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Messaggi di Marzo 2020

Di Umanesimo culinario, di speculazioni sulla peste, di 'agonie digerite' e di altro

Post n°1031 pubblicato il 27 Marzo 2020 da giuliosforza

 

Post 951

   Dalla rete, di Anonimo:

   “La peggior peste? La speculazione religiosa, politica, economica sulla peste, che o con spettacolari manifestazioni plateali (ad esempio una annunciata piazza San Pietro vuota in mondo visione con un solo personaggio al centro benedicente Urbi et Orbi e s-vendente indulgenze più o meno plenarie) o con continui messaggi capillarmente distribuiti sui media, come virus si insinua nelle coscienze dei più sprovveduti e ne fa strage,”.

  Mi dissocio dal contenuto in parentesi, sicuramente un falso.

 Sempre di Anonimo:

   Studiai teologia dogmatica sui tre tomi del tedesco Bernhard Bartmann, Teologia ascetica e mistica sul Compendio del francese Adolphe Tacquerey, Theologia moralis sul testo del napoletano Alfonso Maria de’ Liguori. Grazie ad essi per provvidenziale contrasto smarrii il ‘loro’ accigliato e ritrovai il ‘mio’ lirico ludico Iddio.

   V’è chi accusa la filosofia di “far male”. Evidentemente può “far male” anche la teologia.  

*

   L'Umanesimo culinario non fu meno splendido di quello letterario. Quando nel 1439 si riunì a Firenze il famoso Concilio che avrebbe dovuto vanamente tentare la riunificazione delle due Chiese, l'occidentale e l'orientale (separate, come si sa, in apparenza da una sottigliezza teologica, la questione di lana caprina del Filioque, che ben altre motivazioni celava) i fiorentini ospitarono regalmente i grandi saggi greco-bizantini ivi sopraggiunti coi loro tesori di preziosi manoscritti che avrebbero fatto la gioia dei Cusano, dei Ficino, dei Platina, che su di essi voracemente si sarebbero buttati restituendo all'Occidente le solarità classiche e così ponendo le basi del Rinascimento.  Tra gli ospiti orientali erano due cospicui personaggi, il monaco basiliano Bessarione e il "nuovo Platone" Giorgio Gemisto Pletone, preconizzatore di una religione universale cristiano-zarathustriana del Sole della Luce e del Fuoco zend-avestiani, fondatore di un circolo - erroneamente detto setta - a Mistrà, l'antica Sparta, frequentatissimo, da un viaggiatore inglese esportato in Inghilterra dove avrebbe allignato dando origine - è questa la versione più accreditata - alla Massoneria. E sarebbe stato, così almeno la dicerìa, durante uno di questi banchetti che Bessarione, dopo aver assaggiato uno squisito arrosto di maiale, avrebbe esclamato arista! arista! che grecamente suona magnifica, splendida, straordinaria, donde il nome rimasto a quella prelibatezza. Lo stesso Studioso ... incardinalato (avrebbe trascorso il resto della sua vita da noi a servizio del papato e da noi sarebbe morto -si può visitare la sua tomba nella basilica dei SS. Apostoli nella omonima piazza) avrebbe involontariamente dato il nome anche al famoso passito Vin Santo, avendolo egli detto simile al vino della licia Xanthos, termine recepito dall'orecchio ancora rozzo dei commensali italici come "santo".
   Leggenda per leggenda.
   Qualche secolo prima, nel 1111, a dimostrazione che clero e concili a qualcosa di buono pur servono, in quel di Montefiascone un vescovo tedesco, Johannes Defuk, del seguito di Enrico V che si recava a Roma per l'Incoronazione, avendo mandato un suo scudiero in avanscoperta alla ricerca del buon vino con l'incarico di scrivere 'est', c'è, su ogni porta di bettola che ne fosse fornita, trovandone tre in una di Montefiascone si fermò di ritorno da Roma tre giorni, e tanto 'est est est' tracannò che infine ne schiattò e fu sepolto in San Flaviano.
   Questo simpaticone di Defuk merita una visita in San Flaviano. Io nell'ultima dozzina di anni di docenza postpensionistica in un istituto universitario già privato (ora mi dicono incardinato al PUS, pardon UPS, Pontificia Università Salesiana) che in Montefiascone ha sede, più di una volta tale visita ho fatto, e in suo onore, almeno in due circostanze, ho anche interrotto l'astinenza da vino che, non so ancora perché, da vent'anni mi sono imposto (forse per non schiattarne a mia volta)

