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Messaggi di Marzo 2024

Buona Pasqua in greco, Cirillo "Racconti della Rivoluzione,Veneziani, risposta a Luft ecc

Post n°1188 pubblicato il 31 Marzo 2024 da giuliosforza

1082

Χριστός Ανέστη! Καλό Πάσχα σε όλους!

*

   Finalmente di Giorgio Cirillo, già mio alunno negli Anni Sessanta in un liceo classico della Capitale, poi giornalista e saggista Rai, è uscito l’interessante volume dedicato ai Racconti della Rivoluzione ungherese del 1956, al quale a lungo lavorò fra molte difficoltà, che rivela aspetti inediti, o volontariamente da storici ideologizzati sottaciuti, di quel tragico evento. Recita la nota editoriale di presentazione: «La Rivoluzione Ungherese dell’Ottobre del 1956 e la conseguente invasione sovietica del Paese appena proclamatosi libero, indipendente, democratico e, soprattutto, neutrale, sensibilizzò e appassionò per giorni e giorni, e in maniera travolgente, l’attenzione, l’apprensione e la commozione dell’opinione pubblica di tutto il mondo.
   L’intervento dell’Armata Rossa fu caratterizzato dall’impiego di decine e decine di carri armati e seguito da una feroce e sanguinosa repressione. Almeno 250.000 ungheresi, soprattutto giovani, riuscirono a sfuggire al carcere o al capestro varcando il confine del loro Paese con l’Austria e dando così vita a un imponente esodo di massa.
Il dibattito e l’aspro confronto politico-ideologico tra i sostenitori delle ragioni dei sovietici e dei comunisti ungheresi da una parte e chi bollava invece l’aggressione russa come un crimine contro l’umanità dall’altra, monopolizzarono e infiammarono a lungo il già acceso contrasto tra i partiti che definivano allora il panorama parlamentare e civile dell’Italia di quegli anni.
   L’imbarazzo e il disagio dei sostenitori della “dittatura del proletariato”, costretti a spiegare il come e il perché proprio i proletari magiari si fossero ribellati a quelli che a parole sarebbero dovuti essere un sistema e un governo sotto il loro controllo, fu grande e di non facile soluzione.
Altrettanto grande e difficile da gestire fu il turbamento e la perplessità di chi, parteggiando per quello che allora veniva definito il “mondo libero”, dovette prendere atto dell’inerzia, dell’indifferenza e della rassegnata passività di quello che, sempre allora, veniva qualificato come il “Blocco Occidentale”.
Gli uni e gli altri finirono dunque con lo stendere un impietoso quanto ipocrita velo di silenzio e di oblio sull’Ottobre  Ungherese.

   Questo libro si propone di squarciare quel velo raccontando alcune delle vicende più intime e personali di alcuni tra i tanti anonimi protagonisti di quelle vicende, mettendo a nudo le loro emozioni, i loro sentimenti, il loro dolore.
   Sempre attraverso vicende intime e personali, i racconti della seconda parte del libro si propongono invece di evidenziare come le conseguenze morali e culturali di quel forzato silenzio e di quella strumentale dimenticanza continuino a qualificare la morale imperante e la cultura dominante ancora ai nostri giorni».

  Attendo con curiosità di leggere la definitiva stesura di un’opera alla cui laboriosa gestazione, se non al suo felice parto, ebbi modo di assistere.

 *

   Grande delusione per me (forse proprio per questo il volumetto delizierà altri) il Vico dei miracoli dell’ ottimo giornalista e severo ma civilissimo polemista Marcello Veneziani. Più che di un libro su Vico (‘il più grande filosofo italiano’? - così il sottotitolo. Ohibò! Sicuramente il più grande piaggiatore, servile e piagnone tra i filosofi italiani, che seppe usare con maestria la retorica, di cui fu insegnante all’Università, per cercar di ingraziarsi potenti, nobili, ecclesiastici, molto spesso senza riuscirci) si tratta di un divertente e godibilissimo racconto sulla Napoli a lui contemporanea, la ‘napolitudine’ appunto, come efficacemente è titolato uno dei capitoli centrali. Ma probabilmente tale era l’intento dell’autore: non tediare il lettore con l’aspetto storico-filosofico della produzione vichiana e soprattutto coi PRINCIPJ DI SCIENZA NUOVA, i suoi corsi e  ricorsi, il suo ‘sentire senza avvertire, avvertire con animo commosso, riflettere con mente pura’ (i tre stadi percorsi dall’umanità nel suo evolversi) eccetera eccetera, e la presentissima trascendente Provvidenza (davvero scientifica questa Scienza Nuova!), vero deus ex machina per lo scioglimento dei nodi più complessi, delle situazioni più aggrovigliate della Storia. Per mia parte preferisco l’hegeliana List der Vernunft , quell’Astuzia della Ragione, che altro non è che Provvidenza immanentizzata.

   Ma il racconto di Veneziani probabilmente vuole esser solo un invito per i non iniziati ad avvicinarsi al grande Pensatore napoletano. Speriamo ci riesca.

   Quel “mignolo che penetra nell’orifizio della verità”

   La Scienza Nuova in   un simbolo …urologico secondo Veneziani.

   Per sintetizzare i contenuti della Scienza Nuova Veneziani ricorre ad una singolare simbologia di alto valore didattico, quella della mano. Peccato la ignorassi all’epoca del mio insegnamento nei licei, ove giovanotto scanzonato rivelavo a giovanotti altoborghesi scanzonati i segreti di Madama Sofia, o Madama Verità nel suo storico farsi. I miei giovanotti ne sarebbero rimasti segnati per tutta la vita. «Immaginate», scrive Veneziani, «La Scienza nuova come una mano aperta: il pollice è una storia ideale eterna e universale su cui sorge il diritto naturale delle genti al lume soprannaturale. L’indice addita una teologia civile ragionata della Provvidenza divina che interviene e indica un fine alla storia. Il medio è la Filosofia dell’autorità che lega la legge divina alla legge umana fondata sul certo. L’anulare è una storia generale delle scienze umane e delle quelle idee che si sposano coi fatti. Infine il mignolo che più sottilmente, direi filosoficamente, penetra nell’orifizio della verità e ne coglie quantomeno il senso, non potendo coglierla per intero» (Veneziani, Op cit, p.167)

   Quel mignolo che ‘penetra nell’orifizio della verità’ è una meraviglia. Mai immagine più icastica illustrò e sintetizzò la Filosofia e la sua Storia. Immagine …urologica.

