Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

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IN BILICO SOPRA LA FOLLIA

 

 

Sono sentimentalmente vicina ad una persona di nascita triggianese ed ho seguito inevitabilmente la vicenda di cronaca dei giorni scorsi che riguardava l’incidente di cui è rimasto vittima un bambino di non ancora sei anni, sbalzato dal sellino dello scooter guidato dal padre. Ho letto e ascoltato la notizia ma poi ho sentito anche testimonianze dal vivo sulla dinamica dello scontro e abbastanza prevedibilmente l’attenzione sociale si è nuovamente posata sulla questione “quadro accusatorio”.

Non si è trattato di un omicidio stradale; ma per dare un’indicazione di responsabilità nella vicenda luttuosa, la ricostruzione del fatto deve tener conto anche della questione “norme di sicurezza”. Se siano, cioè, state osservate o meno le regole legislative che impongono l'uso del casco per conducenti e passeggeri di moto e di scooter.

La legge è chiara, come la matematica.

Per chi ha poca memoria o in quegli anni non era ancora nato o, come me, andava alle elementari e giocava con la Cabbage Patch Kids, la campagna a favore del casco è esplosa nel 1983; quindi vennero presentati dodici disegni di legge alla Camera e quattro al Senato e, tre anni dopo, l’utilizzo del casco era divenuto obbligatorio per tutti i minorenni (ma ancora non per i maggiorenni) che guidavano un motorino con 50 cc. di cilindrata. Per le cilindrate superiori, invece, anche i maggiorenni, sempre scondo le disposizioni legislative del 1986, dovevano necessariamente utilizzare il casco.

Dal 2000 è stato, infine, esteso l'obbligo del casco anche per i maggiorenni che avessero guidato un 50cc.

Per quanto riguarda il trasporto dei bambini sui motoveicoli, la modalità è, invece, regolata dall'art. 170 del Codice della Strada che prevede un divieto assoluto di trasportare minori di 5 anni sui veicoli a due ruote. Per tutti quelli di età superiore ai 5 anni è stato stabilito che la corporatura debba essere tale da permettere loro di stare seduti in modo stabile ed equilibrato, nella posizione determinata dalle apposite attrezzature del veicolo. Naturalmente con il casco. Di misura idonea. E allacciato.

Fin qui la legge.

Ora, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità: si registra che dopo l’entrata in vigore dell'uso obbligatorio del casco il numero delle vittime di lesioni al cranio fra i motociclisti, riferibile sia agli accessi al pronto soccorso sia ai ricoveri, sia diminuita quasi del 50%.

Sul luogo dell’incidente, però, a dispetto di leggi e di rassicuranti percentuali numeriche pervenute dalla Sanità, sembra essere stato ritrovato un solo casco, e di inequivocabile misura per adulti.

Dalle testimonianze raccolte si apprende che il padre del bambino, definito sotto shock per il trauma psicologico, abbia dato in escandescenze. Se le emozioni abbiano o meno costruito in lui reti neuronali disfunzionali tali da compromettere il suo normale funzionamento psichico, date le condizioni estreme dell’accaduto, non ci è dato saperlo con certezza clinica; ma quel che ci è dato apprendere è che il suo trauma si è veicolato in una sconsiderata violenza, naturalmente inopportuna, rivolta verso la guidatrice della macchina con cui l’uomo ha avuto l’impatto, verso terzi presenti e infine ai danni dell’ambulanza arrivata sul luogo dell’incidente.

Minacce, specchietti rotti, fanali e vetri spezzati sono stati il risultato controproducente, insensato e inopportuno di un episodio di cronaca decisamente scura.

Un risultato sconsiderato, controproducente, impulsivo dettato dal trauma di un uomo che ha perso il figlio ma che ha anche perso il figlio (proprio) per un controproducente, sconsiderato ed impulsivo atteggiamento precedente al trauma...

Ed allora un interrogativo: Nasce prima l’uovo o la gallina?

La testa si perde prima di perderla perché, forse, già, si era persa (o non era pervenuta)?

Non ha senso chiedersi, a posteriori, “se avessi…”, ”perché non ho…” e altre domande simili.

Esistono mille motivazioni ed una di più, che possono indurre ognuno di noi (e ripeto ognuno, non ci sono eccezioni) a disattendere alla sensatezza, alla responsabilità, alla lungimiranza.