*  

   Il cammino all’interno della prima tappa dell’Opus Magnum è quasi concluso. M’addentro faticosamente nella Nigredo col protagonista, il medico in odore di eresia Zenone (dal prudente pseudonimo Sebastiano Theus, per qualche tempo efficace) e con la narratrice Yourcenar, il cui mondo e il cui stile trovo sempre più affascinanti, ove l’oscurità e la profondità dei concetti si chiariscono, senza che te l’attendi, per una sovrabbondanza di azzeccatissime e semplici immagini. Sono al capitolo centrale, ‘La malattia del priore' (malattia sì del corpo ma soprattutto dell’anima: il superiore del convento dei cordiglieri attraversa quella che i mistici chiamano la 'notte oscura’, nella quale tutte le certezze di fede vacillano, e pare sia uno scotto da pagare da chiunque intraprenda la salita al monte Carmelo). Ẻ la parte più realistica del libro, ove non manca l’accenno, per la verità assai discreto e pudico, alle orge sacrileghe che si consumano nei sotterranei del convento da parte di novizi e frati, molto simili, anche se non così impudentemente descritte in ogni particolare, a quelle di cui il Marchese De Sade si compiace in Justine (pare che non pochi fossero - è da auspicare non più siano - i conventi ove pratiche orgiastiche sodomitiche non si consumassero). In due aforismi paradossali trovo riassunto il travaglio del priore, degni di un Dorian Grey meno giocoso compiaciuto dandy e più filosofo: No, amico, temo che non abbiate abbastanza fede per essere eretico (pag. 170) e L’ateo che nega Dio è il solo uomo che non bestemmi (pagina 178). Fra le più significative citazioni riportate nel volume, e che rappresentano l’essenza del Rinascimento yourcenariano (quello che non è solo eccidi, devastazioni e depravazioni) mi piace riportare il brano di Pico, manifesto dell’uomo nuovo creatore di sé e del mondo, che fa da esergo al volume, e la strofa di una poesia di Giuliano dei Medici (il fratello di Lorenzo, quello caduto nella congiura dei Pazzi) che ignoravo come poeta (nel quale dunque, come nel fratello, il principe il condottiero e il vate, secondo l’ideale rinascimentale,  felicemente convivevano).

  

   “Non ti diedi né volto, né luogo che ti sia proprio, né alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possieda da solo. La natura racchiude altre specie in leggi da me stabilite. Ma tu che non soggiaci ad alcun limite, col tuo proprio arbitrio al quale ti affidai, tu ti definisci da te stesso. Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine” (Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate).

 

   “Non è viltà, né da viltà procede / S’alcun, per evitar più crudel sorte, / odia la propria vita e cerca morte… / Meglio è morir all’anima gentile / Che sopportar inevitabil danno / Che lo farria cambiar anima e stile.

   Quanti ha la morte già tratti d’affanno! / Ma molti ch’hanno il chiamar morte a vile / Quanto talor sia dolce ancor non sanno”.

 

   Ambedue i brani s’attagliano per contrasto all’epoca che stiamo vivendo, ma che può essere di svolta verso una nuova era dell’umano. Ricevo da Perla Suez, scrittrice argentina:

 

   La peste serà un acontecimiento decisivo y un punto de inflexiòn. Quando decline, surgiràn nuevas posibilidades. -Nueva Sion- Periodismo Judeo Argentino con Compromiso. Es mas potente que nosotros, la peste, y de algùn modo, inconcebible. Mas potente que todo enemigo de carne y hueso con que nos hemos topad…

 *

   Vorrei spendere due parole di fiducia e di incoraggiamento per voi giovani.

   Se sono vere le statistiche, e non ho motivo di dubitarne, pare che la Specie questa volta stia facendo bene il suo lavoro di selezione: dei deceduti per corona virus l’età media sarebbe settantanove-ottanta anni. Il grande problema sociologico, minaccioso sotto moltissimi aspetti, di un giustamente deprecato e deprecabile mondo di vecchi che ha tolto, toglie, e sempre di più toglierebbe a voi lavoro e speranze, pare si stia risolvendo ad opera di una impersonale schopenhaueriana Voluntas, imperscrutabile Destino, mai come questa volta beffardamente, universalmente, e, quel che soprattutto più conta, non ciecamente imperversante, al quale invano l’empirica individuale Noluntas tenta di ribellarsi. Noi ottantenni ed ultra (parecchio ultra, come nel mio caso) siamo di sovrappiù e di impaccio. Questa peste incolore (o …gialla?) forse risolverà il problema da cui siete giustamente angosciati, prima e meglio di quanto politici scienziati filosofi sociologi programmatori guerrafondai e tecnocrati siano riusciti e mai riuscirebbero a fare. Noi vecchi dobbiamo farcene una ragione, almeno a livello di concetto, come direbbe Hegel, perché a livello di sensibilità, è comprensibile, ci rode. Un bel repulisti vi giova.