   Scherzi a parte. In questa filosofia la Parola definitiva spetta alla Provvidenza, il cui agire è imperscrutabile. A che dunque l’umano affannarsi?  

   (Nella versione fb è riprodotta la foto delle due immagini illustrative altamente simboliche che Vico volle allegate al testo dell’edizione definitiva dell’opera che io posseggo contenuta nel prezioso volume Opere di Giambattista Vico, stampato in NAPOLI DALLA TIPOGRAFIA DELLA SIBILLA nel 1834, con una lunga introduzione di Giulio (sic, per Jules) Michelet.

*

   Mi pregate, mia cara Luft, e voi tutte,  mie curiose Lüfte, di riassumervi brevemente le tappe del tragitto culturale (o meglio spirituale, che è meno riduttivo). Eccovelo, brevissimamente.

   Nulla di rilevante fino al terzo decennio di mia vita, allorché mi imbatto in Bruno da Nola e in Nietzsche da Roecken che mi destano dal sonno dogmatico, in Heinrich von Hardenberg da Weissenfels, in arte Novalis, e in Gabriel Marcel da Parigi che impediscono alla navicella del mio ingegno di finir nelle secche della ‘Ragione oggettivante’, arida imperatrice dei deserti, e mi  indicano nella ‘Ragione partecipativa’, e nella conseguente ‘Comunione ontologica’, i sentieri che guidano all’Essenza e al disvelamento dell’Isi velata. Posizioni che mi inducono infine a rovesciare la Dialettica dello Spirito hegeliana: ds Arte Religione Filosofia a Religione Filosofia Arte. Idealismo romantico estetico.

   Vi basta? Contente? Allora aggiungerò, e vi deluderò, che in questa mia stravecchiezza tendo ormai al recupero di un pirronismo impreziosito di plotinismo a-gnostico, vale dire dell’epoké, o sospensione del giudizio. Posizione in fondo di gran comodo perché non obbliga a pronunciarsi per nessuna tesi che si pretenda definitivamente dimostrata. Dopo averne tante lette viste udite e fatte in una lunga vita è giusto che la stanchezza prenda il sopravvento.

*

   Dopo tre anni di clausura sono tornato a visitare il centro di Roma. Pessima impressione. Roma più vecchia e più sporca. L’Altare della Patria (l’“urinatoio di lusso” dei Futuristi) ancora più inguardabile per il nerume da inquinamento mai rimosso e per i monumenti bronzei che, persa l’ultima traccia dell’originale doratura, risultano ancora più tetri e funerei. Ho sempre anch’io detto male del capolavoro di Giuseppe Sacconi, soprattutto perché ha chiuso, principalmente per chi provenga da Via del Corso, la visione dei Fori.

   Ma almeno una cosa carina l’ho trovata: una originale manifestazione musicale nel cortile di Palazzo Valentini sulla quale mi voglio un poco trattenere.

   Si trattava del concerto di un’orchestra giovanile diretta da un brillantissimo Germano Neri che illustrava e contemporaneamente dirigeva una originale Quinta beethoveniana, movimento per movimento. Luogo il cortile di Palazzo Valentini, sede della Città metropolitana ex Provincia. Occasione la celebrazione della Giornata dell’UE, per la verità, vista la presenza, poco sentita (presenti alcuni funzionari della Città metropolitane e del Comune, qualche signora ostentante con poca grazia le sue grazie, e tre o quattro rappresentanti delle Amministrazioni periferiche). Meglio così. Un pubblico scelto fa piacere a Frau Musika, come tutte le grandi Signore vanitosetta. Introduceva signorilmente e spigliatamente il giovane vicesindaco metropolitano Pierluigi Sanna. Il direttore dell’orchestra giovanile EICO (‘Europa in-Canto’) ottimamente preparata, teneva quella che in verità era una lezione assai originale, dotta e nel contempo divulgativa, di Educazione all’Ascolto. Nulla di nuovo per me, che un seminario di educazione all’ascolto tenni per una ventina d’anni a Roma Tre, collegato ai temi dei Corsi di Pedagogia generale. Ma sì per Vittorio, il mio nipote recente acquisto di Frau Musika, determinato a carpirne e a goderne  tutti i più celati intimi segreti.

__________________                           

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano

 
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Renovabitur ut aquilae iuventus tua, Pegaso argenteo, ,Mascagni, il 'Flauto magico cinese' ed altro...

Post n°1187 pubblicato il 18 Marzo 2024 da giuliosforza

1081

   'Renovabitur ut aquilae iuventus tua' (Ps. 102,5)

   La compagnia di Frau Musika riprende a dar luce ai miei giorni.

   I gioielli della Rai, quasi della stessa rutilanza, radio3 radio classica rai5, ne sovrabbondano. Per essi la mia modesta dimora si ritrasforma in una chiara Ippocrene, la sorgente sgorgata là dove uno zoccolo del cavallo alato Pegaso sfiorò la roccia d’Elicona.

   Attorno alla mia domestica Ippocrene ridanzano le Muse e le Grazie, Apollo-Elios corifeo.

   Inanellatevi il medio sinistro col Pegaso argenteo e venite a danzare con le nove Sorelle, con le tre Grazie, con Elios e con me, attorno alla mia domestica solitaria Ippocrene

   E a cantare 'Domino canticum novum, quia mirabilia fecit' (Ps. 97,1)

P. S.

   Il Maestro Prof Federico Biscione chiede:

   “Inanellatevi il medio sinistro col Pegaso argenteo”… quale arcana tradizione, che sconosciuta e nuova mi giunge?

