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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Messaggi del 13/03/2024

Cedolins, heautontimerumenos, Palinodie ed altro

Post n°1186 pubblicato il 13 Marzo 2024 da giuliosforza

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   Oggi è un altro giorno.

   Quanto male dissi ieri della Bonfadelli, tanto bene dico oggi della Cedolins.  La Madama Butterfly in versione zeffirelliana all’Arena, oggi su rai5, con un Oren finalmente placato, e non, come al solito, scatenato, quasi non un insieme di musici dirigesse ma un battaglione di sionisti, è stata semplicemente stupenda grazie alla Cedolins e alla sua voce squillante, pura e trasparente come di cristallo, in-tonata perfettamente, non, come quella della Bonfadelli, sempre ‘periclitante’, casco e non casco, lì lì per finir sotto tono, s-tonata appunto.  Oggi mi sono goduto una Batterfly sfarzosa sì, nella scenografia e decorosa nella regia, ma soprattutto insuperabile nel canto di una Cedolins da me sempre trascurata, se non ignorata. Doverosa ammenda.

   Quest’episodio mi spinge ad alcune considerazioni generali. La mia età è quella che suol dirsi dei rendiconti, degli esami di coscienza, delle revisioni. Ogni uomo, alla mia età è portato ad essere heautontimerumenos, punitor di se stesso, è portato alle palinodie, più o meno clamorose. Io ora ci andrei prudente. L’approssimarsi della fine è causa naturale, già di per se stessa, di depressioni devastanti che rendono la vecchiaia insopportabile (senectus ipsa morbus), vera morte cosciente prima della morte incosciente, l’atto dell’estinguersi essendo naturale, dopo l’accensione, come lo spegnersi di una candela. L’esercizio di preparazione alla morte come è previsto nei manuali religiosi, almeno quelli nostri climi, è l’atto più sadico che possa commettersi nei riguardi del morituro, e non dico del moribondo. Mai dunque ripensare il passato, cari amici miei coetanei, per soffrirne. Ripensarlo per goderne, per vivere la vecchiaia come si vive un lauto banchetto alla sua fine, con un brindisi alla Vita al suo apice.

   E dopo sia quello che sia (“enfer ou ciel, qu’importe? N’est-ce pas, Charles?). Vecchiaia come ultima sbornia di Vita.

*  

Luciano Pranzetti dedica a me i suoi “Apophtegmata” (Apophtegmatum ac dignorum memoratu versuum ex Vergilii Aeneide flores selecti, Florilegio delle massime e dei versi degni da ricordare tratti dall’Eneide di Virgilio- ristampa 2023, Centro Incontri Culturali di Civitavecchia) con queste troppo lusinghiere parole:

Julio Sforza, magistro summo,

qui mira institutione

me gymanasii discipulum

primo rore discipulum aluit,

et postea, universitatis tempore,

me in Musarum famulum perfecit,

hunc, animo cordeque grato,

laborem dico.

   Ancora una volta generosissimo Luciano Pranzetti, di cui più volte in questi spazi ho celebrato il presso che miracoloso ingegno, esalta la mia vecchiezza e mi fa partecipe della sua immortalità.

   Grazie Luciano. I tuoi doni mi ravvivano.

 * 

   Or non è molto ebbi da ridire sulla Madonnina del ‘Parco della Speranza’ prigioniera, e ne invocai la liberazione dalle gretole ferrigne da gabbia da zoo determinanti la piccola isola in un oceano di verde a Lei riservata, isola e oceano deturpando. Oggi ho modo di ridirne, ma in un contesto più sereno e pacato.