   Coraggio dunque, e fiducia. Il mondo è vostro. Dopo la notte una nuova alba per voi s’annuncia, di nuovo intonerete l’inno al Sole. “Voi andrete a vivere e noi andremo a morire; anche se “chi di noi abbia la sorte migliore gli dei soli lo sanno”, come fa dire Platone, forse nel Fedone, a un Socrate sul punto di avvelenarsi.

Fosse finalmente, quella che per voi s’annuncia, l’alba del Super-oltre-uomo?

   Molti miei amici hanno letto queste parole, pubblicate su FB, come un autoepitaffio, come un segnale di rinuncia alla lotta e d’inizio di una fatale senile depressione; si sono preoccupati per me, per la mia salute  fisica e psichica, per la tenuta della mia tante volte predicata Wille zur Macht; e mi han subissato di messaggi di stima e di affetto, affermando che uno come me non può morire, che sono una eccezione, che per me non vale la legge universale e che e che e che… Felice e grato per tutte queste manifestazioni, ho sentito il bisogno di rassicurarli dicendo loro, tra il serio e il faceto, quanto segue: “la mia analisi, molto fredda ed oggettiva, è stata letta da voi troppo emotivamente. Vi ringrazio perciò dei consigli e delle manifestazioni di affetto e di stima, ma sappiate tutti che non vi libererete così facilmente di me. Resisto persisto consisto insisto esisto non desisto. E faccio anche qualche piccolo non volgare gesto apotropaico. E chairete!”.

   “Ora è di nuovo lei”, in molti hanno replicato. E spero proprio che abbiano ragione.

 *

   Omaggio ai vegetariani e alla Quaresima. Digerire agonie.
... (Zenone) "mangiava indifferentemente quel che uno dei frati incaricati dal priore all'ospizio gli portava dal refettorio, oppure, alla locanda, sceglieva le pietanze più economiche. La carne, il sangue, i visceri, tutto ciò che ha palpitato e vissuto gli ripugnavano in quel periodo della sua esistenza, poiché alla bestia duole morire come all'uomo, e gli dispiaceva digerire agonie. Dall'epoca in cui aveva sgozzato di sua mano un maiale presso un macellaio di Montpellier, per vedere se c'era o no coincidenza tra la pulsazione dell'arteria e la sistole del cuore, non gli era parso utile impiegare due termini differenti per designare la bestia che viene macellata e l'uomo ucciso, l'animale che crepa e l'uomo che muore. Le sue preferenze in materia di alimenti andavano al pane, alla birra, alle farinate, che conservavano qualcosa del sapore denso della terra, alle verdure acquose, alle frutta rinfrescanti, alle sotterranee e sapide radici. L'oste e il frate cuoco si meravigliavano delle sue astinenze che attribuivano a devozione. Talvolta, tuttavia, si sforzava di mangiare una fetta di trippa o di fegato al sangue, per dimostrare a se stesso che il suo rifiuto veniva dallo spirito e non da un capriccio del gusto " (Margherite Yourcenar, L'Opera al nero, pag. 155).
  

 *

   Vorrei proprio vedere chi d’ora in poi avrà il coraggio di irridere il detto popolare “anno bisesto anno funesto” e di parlare di volgare superstizione. Che sia nella superstizione la verità? Spero mi sia concesso il tempo di rivedere molte mie borie illuministiche, pur conscio l’errore di una vita essere ormai irrimediabile. A meno che… a meno che non mi sia data l’opportunità di sperimentare il nasci denuo che fu, e da quale bocca, predicato oportere.