E questo non è un processo e nemmeno un giudizio. E’ una considerazione.

E’ evidente che la legge parli chiaro, ed altrettanto evidente è la prova che il rimorso e l’incapacità di ammettere la propria responsabilità non solo non resuscitano i morti; ma distruggono anche le ambulanze che servono ad evitare che il numero dei morti aumenti…

Da una parte questo, infatti, è evidente.

Ma dall’altra, l’episodio, pur con tutta la sua tragica avventatezza, ci ricorda anche qualcos’altro.

Vale a dire che, nella storia umana, non ci sono stati soltanto padri, fratelli, zii scriteriati che hanno imprudentemente pensato che, forse, non sarebbe poi accaduto nulla di male nel trasportare su un motorino, anche senza l'accortezza di una protezione adeguata, il proprio figlioletto, fratellino o nipote, all’uscita da una pizzeria, magari muovendosi praticamente a passo d’uomo. E, ugualmente, non sono state necessariamente madri assassine a dimenticarsi, incautamente, di chiudere le confezioni dei medicinali a chiave nell’armadietto del bagno…

Quello che viene da chiedersi, quindi, e pur ammettendo che la responsabilità di un genitore implichi l’avere tanti occhi, tante braccia e tanta accortezza da dover circoscrivere ad un livello quasi pari allo zero ogni tipo di incoscienza, è una domanda che molti di noi avremo visto pervenirci sul cellulare attraverso WhatsApp sotto forma di allegato…

E vale a dire: COME ABBIAMO FATTO A SOPRAVVIVERE NOI, BAMBINI DEGLI ANNI ‘50 – ‘60 – ‘70 – ‘80?

I nostri genitori cos’erano, se ci portavano a cuor leggero in giro prima delle leggi sulle cinture di sicurezza e prima dell’avvento dell’airbag…? E poi...

Poi dormivamo in culle vivacissime dipinte con vernici a base di piombo e bevevamo l’acqua direttamente dal tubo del giardino…

Non c’erano i cellulari e se uscivamo a giocare e l’unico obbligo era di rientrare prima del tramonto; ma nessuno, in alcun modo, ci avrebbe potuto rintracciare…Facevamo sport, giocavamo, litigavamo, ci picchiavamo, correvamo, cadevamo, ci tagliavamo, ci rompevamo un osso e nessuno sporgeva denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi e della nostra sventatezza.

Formavamo squadre per giocare una partita e non tutti venivano scelti per giocare; ma gli scartati non subivano, per questo, nessun trauma. Si vedevano le trecce delle compagne di classe cadere sul pavimento, tagliuzzate dai compagni seduti al banco dietro di loro e talvolta ci toccava subire scherzi pesanti ma nessuno chiedeva aiuto ai genitori, né parlava con il preside o pensava di suicidarsi per questo. Si piangeva, ci si infuriava, si tremava un po’. Ma poi, a mente fredda e lacrime sbollite, si escogitava il modo più strategico per "rimettere le cose a posto", ed infine si tornava in campo: uno a uno, palla al centro. 

Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano; ma nessuno veniva aiutato da un supporto terapeutico, per questo. E la mancanza di attenzione e l’iperattività non erano ancora patologie…Se si prendeva 4 perché si aveva cinque segni rossi sulla versione di latino, nessun genitore pensava di sentirsi in dovere di insultare l’insegnante; ma ammetteva con lucida autocritica di avere un figlio che non aveva studiato per nulla la grammatica…

Questo discorso, non vuol dire banalmente che “si stava meglio quando si stava peggio” perché è naturale (e va da sé) che laddove ci siano sconsideratezze, crimini o rischiose imprevidenze sia necessario e doveroso correggere il tiro.

E non vuol essere sicuramente un invito a non considerare gravi le cose quando gravi sono.

Ma la domanda, nondimeno, resta: Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità e imparavamo a gestirli.

“Come abbiamo fatto, quindi, a sopravvivere? a crescere, e a diventare grandi?”

 

     

 

La prima immagine del post è stata reperita tramite web, qualora il legittimo proprietario rivendichi il suo diritto di proprietà e lo richieda, sarà immediatamente rimossa.

La seconda è l'opera Follia dell'artista Valentina Chittano.

 

 

 
 
 
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