   Fa bene al cuore ogni tanto incorrere, fra le migliaia di associazioni così dette umanitarie che, approfittando della dabbenaggine di buona parte del pubblico televisivo, imperversano da tutti gli schermi e i microfoni del mondo,  mercificano  immagini di bambini d’ogni colore malati e sottonutriti,  radunano tesori inestimabili che non si sa, o troppo bene si sa, che fine facciano, fa bene incorrere in modeste associazioni di volontariato che si prendono cura degli spazi verdi pubblici che attorniano il loro quartiere, e tendono la mano per un modesto 5 per mille da destinare al sostegno della loro benemerita attività. Nel mio giovane quartiere molto è il verde, che senza l’opera dei volontari diventerebbe una giungla di cinghiali, volpi, serpenti e forse lupi, come già avviene nelle vicine riserve naturali della Marcigliana e di Tor San Giovanni. Cinque sono i piccoli parchi vicino casa, che mi hanno passeggiatore solitario in quasi ogni alba con solo qualche cagnolino o cagnolone e rispettivi accompagnatori (non tutta gente civile, spesso villani mal inciviliti nei quali i poveri cani hanno avuto la sfortuna di incappare), tutti tranne uno intitolati ad artisti (musicisti di musica leggera e attori) tre dei quali donne. Il più piccolo, ma più antico e curato (ospita addirittura della svelte betulle) è il parco delle tartarughe, che mi godo dal mio balcone e rinfresca d’amorevoli ombre il mio studio; ancora in faticosa formazione quello dedicato al povero forse troppo celebrato Rino Gaetano; un terzo, ancora semi selvaggio (se si escludono le zone abusivamente -fortunatamente in questo caso- recintate e adibite a piccoli orti e frutteti, uno dei quali è molto ben curato da un mio ex alunno ormai ottantenne da poco ritrovato) che sale da via Tina de Lorenzo e guarda al grande Parco delle Sabine, in zona Fidene e Colle Salario; un quarto è attraversato da via Rosina Anselmi e via Amalia Bettini;  e un quinto, quello detto della Speranza, in omaggio alla ‘Vergine della Speranza’ la cui statuetta abbella, circondata di rose e fiori d’ogni genere, il parco nel suo punto più alto. Quale sarebbe la quarta Artista dedicataria? Ma naturalmente Lei, la più grande, Colei il cui capolavoro fu addirittura il Figlio di Dio, la Vergine Madre figlia di suo Figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio; Colei che è tanto grande e tanto vale, che qual vuol grazia e a Lei non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali.

   Corro a destinare al suo parco il mio 5 per mille.  

*

Ho sognato papa Francesco. Ora i miei sogni stanno esagerando. Era nella stanzetta accanto alla sagrestia, quella nella quale noi chierichetti, rischiando i calci nel sedere e gli scappellotti del caro Monsignor Don Vincenzo, parroco ineccepibile e zelante assai ma anche assai manesco e …pedesco, ci appostavamo per rubare i ritagli d’ostia destinati ai più bravi, della Chiesa di San Biagio del mio paese, voluta negli anni Dieci del Novecento dalla magnificenza del compaesano cardinale Angelo Di Pietro, grande diplomatico in Germania e in Spagna, che ebbe voti al conclave dal quale poi sarebbe uscito l’accanito antimodernista Pio X; benevolenza e magnificenza non gradite a quei ‘magnati’ locali che, tramanda la vox populi non so quanto credibile e documentabile, si rifiutarono di cedere gli spazi necessari perché la chiesetta di campagna diventasse la grande basilica nella sua mente progettata, motivo per cui si sarebbe rifiutato di andare a inaugurala. Il Bergoglio del sogno era in veste bianca dimessa e spiegazzata e macchiata d’unto in più parti, e parlava familiarmente con noi, e confessava confidenzialmente, senza le solite formali tiritere del che hai fatto, quante volte l’hai fatto, va e non peccare più, ego te absolvo ecc, da un angolo della stanza e non nel chiuso del confessionale. Più una chiacchierata che un Sacramento. Mi sono svegliato semiriconciliato col Papa gesuita, che mi fu agli inizi assai antipatico, quella antipatia motivando con una certa maliziosa e divertita acredine in varie parti del mio Diario virtuale. Non ha senso che gli chieda ora scusa. Delle scuse di un ignoto scribacchino non saprebbe che farsi..

__________________                           

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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