   Anno bisesto o no io esco scosso, se non sconvolto, da una serie di letture casualmente in contemporanea intraprese vertenti tutte sull’epoca dell’Umanesimo e del Rinascimento, la grandiosa e terribile epoca ritenuta del passaggio dal Medio Evo all’Era moderna. Negli intenti esse avrebbero dovuto aiutarmi a sopportare la clausura obbligata e a renderla meno tetra. Così purtroppo non é stato, e sono aumentati la confusione e il turbamento. Clausura fin che s’apra, silentium fin che parli. Chiederò ancora una volta lumi al   principe dei Maghi Gabri il pescarese, che la frase fece incidere sul battente del portale che introduce alla Prioria nel suo misterioso regno di Gardone, ed io plagiario sulla fragile porta della mia modesta abitazione quasi conventuale. 

Madrigale senza suono.

    ______________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 
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Littoria, pardon Latina, come Salzburg

Post n°1030 pubblicato il 17 Marzo 2020 da giuliosforza

 

Post 950

   Littoria, pardon Latina, non è Salzburg. Nella sua piatta razionalità piacentiniana, che pure ha un grande fascino, almeno in quel poco che resta del nucleo originario, non ha guglie, non chiese, non Domkirche St. Rupert und Virgil coi suoi nove organi, non cupole, non castelli, non Hohensalzburg, non Salzach che la rinfreschi, non montagne che la contornino l’abbelliscano la esaltino la proteggano, non un centro storico nido d’aquila donde il Rapace dominatore dei cieli musicali attenda di spiccare il volo. Non ha una Getreidegasse, ove al civico 19 in una discreta  casa borghese un 27 gennaio 1756 avvenne il miracolo dell’incarnazione di Euterpe in un Fanciullino gracile nel corpo ma lupesco nel nome, ove  pareti soffitti pavimenti trasudano dei  suoni  che un padre, un fratello, una sorella traggono dalla loro anima ed affidano a differenti strumenti, e una madre, anche lei imbevuta dei suoni della sua famiglia d’origine e soprattutto delle romantiche sonorità  di suo cugino Karl Maria von Weber, in sé li culla.

   Non sarà Salzburg Latina, ma ha in sé qualcosa che me la fa invidiare: due famiglie di musicisti, quattro in una, tre in un’altra, e un Quartetto di cugini già da tempo attivo non solo nell’Agro pontino. Sto dicendo dei fratelli Gianni e Gianfranco Cellacchi, flautisti, insegnanti e direttori di orchestre giovanili, e dei loro rispettivi figli riuniti a formare il “Quartetto Cellacchi” (Riccardo flauto, Andrea fagottista già per suo conto internazionalmente affermato, Giulia violinista e Davide violoncellista). Due famiglie di musicisti attivi, sette in tutto, come i bracci della Menorah, quasi il doppio dei Mozart. Che se aggiungete la consorte di Gianni, pianista e scrittrice, fanno otto, il doppio dei cavalieri dell’Apocalisse; e se aggiungete ancora la moglie di Gianfranco Daniela Scali, laureata nella ex facoltà di Scienze della Formazione, perciò anche un po’ mia ex allieva, l’umanesimo nelle famiglie Cellacchi raggiunge un culmine difficilmente eguagliabile. Kabala e alchimia non sono il mio forte. Ma come fa uno come me, che la platonica manìa, traduci follia, poetica e musicale possiede, folle di Calliope e d’Euterpe, a non invidiare le Famiglie Cellacchi, e a non ringraziare gli dei per avercele donate?

   Questa un poco deliberatamente manieristica (e manierata) e, così negli intenti, giocosa e gioiosa presentazione di Latina e delle Famiglie Cellacchi, voleva in realtà essere una premessa per la segnalazione di tre romanzi per ragazzi, ma non solo, gentilmente donatimi da Tiziana Colosimo, moglie di Gianni, che alla sua attività di pianista abbina quella di scrittrice. Molti sono i romanzi del meraviglioso pubblicati negli anni dalla Colosimo, ma di tre intendo qui brevemente riferire, che sto con gusto leggendo fra l’uno e l’altro dei miei classici, antichi o moderni non conta (e poi antico, e poi moderno, che senso ha? Classico, mi ha insegnato il Piero Bargellini di Pian dei Giullari, è ciò di cui l’autunno non fa subito seccumi, è il sempreverde che resiste alle tramontane mentre il tempo farà fascine della stipa, il tempo, molto più crudele di qualsiasi critico burbanzoso) che mi tengono compagnia in questi tempi di forzata reclusione.