   Rispondo:

   Iniziai io l'arcana tradizione tanti anni fa a Pescara dove, dopo uno dei miei periodici pellegrinaggi alla Casa natale del Vate all'inizio di Corso Manthone', poco distante dal forno del padre di Flaiano, vicino al Caffè d'Amico (quello del Parrozzo: "Benedette d'Amiche e San Ciatte'! / O Ddie, quanno m'attacche a lu parrozze / ogni matine, pe' lu cannarozze / passe la sise de l'Abbruzze me'") vidi esposti in un negozietto indiano molto carino anche anelli decisamente poco indiani dedicati ai miti greci. Subito comprai quello di Pegaso che da quel giorno inanella il mio medio sinistro e fa compagnia a quello aureo del mignolo, riproduzione di un sigillo sforzesco, a quello egizio dell'eternità fatto riprodurre dal mio orafo per l'anulare, fermato da quello, ‘forgiato’ nei momenti morti in trincea in attesa della morte, che teneva al dito zio Antonio quando mio padre lo ritrovò decapitato fra i 5000 morti di Bligny, e a quello del mignolo destro dedicato a Goethe. Le altre dita sono libere e disponibili per gli anelli degli amori (delle infatuazioni) occasionali. Ne avevo uno assai carino a forma di ...Biscione visconteo-sforzesco, ma l'ho smarrito. Se lo (ti) ritrovassi lo (ti) destinerei tra i fissi all'anulare destro. Prega a questo fine per me.

   A Frau Musika sono riservati i foulards.

   La tradizione da me iniziata non ha avuto molta fortuna. Ora sono rimasto solo io e un'altra Persona che non dico. Ma in mia memoria potrebbe sempre da qualche Amico essere fatta risorgere!

 * 

    A proposito di Renovabitur ut aquilae iuventus tua. ( Psalm. 102,5)

   Leggo che Sant’Epifanio riteneva che l’aquila ringiovanisca tuffandosi nell’acqua. Io non ho difficoltà a legger nell’acqua la metafora dell’Oceano dell’Eterno nel quale tuffandoci un’altra giovinezza ci attende. Solo questa folle ipotesi mi dà la forza di continuare a vivere, senza disperare, i tempi tragici della mia estrema vecchiezza; l’approssimarsi a una nuova gioventù per la quale si possa gridare, con Colui che nell’Apocalisse siede sul trono della sua gloria, “Ecce nova facio omnia” (Ap. 21,5).*

 *  

   Di Susanna Egri Erbstein (1926), ungherese naturalizzata italiana,  Jeux, delizioso balletto a tre che rai5 trasmette a  rasserenare un’alba fredda triste e piovosa.

   Più in consonanza col tempo il Lied von der Erde, la grande opera postuma della Vittima del Destino e di …Alma Schindler Mahler (poi Gropius poi Werfel,) femme fatale  che con la sua bellezza la sua intelligenza la sua Arte (fu anche discreta musicista e compositrice di Lieder) condite di non poca civetteria ebbe la sua  parte nella  prematura scomparsa  del follemente innamorato e geloso marito, Musa ispiratrice di molti famosissimi artisti tra cui Klimt e l’amante Oscar  Kokoschka. Mi ricorda Clara Wieck Schumann, un'altra straordinaria creatura, che ho odiato per non aver reso felice Robert. Alle mie amiche femministe in questo non ho ceduto: nel convincimento che al Genio, femminile o maschile che sia, si deve esser pronti a sacrificare tutto, anche la vita.

*

   Giovanni Targini-Tozzetti e Guido Menasci, autori dei testi, e Mascagni, si sono davvero superati.  In un solo atto, che scorre liscio e garrulo come un ruscello a primavera nella prima parte (Stornello di Turiddu, Gli aranci olezzano, Viva il vino scintillante) per subito intorbidarsi nella seconda e precipitare come un torrente impazzito nella tragedia del tradimento e della gelosia mortali, son riusciti a condensare un lirismo sublime romantico e verista insieme, romanticamente verista e veristicamente romantico. E non dico dell’Intermezzo, una delle pagine più sublimi della musica d’Opera, anzi della musica tout court. Aspetto la prossima.  

*

   Andrea Liberovici, Trilogy in two. Un viaggio musicale che ha per tema la bellezza, affidato al talento vocale di Helga Davis, anche lei a me illustre sconosciuta, già protagonista, leggo, di Einstein on the Beach di Robert Wilson e Philip Glass. Non sapevo di Liberovici né della sua Trilogia in due. Quante cose originali mi sono in vita perso, un po’ per una (in)naturale diffidenza verso le novità non abbastanza sedimentate, di cui l’autunno del tempo potrebbe far presto seccumi, un po’ perché non mi basterebbe una eternità per finire di leggere o ascoltare quanto l’ingegno umano nei secoli ha partorito conferendo al mondo esistenza e senso e meritando attraverso l’Arte di eternarsi. Non bastando certo un ascolto occasionale per maturare una critica seria e credibile, mi affido umilmente all’anonimo in rete, con la riserva di verificarne la più o meno condivisibilità con la calma necessaria.

   Già il titolo potrebbe sembrare un enigma, evocativo delle ironie Dada o di Gertrude Stein, oppure semplicemente essere un gioco di parole sul fatto che lo spettacolo è diviso in due atti ma continua (segretamente) anche nell’intervallo. Con Trilogy in Two, Andrea Liberovici, compositore, regista, autore, prosegue l’indagine nel suo “teatro del suono” basato su stimoli narrativi e musicali liberi e personalissimi. Il lavoro amplia alcune suggestioni contenute nel precedente spettacolo, l’apprezzatissimo Faust’s Box: non solo c’è una continuità di elementi drammaturgici, ma stessa è la straordinaria protagonista, l’americana Helga Davis (già coprotagonista di Einstein on the Beach di Bob Wilson e Philip Glass) qui affiancata dallo Schallfeld Ensemble con la direzione musicale di Sara Caneva.

È un’opera mosaico, allora, un incastro di tasselli che compongono un disegno complesso, in cui si ritrova Faust, figura goethiana assolutamente reinventata, assieme ad altri personaggi o luoghi emblematici, veri archetipi europei.

   «Il tema dell’opera è l’identità europea, anch’essa costituita da mille tasselli diversi - spiega Liberovici - per questo, oltre Faust ecco Florence Nightingale, la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna; e infine Venezia simbolo di una architettura unica dell’ascolto. L’egoismo del primo; l’attenzione verso l’altro della seconda, contraltare ai nuovi razzismi; la bellezza oggettiva della città lagunare, che nella sua struttura fatta di acqua e mosaici, è testimone di ascolto e incontro, sono spunti per riflettere su ciò che chiamiamo Bellezza: la capitalista brama di possesso di Faust, l’umanesimo insito nella solidarietà di Nightingale, e Venezia che nasce dal fango su cui è costruita». Da qui, forse, si potrebbe ripartire per pensare a una nuova idea di Europa”. (Anonimo dalla rete).

