scritto (citazione dalla quarta di copertina): “Nessuno meglio di lui ha dato alla lotta della Ragione il ritmo di una festa”. L’edizione che ho tra le mani è quella della Biblioteca Mondadori del 1981, tradotta da par suo da Riccardo Bacchelli, l’infaticabile scrittore morto in povertà nel 1985, cui l’immensa produzione letteraria non aveva evidentemente molto fruttato, o per l’avarizia degli editori  o per aver egli avuto  le mani bucate; e come è noto fu proprio il suo caso a dare origine alla Legge Bacchelli, voluta  da Craxi, sì quello dell’”intellettuali dei miei stivali!” urlato dagli scanni del Parlamento, che prevedeva contributi vitalizi per personaggi più o meno illustri e meritevoli - uno dei quali, l’ultimo cronologicamente parlando, sarebbe stato l’Alda Merini nazionale. Anche nella mia curatela del Candido armandiano naturalmente qualcuno degli antichi pregiudizi velatamente faceva capolino che forse sarebbe svanito se avessi avuto l’opportunità di lavorare sulla traduzione bacchelliana e non su quella di una tal Maria Moneti. Scorrendo il Candido oggi nella interpretazione (ché di ciò, e non di una semplice resa alla lettera, si tratta) bacchelliana, mi riconfermo nell’opinione che dello scrittore m’ero fatto leggendo l’interessante studio dedicatogli da Jean Orieux nel suo Voltaire, uscito in Italia per la Lonanesi nel ’71:

   “Voltaire lo conoscono tutti. Ciascuno si è fatto una propria opinione di lui, pro o contro: è lo stesso. Quando ci si avvicina a lui tutto è chiaro, le piroette del personaggio, le sue grandi contraddizioni, i suoi giochi di prestigio danno la vertigine. Ogni gesto è nitido eppure il personaggio sfuma in piena luce. Scintilla da tutte le parti  ma esiste soltanto in riverberi…”.

   E più sotto:

   “La vita di Voltaire è un balletto. Il meno languido che si possa immaginare. E’ danzato assai spesso più da un fuoco fatuo che da un uomo: il primo ballerino è inafferrabile. Come si possono captare e fermare i riflessi di uno specchio danzante, di un diamante che si fa brillare sotto un lampadario? D’Alembert nel definire Voltaire ha riconosciuto che è indefinibile, lo chiamava il ‘Signor Multiforme’. Come far uscire da quella sbalorditiva molteplicità un personaggio unico, il signor Voltaire?”.

   Ho iniziato la lettura del volume mondadoriano col racconto breve Micromegas (sic, con la esse finale) e l’altrettanto breve Le crocheteur borgne, il facchino guercio. Esilaranti.

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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