   Nel primo, La Chiave di pietra, “un curioso scherzo del destino riporta alla luce il mistero degli Arcani, sepolto dalla coltre del tempo e ne risveglia il fascino misterioso: Luca e Serenella, due intraprendenti ragazzi, cercheranno di risolvere l’enigma che nascondono le carte del pittore Cavallotti, tuffandosi in una avvincente avventura, ricca di suspense e di colpi di scena, un’avventura da leggere tutta d’un fiato”.  

   Il secondo, Maschere e Segreti, è ambientato in una Venezia del 2009. “In una soffitta polverosa, in vecchio baule abbandonato emana un fascino attraente e misterioso. Al suo interno, un sacchetto di tela nera custodisce un antico segreto. Ẻ il Gioco delle Maschere: un tabellone, due dadi scintillanti, due pedine, un mazzo di carte. Le carte del Destino”.

    Nel terzo, il più recente, Un magico Luna Park, il lettore è invitato a immaginare “un ragazzo intelligente, con doti musicali ma con poca voglia di studiare, disordinato come un predone del deserto, interessato all’avventura ma non troppo, un tipo tranquillo e pacato che sognava un weekend tutto relax e videogiochi e che invece…si ritrova protagonista di un’incredibile avventura in un magico Luna Park!”. Nella musicista Colosimo il riferimento alla musica è del tutto naturale, musicale è sempre l’atmosfera in cui le magiche avventure si svolgono, ma è di questo racconto che Frau Musik è la vera protagonista. “Cosa accadrebbe se i grandi musicisti non fossero mai esistiti o, peggio ancora, se per un misterioso incantesimo avessero dovuto adattarsi a fare un altro mestiere? Se si fossero trovati a dover gestire un vecchio Luna Park abbandonato e a rimettere in moto le vecchie attrazioni immobili e   arrugginite? Rodolfo Baccini, studente di Conservatorio di Musica, non sapeva di poter cambiare il corso della Storia e di riscrivere in chiave diversa la vita di personaggi famosi. Esasperato dalla terribile professoressa Bernarda Papagno Tritorchia, Rodolfo desidera che tutti i musicisti spariscano di colpo dal libro di Storia della Musica, cancellando secoli di composizioni musicali. Per riportare la Musica al proprio posto, Rodolfo, il suo amico Terenzio e una misteriosa quanto affascinante ragazza, dovranno affrontare le pericolose insidie che ogni attrazione nasconde e sfuggire alla furia e all’indignazione di personaggi e di autori insoddisfatti. Una delicata storia d’amore, un’avventura avvincente e leggera per avvicinare gli adolescenti al meraviglioso mondo della Musica e per far riflettere sull’importanza degli artisti del passato”.

  Alla fine del fantasioso e fantastico percorso in compagnia di Tiziana, il lettore-Rodolfo non solo recupera i grandi geni della musica via via incontrati e magistralmente e sinteticamente illustrati, ma soprattutto se ne innamora, in barba alla strega professoressa Bernarda Papagno Tritorchia, che, come troppi prof. ahimè, sembra fare di tutto per disamorare i discepoli della disciplina che insegna.

   Uno come me (se accenno qui ai miei interessi e alle mie iniziative è solo per magnificare l’opera della Colosimo, di fronte alla quale la mia impallidisce) che ha sempre per mestiere frequentato la letteratura fantastica per bambini e adolescenti; che ha molto detto e abbastanza scritto di Collodi (spinto da Luigi Volpicelli, che a Collodi e al suo capolavoro dedicò studi durati una vita) e di Salgari nei loro rispettivi anniversari; che ha avuto in qualità di ospiti e relatori nei suoi convegni scrittori di fantastico per la gioventù di fama internazionale come Perla Suez e Jacqueline Held, autrice di un ormai classico L’Imaginaire au pouvoir di cui per Armando Armando curai la traduzione, e con suo marito Claude di centinaia di  romanzi poesie e album; che ha avuto  il piacere di dedicare  più di un convegno internazionale all’educazione estetica, con particolare riguardo anche alla letteratura per la gioventù; uno come me si chiede come abbia fatto a lasciarsi sfuggire una Colosimo che, col suo sbalorditivo talento letterario e didattico e la sua  profonda  cultura musicale, avrebbe potuto arricchire i nostri dibattiti ed essere, con la cara  Maria Teresa Luciani, la perfetta curatrice dei seminari di educazione all’ascolto collegati al mio insegnamento presso Roma Tre. Appena rinasco, giuro, la rapisco.