 *

   Hans Bethge, da "Il flauto magico" cinese. Vi ha attinto Mahler.

   Sto trascorrendo questi giorni uggiosi di tempo maggiolino-novembrino nella lettura intensa e in un ascolto quasi ininterrotto.

   Mahler in questo periodo imperversa, non so se in occasione di qualche sua ricorrenza. E il Canto della Terra mi prende dal profondo. Lo riascolterò più volte, in questa mia Sera.

   Antonio Croce pittore, mio ex allievo e collaboratore, espone con successo. 

   Giovanni Piana, Filosofia della Musica (1991)

   Guido del Giudice, Gianmaria Ricchezza (a cura di), Giordano Bruno, La Cena delle Ceneri (Di Renzo Editore 2023). Da discutere

    Non tutti capolavori. Giovanni Piana farraginosissimo.

*  

   Fiore di nappa

   La sfera bianca quasi eterea composta di migliaia di semi pronti a spiccare il volo al primo alito di vento e che sembra la più fragile …Del mio mazzo di fiori campestri uno solo resiste ancora: l’Emilia sonchifolia, o fiore di nappa lilla o pennello da barba di Cupido. Quello che appare un batuffolo bianco di aria solidificata dai mille semini candidi pronti a disperdesi nel vento, si rivela non il più fragile ma il più tenace. Fallacia delle apparenze. 

   Stamane alla primissima alba, passeggiatore solitario io, solitaria lei, ho incontrato Primavera (tale Lei, l’innominata) nella sua policroma sensuale veste serica, intenta, novella Matelda, a raccoglier cantando fior da fiore nel suo giardino edenico. Mi ha splendidamente sorriso e regalato il bouquet che vedete ed ha voluto con me recarsi nelle mie stanze a profumarle dei suoi fiori e di Sé.

*

   Così, solitario, il bianco globo etereo dell’‘Emilia sonchifolia’, o ‘fiore di nappa lilla’, o “pennello da barba di Cupido” stanotte inaspettatamente apparso tra i fiori ormai appassiti del mio campestre bouquet, dà meglio l'idea della metafora metafisica in esso celata, quella dell'unità e della molteplicità nella loro fugace im-permanenza. Basterà un alito di vento, e il Tutto sarà ridissolto nella impersonalita' del Nulla donde lieve emerse. Precarietà e Levità dell'Essere e dell'Esserci.

*

   Puro cosmo di puro spirito, Levita' sbocciata nella notte. Fra poco si ridisperderà nel vento. Quale il suo nome? Fugacità.

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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Cedolins, heautontimerumenos, Palinodie ed altro

Post n°1186 pubblicato il 13 Marzo 2024 da giuliosforza

1080

   Oggi è un altro giorno.

   Quanto male dissi ieri della Bonfadelli, tanto bene dico oggi della Cedolins.  La Madama Butterfly in versione zeffirelliana all’Arena, oggi su rai5, con un Oren finalmente placato, e non, come al solito, scatenato, quasi non un insieme di musici dirigesse ma un battaglione di sionisti, è stata semplicemente stupenda grazie alla Cedolins e alla sua voce squillante, pura e trasparente come di cristallo, in-tonata perfettamente, non, come quella della Bonfadelli, sempre ‘periclitante’, casco e non casco, lì lì per finir sotto tono, s-tonata appunto.  Oggi mi sono goduto una Batterfly sfarzosa sì, nella scenografia e decorosa nella regia, ma soprattutto insuperabile nel canto di una Cedolins da me sempre trascurata, se non ignorata. Doverosa ammenda.

   Quest’episodio mi spinge ad alcune considerazioni generali. La mia età è quella che suol dirsi dei rendiconti, degli esami di coscienza, delle revisioni. Ogni uomo, alla mia età è portato ad essere heautontimerumenos, punitor di se stesso, è portato alle palinodie, più o meno clamorose. Io ora ci andrei prudente. L’approssimarsi della fine è causa naturale, già di per se stessa, di depressioni devastanti che rendono la vecchiaia insopportabile (senectus ipsa morbus), vera morte cosciente prima della morte incosciente, l’atto dell’estinguersi essendo naturale, dopo l’accensione, come lo spegnersi di una candela. L’esercizio di preparazione alla morte come è previsto nei manuali religiosi, almeno quelli nostri climi, è l’atto più sadico che possa commettersi nei riguardi del morituro, e non dico del moribondo. Mai dunque ripensare il passato, cari amici miei coetanei, per soffrirne. Ripensarlo per goderne, per vivere la vecchiaia come si vive un lauto banchetto alla sua fine, con un brindisi alla Vita al suo apice.

   E dopo sia quello che sia (“enfer ou ciel, qu’importe? N’est-ce pas, Charles?). Vecchiaia come ultima sbornia di Vita.

*  

Luciano Pranzetti dedica a me i suoi “Apophtegmata” (Apophtegmatum ac dignorum memoratu versuum ex Vergilii Aeneide flores selecti, Florilegio delle massime e dei versi degni da ricordare tratti dall’Eneide di Virgilio- ristampa 2023, Centro Incontri Culturali di Civitavecchia) con queste troppo lusinghiere parole:

Julio Sforza, magistro summo,

qui mira institutione

me gymanasii discipulum

primo rore discipulum aluit,

et postea, universitatis tempore,

me in Musarum famulum perfecit,

hunc, animo cordeque grato,

laborem dico.

   Ancora una volta generosissimo Luciano Pranzetti, di cui più volte in questi spazi ho celebrato il presso che miracoloso ingegno, esalta la mia vecchiezza e mi fa partecipe della sua immortalità.

   Grazie Luciano. I tuoi doni mi ravvivano.

 * 

   Or non è molto ebbi da ridire sulla Madonnina del ‘Parco della Speranza’ prigioniera, e ne invocai la liberazione dalle gretole ferrigne da gabbia da zoo determinanti la piccola isola in un oceano di verde a Lei riservata, isola e oceano deturpando. Oggi ho modo di ridirne, ma in un contesto più sereno e pacato.

   Fa bene al cuore ogni tanto incorrere, fra le migliaia di associazioni così dette umanitarie che, approfittando della dabbenaggine di buona parte del pubblico televisivo, imperversano da tutti gli schermi e i microfoni del mondo,  mercificano  immagini di bambini d’ogni colore malati e sottonutriti,  radunano tesori inestimabili che non si sa, o troppo bene si sa, che fine facciano, fa bene incorrere in modeste associazioni di volontariato che si prendono cura degli spazi verdi pubblici che attorniano il loro quartiere, e tendono la mano per un modesto 5 per mille da destinare al sostegno della loro benemerita attività. Nel mio giovane quartiere molto è il verde, che senza l’opera dei volontari diventerebbe una giungla di cinghiali, volpi, serpenti e forse lupi, come già avviene nelle vicine riserve naturali della Marcigliana e di Tor San Giovanni. Cinque sono i piccoli parchi vicino casa, che mi hanno passeggiatore solitario in quasi ogni alba con solo qualche cagnolino o cagnolone e rispettivi accompagnatori (non tutta gente civile, spesso villani mal inciviliti nei quali i poveri cani hanno avuto la sfortuna di incappare), tutti tranne uno intitolati ad artisti (musicisti di musica leggera e attori) tre dei quali donne. Il più piccolo, ma più antico e curato (ospita addirittura della svelte betulle) è il parco delle tartarughe, che mi godo dal mio balcone e rinfresca d’amorevoli ombre il mio studio; ancora in faticosa formazione quello dedicato al povero forse troppo celebrato Rino Gaetano; un terzo, ancora semi selvaggio (se si escludono le zone abusivamente -fortunatamente in questo caso- recintate e adibite a piccoli orti e frutteti, uno dei quali è molto ben curato da un mio ex alunno ormai ottantenne da poco ritrovato) che sale da via Tina de Lorenzo e guarda al grande Parco delle Sabine, in zona Fidene e Colle Salario; un quarto è attraversato da via Rosina Anselmi e via Amalia Bettini;  e un quinto, quello detto della Speranza, in omaggio alla ‘Vergine della Speranza’ la cui statuetta abbella, circondata di rose e fiori d’ogni genere, il parco nel suo punto più alto. Quale sarebbe la quarta Artista dedicataria? Ma naturalmente Lei, la più grande, Colei il cui capolavoro fu addirittura il Figlio di Dio, la Vergine Madre figlia di suo Figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio; Colei che è tanto grande e tanto vale, che qual vuol grazia e a Lei non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali.

   Corro a destinare al suo parco il mio 5 per mille.  

*

Ho sognato papa Francesco. Ora i miei sogni stanno esagerando. Era nella stanzetta accanto alla sagrestia, quella nella quale noi chierichetti, rischiando i calci nel sedere e gli scappellotti del caro Monsignor Don Vincenzo, parroco ineccepibile e zelante assai ma anche assai manesco e …pedesco, ci appostavamo per rubare i ritagli d’ostia destinati ai più bravi, della Chiesa di San Biagio del mio paese, voluta negli anni Dieci del Novecento dalla magnificenza del compaesano cardinale Angelo Di Pietro, grande diplomatico in Germania e in Spagna, che ebbe voti al conclave dal quale poi sarebbe uscito l’accanito antimodernista Pio X; benevolenza e magnificenza non gradite a quei ‘magnati’ locali che, tramanda la vox populi non so quanto credibile e documentabile, si rifiutarono di cedere gli spazi necessari perché la chiesetta di campagna diventasse la grande basilica nella sua mente progettata, motivo per cui si sarebbe rifiutato di andare a inaugurala. Il Bergoglio del sogno era in veste bianca dimessa e spiegazzata e macchiata d’unto in più parti, e parlava familiarmente con noi, e confessava confidenzialmente, senza le solite formali tiritere del che hai fatto, quante volte l’hai fatto, va e non peccare più, ego te absolvo ecc, da un angolo della stanza e non nel chiuso del confessionale. Più una chiacchierata che un Sacramento. Mi sono svegliato semiriconciliato col Papa gesuita, che mi fu agli inizi assai antipatico, quella antipatia motivando con una certa maliziosa e divertita acredine in varie parti del mio Diario virtuale. Non ha senso che gli chieda ora scusa. Delle scuse di un ignoto scribacchino non saprebbe che farsi..

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Ennesima 'Traviata' con la Bonfadelli, Bruson, Domingo ed altro

Post n°1185 pubblicato il 09 Marzo 2024 da giuliosforza

 

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La  "piccola" Violetta  di porcellana di Zeffirelli   «Una bambola di porcellana in una confezione di plastica rotante.  Questa Traviata messa in scena da Zeffirelli a Busseto. La Bonfadelli è stata una Violetta vocalmente efficace, poco brillante all'inizio, ma cresciuta e a tratti emozionante. Scott Piper un Alfredo a senso unico, Bruson e Domingo (alla guida di una Toscanini mediocre) sono Bruson e Domingo, appunto. La regia ha espresso alto virtuosismo e gusto a tratti stucchevole, fascinoso ma sterile. Un mare di applausi alla fine».   Così il critico Alessandro Rigolli introduce una lunga recensione della  “Traviata” trasmessa da rai 5 il 7 marzo dal Teatro Giuseppe Verdi di Busseto, una recensione  molto positiva anche per quanto riguarda la Bonfadelli, oltre che naturalmente lo stupendo Bruson nella parte di Germont padre e Placido Domingo direttore (di cui io ebbi a scrivere che avrebbe fatto meglio a restare cantante). E prosegue Rigolli:    «Sul piano vocale, Stefania Bonfadelli ha proposto una Violetta spigliata, vocalmente efficace se non a tratti fascinosa, emersa a pieno negli atti secondo e terzo, dove le venature brunite che nutrono una voce ben controllata riescono a stemperarsi in modo adeguato».    Io non condivido affatto l’opinione sulla figlia adottiva di Franca Valeri. L’ho trovata quasi sempre al limite . del sottotono nei confronti dell’orchestra, ed ho trascorso le due ora dell’ascolto in continua sofferenza. Persino il mio orecchio sinistro da anni completamente sordo ne percepiva il pericolo. La stessa impressione sulla voce del soprano ebbi tanti anni fa quando la senti affrontare una Adriana Lecouvreur, penso fosse il suo debutto, al Teatro Vespasiano di Rieti in occasione dell’annuale Festival ‘Battistini’ patrocinato dalla madre adottiva. Persino Bruno Cagli, il critico musicale presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, che mi sedeva accanto, era d’accordo con me. E Cagli non era sordo. Ora mi pare, seppure ancora giovane, che abbia spesso di cantare e leggo essersi data alla docenza. Scelta intelligente. E ancora il critico: «Sul piano vocale, Stefania Bonfadelli ha proposto una Violetta spigliata, vocalmente efficace se non a tratti fascinosa, emersa a pieno negli atti secondo e terzo, dove le venature brunite che nutrono una voce ben controllata riescono a stemperarsi in modo adeguato sempre il rischio di ingombrare eccessivamente un palcoscenico dalle dimensioni comunque limitate, dall'altro riusciva a non distogliere l'attenzione dai due protagonisti dell'opera, anche quando, per esempio, i colori e i caratteri - crediamo volutamente marcati - ostentati nella festa a casa di Flora si intrecciavano all'intervento coreografico de "La corrala”».    Non vengono meno le mie riserve.*