   Immergersi nelle atmosfere imaginarie e imaginifiche (preferisco dannunzianamente per questi due termini vaporosi ed evanescenti una sola emme: scivolano meglio in bocca) delle pagine colosimiane, che le numerose illustrazioni a colori in stile Piccolo Principe, opera esse stesse dell’autrice, magnificamente contribuiscono a rendere ancor più magiche, non solo fa bene all’anima del lettore adolescente, ma anche a quella non ancora del tutto disincantata del Vegliardo che lungo  una vita brevissima e interminabile (boeziana eternità, interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio?) si sforzò di salvaguardare (o recuperare) quel bimbo che mai totalmente fu.

   Se “crescere”, come vuole il Bach di Nessun luogo è lontano, “non significa uscire d’infanzia”, pochi come Tiziana sono in grado di dimostrarne la verità. Fortunati i figli, di sangue e di spirito, che una educatrice come Tiziana prende per mano e guida per le vie che conducono, è proprio il caso qui di dirlo, al Parnaso.

   Gradus ad Parnassum.

    ______________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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Sogno. Gesualdo. Stravinsky. Schelling. Von Paulus. Ronsard. Bruno

Post n°1029 pubblicato il 06 Marzo 2020 da giuliosforza

 

Post 949

   Errata corrige.

   Nel post precedente, dicendo della casa di Goethe a Weimar in Frauenplan, ho scritto di casa natale.  Naturalmente si è trattato di una distrazione, essendo noto a tutti che quella natale è a Francoforte sul Meno, dove il Genio, nella strada denominata Grosser Hirschgraben, al numero 23, nacque il 28 agosto 1749. A tal proposito si veda l’autobiografia Dichtung und Warheit, Poesia e Verità, ricchissima di memorie infantili.

*  

Un sogno di surrealismo puro (ma un sogno non surreale, che sogno sarebbe?) che avrebbe offerto interessanti suggestioni estetiche a un Dalì e a un Breton, ma anche analitiche a Freud e ai suoi seguaci. Ambientazione: una giornata di sole primaverile, declivi delle colline digradanti da Mandela sulla via Tiburtina Valeria, non ancora affiancata dall’autostrada Roma -l’Aquila-Teramo-Pescara, nei pressi del santuario ex francescano di San Cosimato costruito sullo sperone di roccia, in più punti traforata di grotte destinate agli eremiti benedettini, che incombe sull’Aniene rumoreggiante nella gola sottostante. Nel finale la scena si sposta in via ‘delle Cruci’, che dalla piazza del mio borgo si inerpica verso ‘Capucolle Farina’ e Monte Croce.

   Ovunque intorno frutteti prati orti in una esplosione di colori e di verdi novelli. Protagonisti un Paolo Villaggio pittore miniaturista di cose minime, che ogni più piccolo sasso colora di delicate scene color pastello, sassi alla fine confondentisi con le margherite appena sbocciate da cui sono attorniati e quasi sommersi; e una mucca bardata di vistosi finimenti policromi con campano svizzero al collo. Il tutto immerso in una atmosfera di serenità assoluta che nemmeno la scena finale, un Villaggio che rincorre sfiancato la mucca che fugge per la salita delle Croci nostalgica dei suoi pascoli montani e ogni tanto si volge, delicatamente muggendo e atteggiando la sua vasta bocca a un sorriso di scherno accompagnato da linguacce scherzose, riesce a turbare.

   Una mucca che ride e fa linguacce. Esilarante, nevvero?  

   Il sogno, come la maggior parte dei sogni, si conclude …inconcluso. Starà a me perfezionarlo in questo giorno freddo e uggioso, l’opposto perfetto della mia notte.

 *

Ancora due casi curiosi di plagio di diversa natura.

Tra i libri che ho tra le mani in questo periodo, due mi stanno particolarmente avvincendo: il Sistema dell’idealismo trascendentale di Friedrich Schelling, che riprendo dai tempi degli studi universitari (il filosofo era tra i prediletti di Gabriel Marcel, l’‘esistenzialista’ francese - che per altro amava esser detto ‘socratico cristiano’- sul quale mi laureai) nella traduzione di Michele Losacco e Carlo Tarasciore (Mondadori 2010, Collana I Classici del Pensiero); e il romanzo storico Madrigale senza suono di Andrea Tarabbia, vincitore del Premio Campiello 2019. Nel primo a pagina XVI dell’introduzione trovo scritto: “Nel 1843 Heinrich Eberhard Gottlob Paulus (noto teologo, nota mia) pubblicò una trascrizione delle lezioni di Schelling sotto il titolo La filosofia positiva della rivelazione finalmente pubblica, con la storia della sua nascita, i testi integrali, il giudizio e la correzione delle scoperte di Schelling su filosofia, mitologia e rivelazione del cristianesimo dogmatico nel semestre invernale 1841-1842 a Berlino. Schelling fece causa a Paulus, accusandolo di aver pubblicato questo libro senza il suo consenso, e la perse. Nel 1846 interruppe i suoi corsi all’Università di Berlino sentendosi non tutelato contro il plagio”.