   Storia di eversioni e sovversioni

   Celie, ma non tanto, di un ‘eversivo’ sui generis, teorico della Theofagia.

   Un mio meraviglioso ex allievo, poeta e mistico, eremita quanto basta, monaco quanto basta,  cenobita quanto basta, e nel contempo infaticabile uomo d’azione,  sommovitore, e ‘corruttore’ di coscienze, che di sé onora e santifica la Terra calabra, mi ha ricordato di essere stato  sconvolto, poi esaltato, tanti anni fa,  da una parola che io usai in uno dei primi nostri incontri all’Università nel quale si discorreva della incongruità di un vegetarianesimo e di un ambientalismo privi di premesse, sostanza e giustificazione filosofiche: la parola era  Theofagia, la più naturale delle conseguenze di una concezione monistica della Natura che fa di ogni essere un essere vivente anzi divino, quella che dai primi monisti, partendo dal Plotino del pròodos e dell’epistrophé, lo Spinoza del Deus sive Natura, definitivamente verrà ri-assunta dai romantici nella Dialettica dello Spirito,  o dell’Uno

   Dovrò prima o poi scrivere, se me ne resterà il tempo, una piccola storia del mio ‘sovversivismo’.

   In un  mio recente intervento ad una tavola rotonda su argomenti ambientalisti di moda, io naturalmente ho detto di ciò che so, di cui so dire, di ciò che ho sempre variamente detto intorno ad un concetto di Natura  recuperanda, con  un approccio filosofico, laicamente ‘teologico’, latamente e strettamente estetico e modernamente, cioè nello spirito del falsificazionismo popperiano, scientifico,  alla sua …naturale essenza primigenia (Urnatur), che non è quella dei piagnistei ambientalistici di tutto il mondo; l’ho detto nel mio solito stile divertito e dissacrante di denuncia, col Francis Bacon del Novum Organum, degli idola specus tribus fori theatri, e col Seneca del De vita beata, dell’istinto di aggregazione (ad gregem), per il quale pecorum ritu siamo spinti a seguire antecedentium gregem, pergentes non quo eundnum est, sed qua itur. Naturalmente dai pochi che mi hanno capito, o han creduto di capirmi, mi è stato dato ancora una volta del sovversivo. E, colmo dei colmi, un sovversivo novantenne. Prendermela? E perché mai? Ho ringraziato per l’implicita lode contenuta nell’accusa. Mi sono divertito a rincarare la dose ironizzando sull’invasamento ambientalista dell’adolescente visionaria Greta Thunberg, una furbetta che non ti dico, e sulla conseguente istrionesca isteria collettiva conseguitane, uno dei più vistosi fenomeni di rimbambimento globale.

   Sì, ribelle ci sono nato e ho passato la vita a ribellarmi, cioè a …pensare. Che è pensare se non sovvertire un ordine, anche un presunto ordine cosmico, prestabilito? Che nasco a fare ad un mondo che non sia nuovo con me della mia novità, con me da me tutto da crearsi? Non corrisponde forse la mia vera nascita alla nascita del mio Pensiero, attualisticamente, gentilianamente, pensante? Non forse, l’ho ripetuto per una vita fino alla nausea, lo scopo del nostro esserci nel mondo è arrivare a poter dire come  Atem a Suleika (Goethe, Divano occidentale orientale) Allah braucht nicht zu schaffen, wir eschaffen seine Welt, Allah non ha bisogno di creare, noi creiamo il suo mondo? Giorno per giorno, con mani tremanti, ti costruiamo Dio ,pietra su pietra? (Rainer Maria Rilke, La cattedrale). Non forse questo Allah stesso s’aspetta di sentire da noi, per non pentirsi d’averci creato, creato per nulla?

   Ma per oggi basta con sofismi e filosofemi, dei quali non ho difficoltà ad autosospettarmi.

 *

   (A commento di una foto che coglie, seduti sulla stessa panchina, me che leggo e due fanciulli che smanettano sul cellulare navigando nella intemporalità e aspazialità della rete).

   Seduti sulla stessa panchina, vicinissimi ma distanti anni luce. Io a rileggere con occhio attento ‘La cena de le ceneri’ bruniana resa in italiano moderno (Di Renzo Editore 2023) a cura di Guido del Giudice e Gianmario Ricchezza; e a prender prima critica visione della ‘Filosofia della musica’ (post schӧmberghiana) di Giovanni Piana (Guerini e associati, Milano 1991), due testi alla mia comprensione aperti ma ovviamente preistorici  per i due fanciulli, smanettanti, serioso il più grande, divertito il più piccino californiano, sul cellulare; i miei kantiani apriori della sensibilità (spazio e tempo) e le mie mentali categorie, i trascendentali dell’intelletto, non sono più i loro: conseguente impossibilità di comunicazione e di comprensione tra le generazioni, improbabilità, anzi felice inutilità, di tutte le pedagogie.

   Due realtà fisiche apparentemente prossime sulla stessa panchina in piazza del Belvedere, due universi che più fra sé distanti non si può.

   Urgenza di Metantropologia.

 *  

   Dis-avventure rusticane.