   Schelling fu il filosofo della triade idealistica che amai di più, perché in lui Dio e Natura, per la mediazione dell’Arte, si unificavano nel concetto di Assoluto (da contrapporre all’Idea hegeliana e da Hegel irriso come ‘la notte nera in cui tutte le vacche sono nere’) tranne poi a ritrovare, nella sua tarda fase speculativa, dualismo e trascendenza. La compagnia di Schelling in questo periodo di peste …coronarica un poco tampona il sentimento devastante di precarietà che soprattutto a quelli della mia età, i più esposti al micidiale virus, deprime.

   Il secondo è un interessante romanzo storico-musicale, nel quale predominanti sono le figure di Igor Stravinsky (1885-1971) e di colui che secondo il Russo conchiude dal versante musicale il Rinascimento, il Principe di sangue Gesualdo da Venosa (1566-1613), sommo polifonista e uxoricida, e, con Pierluigi da Palestrina, princeps musicae honoris causa. Il romanzo di Tarabbia immagina uno Stravinsky che con l’amico e musicologo Bob Craft ritrova a Napoli presso un antiquario dei manoscritti di Gesualdo e una Cronaca della vita di Carlo Gesualdo Principe di Venosa, del Signor GIOACHINO ARDITI servitore fedele. In Gesualdo (nome del feudo del principe) MDCXII, del quale annuncia la scoperta al professor Glenn E. Watkins, UNC College of Arts & Sciences, Department of Music… Bob Craft è scomparso a 92 anni nel 2015, Watkins, nato nel 1927, è ancora vivente. Nella lettera di Stravinsky, non saprei se reale o immaginaria (ma vista l’amicizia fra i due propendo per la seconda ipotesi), che apre il romanzo e diretta a Watkins, nella quale si narrano le vicende del ritrovamento dei manoscritti gesualdiani, si legge (pagina 16): “Da qualche anno il lavoro di Gesualdo aveva cominciato a interessarmi, così in quei giorni, nel tempo libero, mi misi a leggera quella musica. Ẻ inutile che la descriva a lei, così come è inutile che spenda parole per raccontarle l’effetto che produsse su di me. Mi limiterò a dire che fui molto attratto dai tre mottetti incompleti: “Assumpta Maria”, “Da pacem Domine” e soprattutto “Illumina nos” - che io sappia l’unica composizione gesualdiana per sette voci, di cui due solo abbozzate. Le dirò però questo: per un motivo che razionalmente fatico a spiegare, sentii fortemente che quel mottetto aveva a che vedere con il mio Canticum (il Canticum sacrum andato in scena  nel mese di settembre del ’56 nella basilica di San Marco a Venezia), ne era il prologo e conclusione.  Carlo Gesualdo aveva scritto, quasi quattro secoli prima, qualcosa che riguardava me e il mio cantico. La sottolineatura è naturalmente mia, e vuol mettere in evidenza il nostro assunto che tutto, anche in musica, è stato sostanzialmente già detto e che ogni nuova scrittura probabilmente non è che una inconscia rielaborazione di un’opera da qualcuno in qualche luogo e in qualche tempo già scritta.

*

   Ronsard, Pour Hélène

   Sono vecchio e il mondo non mi appartiene più. Non sorge e non tramonta più per me il sole, la luna non occhieggia più con me solitaria nel cielo notturno. E inutilmente lo stuolo degli astri danza fra le galassie. Ho lodato e goduto molto la Vita, ma quanti rimpianti! E tra i rimpianti le poche Lei che incrociarono il mio destino, per un poco lo condivisero, nutrirono i miei sogni, alimentarono le mie passioni. Che poi andarono, ognuna per sentieri diversi, quale lieto, quale tragico, abbandonandomi di volta in volta sempre più solitario viatore sulla strada del tramonto. Non ce l’ho con le Lei, perché mai dovrei avercela? Com’era giusto esse andarono a vivere ed io andai a morire; “ma a chi toccasse la sorte migliore gli dei soli lo sanno”, secondo il Socrate ormai sul punto di discendere all’Orco.