   Invitato a un anomalo ‘symposion’ dal presidente di uno di quegli enti ormai inutili detti Università Agrarie - ora Domini Collettivi (nello specifico l’U. A. del mio natio borgo selvaggio, creata nel 1910 in seguito al riscatto, con donazione al Comune, alla chiesa e alla popolazione, dei boschi e dei terreni da semina o da pascolo ancora proprietà dei Borghese, dall’oriundo cardinale Angelo Di Pietro, diplomatico eccellente in America Latina, Spagna e Germania, che ebbe voti al conclave da cui sarebbe uscito il discusso antimodernista, per molti oscurantista, Pio X) per dire di “Novantenni e 'De consolatione philosophiae'” nella cornice di una strana ‘Festa dei novantenni’, dedicata ai compaesani vivi o morti nati nel 1933 (trentadue in tutto, di cui tre o quattro, me compreso, ancora calcanti il suolo della bella Terra) ebbi la cattiva idea, l’ingenuità e, debbo proprio dirlo, la magnanimità di accettare; e il sullodato presidente per onorarmi, dice lui, per un maliziosetto dispettuccio, dico io, mi destinò ultimo dei relatori, sicché non ebbi il tempo, per gli sforamenti dei precedenti, di dire quasi nulla di quanto m’ero preparato a dire tra il serio e il faceto, per vari motivi: primo, l’assenza di novantenni, tranne me, che dunque ero soggetto, insieme, e unico oggetto della mia … 'magistralis lectio'; secondo, il via vai di pubblico nel bar osteria che ci ospitava e che più che bar somigliava ad un caravanserraglio; terzo, l’assenza di un, dico uno rappresentante dell’ente (presidente escluso, per altro indaffaratissimo, dopo il suo intervento su ‘Età dello sviluppo; origine e cause dell’alta e bassa statura’, a far su e giù tra il bar e la ‘piazza del belvedere’ soprastante, per controllare a che punto fosse la preparazione del ricco rinfresco previsto ad opera di pochi volenterosi membri femminili dell’istituzione).         Terminate le altre relazioni, l’una dedicata al tema ‘Symposion da Atene a Vivaro: storia evoluzione e fortuna di una istituzione greca’, l’altra, di un noto chirurgo accademico, storico quindicennale sindaco di un vicino villaggio, su ‘Come cambia la popolazione in Italia e nel mondo: analisi e prospettive’(tutti interventi di alta natura speculativa, come si vede) fu finalmente la mia volta che m’ero proposto di dire, supportando il mio sproloquio di citazioni classiche greche latine francesi e tedesche, di una 'pars destruens' e di una 'pars construens', e di argomentare il più lievemente possibile per un pubblico disinformato annoiato e distratto sui 'pro' e i 'contra' di un invecchiamento ad oltranza. Stanco dell’attesa e già in calo di zuccheri, iniziai impudentemente con una premessa polemica sulla farraginosità degli argomenti, coi quali il mio non aveva nulla a che fare, sulla inadeguatezza dell’ambiente che ci accoglieva, sul tipo di pubblico già stanco frastornato e impreparato per una concione filosofico-letteraria, e nervosamente passai alla premessa con una veemenza per la verità a me non insolita, in grado di dar subito un pugno allo stomaco agli spettatori sonnacchiosi; ma non molto passò che fui bloccato dall’apparizione di una signora del rinfresco, di certo ambasciatrice del presidente, che annunciava tutto essere pronto su in piazza Belvedere e doversi perciò por fine al pomeriggio simposiale, per passare a quello mangereccio. Immaginate la mia reazione? 'Raunai le fronde sparte'' dei miei disordinati appunti, salutai e sparii, dimenticando di lasciare il piccolo omaggio che a nome della mia Associazione avevo fatto stampare dal  tipografo Enrico come saluto alla consorella agraria: una cartolina riproducente l’incisione  di un Vegliardo che lentamente avanza sorreggendosi ad un girello. In essa Giuntalodi da Prato, il grande artista pittore incisore e ingegnere rinascimentale di cui avevo avuto notizia dal mio Gabri (dal mio 'Ermapollodionisiopescarese', dal quale appresi buona parte delle notizie rare e delle bellezze non solo al vasto pubblico dei non addetti celate, di cui mi sono nutrito nei miei lunghi anni di invasamento) fa un sunto di uno degli aspetti, se non del fondamentale, del tema che avrei trattato. Delle scritte che accompagnano il disegno ('Anchora inparo', sic, al centro, 'tam diu discendum est quam diu vivas' in alto a destra, 'vis pueri senex' in basso a sinistra, accanto a un bimbo anche lui sul girello), mi sarei servito per buona parte dell’esposizione e, 'coup de théâtre', per le conclusioni. Le quali, col testo integrale di quello che avrebbe dovuto rappresentare il mio trionfo oratorio, non voglio vadano disperse: non si disperde la grazia di Dio e non si gettano le perle ai porci! Seriamente parlando, è mio proposito dedicare al non detto un post intero di questo mio 'Dis-Incanti', così che l’etere tutto sappia della mia disavventura (perché tale fu e non altro) all’osteria del Belvedere.

P. S.

Il verso dantesco col quale, sulla cartolina, fuori bordo civetto col -mi mutato in -ci ('fannoci onore e di ciò fanno bene), va inteso come pronunciato dai vegliardi che l’U. A. avrebbe inteso celebrare. Ma vistosi che l’unico vegliardo presente ero io, avrei potuto tranquillamente scrivere fannomi onore e di ciò fanno bene!

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   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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Nostalgie turanensi

Post n°1184 pubblicato il 03 Marzo 2024 da giuliosforza

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    Nostalgie

    Conobbi cento anni fa una signora da tutti chiamata semplicemente Donna Assunta. E quel nobile titolo ben le si addiceva. Nobilmente gestiva con suo marito, i figli,  i nipoti, un ristorante sulla riva di un bel lago, nato per incanto nella vale una volta ubertosa d’olivi e viti e di ogni genere di vita animale e vegetale, un vero giardino edenico: il lago artificiale del Turano, destinato,  col suo gemello lago del Salto, ad alimentare le centrali elettriche del reatino: uno scempio naturalistico risoltosi provvidenzialmente in un ricamo d’acque trasparenti (ché tale esso appare, dall’alto dei borghi che gli fanno corona); uno specchio d’acqua che la generosa dea Fauna fece ricco di trote persici carpe cavedani lucci anguille, per la gioia dei pescatori-ristoratori di Colle di Tora, Castel di Tora, Posticciola,  Montegiove, Paganico, Ascrea, Collalto Sabino et coetera i cui territori scendono in esso a bagnarsi, e di tutte la amene locande (quella storica di Lontero padre di Katiuscia mia ex allieva anch’essa -prolifiche di mie studentesse a Roma3 furono  la Valle e l’attiguo altipiano del Cavaliere, ignoro se per caso o per…fama!- la nuova e un poco …dandy, se una tale attributo può  addirsi ad un sito, detta ‘del Poeta’, e infine  l’‘Agriturismo Ferramosca’, immerso nei castagneti entro i quali mea la strada tortuosa e ombrosa che guida a Turania, già Petescia) disseminate lungo il  percorso che passo passo segue l’aprirsi e snodarsi, sinuosamente, del lago.

   Il ristorante di Donna Assunta, in Località Zingari, è ora un elegante e raccolto B&B, con annesso Home Restaurant, per volontà dell’erede dottoressa Nicolina Petroni, dirigente medico oculista al Pertini di Roma, e della sua figliola  Silvia Lo Giudice, soprano lirico in arte Silvia Lo (in famiglia dunque Luce e Suono si disposano!), la cui bella voce udii diffondersi nell’aria in una notte serena  in occasione di un  concerto vocale pensato dalla mia anche lei ex allieva professoressa Maria Pia Mercuri sindaca di Collalto, intima di Euterpe e genitrice di una progenie lirica, preparato e accompagnato al piano dal Maestro italo-argentino Rolando Nicolosi. Profonda era la notte agostana, fiabesca l’ambientazione: la corte del Castello baronale di Collalto dall’acustica perfetta, donde le voci e i suoni venivano magicamente rilanciati alle Costellazioni da una benevola Eco che, abbandonati quella notte per noi Febo, Latona, Diòniso, Pan e le sorelle Oreadi, restituiva Frau Musika, come Urklang, Suono primigenio, alla Musica dei Mondi.

   Son sicuro che quella notte anche Donna Assunta era fra noi, memore delle serate-nottate apollineo-dionisiache vissute nel suo Ristorante da uno scalmanato gruppo misto di avventori vivaresi e amici, residenti o villeggianti, fra cui il sottoscritto.

   Il B&B “Nonna Assunta” è situato in territorio di Collegiove, alla confluenza della Turanense con la   strada orviniese pozzagliese pietrafortese, che attraverso poggi e forre, selve e vigne, castagneti e querceti e pendici dirupate, scende al lago ancor quasi fiume, e attraverso un ponte si disposa alla provinciale Carsoli-Rieti che con la grazia l’eleganza e la scioltezza sinuosa di un serpente, superata  la diga a Posticciola, s’avvia, tra i colori e i profumi di una ormai espugnata Sabina (ché piena Sabina in ogni suo aspetto  appaiono Rocca Sinibalda, Stipes, Belmonte), alla conquista della statale 4 via Salaria, alle porte dell’Italiae Umbilicus.

   Al ristorante di Donna Assunta, mitico nel mio ricordo, dai borghi dei dintorni accorrevano avventori di ogni tipo (lavoratori, pensionati, giovani scapestrati, professori dallo spirito ancora goliardico) amanti della buona tavola e del buon vino. Ed ivi tutta la notte era un risuonare di canzoni popolari di ogni genere, d’amore, di guerra, del lavoro, d’emigrazione, che colmavano i silenzi delle notti illuni e di quelle stellate, e che anch’esse l’oreade Eco fino all’alba faceva risuonare per i colli e le convalli.

  Io fui frequentatore assiduo e assai attivo, per …voracità e vocalità, delle serate da ‘Donna Assunta’. Ero tra i più giovani e resistenti della combriccola, i cui componenti, tutti a me carissimi,  già da tempo mi hanno abbandonato in questa valle per grazia degli Dei di non solo lacrime, e spesso al mattino seguente mi rimanevano ancora energie bastanti  per precipitarmi  a trascorrere un’altra giornata memorabile a Colle di Tora ‘dal Pescatore’ (più volte su questi spazi m’è avvenuto di narrare i non sempre piacevoli esiti di quelle gesta pantagrueliche) padre di un’altra mia ex allieva, Emanuela, già docente al Liceo psico-socio-pedagogico di Rieti, ora  gestore, insieme alle figlie Ilenia, ricercatrice stabilizzata presso il Policlinico romano, ed Elisa nota nutrizionista assai presente anche in rete (una nutrizionista in un ristorante, quale lusso!) del grande ristorante sul Lago dal nome memorabile  di “Trattoria del Pescatore”.

   Oh potere, in questa mia Sera, ancora una volta sostare sulle sponde di quel lago ove cento e cento volte sedei, solo o in compagnia, a meditare sul senso del mio fugace esserci nell’esserci di tutte le cose, a piangere le mie esistenziali angosce o ad affidare alla brezza i sospiri del mio cuore innamorato!    

   Oh potermi rifugiare, in questa mia Sera, nella solitudine e nel Silenzio ricco di Presenze del Lago che il B&B ‘Nonna Assunta’ e la  Trattoria del Pescatore contemplano, stordirmi negli abissi dell’estasi o della disperazione (Plonger, col ‘Maudit’  del “Voyage”, au fond du gouffre, enfer ou ciel qu’importe / au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau), tentar di sondare gli  arcani di un Tempo-Chronos pur sempre da me vissuto sub specie aeternitatis, platonica aiònos eikòn kinetè, immagine mobile dell’eterno, rimasti insoluti nonostante le innumerevoli Isidi velate, gli innumerevoli Ermeti di ogni cultura e latitudine da me nella mia troppo lunga e troppo breve esistenza frequentati e venerati!

   Più serena sarebbe in questi eremi l’Attesa, rasserenata da una voce angelica modulante in lontananza le note di Casta Diva e di Vergine degli Angeli: la voce di Silvia Lo.

  Ché ben di più che un letto e un desco sanno offrire ‘Nonna Assunta’ e ‘Il Pescatore’! Sanno donare il Verbum che dum medium silentium tenerent omnia a regalibus sedibus venit.

  Nota

   Non è mia colpa se tutte le Signore, giovani e meno giovani, nominate in questa pagina di ricordi sono, oltretutto, bellissime. Ad un appassionato cultore di Filosofia ed Educazione estetiche è il minimo che potesse capitare. Ancora una volta Verum et Bonum et Pulchrum convertuntur!

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  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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