   Con una, una sola, ce l’ebbi. Ed errai. Ma troppo mi ferì il suo abbandono, ne ebbi troppo dilacerata l’anima. Ed oggi che una serena saggezza, per il miracoloso unguento del tempo, ha lenito le mie piaghe, le ridedico con un po’ di melanconica ironia i versi ronsardiani che un giorno le dedicai con rancore, prendendomi la libertà di cambiare il nome del dedicante.

   “Quand vous serez bien vieille, au soir, à la chandelle, / assise auprès du feu, dévidant et filant, / direz, chantant mes vers, en vous émerveillant: / “Giulio me célebrait du temps que j’étais belle”.

   Lors, vous n’aurez servante oyant telle nouvelle / déjà sous le labeur à demi sommeillant, / qui au bruit de Giulio ne s’aille réveillant / bénissant votre nom de louange immortelle.

   Je serai sous la terre et, fantȏme sans os, / par les ombres mirteux je prendrai mon repos: / vous serez au foyer une vieille accroupie,

   regrettant mon amour et votre fier dédain. / Vivez, si m’en croyez, n’attendez pas demain: / cueillez dès aujourd’hui les roses de la vie.

   Quando sarai molto vecchia, la sera, al lume di candela, seduta vicino al fuoco, dipanando e filando, dirai, cantando i miei versi, e di essi meravigliandoti: come Giulio sapeva cantare la mia giovanile bellezza! In quel tempo non avevi serva con te che, già mezza addormentata per la stanchezza, ascoltasse i tuoi racconti, e al nome di Giulio sussultasse, quel Giulio che benedicendo il tuo nome e celebrandolo lo consegnava all’eternità. Io sarò sottoterra e, puro fantasma, mi riposerò all’ombra dei mirti, mentre tu sarai una vecchia rattrappita vicino al focolare, e rimpiangerai il mio amore e il tuo sdegnoso rifiuto. Credimi, vivi ora che sei giovane, non aspettare domani. Cogli subito le rose della vita.

   Di tutto il sonetto in alessandrini, più famoso, e con ragione, è il verso conclusivo. Non sentite in esso tutto il profumo della Primavera rinascimentale?

 *

Il Bruno che mi interessa.

Il brano che apre il libro curato da Guido Del Giudice (Giordano Bruno, Scintille d’Infinito. Il pensiero del grande Filosofo in 200 aforismi. Scelta, introduzione e traduzione di Guido del Giudice, Di Renzo Editore, Roma 2020, p.17) riassume come meglio non si potrebbe il pensiero del Nolano, espresso con la verve, il coraggio, la sfrontatezza, l’ironia e il sarcasmo che nel personaggio conosciamo e senza i quali egli sarebbe irriconoscibile. Il brano viene da Del Giudice estratto dal Sigillus sigillorum, Epistola dedicatoria. ‘Filoteo’, amante di Dio e amato da Dio, è uno dei tanti alias coi quali egli nelle opere si denomina, veri e propri eteronimi pessoani. Anche del visionario rapsodo lusitano dunque un anticipatore?

   “Filoteo Giordano Bruno Nolano, dottore in una più elaborata teologia, professore di una sapienza più pura e innocua, filosofo conosciuto, approvato e onorevolmente accolto nelle principali accademie d’Europa, forestiero in nessun luogo se non presso i barbari e gli incivili, risvegliatore degli animi dormienti, domatore della presuntuosa e recalcitrante ignoranza, che propugna in tutte le sue azioni una filantropia universale, che non preferisce un Italiano a un britannico, un maschio a una femmina, una testa mitrata a una coronata, un uomo togato ad uno armato, chi indossa la cocolla e chi non la veste, bensì predilige l’uomo dalla conversazione pacata, civile, fedele e utile, che non fa caso al capo unto, alla fronte segnata, alle mani lavate e al pene circonciso, ma (laddove è possibile scorgere l’aspetto di un uomo vero) principalmente all’anima e alla cura dell’intelletto; quel Nolano che i piccoli ipocriti e i propagatori di idiozie detestano, mentre gli onesti e gli studenti lo prediligono, e a lui plaudono i più nobili ingegni".

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 
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